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La chiesa parrocchiale di San Nicola “Graecorum” di Policastro

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Policastro fonta san nicola dei greci

Petilia Policastro (KR), chiesa della SS.ma Annunziata, fonte battesimale probabilmente proveniente dalla parrocchiale di San Nicola dei Greci.

L’antica identità greca di Policastro, pur essendo poco documentata,[i] risultava ancora evidente agl’inizi del dominio angioino, come riferisce il Mannarino nei primi anni del Settecento, collegando l’esistenza del rito greco alla presenza della chiesa di San Nicola dei Greci: “Quindi siccome non è dubbio, che il primo Rito della Città fu Greco, come ancor vi dura un fonte Battesimale, sotto il titolo di San Nicolò delli Greci, con una Tripona; è pur Greco il suo Vescovo e dà quatro cento anni in qua si fece un misto di Greco, e Latino Rito senza però supprimersi le nazioni Giudaica e Franca”.[ii]

 

Greci e latini

Alcuni atti medievali stipulati localmente, permettono di evidenziare che, nel periodo compreso tra la metà del sec. XII e la prima metà di quello successivo, il clero di Policastro, obbediente da circa un secolo alla gerarchia ecclesiastica latina della Chiesa di Roma, era strutturato sulla base di due principali categorie: quella dei presbiteri, che svolgevano le funzioni sacerdotali, e quella dei diaconi. Tra di essi, numerosi erano quanti seguivano ancora il rito greco, come testimoniano i titoli di papa e protopapa che accompagnano i loro nomi in alcuni documenti di questo periodo.

27 dicembre 1163 (a.m. 6672): atto scritto dal sacerdote (ίερέως) Eugenio, con il consenso di Costantino, sacerdote nonché tabulario di Policastro (ίερέως καὶ ταβουλαρίου Παλαιοκάστρου), che risulta sottoscritto in greco, dal giudice (κριτὴς) Guglielmo, figlio del presbitero (πρεσβυτέρου) Petro, e da altri testi, alcuni dei quali lo fecero in greco mentre altri in latino.[iii]

Luglio 1187 (a.m. 6695): atto scritto dal notaro (νοταρίου) Nicola, con il consenso di Zoeto, sacerdote nonché protopapa e tabulario della terra di Policastro (ίερέα καὶ πρωτοπαπα καὶ ταβουλαρίου χόρας Παλεωκάστρου).[iv]

Agosto 1190 (a.m. 6698): atto scritto dal sacerdote (ἡαιρέως) Pelegrino, con il consenso di Zoeto, sacerdote nonché protopapa e tabulario di Policastro (ἡερέως καὶ πρωτοπαπα καὶ ταβουλαρίου Παλεoκάστρου) che, tra le diverse sottoscrizioni, tutte in greco, riporta quella del papa (Παπας) Arcadio Kometa.[v]

Maggio 1202 (a.m. 6710): atto scritto dal sacerdote (ίερέα) Nicola, con il consenso di Costantino, sacerdote nonché protopapa e tabulario della terra di Policastro (ίεραία καὶ πρωτοπαπα καὶ ταβουλαρίου χώρας Παλεοκάστρου).[vi]

Marzo 1203 (a.m. 6711): atto scritto dal sacerdote (ίεραία) Nicola, con il consenso di Costantino, protopapa e tabulario della terra di Policastro (πρωτοπαπα καὶ ταβουλαρίου χώρας Παλεοκάστρου), che, tra le diverse sottoscrizioni, tutte in greco, riporta quella del presbitero (πρεσβύτερος) Andrea Askettino.[vii]

1223 (a.m. 6731): atto scritto dal sacerdote (ίερέως) Nicola, con il consenso del diacono (διακόνου) Basilio, tabulario della terra di Policastro (τὰβουλαρίου χώρας Παλεωκάστρου).[viii]

Ottobre 1226: atto scritto “per manus Guill(elm)i de Iudice, consensu not(arii) Basilii tabellionis Polic(astri)”, che riporta sottoscrizioni in greco ed in latino, tra cui quella del presbitero (Πρεσβύτερος) Costantino, protopapa di Policastro (προτοπαπᾶς Παλεοϰαστρου), quella del presbitero (πρεσβυτερος) Petro Greco (Πετρος Γριxος), quella del katodiacono (Κατοδιάϰονος) Basilio, tabulario della terra di Policastro (ταβουλάριος χώρας Παλεοϰαστρου), e quella del “presbiter Alecsander”.[ix]

Gennaio 1228: atto scritto “per manus magistri Guill(elm)i de Iudice de Polic(astro), assensu notarii Basilii Ma(n)ti tabellionis Polic(astri)”, che riporta sottoscrizioni in greco ed in latino, tra cui quella del sacerdote (Hερεὐς) Costantino, protopapa di Policastro (πρωτοπαπᾶς Παλεοϰαστρου) e quella del diacono (διάϰονος) Basilio, tabulario della terra di Policastro (ταβουλάριον χωρας Πὰλεοϰὰστρου).[x]

policastro fonte san nicola dei greci

Petilia Policastro (KR), chiesa della SS.ma Annunziata, fonte battesimale probabilmente proveniente dalla parrocchiale di San Nicola dei Greci.

Una terra ripopolata

Rispetto alla situazione evidenziata da questi documenti, possiamo cogliere trasformazioni significative al tempo della guerra del Vespro, quando le drammatiche vicende di questo conflitto e le conseguenze che ne seguirono, determinarono lo spopolamento di diversi abitati del Crotonese, che erano pervenuti in potere di Petro Ruffo.

Il possesso feudale di Policastro, assieme a quello di altre terre precedentemente concessegli, fu riconfermato al conte di Catanzaro nel 1290, al tempo di Carlo II d’Angiò.[xi] Un possesso sicuramente instabile, in ragione del conflitto ancora in essere ed a causa delle resistenze da parte della cittadinanza che aspirava alla condizione demaniale. Il 19 agosto 1302, Carlo II d’Angiò concedeva a Petro Ruffo di ripopolare con gente proveniente da altre province, Policastro ed altre sue terre,[xii] mentre abbiamo notizia che, il 29 maggio 1309, rispondendo al conte di Catanzaro che lamentava “di essere stato abbandonato da numerosi vassalli”, la regia corte ribadiva il diritto dei fuggitivi di abbandonare il loro signore, nel caso avessero abitato per dieci anni una terra demaniale.[xiii]

Il profondo mutamento avvenuto nel tessuto sociale di Policastro, risulta evidenziato pochi anni dopo quando, relativamente al pagamento delle decime dovute alla Santa Sede, nell’elenco degli ecclesiastici policastresi compilato in quella occasione, non troviamo più nessun riferimento al rito greco, mentre mancano del tutto i nomi greci così diffusamente testimoniati nei documenti precedenti. L’arcipresbitero di Policastro Guillelmo, assieme ai presbiteri del luogo, alla badessa di Santa Dominica ed altri, compaiono con i loro nomi latini, nell’elenco in cui sono annotati i pagamenti relativi alla reintegrazione delle due decime dovute alla Santa Sede per gli anni 1310-1311[xiv] mentre, successivamente, i “Nomina clericorum terre pulicastri” sono elencati, relativamente al pagamento della decima annuale, negli anni 1325,[xv] 1326[xvi] e 1327.[xvii]

La scomparsa del rito greco a Policastro ed a Mesoraca, rispetto alla vicina realtà di Catanzaro dove questo resisteva ancora, risulta evidenziata verso la fine del secolo. Il 14 agosto 1386, “apud Terram Policastri”, in occasione della stipula del proprio testamento, Simeone de Bondelmontibus di Firenze stabiliva alcuni legati, lasciando al “clero Latinorum Catacensium uncias duas et clero Grecorum unciam unam”, mentre lasciava al “clero policastri Ta(reno)rum Quindecim et Clero Mesorace Ta(reno)rum quindecim”, nel caso questi fossero intervenuti alle sue esequie.[xviii]

policastro fonte san nicola dei greci

Petilia Policastro (KR), chiesa della SS.ma Annunziata, particolare del fonte battesimale probabilmente proveniente dalla parrocchiale di San Nicola dei Greci.

San Nicola dei Greci

Durante i sec. XIII-XIV, non abbiamo notizia circa l’esistenza a Policastro di chiese in cui si osservasse il rito greco. Allargando il nostro orizzonte ad altre realtà del territorio Crotonese, troviamo però che nel 1256, esisteva a Santa Severina la chiesa parrocchiale di “S. Nicolai de Latinis”, ma manca il documento medievale e la notizia risulta solo da un regesto successivo.[xix]

Anche se non costituiscono una prova certa dell’esistenza del rito greco, i primi documenti che ci testimoniano la presenza a Policastro di una chiesa dedicata a San Nicola sotto il titolo “de Grecis”, risalgono invece, al periodo seguente alla rivolta del marchese di Crotone Antonio Centelles, quando il suo territorio fu interessato da uno spopolamento consistente, avendo subito il saccheggio e la devastazione da parte dell’esercito di Alfonso d’Aragona. A seguito di ciò spopolò Cotronei, al tempo casale di Policastro, che successivamente fu ripopolato con gente di rito greco,[xx] mentre, “propter guerras et turbulentias temporum”, la popolazione rimasta fu esentata dalle imposizioni e dalle decime.[xxi] “Pollicastro” contava al tempo 406 fuochi, e risultava tra le terre appartenute al marchese di Crotone, che furono affrancate dal pagamento del focatico per 10 anni.[xxii]

Successivamente a questi fatti, risulta documentata per la prima volta, l’esistenza della chiesa parrocchiale di “Sancti Nicolai de Grecis opidi policastri”, che compare in un atto del 16 marzo 1468, quando troviamo che la sua rendita era stata unita a quella della chiesa arcipretale del casale di Cutro, sotto il titolo di San Giuliano, e provvista a Dominico de Albo, arcipresbitero di quest’ultima.[xxiii]

Troviamo in seguito, in un “Foculario” del regno del 1521, che la popolazione di “Polycastro” era cresciuta significativamente fino a 492 fuochi, a cui andavano sommati anche i 44 fuochi di “Schiavoni”, ossia di “Schiavoni greci et albanesi”.[xxiv] In questo periodo, una chiesa sotto il titolo di San Nicola “de grecis” comincia a comparire tra le parrocchie di Santa Severina, come documenta la reintegra del feudo fatta ad Andrea Carrafa nel 1521[xxv] mentre, San Nicola “de grecis” compare per la prima volta, tra le chiese parrocchiali di Crotone in un atto del 12 giugno 1518.[xxvi]

 

La parrocchiale alla metà Cinquecento

Ritroviamo San Nicola dei Greci di Policastro verso la metà del Cinquecento quando, al pari delle altre parrocchiali della terra, vi si amministrava il rito latino e la chiesa era soggetta al pagamento di tutti i diritti spettanti alla gerarchia ecclesistica. Ne erano al tempo, rispettivamente, rettore e cappellano, Cataldo e Battista Venturini di Policastro.

Il 27 marzo 1539 risulta che, “per resignationem Cataldi Venturini”, il beneficio era stato concesso al “clerico Senogallien.” Luca Antonio Aloisio,[xxvii] anche se il detto Cataldo continuò a detenerlo ancora per lungo tempo, come rileviamo attorno alla metà del secolo, quando la chiesa compare nell’elenco dei benefici della diocesi di Santa Severina, che dovevano pagare le decime alla Santa Sede,[xxviii] e tra quelle di Policastro che dovevano corrispondere all’arcivescovo di Santa Severina la quarta beneficiale, come risulta documentato nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”, durante il quadriennio 1545-1548 e nel 1566.[xxix] Risale a questo periodo una prima descrizione della chiesa.

Nel pomeriggio del 9 di giugno 1559, il cantore della chiesa di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo di Santa Severina Giovanni Battista Ursini, dopo aver visitato la chiesa di Santa Maria dell’Olivella, e prima di giungere a quella di Santo Dimitri, proseguì la sua visita alle chiese di Policastro, presso la parrocchiale di “s.ti Nic.ai de graecis”.

Qui fu rinvenuto l’altare maggiore lapideo di fabbrica con altare portatile, con tre tovaglie, un coperimento d’altare e due candelabri di legno mentre, sopra l’altare, vi era la “imaginem” in tela, raffigurante la gloriosissima Vergine Maria e diversi altri santi, con sopra un “lintheamen”.

Il vicario arcivescovile ingiunse che, entro sessanta giorni, dovesse essere rifatto un muro diruto.

L’altare maggiore possedeva anche una croce “cum pomis argenteis et aureatis” ed un calice di peltro con patena e “Corporalibus”. Considerato che in occasione della precedente visita era stato ordinato al cappellano della chiesa D. Battista Venturino, di acquistare un calice d’argento senza che si fosse provveduto, lo si condannava al pagamento della pena dovuta e, sotto la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, gli si ingiungeva di acquistare il nuovo calice entro il termine di quattro mesi.

Il vicario, inoltre, minacciando le stesse pene, dispose che davanti alla “fenestr(o)lam”, dentro cui erano riposti i vasi nei quali erano conservati i “Sacram.ta”, si dovesse tenere accesa una lampada, altrimenti avrebbe fatto trasferire i vasi nella chiesa di San Nicola de Plateis.

Dentro un’arca si rinvennero: una casula di seta rossa con “friso in medio”, quattro vestimenti sacerdotali di tela completi, all’interno di un “Cuscinum” furono trovati nove tovaglie, due “orciolos vitreos” ed un “Thuribulum” di ottone.

Oltre all’altare maggiore, nella chiesa furono rinvenuti altri due altari, il primo sotto l’invocazione di “s.ti Joseph” ed l’altro “sine vocabulo”, senza ornamento né vestimenti, ed alcuni “Scanna” dove potevano sedere “ho(m)i(n)es et Clericis”. In essa si trovava il “fontem” battesimale “de pet.a”, ben conservato con l’acqua battesimale, mentre nel campanile vi erano due campane ed un campanello. Considerato che la chiesa richiedava una valida riparazione, il vicario ingiunse al cappellano di eseguirla entro il termine della visita successiva.[xxx]

 

Un crimine di simonia

Il cappellano D. Battista Venturino divenne in seguito rettore della parrocchiale. Al tempo in cui egli aveva già assunto tale carica, il beneficio curato di “S. Nicolai de Graecis” fu oggetto di commercio tra lui ed alcuni membri laici ed ecclesiatici della famiglia Blasco, determinando così l’intervento della Santa Sede.

Il 21 novembre 1572, Mario Blasco, “laico terrae Policastri”, era assolto dal crimine di simonia, per aver trattato con il rettore della chiesa parrocchiale di “S. Nicolai de Graecis”, la cessione del beneficio in favore di suo figlio Sebastiano in cambio di 50 scudi.[xxxi]

Circa un anno dopo, il presbitero Sebastiano Blasco risultava nuovamente provvisto della chiesa di “S. Nicolai de Graecis”[xxxii] mentre, il primo febbraio 1574, si comunicava all’arcivescovo di Santa Severina, l’avvenuta assoluzione dei laici e dei presbiteri che avevano indotto il rettore Io. Baptista Venturino, a dimettersi in favore di Sebastiano Blascho.[xxxiii]

In tale frangente il beneficio passò nelle mani del presbitero Luca Musitano. In un regesto di “Scripturae Diversae pro Mensa Archiepiscopali”, tra le “Professiones Fidei orthodoxae”, risulta annotato: “Professio fidei Facta per Presbiterum Lucam Musitanum cum oblicatione de non discedendo sed residendo in Parrochiali Ecclesia S.ti Nicolai de graecis Terrae Policastri in anno 1572”.[xxxiv]

 

I confini parrocchiali

Alla fine del Cinquecento, a seguito della riduzione delle parrocchie di Policastro ed in virtù della sua antichità, la chiesa di San Nicola dei Greci rimaneva una delle quattro parrocchiali esistenti nella “terra Regia” di Policastro, come ricaviamo dalla relazione del 1589, prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani per la Santa Sede.[xxxv]

A seguito di ciò, al posto dell’antica organizzazione cittadina, che ripartiva per famiglia la cura delle anime tra le diverse parrocchie, fu introdotta una nuova ripartizione, stabilita secondo confini territoriali determinati, che dividevano l’abitato tra le quattro parrocchiali rimaste.

Gli atti dei notari policastresi della prima metà del Seicento, testimoniano infatti che, a partire dagli inizi del secolo,[xxxvi] accanto ad un criterio d’identificazione delle abitazioni secondo il loro vicinato (“convicino”) ad una chiesa, o ad un altro elemento caratteristico del luogo, ne comincia a comparire anche uno per confini parrocchiali.[xxxvii]

Alcuni documenti di questo periodo ci permettono di definire con una certa precisione, il luogo in cui si trovava la chiesa. Essa confinava con la casa di Thoma Taranto e con quella di Dominico Rocca (1604),[xxxviii] nonché con il casalino di Gio: Dominico e Victoria Rizza che era appartenuto al quondam Fabritio Mazzuca, marito di detta Victoria (1647),[xxxix] e si trovava nelle immediate vicinanze delle case del presbitero Leonardo Marchese e, dall’altro lato, delle case del Cl.co Mattheo Curto (1647)[xl] e della “domum ditta la sala” (1638),[xli] che era posta nella piazza pubblica “ubi dicitur l’ulmo” (1643).[xlii] In particolare, essa sorgeva nel “loco ubi dicitur la Crocevia di S.to Nicolò delli Greci” (1641),[xliii] dove la “viam publicam dittam delurmo”,[xliv] incrociava la via pubblica che discendeva alla porta detta “della Judeca”.

petilila policastro

Petilia Policastro (KR). In evidenza il luogo in cui esisteva la chiesa di San Nicola dei Greci e gli assi stradali che s’incrociavano in questo luogo.

 

Rettori e curati

Agli inizi del Seicento, il presbitero Luca Musitano, cantore di Policastro, continuava ad essere il curato della chiesa parrocchiale di “santi nicolai de grecis”,[xlv] anche con l’aiuto del presbitero Joannes Dom.co Catanzaro.[xlvi]

In seguito però, la carica di parroco passò al presbitero Joannes Liotta, che ne era già in possesso alla data del 2 aprile 1609,[xlvii] e che la detenne sino alla fine del 1627.[xlviii]

Il 21 febbraio 1628, essendo vacante dal trascorso mese di dicembre, per la morte del quondam presbitero Joannes Leotta, ultimo rettore, l’arcivescovo di Santa Severina Fausto Caffarelli (1624-1651), conferiva la chiesa parrocchiale “sub invocatione S.ti Nicolai de Graecis”, “cum omnibus iuribus, et pertinentiis suis”, al presbitero Joannes Francesco Rocca, approvato in concorso dagli esaminatori sinodali.[xlix]

Quest’ultimo la detenne durante il decennio successivo,[l] dopo di che fu provvista al presbitero Joannes Andrea Romano nel febbraio del 1638.[li] Il 20 maggio di quell’anno, quest’ultimo era immesso nel possesso della chiesa parrocchiale di San Nicola “grecorum”, da parte del R. D. Joannes Ant.o Leuci, vicario foraneo e commisario delegato dell’Ill.mo vicario generale di Santa Severina Joseph della Valle, delegato apostolico di papa Urbano Ottavo.[lii]

 

Il monte dei morti

Al tempo in cui Joannes Andrea Romano era parroco e “Patre spirituale” dei parrocchiani di San Nicola dei Greci,[liii] nella chiesa fu eretto un monte dei morti. A questo scopo, nel gennaio del 1640, Lutio Venturi, Gio: Dom.co Campana, ed altri cittadini di Policastro, inoltrarono una supplica all’arcivescovo di Santa Severina, intendendo erigere e fondare questa pia opera “per suffraggii delle anime di q.elli Defunti che si scriveranno all’istesso Monte o Compagnia con la capitolat.ne qui a dietro scritta et espressa”.

“Capitoli et instruttioni da osservarnosi dalli Congregati nella compagnia / del pio monte delli morti erigendo nella Chiesa parochiale di / Santo Nicolò de Greci di q(ue)sta Città di Policastro ad honore della / SS.ma Trinità per suffragio dell’anime del Santo Purgatorio.

Primo si haveranno da eliggere due persone le più idonee di d.a compagnia dalli / congregati ò maggior parte di essi alli quali si haverà da da / re il titulo di Priori o Procuratori con gl’intervento del R.o Vic.o / di essa Città et in sua assenza del Capp(ella)no di essa Chiesa, li q(ua)li / Priori haveranno di haver pensiero di fare uno libro grande / et in q(ue)llo notare tutte le persone di d.a Compagnia t(a)nto huo / mini quanto donne di ogni grado.

2.o Che fatto sarà d.o libro et annotationi ciascheduna persona di d.a / compagnia habbia da pagare ciascheduno primo lune / di mese grana due e mezzo à gli detti Priori li q.ali sa / ranno pro tempore per applicarnosi all’opere e spese infra / notate per benef.o dell’anime del Santo Purgatorio, e man / tenimento di d.a Compagnia con che li p.ti Priori alla fi / ne della lo amministrat.ne che sarà per un’anno habbia / no da rendere stretto conto à gli Rationali eligendi per essi / congregati, ò maggior parte di essi con l’intervento ut supra et essendono dalli detti Rationali condannati / à qualsivoglia somma di danari siano subbito / obligati quella pagare alli Priori loro successori senza haver / speranza di contradire ò appellare del decorso di d.a condennatione / et acciò che l’opera p(rede)tta possa perfettionarsi si concluda che li / primi Priori che saranno eletti habbiano di esercitare d.a / amministrat.ne per il tempo di due anni continui e dopo si / habbiano da eliggere p(er) ciasceduno anno.

3.o Che sia lecito alli detti Priori di fare la cerca tanto di coculli e / grano q(ua)nto d’ogni altra cosa che a loro parera espediente / per il mantenimen.to di essa compagnia e tener conto di tutte / le lemosine le quali occorrerano dentro il termine di d.a / loro amministrat.ne con la carità e diligenza si ricerca, e così / anco occorrendo che a d.o pio monte fusse lasciato qualche le / gato o fatto qualche donazione habbiano pensiero di / essigerli in nome di d.a compagnia comparere in / qualsivoglia giudicio si per l’esigenze di d.i legati come / anco per qualsivoglia altra causa concernenti al benef.o / di detto pio Monte eccettuata pure l’esigenza delli due / grana et mezzo mentre per la recuperat.ne di detti grana / non si havrà d’invocare Bracchio di Giudice ma solo / si conclude che q(ue)lla persona congregata la q.ale per il tempo / di due mesi cesserà di pagare s’havrà da intendere pri / va di d.a compagnia e di tutti privileggi e stipendii spiri / tuali li quali godono gli altri congregati verunche ve / da poi l’istessa persona aver reintegrata l’istessi Priori / possano reintegrarla havendo prima sodisfatto quel t(a)nto dovea.

4.o Che li detti Priori per suffraggio dell’anime del Santo Purgatorio / habbino pensiero di fare cantare nella predetta Ecc.a di Santo Nicolò / ogni lune di ciascuno mese uno Notturno dell’officio de’ morti et / una messa di requiem e finita sarà detta messa s’habbia da / cantare il Responsorio libera me Domine con farsi l’asperges / per tutte le sepolture di detta Chiesa dall’istesso Sacerdote che can / terà la messa e che in mezzo di detta Chiesa durante il tempo si / canterà il Responsorio messa e notturno s’habbia di ponere / uno Banco coverto di qualche panno lugubre e quattro lumi / accesi acciò l’off.o predetto si facci con più decoro e serv.o di Dio / et essendo qualche lune di alcuna settimana impedito da festività / il detto officio si trasporti nel di seguente Avertendo che nel / giorno della commemorat.ne delli morti li medesimi Priori / habbino pensiero di fare cantare tutti li ore notturni con laudes / nella stessa Chiesa.

5.o Per far cantare l’ufficii e messe per li detti Priori habbino da / richiedere agli Rev.i Comunieri del Rev.o Clero Secolare di essa Città / otto Preti e due Clerici e per la lemosina s’haverà da dare à / ciascuno Prete grana cinque e a q(ue)llo che canterà la messa un carlino e non le grana cinque et alli due Clerici grana due per uno et un altro grano ad un altro Clerico che servirà in d.o officio / che tutti fanno la somma di carlini cinque per ciascheduno giorno / di lune et haveranno a pagare per essi Priori subbito finita / sarà detta messa Avertendo che se più numero di Preti / e Clerici vorranno intervenire sia in loro arbitrio ma gli Priori non / siano tenuti a magg.re lemosina delli Cinque carlini.

6.o Che essi Priori siano obligati far celebrare sopra il Corpo morto / del Congregato per la sua anima venti messe nell’istessa Chiesa / della sepoltura e ristandone di celebrare siano obligati farli cele / brare subito li giorni seguenti nell’istessa Chiesa di S. Nicolò con / posserne fare cantare una à conto di dette messe e pagare la / lemosina di Cinque car.ni ma occorrendo che d.o Cadavero fusse / Sepelito dopo hora di messe siano obligati essi Priori di fare can / tare una messa la seguente mattina nell’istessa Chiesa della sepoltura / et altre messe a suo arbitrio con poner segno sopra l’istessa sepoltura / di lumi e le restanti messe farle celebrare nell’istessa Chiesa / di S. Nicolò nella q(ua)le anco s’haveranno da celebrare le messe di / q.elli congregati che si sepelliranno fuori la Città nelli Monasterii / acciò che il Popolo vedendo tanta buona opra con più divotione / s’accenda a beneficare detto Pio Monte Avertendo che in tutto per / ciascheduno morto s’haveranno solam.te da spendere car.ni Venti per le messe predette.

7.o Acciò che con maggior certezza et abondanza di merito e per / suffraggio dell’anime del Santo purgatorio si possa attendere / a d.a Santa opra l’istessi Priori havranno da procurare / che si ottenesse dal Sant.mo Pontefice qualche Santa Indulgentia / applicanda si per l’anime degli congregati come anco del Santo / Purgatorio.

8.o Per negarsi ogni sospetto di fraude si conclude che l’istessi Priori / habbino da fare uno libro nel quale quando occorresse di far celebrare le messe per l’anima del Congregato morto come / di sopra habbino di fare scrivere di prop.a mano li nomi / delli Preti che celebranno dette messe e dette sottoscrittioni / habbino fede autentica per discarico di essi Priori quando daran / no i loro conti e circa l’uff.o e messe cantate s’habbia di sottoscrivere il Rev.o Cappellano di detta Chiesa.

9.o Che gl’istessi Priori li q.ali pro tempore saranno habbino di / somministrare tutte le spese necessarie a detta opra ma q(ua)ndo / occorresse di far spesa che eccedesse la somma di d.ti tre / q(ue)lla non possano fare se prima non s’havrà concluso / il parlam.to dalli detti Confrati ò maggior parte di essi / li q.ali interveneranno con l’intervento ut s.a.

X.o Che detta Compagnia non possa avocarsi dalla detta Chiesa / per qualsiv.a causa eccetto in caso che si construisse Chiesa / paro.le sotto il titolo della morte ad elettione delli detti / Congregati precedente il beneplacito dell’Ill.mo Ord.rio.

XI.o Che li mentionati Confrati non possano officiare quando / interverranno alle processioni delli morti Congregati / per qualsiv.a causa e sotto qualsiv.a pretesto o volere / atteso questo sarà solam.e uff.o del Rev.e Clero sudetto / il q.ale de hora si elegge a tale ufficio.

XII.o S’intenda per maggiore dichiarat.ne concluso che li Priori / pro tempore eligendi habbiano d’essere atti e idonei / e circa l’elettione predetta con loro Regim.o faciend’opere in / benefic.o di d.o Pio Monte s’habbia d’osservare quel tanto sarà / concluso dalli detti Congregati ò maggior parte d’essi / li q.ali al tocco della Campana di detta Chiesa interverranno.”[liv]

 

La cappella di Santa Maria della Pietà

A seguito dell’autorizzazione concessa dall’arcivescovo, al lato destro dell’edifico della chiesa di San Nicola dei Greci, fu eretta l’altare o cappella “delli defunti” sotto l’invocazione di “S. Mariae Pietatis”, posta “sub regimine Societatis vulgo d.o Monte di Morti”.[lv]

Fu così che grazie alle contribuzioni ed ai lasciti dei confratelli e delle consorelle,[lvi] già documentati da parte dei parrocchiani anche in precedenza,[lvii] iniziarono le deposizioni all’interno della chiesa[lviii] dove, oltre alla sepoltura dei “Confrati” e delle “Consoro”,[lix] esistevano anche sepolture di particolari,[lx] mentre, in alcuni casi, come quello della morte di un personaggio forestiero importante, la sepoltura del cadavere poteva avvenire nella chiesa “in loco depositi”, nell’attesa di un trasferimento altrove.

Il 18 gennaio 1644, a causa della “morte repentina” dell’olim D. Filippo Vigliegas, procuratore dell’Ill.mo Sig.r Vincenso de Medici, agente generale del Serenissimo Gran Duca di Toscana, “Padrone” di Policastro, davanti la “Parochiale Chiesia di Santo Nicolò di Greci”, si congregavano i rappresentanti dell’università di Policastro: “li Mag.ci” Gio: Gregorio Cerasaro, “Sindico di Nobili” e Girolimo Poerio, “Sindico dell’honorati”, Gio: Dom.co Campana, “Mastro Giurato”, Gio: Fran.co Venturi, “Eletto di Nobili”, assieme a Gio: Fran.co Mendolara e Bartolo Capozza “Eletti dell’honorati”. In questa occasione, su ordine dell’Ill.mo Monsig.r Fausto Caffarelli, arcivescovo di Santa Severina, i congregati, alla presenza dei testimoni, provvedevano a far seppellire “in loco depositi” il cadavere nella detta chiesa, con la clausola che, dietro istanza dei parenti o del signor agente generale, potesse essere successivamente traslato.[lxi]

 

Il prestito

Il denaro che giungeva al monte dei morti attraverso i lasciti dei “Benefattori”, era concesso in prestito a particolari dietro l’interesse del 10 %, attraverso la garanzia ipotecaria dei loro beni immobili e con la potestà affrancandi e redimendi. La concessione predisposta dal priore o procuratore del monte, avveniva attraverso il consenso dei confrati e con il beneplacito arcivescovile.

Come riferisce un atto del 19 luglio 1644, il “Doctore fisico” Salvatore de Rose, “hodierno Priore”, ovvero “hodierno Procuratore Pii montis Mortuorum erecti intus Parocchialem Ecclesiam Sancti Nicolai Grecorum”, aveva precedentemente riunito a “publico colloquio” nella chiesa parrocchiale di San Nicola “Grecorum”, i confrati del detto monte convocati al suono della campana.

In quella occasione furono presenti: il D.r Mutio Giordano, il D.r Lutio Venturi, il D.r Julio Giordano, Gio: Battista Callea, Marcello Tronga, Fran.co Antonio Scandale, Ottavio Accetta, Gio: Simone Poerio, Gio: Thomaso Callea, Carlo Martino, Sebastiano Cerantonio, Geronimo Romano, Gio: de Franco, Gio: Vincenso Serra, Alfonso Pagano, And.a Campana, Not.o Gio: Matteo Guidacciro, Cola Prospero, Fran.co Pipino, Gasparro Misiano, Camillo Rizza, C. Carlo Fanele, C. Micheli Callea, C. Bartolo Berardo, M. Fran.co Comm.ti, Gioanni Venturino, Not.o Fran.co Cerantonio, Masi Cepale, Antonio de Vona, Lupo de Florio e Gerolimo Poerio, assieme al R. D. Jo: Andrea Romano, “Rectoris” ovvero “Paroco” della stessa chiesa, delegato per l’assenza del R. D. Joannes Antonio Leuci vicario foraneo di Policastro.

Il procuratore espose ai confrati che, possedendo il detto monte ducati 50 di liquidità, provenienti dalle “Elemosine” dei “Benefattori”, aveva preso accordi con il R. D. Lupo Antonio Conflenti, il C. Julio Ritia, Matteo e Joanne Dominico Grigoraci, figli del quondam Tiberio Grigoraci, per concedere loro “in solidum”, tale somma a censo o annuo canone, alla ragione del 10 %, con la potestà affrancandi e redimendi. I confrati approvarono all’unanimità e con il beneplacito del vicario generale di Santa Severina, deliberarono la concessione della somma.

I beni posti a garanzia da parte del R. D. Lupo Antonio Conflenti furono: la “Continentiam Domorum” posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della SS.ma Annunziata “nova” e la vigna posta nel “districtu” di Policastro, nel loco detto “Santo Domitri”, dalla quale si percepivano annualmente ducati 10. I beni posti a garanzia da parte dei detti de Ritia e Gregoraci furono: la “continentiam terrarum” posta nel “districtu” di Policastro loco detto “li carisi” di circa due salmate di capacità e la vigna posta nel “districtu” di Policastro loco detto “le chianetta”, dalla quale si percepivano annualmente ducati 8. A margine dell’atto, risulta annotato che il 30 agosto 1662, lo “inst.o” fu affrancato per la parte relativa a D. Lupo, mediante atto dello stesso notaro Cerantonio.[lxii]

Il 17 marzo 1645, era stipulato l’atto attraverso cui, il R. presbitero Salvatore Maijda, “hodierno Priore et Procuratore Pii Montis Mortuorum”, eretto dentro la chiesa parrocchiale di S.to Nicola “Grecorum”, agente previo “Colloquio”, con i confrati del detto monte, riuniti al suono della campana, e con il beneplacito del vicario generale di Santa Severina, considerato che il detto monte deteneva 50 ducati di liquidità provenienti dalle elemosine, concedeva tale somma a Martino Vecchio, che s’impegna a pagare un censo al 10 % con la potestà affrancandi e redimendi.

Dall’atto allegato, relativo alla precedente deliberazione da parte dei confrati, apprendiamo che in presenza del Molt.o R. D. Gio: Paulo Blasco, arciprete e vicaro foraneo di Policastro, e dietro la proposta dei RR.di D. Lupo Antonio Conflenti e D. Salvatore Maijda, “hodierni Procuratori” del detto pio monte, i confrati avevano manifestato il loro assenso all’unanimità.

In quella occasione furono presenti: il R. D. Gio: And.a Romano, il R. D. Santo de Pace, il R. D. Leonardo Marchese, il R. D. Gio: Thomaso Caccurio, il C. Michel’Angilo Campitello, il C. Gerolimo Mendolara, il D.r Lutio Venturi, il D.r Antonino Accetta, Gio: Dom.co Campana, Gio: Gregorio Cerasaro, Marcello Tronga, Gio: Thomaso Scandale, Stefano Capozza, Pietro Fran.co Cozza, Pietro Curto, Not.o Gio: Matteo Guidacciro, Gio: Vicenso Girivasi, C. Gerolimo Fanele, Gio: Battista Callea, Gio: Pietro Rizza, Jacovo Callea, Paulo Maijda, Lorenzo Scalise, Gorio Cavarretta, Giulio Verricello, Lupo Verricello, Giovanni Caccurio, Paulo Rizza, Gio: Dom.co Lanzo, Giacomo Rizza, Marcello Apa, And.a Campana, Antonio Zupo, Luca Grosso, Fran.co Caccurio, Gio: Dom.co Cavarretta, Fran.co Fera, Fran.co Mendolara, Dieco Cavarretta, Agostino Cavarretta, Bartolo Capozza, Cola Prospero, Giacomo Cavarretta, Carlo Caccurio, Masi Cepale, Carlo Martino e Giando d’Albo.

Il detto Martino Vecchio garantiva il denaro ricevuto sopra i suoi beni: la “continentiam terrarum” di circa 18 tomolate, posta nel “districto” di Policastro loco detto “Camino”, la “Possessione” alberata con diversi alberi chiamata “Paternise” che era appartenuta “de dominio” a Berardo Vecchio e l’ortale “arboratum sicomorum” posto dentro la terra di Policastro loco detto “lo Castello”.[lxiii]

Pochi mesi dopo il censo fu affrancato. Il 17 settembre 1645, davanti al notaro comparivano Martino Vecchio ed il R. presbitero Salvatore Maijda, procuratore del pio monte dei morti, eretto dentro la chiesa parrocchiale di S.to Nicola “Grecorum”. Il detto Martino affrancava il censo dovuto al detto monte, in ragione dell’atto stipulato il 17 marzo di quell’anno, versando nelle mani del procuratore, i ducati 50 del capitale e carlini 25 d’interesse in tareni d’argento e monete d’oro.[lxiv]

Quello stesso giorno il capitale fu reinvestito. Così, infatti, il R. D. Salvatore Faragò, con il beneplacito del R. Joseph Della Valle, vicario generale di Santa Severina, dovendo consegnare a questi del denaro e non avendo altro modo di pagare, otteneva di prendere a censo i ducati 50 del pio monte dei morti che erano stati affrancati da Martino Vecchio, ponendo a garanzia le robbe dotali di suo padre che possedeva a titolo di patrimonio, stante anche il fatto di possedere un beneficio “novam.te pervenutoli” da suo zio.

I beni posti a garanzia furono: la possessione detta “de Gorrufi” “arborata sicomorum” e con altri alberi fruttiferi, posta nel “districtu” di Policastro, la “Clausuram sicomorum” posta nel territorio di Policastro loco detto “lo passo di Santa Maria” e la “continentiam Domorum” posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “Grecorum”. Si pattuiva che all’atto della futura affrancazione, il capitale sarebbe ritornato in prestito al detto Martino Vecchio.[lxv]

 

Questioni di famiglia

Tra le sepolture esistenti nella chiesa, vi era anche quella che aveva realizzato lo stesso parroco di San Nicola dei Greci.

Il 7 agosto 1641, recependo la sua supplica, l’arcivescovo Caffarelli approvava la costruzione di “due sepolcri l’uno proprio, e l’altro per i suoi devoti”, realizzati da D. Gio: Andrea Romano nella detta parrocchiale, “per aumento di d.a S.ta Casa”.[lxvi]

Qui fu realizzato anche il sepolcro di sua madre. L’undici gennaio 1642, nel suo testamento, Elisabeth Callea disponeva di essere seppellita nella chiesa di San Nicola “delli Greci” nella propria sepoltura. Istituiva erede il R. D. Gio: Andrea Romano suo figlio. Lasciava ducati 5 in perpetuo, per la celebrazione di tante messe “nell’altare delli defunti erecto in d.a Chiesia di S.to Nicolò delli greci”, cominciando dopo la morte del detto suo figlio. Lasciava ducati 5 per comprare una “Pianeta nigra di seta per d.tto Altare di defunti”.[lxvii]

Anche in seguito, D. Gio: And.a Romano si adoperò in questa direzione, perché “ci sonno alcune divot.e persone cosi Ecclesiastiche come laiche che desiderano costruirsi il loro sepolcro in d.a sua Chiesa”, ricevendo il placet arcivescovile il 27 gennaio 1646, con la concessione di poter esigere “tre ducatos pro quolibet sepulcro”, fatti salvi i diritti della Mensa Arcivescovile.[lxviii]

Il 20 agosto 1646, dietro la richiesta del R. presbitero Jo: And.a Romano, ormai nell’imminenza della morte, il notaro si portava nella sua domus posta dentro la terra di Policastro, nella parrocchia di S.to Nicola “de Platea”, per stipulare il suo testamento.

Il testatore disponeva che il suo corpo fosse seppellito nella chiesa di S.to Nicola “delli Greci” nella propria sepoltura, istituendo erede Laura Romano sua sorella. Confermava le due ebdommade lasciate da suo padre e da sua madre, aggiungendone altre due da celebrarsi nella stessa chiesa di S.to Nicola “delli Greci” nell’altare della Madonna della Pietà. Per “stipe” di dette messe, assegnava il censo di ducati 100 di capitale che gli doveva di R. D. Paride Ganguzza, il censo di ducati 50 di capitale che gli doveva D. Salvat.e Faragò ed il censo di ducati 50 di capitale che gli doveva Gerolimo Coco. Disponeva che maritandosi Maria Guidacciaro, sua nipote, nonchè figlia di detta erede, le toccasse il vignale di “Gorrufi de sotto via”, che era stato di Franceschina Callea ed il vignale arborato di “Celsi”, posto dove si dice “Porta nova, seu la Conicella”. Lasciava il frutto del vignale di “Porta nova”, che era appartenuto a Gio: Vincenso Callea, a Veronica e Ber.na Grandinetto, per due anni continui ciascuna. Dichiarava che la pianeta “nigra”, il “missale novo”, il “cammiso novo lungo”, il “calice novo” ed il “sopra calice nigro novo”, appartenevano al pio monte dei morti. Beni per i quali aveva speso ducati 5, in ragione del legato di sua madre. Dichiarava di detenere in suo potere, tt.a 30 di grano del detto pio monte che si trovavano a disposizione dei “Priori”. Dichiarava di detenere in casa alcune tovaglie appartenenti a tutti e due gli altari della chiesa. Dichiarava di dover conseguire da Michele Callea ducati 60 di capitale.[lxix]

Il 5 giugno 1655, nel suo testamento, Laura Romano, moglie del notaro Joannes Mattheo Gudacciaro, disponeva di essere seppellita nella chiesa di S.to Nicola “delli Greci”, nella sepoltura dove si trovava sepolto suo fratello D. Gio: And.a Romano. Istituiva eredi Gio: Andrea, Maria, Giulia ed Elisabetta Guidacciaro, suoi figli. Morti loro senza eredi, sarebbe dovuto succedere suo marito, ed alla morte di questi, la cappella del monte dei morti della chiesa di S.to Nicola “delli Greci”. Lasciava che si celebrassero 50 messe all’anno in perpetuo, nell’altare di detto pio monte, per le quali assegnava ducati 5 che avrebbe dovuto pagare il Cl.co Michele Callea.[lxx]

 

Il vice parroco

Nell’ottobre del 1646, essendo vacante dal mese di agosto di quell’anno, per la morte di Io. Andrea Romano, la chiesa parrocchiale di “S. Nicolai Graecorum” fu concessa al presbitero diocesano Io. Antonio Santoro, approvato “in concursu”.[lxxi] Nello stesso frangente (15.10.1646), passato al vaglio degli esaminatori sinodali, il R. presbitero Joannes Antonio Leuci fu approvato “ad praefatam Ecc.m regendam et gubernandam”,[lxxii] assumendo la carica di “Vice Parocho”.[lxxiii]

Il 30 luglio 1647, il R. presbitero Jo: Antonio Leuci era immesso nel possesso della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “Grecorum”, che gli era stata concessa “cum aliis omnibus Ecclesiis annexis eidem Parochiali S.ti Nicolai grecorum”, dal R. D. Joannes Thoma Caccurio “pro Vic.s Policastri”, e commissario delegato dell’arcivescovo di Santa Severina Fausto Caffarelli, delegato apostolico di papa Innocentio X.[lxxiv] Per rassegnazione di Io. Antonio Leuci, il 14 febbraio 1653 il presbitero Salvatore Gardo divenne parroco di San Nicola dei Greci.[lxxv]

A quel tempo, il “Capellano di Santo Nicola delli Greci”, pagava annualmente all’arcivescovo di Santa Severina, d. 1.1.0 a titolo di quarta beneficiale, come compare relativamente alle annualità dei pagamenti degli anni 1654 e 1655 e come risulta anche precedentemente, dall’“Introito di danari essatti dal Rev.do D. Marco Clarà delle rendite della Mensa Arciv.le” (1630).[lxxvi]

Petilia policastro

Petilia Policastro (KR), l’angolo di piazza Filottete in cui esisteva la chiesa di San Nicola dei Greci.

La visita di monsignor Falabella

In occasione della sua visita di Policastro, il 4 ottobre 1660, “post Prandium”, l’arcivescovo Francesco Falabella visitò la chiesa parrocchiale sotto il titolo di “S. Nicolai de Graecis” posta “in Medio dicti Oppidi”, di cui era rettore e parroco il reverendo D. Salvator Gardo.

Entrato nella chiesa, l’arcivescovo si diresse all’altare maggiore posto nella parte orientale dell’edificio, che rinvenne ornato con tre tovaglie, “Lapide Sacrato”, “Carta Secretorum”, croce, sei candelabri d’argento e coperto da un pallio “ausi pellis” vetusto. L’arcivescovo comandò di provvedere l’altare di un nuovo pallio di seta, e poiché il rettore asserì che la veste di seta di diversi colori posseduta dalla chiesa, era stata donata da una “Devota Muliere”, dispose che fosse proprio quest’ultima a provvedere, facendo un nuovo pallio entro il termine di un mese oppure acquistandolo.

Ogni domenica nella chiesa si celebrava la messa per i parrocchiani mentre, negli altri giorni festivi, si soleva celebrare per soddisfare gli altri oneri. Considerato però che “de Jure Parochi”, anche in tali ricorrenze, la chiesa era tenuta a celebrare la messa che i parrocchiani erano obbligati ad ascoltare, l’arcivescovo ordinò che, in futuro, si celebrasse la messa tanto alla domenica che negli altri giorni festivi “occurrentibus infra hebdommada applicando Sacrificium pro benefactoribus Vita defunctis”.

La chiesa, inoltre, aveva l’onere di celebrare sei messe per ogni hebdommada che erano tutte celebrate dallo stesso rettore: una per l’anima del quondam R. D. Joannes Andrea Romani, un’altra per l’anima della quondam Elisabetta Callea, una per l’anima del quondam Francesco Commeriati, un’altra per l’anima di Luca Romano, e le restanti due per l’anima del quondam D. Joannes Leotta.

Minacciando la “supensionis à divinis ipso facto”, l’arcivescovo comandò che, entro otto giorni, fosse redatta una tabella nella quale fossero riportati, tanto tali oneri quanto quelli della “Cappellae Sanctae Mariae Pietatis” e che tale tabella fosse appesa in sacrestia.

L’arcivescovo ordinò, inoltre, che nella sacrestia, fosse tenuto un “librum Cartae Albae” nel quale si sarebbero dovute annotare le singole messe celebrate giornalmente nella chiesa, sia da parte del rettore che da altri sacerdoti.

Nella parete dell’altare maggiore, dalla parte orientale, vi era una “Icona” che raffigurava la “B. V. et Sanctorum Nicolai Ep(iscop)i et Apostolorum Philippi, et Jacobi, depicta in Tela” e sopra questa vi era un “Baldachinum ligneum”.

Quindi, l’arcivescovo passò a visitare l’altare o “Capellam” sotto l’invocazione “S. Mariae Pietatis” posta al lato destro dell’edifico e “sub regimine Societatis vulgo d.o Monte di Morti” di cui, al presente, era rettore D. Salvatore de Maida. L’arcivescovo rinvenne l’altare ornato di tutto il necessario con una “imagine” della Beata Vergine dipinta su tela. Sotto pena della scomunica, l’arcivesco ordinò che da parte del procuratore del detto Monte, gli fossero mostrati i conti dell’amministrazione annuale degli ultimi dieci anni, ammonendo che, in futuro, sia da parte del procuratore annuale che da parte dei due razionali eletti dai confrati, si dovesse rendere conto nelle mani del rettore della chiesa. Egli ordinò, inoltre, che fosse esibita davanti a lui anche la “constiut.nem vulgo dicti Li Capitoli” della confraternita.

Nei confronti dei confrati, la chiesa aveva l’onere di celebrare ogni “Fer(i)a 2.a”, una messa cantata con l’intervento di tutto il clero di Policastro, in favore del quale si pagava una elemosina di 5 carlini. Un’altra messa cantata si celebrava in occasione della morte di uno dei confrati con “Nocturno defunctorum” e quindici messe. La chiesa aveva, inoltre, l’onere di celebrare tre messe per ogni hebdommada in perpetuo: una per l’anima del quondam D. Andrea Romano, un’altra per l’anima di Elisabetta Callea e la terza per l’anima di Laura Romano, le cui elemosine erano corrisposte ogni singolo anno da Michaele Callea, da Joannes Petro Faragò e dal R. D. Joannes Ant.o Leuci.

Le rendite della cappella assommavano a 10 ducati, dei quali cinque li pagava Joannes Petro Faragò, ed altrettanti D. Lupo Ant.o Confluenti e D. Julio Riccio.

L’arcivescovo passò quindi alla visita della sacrestia. Qui, in una “Arca lignea”, furono rinvenuti: un calice con il piede di ottone ed il vertice d’argento dorato dentro e fuori, con “velis Corporalibus” ed altre cose necessarie, due “Albas”, quattro casule o pianete di diversi colori e due messali.

Il pavimento della sacrestia si presentava “effossum” nella sua parte destra, mentre le pareti si presentavano rovinate dal fumo per i fuochi accesi dai delinquenti fuggitivi che, in diverse occasioni e per lungo tempo, vi avevano trovato rifugio. L’arcivescovo ordinò quindi che entro due mesi, le pareti fossero imbiancate e, per evitare ulteriori danni ed inconvenienti futuri, dispose che, sotto la pena della scomunica, nessuno potesse abitare in chiesa o nella sacrestia per più di tre giorni, altrimenti con “licentia” dell’arcivescovo sarebbero stati estratti dalla chiesa e portati in carcere.

Si giunse quindi alla visita del fonte battesimale posto al lato sinistro della porta maggiore della chiesa che fu rinvenuto ben disposto. L’arcivescovo ordinò che, entro dieci giorni, nella parete sopra di esso, fosse apposta una “Statuam seu effigem S. Joannis Bap(tist)ae Christum baptizantis”.

Furono quindi visitati gli “olea Sacra” che si trovavano riposti nella parete alla destra dell’altare maggiore, ben disposti e puliti.

A causa della sepoltura dei cadaveri, il pavimento della chiesa si presentava molto “effossum”, al punto che l’arcivescovo comandò che fosse riattato nelle parti che ne avevano bisogno entro otto giorni mentre, sotto la minaccia dell’interdetto ecclesiastico, proibiva di proseguire nella sepoltura dei cadaveri senza prima aver ricevuto espressa licenza per iscritto. L’arcivescovo dispose, inoltre, che le pareti della chiesa fossero pulite dalle “Fuliginibus” e che fossero imbiancate e che, entro un mese, il tetto fosse riparato nelle parti che lasciavano passare la pioggia, pena il pagamento di dieci libre di cera bianca elaborata “piis Usibus”.[lxxvii]

 

Un onere insostenibile

La grave e perdurante crisi economica che affliggeva Policastro già dal secolo precedente, nella seconda metà del Seicento raggiunse un livello d’insostenibilità ancora maggiore. Questa fase di decadenza e di spopolamento, caratterizzata dal continuo fallimento dei raccolti e dalla carestia, accompagnata dalla “epidemia del biennio 1671/1672, quando morì quasi un quarto della popolazione”,[lxxviii] ebbe conseguenze anche sulle rendite che assicuravano in mantenimento delle chiese, ponendo a rischio la loro esistenza.

Nel 1681, per cercare di alleviare il loro stato di sofferenza, si ricorse alla riduzione degli oneri delle messe. Succedeva, infatti, che le rendite dei beni che i benefattori avevano legato al tempo dei loro lasciti testamentari, fossero ormai divenute inadeguate a soddisfare la retribuzione dei cappellani che celebravano tali messe di suffraggio, mentre, sempre a causa della crisi, erano anche aumentati i casi degli insolventi.

Dalla documentazione prodotta in questa occasione, per poter ottenere dall’arcivescovo tale riduzione, sappiamo così che, al tempo, l’onere principale delle messe che si celebravano a tale scopo nella chiesa parrocchiale curata “sub titulo Sancti Nicolai de Grecis”,[lxxix] era costituito da: 50 messe per l’anima di Catarina Caccurio (1640), che doveva soddisfare Gio: Pietro Farago, 100 messe per l’anima del R. D. Gio: Leotta (1627), per le quali il clero possedeva un vignale in loco detto “S. Vito”, dal quale si percepivano annualmente non più di 4 ducati, 50 messe annue per l’anima del R. D. Gio: Andrea Romano (1652), per le quali il clero possedeva ducati 50, che non erano applicati perché per la crisi, non si trovava d’investirli al 10 %, ed una messa cantata ogni metà di mese, per l’anima del R. D. Gio: Battista Fabario (1650), relativamente alla quale erano obbligate alcune case, dalle quali non si esigeva niente.[lxxx]

In questo periodo, per la morte di Salvatore Gardo, defunto nel mese di aprile del 1684, la chiesa parrocchiale di “S. Nicolai de Graecis” fu provvista al presbitero D. Giuseppe de Mayda,[lxxxi] come ricorda anche il Sisca.[lxxxii] Per la morte di D. Joseph Mayda, ultimo rettore e possessore, la chiesa parrocchiale sotto il titolo di “S. Nicolai Graecorum”, vacante fin dal 16 settembre 1712, fu conferita al R. presbitero Antonino Venturi il 3 gennaio 1713.[lxxxiii]

Petilia Policastro

Petilia Policastro (KR), l’angolo di piazza Filottete in cui esisteva la chiesa di San Nicola dei Greci (foto appartenenente alla Fotoraccolta di Mimmo Rizzuti).

I diritti del parroco

Accogliendo la supplica dell’arciprete di Policastro Jo: Paulo Grano, inoltrata allo scopo di alleviare la difficile congiuntura, il 16 luglio 1713, la Sacra Congregazione del Concilio chiedeva che fosse esposta una relazione dettagliata, riguardante sia la situazione economica, che quella delle anime, delle quattro parrocchie di Policastro.

In questo “statu Parochialium Ecclesiarum loci Policastri”, inviato il 20 settembre di quell’anno, leggiamo che “Policastrum”, luogo posto in diocesi di Santa Severina, assommava 2534 anime, con quattro chiese parrocchiali divise da confini definiti, all’interno dei quali ogni parroco amministrava la cura delle anime dei propri parrocchiani.

Oltre che su quelle delle decime e dei “parochialibus emolumentis”, le quattro parrocchie potevano contare su poche entrate, in quanto alcune possedevano qualche fondo, altre nessuno. Per quanto riguardava ciò, la situazione della parrocchia di “S.to Nicolò de Greci”, che univa al tempo “la nuova Annunziata”, e dove si trovava “la Capella col Monte del Purgatorio”,[lxxxiv] risulta esposta nel “Notam.to dell’Entrade ed efetti” scritto dal suo parroco D. Antonino Venturi, cui era affidata la cura di 1070 anime.

“E solito il Paroco esigere ogn’anno di agosto un tt.o di grano, o d’altra / sorte di semigna, che seminerà ciascheduno massaro, e facendo semina / con più para di bovi, per ogni paro paga un tt.o attualm.te ritrovo che nel / la Parocchia vi siano trentuno paro di bovi aratori, che in q.to presente anno / si n’esige tt.a trentuno di grano incirca tt.a 31.

Ogni bracciale che semina sopra le tre tt.a suole pagare mezzo tt.o / di grano ò d’altra semigna seminerà in q.to anno retrovo che vi sia / no trenta bracciali che si esigeranno tt.a quindici incirca di grano tt.a 15.

Tanto che la Parocchia sud.ta suole esigere da quaranta sei tt.a di / grano in circa ò più o meno secondo simeneranno, e computato / alla ragione di Carlini sette il tt.o in danari importa doc.ti 32.1.0.

Di X.e personali si esige in da(na)ro tanto dalle famigle nobili che sogliono / pagare carlini cinque per famiglia, e dalle famiglie del popolo / carlini due doc.ti trentacinque d. 35.

Più detta Parocchia tiene una boteca sotto la saletina della mede / sima Chiesa dalla quale si ne suole percipere carlini trenta / l’anno d. 3.

L’incerti tra fedi matrimoniali, e jus stolae, … percipere doc.ti cinque / incirca d. 5.”

Da queste entrate che assommavano in tutto a ducati 75.1.0, bisognava detrarre i “Pesi che suole pagare d.a Parocchia”, che erano così rappresentati: carlini 12 “Alla R.ma Mensa Arcivescovale di S.ta Severina”, d. 2.2.10 per “Contributione al Seminario”, d. 0.1.10 “Per Catredatico”, d. 6 “Per Salario al Sacristano”, d. 10 “Per mantenim.to della Chiesa tanto in riparo della Chiesa, q.to per vestim.to” e d. 8.2.10 “Per messe che si celebrano dal R. Paroco in tutte le Dom.e e feste che corrono infra annum”, per un totale di ducati 28.2.10, che detratti dalle entrate, fornivano un utile di ducati 46.3.10.[lxxxv]

La povertà della parrocchiale risulta documentata anche nel catasto universale del 1742[lxxxvi] dove, pur essendo il documento in parte illeggibile, non risulta che le appartenessero beni stabili, mentre possiamo rilevare che la “Cappella del Purgat[orio]”, posta “dentro la Chiesa di S. [Nicola] de Greci”, possedeva la gabella detta “Li Carisi” ed un vignale “in Gorrufi”, le cui rendite risultavano assorbite dai pesi delle messe.[lxxxvii] A quel tempo, la Mensa Arcivescovile di Santa Severina esigeva la quarta beneficiale dal “Parroco di S. Nicolò de’ Greci”[lxxxviii] e risultava parroco D. Nicola de Martino.[lxxxix]

 

La soppressione

Secondo il Sisca, i registri parrochiali di San Nicola dei Greci, testimoniavano che questa chiesa “era ancora ufficiata nel 1747”, ma che nel 1764 “fu soppressa e trasferita” alla chiesa dell’Annunziata. L’autore riferisce di apprendere questa notizia da un manoscritto in suo possesso, nel quale il parroco D. Pietro Carvelli affermava: “Fu la mia (dell’Annunziata) dichiarata parrocchia fin dall’anno 1764.”.[xc]

La relazione arcivescovile del 1765 prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina Antonio Ganini (1763-1795), riferisce invece che, la chiesa dell’Annunziata, si trovava annessa alla parrocchiale di “S(an)cti Nicolai Graecorum”, di cui era parroco D. Nicola de Martino. La parrocchiale aveva ancora il suo “fontem Baptismalem cum Sacris Oleis”, ed un altro altare oltre l’altare maggiore.[xci]

Il suo trasferimento nella chiesa dell’Annunziata, fu realizzato solo dopo il terremoto che colpì la Calabria centro-meridionale nel 1783, quando Policastro “fu in gran parte distrutta, e nel resto conquassata”, risultando “parte distrutto, e parte cadente”[xcii] dopo le scosse del 28 marzo di quell’anno, anche se non sembra che, in questa occasione, abbia subito vittime.[xciii]

Vacante per la morte di Nicola de Martino, avvenuta nel mese di agosto del 1790, nel febbraio dell’anno successivo, la chiesa parrocchiale della “Annuntiationis B.M.V. et S. Nicolai Graecorum” fu provvista al presbitero Francisco Pullano.[xciv]

A seguito di ciò, i censi precedentemente assegnati “al defunto Parroco D: N[icola] Martino sotto il titolo di S. Nicola de’ Greci”, passarono al “Parroco success.e” D. Francesco Pullano, in conto della sua congrua. Si trattava di alcuni censi enfiteutici e bullari dovuti alla chiesa di San Francesco di Paola[xcv] ed alla chiesa dell’Annunziata.[xcvi] Per dimissione di quest’ultimo, nell’ottobre 1795 gli subentrò Petro Carvelli, presbitero oriundo di anni 49,[xcvii] quando la “Parr.a di S. Nicolò de’ Greci” era una delle tre parrocchie di Policastro assieme all’“Arcipretura” ed alla “Parr.a di S. M.a Magg.re”.[xcviii]

L’edificio sacro della chiesa di San Nicola dei Greci, fu così trasformato in civile abitazione come si riscontra nella “Lista di Carico Luoghi Pii di Policastro”, dove risulta che se ne percepiva l’affitto[xcix] e come si ribadisce il 29 agosto 1796, in un inventario dei beni appartenenti ai Luoghi Pii del “Diparto di Policastro e Mesoraca”, dove risulta che il “Convento de Riformati”, percepiva da “D. Giusep:e Rosa, e per esso da Gio: Battista Parise per l’affitto della Chiesa di S. Nicola de Greci deve in Agosto d. 04.10”.[c]

In una fede 3 novembre 1798, prodotta del cancelliere dell’università di Policastro Simone Mayda, si evidenziava che dal “Libro catastale” del corrente anno 1798, tra le voci che componevano la “partita della Mensa Arcivescovile di S. Severina”, risultava che questa esigeva ancora “dal Par.co di S. Nicola de Greci per quarta beneficiale d. 001:20”.[ci]

In seguito la parrocchiale passò ad essere “succursale” della chiesa matrice, come risultava già nel maggio del 1826.[cii]

Tracce che ricordavano l’esistenza dell’antica chiesa, sono ricordate dal Sisca ancora verso la metà degli anni Sessanta: “La parrocchia, un tempo la più popolata, era chiamata di S. Nicola dei Greci e sovrastava alla piazza principale. La chiesa è stata trasformata in abitazioni private, pur conservando ancora tracce palesi di archi e fregi”.[ciii] Attualmente, esiste una via intitolata a S. Nicola dei Greci, nei pressi della piazza di Petilia Policastro.

petilia-foto-comune

Il luogo in cui esisteva la chiesa di San Nicola dei Greci (foto da www.comune.petiliapolicastro.kr.it)

 

Note

[i] Rende P., Vicende feudali della “terra di Policastro” (sec. XI-XV), www.archiviostoricocrotone.it

[ii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[iii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 51-53.

[iv] Guillou A., cit., pp. 60-62.

[v] Guillou A., cit., pp. 63-65.

[vi] Guillou A., cit., pp. 71-73.

[vii] Guillou A., cit., pp. 74-76.

[viii] Guillou A., cit., pp. 110-112.

[ix] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana 1958, pp. 348-350.

[x] Pratesi A., cit., pp. 354-356.

[xi] “Crebbe Pietro di stato, perché, oltre Catanzaro, ebbe Cotrone, che fu nelli 1284, Mont’alto e Mesiano e poi, ne’ 1290, Mesuraca, Rocca Bernarda, Castelmonardo, Policastro e tant’altre città e terre per tutta la Calabria che potè darsi titolo di comes Calabriae.” (Fiore G., Della Calabria Illustrata III, ed. Rubettino 2001, p. 95). “E già che siamo nel filo de’ suoi dominanti, l’anno 1290 vi ritrovo signore Pietro Ruffo Conte di Catanzaro;” (Fiore G., Della Calabria Illustrata I, ed. Rubettino 1999, p. 452). “… nel 1290 Pietro Ruffo conte di Catanzaro, oltre la città di Catanzaro e la castellania di Crotone, «si trovava possedere Misuraca, Roccabernarda, Policastro, Castell’a mare, Castelmenardo, Badulato, S. Giorgio, S. Senatore, Gamaiore, Pantona, Buda, Cotronei e la Catona»”. (Maone P., Notizie Storiche su Cotronei, in Historica n. 4/1971, p. 219 che cita Ferrante della Marra duca della Guardia).

[xii] Vaccaro A., Kroton, I, ed. Mit 1965, p. 309.

[xiii] “Naturalmente, nessun vassallo, può abbandonare il suo borgo ed il suo signore, ed è diritto del signore invocare dallo Stato tutti gli aiuti possibili per ricuperare i vassalli fuggiaschi. La Curia accorda, normalmente, gli aiuti richiesti, ma se il fuggitivo ha abitato per dieci anni una terra demaniale, non può più essere rivendicato dal feudatario. Sempre così : il Re e il Duca di Calabria seguono in sì fatta materia, un criterio assolutamente rigido. Si risponde così al Conte Pietro Ruffo di Calabria che si lamenta di essere stato abbandonato da numerosi vassalli;”. Caggese R., Roberto d’Angiò e i suoi tempi Volume I, 1922, p. 293; che cita Reg. Ang. n. 191 c. 174, 29 maggio 1309.

[xiv] Russo F., Regesto I, 2352, 2363 e sgg. Vendola D., Rationes Decimarum Italiae nei sec. XIII e XIV, 1939, pp. 203-204. Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, pp. 280-287.

[xv] Russo F., Regesto I, 4916-4933.

[xvi] Russo F., Regesto I, 5480-5481. Vendola D., cit., p. 206.

[xvii] Russo F., Regesto I, 5912-5913.

[xviii] www.archiviodistato.firenze.it

[xix] “Instrumentum donationis factae per Tangredum quondam Peregrini de Tarento fratri Orlando abbati Florensi unius casaleni in civitate S. Severinae, in parochia S. Nicolai de Latinis, tumulatarum terrarum in casali S. Petri de Camastro tenimenti eiusdem civitatis, anno 1256” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, p. XXXVI). “Instrum donationis factae per Tancredum q.o Peregrini de Tarento fri Orlando Abb. Floren unius casaleni in civitate S. S.nae in Parochia S. Nicolai de Latinis et trar. in casali S. Petri de Canastro tenimenti eiusdem civitatis. In anno 1256” (Scalise G. B. (a cura di), Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, 1999, p. 273).

[xx] Pesavento A., Le Chiese di Cotronei, www.archiviostoricocrotone.it

[xxi] Scalise G. B. (a cura di), Siberene, p. 238.

[xxii] “LE TERRE FRANCHE DE FOCHI CHE FORO DE LO MARCHESE DE CROTONE che cominçaro de mense decembris usque et per totum mensem ianuarii VIII indictionis per annos X” (…) Pollicastro f. CCCCVI”. Pontieri E., La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, 1963, pp. 277-278.

[xxiii] ASV, Reg. Lat. 666, ff. 136-137v. 16 marzo 1468: “Archidiacono Sanctae Severinae. Parochialis ecclesia S. Nicolai de Graecis, oppidi Policastri, Sanctae Severinae dioc., unitur parochiali ecclesiae, archipresbiteratu nuncupato, S. Juliani Casalis Cutri, dictae dioc., ex eo quod redditus sint nimis tenui, ac de ipsa providetur Dominico de Albo, archipresbytero dictae ecclesiae S. Juliani.” Russo F., Regesto II, 11923.

[xxiv] Pedio T., Un Foculario del Regno di Napoli del 1521 e la Tassazione Focatica dal 1447 al 1595, in Studi Storici Meridionali n. 3/1991, pp. 264-265.

[xxv] “Guglielmus argisius dix.t cum juram.to haberem domum unam terraneam intus dictam Civitatem in ditta parochia s.ti Nicolai de grecis iux.a domum sup.ti Petri argisii domum Jacobelli carusii mediante vinella communi reddititiam Curie anno quolibet in grani Decem 0.0.10”; “Jacobus basoinus cum jur.to dix.t se tenere et possidere hortum unum cum duabus gruttis et Calcinariis situm et positum intus dittam Civitatem prope rupam Civitatis eiusdem in loco ditto S.to Nicola de li greci iux.a domum Petri de la via et Timpam dittae Civi.tis reddititiam Curie anno quolibet in granis septem et medio cum scquiglio 0.0.7½.” AASS, 1A, f. 11.

[xxvi] ASCZ, Pergamena n. 24.

[xxvii] 27 marzo 1539: “Thesaurario et Cantori ecclesiae S. Severinae, mandat ut Lucae Antonio Aloisii de Roccacontrada, clerico Senogallien. dioc., provideant de parochiali ecclesia S. Nicolai de Graecis, terrae Policastri, S. Severinae dioc., vac. per resignationem Cataldi Venturini.” Russo F., Regesto IV, 18054.

[xxviii] “R.to da D: Battista Venturino de pulicastro per S(an)to Nicola delli greci per x.a d. 0.2.7” AASS, 2 A.

[xxix] “Denari de le carte” (1545): “Da donno cataldo vintorino per s.to nicola de li greci d. 1.1.0”. “Conto de dinari de le quarte exacti in lo predicto anno 1546”: “Da donno Cataldo vintorino per s.to nicola de li greci d. 1.1.0”. “Conto de quarte exacte per lo R.do quondam Don Jacobo rippa como appare per suo manuale q.ale sta in potire de notari mactia cirigiorgi et sonno de lo anno 1547”: “Da donno bap.ta vintorino per s.to nicola deli greci d. 1.1.0”. “Dinari q.ali se haverano de exigere de le quarte de lo anno vj jnd(iction)is 1548”: “Da donno Cataldo Vinturino per la quarta de S.to nicola de li greci d. 1.1.0”. “Denari delle quarte de tutti li benefitii della diocesa de s(an)cta s(everi)na” (1566): “S(an)cto Nicola delli greci pagha lo anno per quarta d. 1.1.0.”. AASS, 3A.

[xxx] AASS, 16B.

[xxxi] 21 novembre 1572: “Pro Mario Blasco, laico terrae Policastri, S. Severinae dioc., absolutio a crimine simoniae, contracto ex eo quod tractavit cum rectore parochialis ecclesiae S. Nicolai de Graecis, dictae terrae, de resignatione praefatae ecclesiae in favorem Sebastiani Blaschi, sui nati, pro solutione 50 scut. monetae illarum partium.” Russo F., Regesto IV, 22449.

[xxxii] 24 ottobre 1573: “Archiep.o S. Severinae. Pro Sebastiano Sancti Blasi (Sambiase), pbro S. Severinae dioc., proviso de ecclesia S. Nicolai de Graecis, terrae Policastri, S. Severinae dioc., a Vicario praedecessoris sui, nova provisio de dicta ecclesia.” Russo F., Regesto IV, 22554.

[xxxiii] 1 febbraio 1574: “Archiep.o S. Severinae. Pro quibusdam presbyteris et laicis terrae Policastri, S. Severinae dioc., absolutio, quia Io. Baptistam Venturinum, rectorem parochialis ecclesiae S. Nicolai de Graecis, dictae terrae, induxerunt ad resignationem parochialis praedictae in favorem Sebastiani Blaschi, filii Marini (sic) Blaschi.” Russo F., Regesto V, 22578.

[xxxiv] AASS, 2 A.

[xxxv] “Policastro è terra Regia, qual’essendo stata venduta dal Conte di S. Severina fù fatta di demanio con l’opra, e patrocinio del Cardinale di S. Severina, è habitata da tre milia anime incirca vi sono quattro chiese parocchiali, e nella matrice è l’Arciprete, e Cantore con venti altri preti, quali per il più vivono delloro patrimonio, et elemosine che ricevono dal servitio delle chiese, e confraternità, …”. ASV, Rel. Lim. 1589. “Policastro è terra Regia habitata da tre milia anime incirca. Vi sono quattro chiese Parocchiali, e nella Maggiore è l’Arciprete il Cantore e vinti altri Preti, quali p(er) il più vivono di loro patrimonio, et elemosine che ricevono dal serv.o delle chiese, e Confratie …”. AASS, 19B.

[xxxvi] Il 23 settembre 1617, la domus di Joannes Coschienti risultava sita in “parochia santi nicolai de grecis”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 053-054v.

[xxxvii] In alcuni casi, gli atti riportano anche la dizione “in convicinio, et Parocchia”. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 091-093.

[xxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 6-6v e 20-20v.

[xxxix] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 089v-091.

[xl] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 064-067v.

[xli] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305 ff. 051v-052v.

[xlii] 02.03.1643: “in Platea publica ubi dicitur l’ulmo, iuxta Palatium ubi habitat dictus U.J.D.r Vitalianus, iuxta Parocchialem Ecclesiam Sancti Nicolai Grecorum, et alios fines”. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 047-049v.

[xliii] 10.10.1641: Dietro la richiesta di Antonio de Strongolo, il notaro si portava in “loco ubi dicitur la Crocevia di S.to Nicolò delli Greci, iusta predictam Ecc.am viam bublicam et alios fines”, per stipulare il suo testamento. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 017-018v.

[xliv] ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 077v-079.

[xlv] Il 17 ottobre 1604, alla presenza del notaro, si costituiva il presbitero Luca Musitano, “Cantor et curator Ecclesie s.ti Nicolai de grecis”, asserendo che, il 29 maggio di quell’anno, aveva affidato i coniugi Joannes Vittorio de Panfilia e Vittoria Berardo, con la benedizione sacerdotale (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, f. 60v). Il 3 ottobre 1605, davanti al notaro, il presbitero Luca Musitano “cantor et curator ecclesie santi nicolai de grecis”, dichiarava che il 30 maggio 1599, aveva affidato i coniugi Franc.co de Stilo ed Isabella Schipana (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 139v).

[xlvi] Il 18 luglio 1806, il presbitero Joannes Dom.co Catanzaro che aiutava D. Luca Musitano, cappellano della venerabile chiesa di San Nicola dei Greci, dichiara che, il 4 febbraio 1604, aveva affidato nella chiesa di San Pietro, i coniugi Hijeronimo Poerio de Alfonso e Julia Ritia. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 f. 170.

[xlvii] Il 2 febbraio 1610, il presbitero Joannes Liotta, al presente parroco della venerabile chiesa di “santi nicolai de grecis”, attestava che il 26 febbraio 1603, il quondam reverendo presbitero D. Luca Musitano, parroco del tempo, aveva affidato i coniugi Joannes Furesta e Laura Russo, come appariva “in libro annotationis” scritto dallo stesso parroco (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 181). Il 3 marzo 1613, Joannes Liotta, “Cappellanus, et Curator” della venerabile chiesa parrocchiale di San Nicola “de grecis”, attestava che il 2 aprile 1609, aveva celebrato il matrimonio tra Filippo Schipano e Portia Nicotera, come era annotato nel relativo libro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, f. 063v).

[xlviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 053-054v; Busta 79 prot. 296, ff. 043v-044v.

[xlix] AASS, 4D fasc. 3.

[l] Il 27 settembre 1629, D. Joannes Fran.co Rocca, “Vicarius foraneus, et parocus” della chiesa di San Nicola “de grecis”, asseriva di aver rinvenuto “in libris matrimoniorum” della detta chiesa, l’atto fatto dal quondam D. Joannes Leotta “olim parochi”, l’undici luglio 1623 (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297 ff. 060v). Il 18 settembre 1630, D. Salvatore Richetta, “Curato, et Cappellano” di Santa Maria Magna, dichiarava che, il 21 settembre 1628, aveva unito in matrimonio Joannes de Franco, parrocchiano di San Nicola “delli greci” ed Isabelle Faraco, “mia parrocchiana”. In questa occasione, erano state fatte “le debite denuntie”, tanto da parte del detto D. Salvatore Richetta, quanto da D. Fran.co Rocca, “paroco di santo nicola”, senza che fosse avanzato alcun impedimento (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 163-163v).

[li] Febbario 1638: “Io. Andreae Romano providetur de parochialis ecclesia S. Nicolai Graecorum, oppidi, civitatis nuncupati, Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus XXIIII duc.” Russo F., Regesto VI, 32587.

[lii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 051v-052v.

[liii] 21.01.1642. Fran.co Larosa della terra di Mesoraca ma, al presente, “incola” in Policastro, in merito ad una lite vertente nella regia corte di Policastro, giungeva ad un accordo con i fratelli Fran.co, Hijacinto e Catherina Lice di Mesoraca, rimettendosi alla volontà del R. D. Gio: Andrea Romano “loro comune Paroco et Patre spirituale”, che si sarebbe dovuto esprimere nel merito entro il termine di due mesi. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 073-074.

[liv] AASS, 4D fasc. 3.

[lv] AASS, 37A.

[lvi] 08.12.1640: Nel suo testamento, Giovannella Gabriele, vedova del quondam Giulio Maccarrone, lasciava al monte dei Morti di S.to Nicola “delli greci” ducati 3 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 003-004). 10.10.1641: Nel suo testamento, Antonio de Strongolo lasciava carlini 20 al pio monte dei Morti eretto nella chiesa di S.to Nicola “delli greci” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 017-018v). 04.02.1646: Nel suo testamento, Anna Giannino moglie di Hijacintho Luchetta, lasciava un anello d’oro con “la Petra Russa” alla chiesa di S.to Nicola “delli greci”, affichè dalla vendita si facessero celebrare tante messe per la sua anima (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 083v-084v). 28.09.1654: Nel suo testamento, la “Sororis” Catharina Cepale, lasciava carlini 8 al pio monte dei Morti eretto dentro la chiesa di S.to Nicola “delli Greci”. Disponeva che fosse venduto “lo suo tilaro”, così da potersi celebrare le messe in suffragio della sua anima (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 129v-130v).

[lvii] 30.09.1630: Nel suo testamento, Stefano de Martini lasciava alla cappella di S.to Nicola “li greci”, sua chiesa parrocchiale, una robba di velluto nigro. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 172v-174.

[lviii] 05.05.1644: Nel suo testamento, Laura Jordano disponeva di essere seppellita nella chiesa di S.to Nicola “delli Greci sua Parocchia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 050-051). 08.10.1644: Nel suo testamento, Carulo Maltise disponeva di essere seppellito nella chiesa di S.to Nicola “delli greci”, lasciando 10 carlini alla “Cappella della Pietà” eretta nella stessa chiesa (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 058-058v). 26.07.1645: Nel suo testamento, Francisco Pipino, disponeva di essere seppellito nella chiesa di S.to Nicola “delli greci”, lasciando carlini 10 al pio monte dei Morti eretto dentro S.to Nicola “delli greci” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 071v-072v). 23.04.1646: Nel suo testamento, Leonardo Caccuri, disponeva di essere seppellito nella chiesa di S.to Nicola “delli greci” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 089v-090).

[lix] 01.04.1652: Nel suo testamento, Isabella Ammannito disponeva di essere seppellita nella chiesa di S.to Nicola “delli Greci nella sepoltura delli Confrati, e Consoro del pio monte de morti eretto dentro d.a Chiesia” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 004-005). 26.08.1654: Nel suo testamento, Victoria Molinaro della terra di Misuraca, ma al presente “incola” in Policastro, moglie di Thoma Chiaramonte, disponeva di essere seppellita nella chiesa di S.to Nicola “delli Greci nella sepoltura delli Consoro del pio monte de morti” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 095-096).

[lx] 23.07.1646: Nel suo testamento, Sancto Misiani, disponeva di essere seppellito nella chiesa parrocchiale di S.to Nicola “delli Greci”, nella sepoltura di mastro Fran.co Converiati. Nel caso però, che questi non avesse voluto, disponeva di essere sepolto nella chiesa della SS.ma Annunziata “nova”, nella sepoltura del SS.mo Rosario. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 090v-092.

[lxi] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803 primo, ff. 008v-009.

[lxii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 067v-072v.

[lxiii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 038v-043v.

[lxiv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 125-126.

[lxv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 126v-132v.

[lxvi] AASS, 4D fasc. 3.

[lxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 019-020.

[lxviii] AASS, 4D fasc. 3.

[lxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 096v-098v.

[lxx] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 084v-085v.

[lxxi] Ottobre 1646: “De parochiali ecclesia S. Nicolai Graecorum, civ. Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus XXIIII duc., vac. per ob. Io. Andreae Romano, de mense Augusti def., providetur Io. Antonio Santoro, pbro diocesano, approbato in concursu.” Russo F., Regesto VII, 35091.

[lxxii] AASS, 4D fasc. 3.

[lxxiii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 052-054.

[lxxiv] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 064-067.

[lxxv] 14 febbraio 1653: “Salvatori Gardo, pbro S. Severinae dioc., providetur de parochiali ecclesia S. Nicolai, Policastri S. Severinae dioc., vac. per resignationem Io. Antonii Leuci.” Russo F., Regesto VII, 36953. Salvatore Gardo compare anche in una provvista vaticana di qualche anno prima (1649), che però contiene evidenti errori di trascrizione: “Salvatori Sandro (sic) providetur de parochiali (sic) ecclesia S. Dominicae, oppidi Policastri, S. Severinae dioc.” Russo F., Regesto VII, 36084.

[lxxvi] AASS, 35A.

[lxxvii] AASS, 37A.

[lxxviii] Pesavento A., Clero e società a Petilia Policastro dal Cinquecento al Settecento, www.archiviostoricocrotone.it

[lxxix] “Ecc:a Parochialis Curata sub titulo Sancti Nicolai de Grecis habet suum Parochum, qui curam exercet Animarum.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1675.

[lxxx] AASS, 29A.

[lxxxi] Luglio 1684: “De parochiali ecclesia S. Nicolai de Graecis in Policastro, S. Severinae dioc., cuis fructus 24 duc., vac. per ob. Salvatoris Guido, (sic, ma Gardo) de mense Aprilis def., providetur Iosepho de Munda (sic, ma Mayda), pbro diocesano, approbato in concursu.” Russo F., Regesto IX, 45161.

[lxxxii] “Già nel 1687 ad opera di D. Giuseppe de Mayda, curato di S. Nicola dei Greci, fu proclamato Sindaco il notaro Martino Curto, che era pure mastrodatti, …”. Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 145.

[lxxxiii] AASS, 011D fasc. 6.

[lxxxiv] “Così parimenti le due restanti Parocchie suppresse di San Demetrio, e di Santa Maria la Nuova, la cui chiesa al certo è l’istessa che oggi la nuova Annunziata, unitasi alla quarta hodierna Parocchia con cui confina; ch’è la più ampia e numerosa di tutte alla stessa reggion di Borea ma nella parte più mezzana chiamata San Nicolò delli Greci ove di più è la Capella col Monte del Purgatorio, ed ogni lunedì si celebrano messe lette, e cantate con gli soliti Notturni per quelle Sante Anime.” Mannarino F. A., cit.

[lxxxv] AASS, 24B, fasc. 1.

[lxxxvi] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991.

[lxxxvii] ASN, Catasto cit., f. 73.

[lxxxviii] ASN, Catasto cit., f. 76.

[lxxxix] Febbraio 1738: “De Thesaurariatu cathedralis S. Severinae, cuius fructus 24 duc., vac. Per traslationem Nicolai de Martino ad parochialem S. Nicolai Graecorum, terrae Policastri, providetur Io. Dominico Pace, pbro diocesano, ad curam animarum approbato.” Russo F., Regesto XI, 59253.

[xc] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, pp. 202-203 e nota n. 1.

[xci] “Parochialis Ecclesia S(an)cti Nicolai Graecorum regitur per R(everen)dum D. Nicolaum de Martino eius Parochum curatum; habet suum fontem Baptismalem cum Sacris Oleis, et praeter Altare majus alterum tantum eidem Ecclesiae adnexum, Eucharistiae vero Specias asservantur in Ecclesia B. M. V.s ab Angelo Annunciatae quae adnexa reperitur supradictae Parochiali, et magis ampla, et apta videtur Populo, cui in ea praeter Baptismi Sacramentum caetera administrantur, et Parochialia exercitia persolvuntur, et quinque habet Altaria praeter majus.” ASV, Santa Severina, Rel. Lim. 1765.

[xcii] Vivenzio G., Istoria e Teoria de Tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli 1783, p. 326.

[xciii] “Policastro, che fu in gran parte distrutta dal temuoto del dì 28 e il restante fu fracassato, ma non morì alcun cittadino”. De Leone A., Giornale e Notizie dè Tremuoti accaduti l’anno 1783 nella provincia di Catanzaro, 1783.

[xciv] Febbraio 1791. De parochiali Annuntiationis B.M.V. et S. Nicolai Graecorum oppidi Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc., vac. per ob. Nicolai de Martino, de mense Augusti praeteriti anni def., providetur Francisco Pollano, pbro, in concursu approbato.”. Russo F., Regesto XII, 68273.

[xcv] Dal rettore della cappella di San Giacomo, parroco Pietro Grani per canone in agosto d. 3.00; Da Santa Parise per un capitale di d. 37, in agosto annui d. 2.00; Leonardo Manconi, erede di Agata Greco, per un capitale di d. 60, in agosto d. 3.10; Mastro Fran.co Valente per un capitale di d. 6, annui d. 0.45. AASS, 24B fasc. 3.

[xcvi] D. Gio: Battista Portiglia per canone sul vignale “Pantano”, annui d. 8.00; D. Michelangelo Ferrari per canone sopra le terre di “S. Ligorio” annui d. 7.50; Cesare Curto Mantisto per canone sul castagneto detto “La Fossa”, annui d. 1.50; D. Carlo Tronca per canone sulle terre dette “Manconise”, annui d. 0.80; D. Gaetano Maratea per capitale di d. 86.70, d. 5.00, D. Nicola Scalise per capitale di d. 30.50, d. 2.44, D. Gio: Gregorio Tronca per capitale di d. 48, d. 2.40, D. Pietro Carvello per capitale di d. 9, d. 0.45. AASS, 24B fasc. 3.

[xcvii] Ottobre 1795: “De parochiali SS. Annuntiatae e S. Nicolai oppidi Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc., vac. per dimissionem Francisci Pullano, in manibus Ordinarii de mense iunii factam et admissam, providetur Petro Covelli (sic), pbro oriundo 49 an., Theol. Moralis Prof., concionatori oeconomo curato, in concursu, unico comparente, approbato et a Vicario Capitulari commendato.”. Russo F., Regesto XIII, 68876.

[xcviii] AASS, 086A.

[xcix] “Chiesa di S. Nicola affitto 4.00”. AASS, 24B fasc. 3.

[c] AASS, 24B fasc. 3.

[ci] AASS, 24B fasc. 3.

[cii] AASS, 24B fasc. 2.

[ciii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 202.

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La cappella ed il casale di San Demetrio di Policastro

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San Demetrio.

La cappella, l’abitato e le vigne di “Sancti Demetrii”, compaiono già in un atto del 1188, attraverso il quale, sulla scorta di quanto avevano fatto i suoi predecessori: Eugenio III (1145-1153) e Alessandro III (1159-1181), papa Clemente III (1187-1191) confermò all’abbazia di Santa Maria Requisita, poi detta La Sambucina, i suoi possedimenti, tra cui la “cappellam Sancti Demetrii cum casali et hominibus, terris et vineis, casalinis, hortalibus et omnibus pertinentiis suis”[i]. Possesso confermato alla Sambucina anche successivamente, da papa Celestino III (1191-1198)[ii] e da papa Innocenzo III (1198-1216).[iii]

In seguito la grangia di San Demetrio (άγίωυ μεγαλομάρτυρος Διμιτρίου) passò all’obbedienza vescovile. Ciò avvenne in occasione della permuta riguardante il monastero di S.to Stefano del Vergari, fatta tra Bartolomeo, arcivescovo metropolita di Santa Severina e la Sambucina, come c’informano una pergamena greca del giugno 1202[iv] edita dal Guillou e quelle latine edite dal Pratesi[v].

In questa occasione, con il consenso del capitolo, l’arcivescovo concesse alla Sambucina il monastero pertinente alla propria arcidiocesi, detto “Sanctum Stephanum de Abrigari quod est in territorio Mesurace”, con il consenso del suo abate “domine Cosme”.

Tale concessione tesa ad assecondare la volontà dell’abate sambucinese Luca, di costituire nel territorio di Mesoraca il futuro “capitale monasterium nostre regule de Cistella”, alienando i possedimenti più lontani e riorganizzando quelli rimanenti aggregandoli ai nuovi, avvenne attraverso la permuta di tre grangie appartenenti alla Sambucina, tutte poste in territorio di Policastro: “Sanctum Iohannem de Monticello”, “Sanctam Dei genitricis de Cardoiano” e “Sanctum Dimitrium cum casale et vinea quam ibidem tenebat Sanctus Nicolaus de Pinito”.

In tale occasione, poi, si stabiliva che, a compensazione dell’annuo censo di tre libre di cera, percepito dalla chiesa metropolitana di Santa Severina fino a quel momento, per le tre grangie di “Sancte Marie de Archelao”, “Sancti Angeli de Frigillo” e “Sancti Nicolai de Pinito”, appartenenti alla Sambucina, l’abbazia s’impegnava a compensare l’arcivescovo attraverso la cessione di “villanos quatuor in terra Policastri”, alla condizione che, in futuro, l’abate del costituendo monastero sarebbe stato obbligato ad intervenire al sinodo diocesano[vi].

 

La grangia

Queste prime notizie ci permettono di evidenziare che la “cappellam” di San Demetrio, originariamente di rito greco, come evidenzia il suo titolo, durante la seconda metà del sec. XII era divenuta una dipendenza o grangia appartenente all’ordine cistercense, strutturata sulla base di una unità di produzione facente capo ad una chiesa, alla quale appartenevano un insieme di terre e di diritti, con una popolazione, in parte di condizione servile, residente in un casale.[vii]

Anche se le sue vicende sono poco documentate, sembra che questo casale esistesse ancora al tempo del conte di Catanzaro Giovanni Ruffo.[viii] Già in precedenza, infatti, troviamo un “Sanctus Demetrius”, in un elenco che riporta i “terrarum et locorum nomina” del giustizierato di Valle Crati e Terra Giordana agli inizi del dominio angioino,[ix] mentre, attraverso la testimonianza seicentesca di Ferrante della Marra, che riferisce la notizia contenuta nei registri angioini dell’anno 1333-1334, apprendiamo che “Giovanna Ruffo figliuola del Conte di Catanzaro”, portò in dote “Policastro con i Casali” a Goffredo Marzano, conte di Squillace.[x]

Ancora meno chiare risultano le informazioni relative alle vicende successive di questo casale, che ci fornisce il padre Mannarino agli inizi del Settecento. Secondo la sua testimonianza, basata sulla tradizione orale dei locali e su quella che conservavano gli abitanti di rito greco dell’altro “San Demetrio Val di Crate”, presso i quali l’autore affermava di averla raccolta ai suoi tempi, sappiamo che alcuni anziani del luogo, vantavano la loro discendenza dal casale di San Demetrio di Policastro, che i loro padri erano stati costretti da abbandonare ancora fanciulli, a causa dell’insopportabilità dell’imposizione fiscale.

“Impertanto riservando per il fine dell’opera, la memoria de’ Monasteri distrutti, è che ora vi sono, ripiglio il discorso per li Casali di Policastro. Era questa Città ornata di molti Casali à torno per quel che si trova registrato ne’ Reggii Archivi di Napoli[xi] e di più il Duca della Guardia nel libro di sue famiglie, e nella famiglia Marzana.[xii] Si sono col tempo parte di q[uesti] abitanti trasferiti altrove; come poco fà, circa l’età de’ nostri Avi; quel di Santo Demetrio Gente Greca [di] Greco Rito, che pur conserva, all’altro San Demetrio Val di Crate, ed io colà ivi apposta portatomi per avere qualch’erudizione; ritrovai dà cinque Vecchi, e molte altre donne nonagenarie, che si vantavano, e pregiavano la discendenza dal nostro San Demetrio, raccont[ando] Domine l’Istoria, che i lor Padri morti più vecchi d’[essi] nacquero nel nostro Casale; e passorno figlioli nel pres.o San Demetrio per non potere tollerare l’imposizioni del nuovo donario, che s’esigeva à parte delli Reggii Fiscali dalla nobiltà, e questa Certa tradizione in p.o Paese è nota à tutti, e più freschi la sanno da lor avi, ò al più Bisnonni.”

A queste affermazioni del Mannarino non fanno riscontro le notizie documentate in nostro possesso, attraverso le quali non si evidenzia l’esistenza del casale durante i sec. XVI-XVII, come possiamo riscontrare anche durante il precedente dominio aragonese (seconda metà del sec. XV), quando il territorio di Policastro fu ripopolato con genti di rito greco provenienti da Levante. In questo caso, le parole del Mannarino potrebbero forse trovare qualche fondo di verità, in relazione al fatto che, in questo primo periodo, ci fu una certa mobilità tra i diversi luoghi interessati da questo nuovo popolamento.

 

In potere dell’arcivescovo

Anche se la documentazione in nostro possesso non ci consente di rilevare l’esistenza del suo casale durante l’età moderna, ci permette comunque di poter evidenziare che, in questo periodo, la chiesa di San Demetrio continuò ad appartenere all’arcivescovo di Santa Severina.

Sappiamo infatti che, ancora alla metà del Cinquecento, San Demetrio era una delle chiese di Policastro su cui l’arcivescovo esercitava il proprio diritto di visita, come riscontriamo nel 1559, quando la “ecc.am S.ti Dimitri”, di cui era cappellano “do: sanctus sellictus”, fu visitata dal vicario arcivescovile che, pur trovandola pulita, la rinvenne “discoperta” e bisognosa di tutto il necessario per il culto.[xiii] In relazione invece, alla sua antica dipendenza dall’abbazia di Sant’Angelo de Frigillo, possiamo constatare che, agli inizi del Seicento, come risultava riportato in una “platea veteri”, quest’abbazia, che deteneva ancora numerosi censi “in Terra Policastri” e nel suo “Territorio”, non ne possedeva alcuno riferito alla chiesa di San Demetrio.[xiv]

Altre informazioni che possiamo ricavare dalla documentazione cinquecentesca conservata all’Archivio Arcivescovile di Santa Severina, ci offrono, comunque, testimonianza della sua antica origine abbaziale.

In ragione di questa origine, infatti, la chiesa di San Demetrio, non essendo tra i benefici appartenenti al clero di Policastro, non compare nei libri in cui sono annotati i benefici della diocesi che erano tenuti a pagare la quarta beneficiale alla Mensa Arcivescovile,[xv] mentre possiamo constatare che, pur essendo divenuta una obbedienza vescovile, essa rimaneva comunque una dipendenza abbaziale (una cappella), e come tale non risulta elencata tra le abbazie del territorio, i cui abbati dovevano comparire in sinodo, pagando il cattedratico il giorno della dedicazione della cattedrale di Santa Anastasia.

 

La chiesa diruta

Lo stato di decadenza ormai irreversibile della chiesa di San Demetrio, testimoniato durante la menzionata visita arcivescovile, risulta evidenziato anche in seguito. Agli inizi del Seicento, comunque, essa era ancora esistente ed in relazione a ciò, gli atti di questo periodo identificano ancora le case vicine “in convicinio eccelsie santi dimitri”.[xvi] L’edificio sacro pur mantenendo la sua identità, aveva comuque ormai perso la propria autonomia all’interno dello spazio urbano cittadino, come segnalavano a quel tempo, alcuni muri appartenenti ad edifici privati congiunti ad esso. Così la chiesa ben presto andò “diruta”, come documenta per la prima volta un atto del 26 giugno 1623,[xvii] finendo per essere inglobata dalle abitazioni circostanti. I documenti dei notari policastresi della prima metà del Seicento ci consentono di circoscrivere il luogo in cui si trovava, a cui accenna anche il Mannarino agli inizi del secolo successivo.[xviii]

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Petilia Policastro (KR). In evidenza il luogo in cui sorgeva la chiesa di San Demetrio.

In merito a ciò, sappiamo che la chiesa confinava con la casa di Andreana Riccio o Rizza che, a sua volta, confinava con quella di Ottavio de Pace[xix] e con quella di Santoro Sagace.[xx] Quest’ultima confinava con la “viam publicam dell’ulmo” che conduceva nella piazza e con la domus di Polinitia Costantino “vallone mediante”.[xxi]

La vicinanza della chiesa al vallone che discendeva “à Fumerello”[xxii] ed alla piazza, è testimoniata da altri documenti. Essa infatti, confinava con la casa di Joannes Laurentio Cimino “alias fegatale” che, a sua volta, confinava con quelle di Polinitia Costantino, da una parte, e dall’altra con il vallone.[xxiii]

Una delle camere della casa di Joannes Laurentio Cimino era “affacciante inansi la potica di Gio: Bapt(ist)a natale”,[xxiv] mentre la parte di questa casa che andò in dote a sua figlia Lucretia, era congiunta al muro della chiesa.[xxv]

Si trovavano congiunti con il muro della chiesa anche due casaleni di detta Lucretia che furono venduti a Spetio Vivacqua.[xxvi] Qualche anno dopo troviamo che la casa palaziata con il casaleno contiguo di Spetio Vivacqua, precedentemente appartenuti al quondam Gio: Laurenzo Cimino, che ora andavano in dote a sua figlia Caterina Vivacqua, si trovavano in parrocchia di San Pietro e confinavano con la chiesa diruta di S.to Dimitri ed il vallone.[xxvii]

Con la casa di Spetio Vivacqua, confinava quella del R. D. Santo de Pace[xxviii] che, in qualità di erede del quondam Ottavio de Pace suo padre, aveva altri possedimenti “in convicinio Ecc.e santi dimitri dirute”,[xxix] nelle vicinanze della “piazza” e della chiesa di San Nicola dei Greci.[xxx]

In relazione alla vicinanza con questa chiesa parrocchiale ed a seguito della rovina del suo edificio a causa del terremoto del 1638, troviamo successivamente, che il luogo “ubi dicitur S.to Dimitri”, risultava individuato “in Convicinio Parochialis Ecc.ae S.ti Nicolai Grecorum”.[xxxi] La chiesa non risulta più menzionata in occasione della visita alle chiese di Policastro, compiuta dall’arcivescovo Francesco Falabella nell’ottobre 1660.[xxxii]

 

Il luogo detto San Demetrio

Agli inizi del Seicento il casale di San Demetrio non esisteva ormai più da diverso tempo, anche se nella località che continuava a conservare il toponimo, posta sopra una vicina altura a nord di Policastro,[xxxiii] rimanevano tracce evidenti dell’antico insediamento umano, testimoniato, soprattutto, dai numerosi appezzamenti coltivati a vigneto e dal passaggio di strade importanti che collegavano il territorio ai luoghi dell’interno.

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Appezzamento in località San Demetrio di Petilia Policastro (KR). Fotopiano IGM Firenze (1953).

Diverse decine di atti documentano durante tutta la prima metà del Seicento, la consistenza degli appezzamenti vitati in “loco ditto santo dimitri”, posto in “territorio” e/o “tenimentum”, ovvero in “Districtu” o “distretto” di Policastro, dove esistevano numerose vigne, vignali ed altre possessioni, presenti anche nel luogo detto “lo piscaro”,[xxxiv] accessibili attraverso le vie convicinali, arborate con viti, “sicomorum, ficorum, et aliorum arborum”, tra cui “pomis”, peri, ciliegi e olivi, accanto alle quali vegetavano anche le piante spontanee del luogo: “Cerse”, “visciglie”, “Canne”, “scini”, “piraijni”, salici, pini ed altre. Qui era particolarmente estesa la coltura del gelso, allevato in possessioni, clausure, vignali e ortali alberati di gelsi.[xxxv] Coltivazione particolarmente estesa nei pressi delle numerose grotte che caratterizzavano la località.

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Petilia Policastro (KR), grotte in località San Demetrio.

L’esistenze delle grotte “in loco detto Santo Dimitri”, risulta già documentata in una platea del 1576, relativa a tutti i redditi, censi e beni pertinenti alla Mensa Arcivescovile di Santa Severina posti in territorio di Policastro, compilata dal giudice Hieronimo Faraco di Policastro e dal notaro Giovanni Berardino Campana, su richiesta di D. Giovanni Antonio Grignetta, procuratore generale dell’arcivescovo di Santa Severina.[xxxvi]

Maggiori informazioni ci provengono comunque dai documenti seicenteschi che ci testimoniano l’esistenza di numerose grotte,[xxxvii] nelle cui immediate vicinanze si estendevano le coltivazioni,[xxxviii] “et proprie inansi li grutti di santo dimitri”, dove giungevano le “trazze che vanno alli grutti”, ambienti utilizzati per lo stazionamento del bestiame ovi-caprino.[xxxix]

In particolare, “avanti li grutti di Santo dimitri” si trovavano diversi appezzamenti coltivati a gelso,[xl] sia nel loco detto “lo chiano”, comprendente il “loco inanzi le grutti”, che in quello detto “sotto le grutti di santi dimitri vallone di traulo”, verso la località detta “lo pantano”.[xli]

Davanti alle grotte passava “la via publica che si va in santo dimitri”,[xlii] che transitava anche in loco detto “lo Zunfo di felice”,[xliii] nella località detta “allo auzinetto”, dove esisteva “la fontana dell’auzinetto”,[xliv] in loco detto “lo vallone di traulo”,[xlv] nella località detta “lo pantano”, ovvero “s.ti dimitri seu pantano”, vicina alle “timpe dello Castelluzzo”,[xlvi] (toponimo riferito all’antico abitato),[xlvii] giungendo ad attraversare il fiume “Cropa”, presso la località detta “lo Canale”,[xlviii] dove giungeva anche il canale corrente detto “lo Canale di S.to Dimitri”.[xlix]

A conferma dell’importanza del luogo, vicino alle grotte passava anche “la carrara publica”, attraverso cui si realizzava il trasporto a valle del legname proveniente dalla “Montagna”.[l]

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In evidenza la via che collegava Policastro alla località di “S.to Dimitri”. Fotopiano IGM di Firenze (1953).

 

La “Vigna di Monsignore”

Sempre agli inizi del Seicento, la Mensa Arcivescovile di Santa Severina manteneva nella località gli antichi possedimenti, rappresentati da una vigna, poi estirpata e ridotta a vignale, e da grotte.[li] Possessi dati a censo, che risultano confermati anche nel corso di tutto il secolo successivo, quando l’area di “S. Demetrio” continuò a rimanere caratterizzata dalla presenza di vigne.[lii]

Tra le entrate della Mensa Arcivescovile di Santa Severina in Policastro, riportate nel catasto universale del 1742, troviamo quella relativa al “vignale detto la vigna di Monsig.re d. 001”,[liii] come si riscontra anche successivamente: in una fede prodotta dall’archivista del “Regale Archivio de’ Catasti del Regno” di Napoli il 26 febbraio 1765, dove si attestava che dal catasto onciario di Policastro formato nell’anno 1745, risultava che la Mensa possedeva il “Vignale detta la Vigna di Monsig.re d. 001”,[liv] ed ancora, il 3 novembre 1798, in una fede del cancelliere dell’università di Policastro Simone Mayda, il quale annotava che, dal “Libro catastale” del corrente anno 1798, risultava che tra le voci che componevano la “partita della Mensa Arcivescovile di S. Severina”, vi era la “Vigna di Monsignore d. 001:00”.[lv] A quel tempo (1797), tra i censi perpetui che la Mensa esigeva ancora “In Policastro”, vi era quello di 1 ducato che pagava D. Michelang.o Ferraro sopra “la vigna d.a di Monsig.e” e quello di ducati 0.70 che pagava D. Pietro Caitano sopra “le Grotti di S. Domenico” (sic).[lvi]

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Petilia Policastro (KR), via in località “S.to Dimitri”.

Verso l’attualità

Dopo il Decennio Francese, la località “Vacante di S. Demetrio” risultava tra i “fondi comunali (demaniali)” dati in affitto (1877), attraverso cui “arricchito il bilancio, si potè pensare ad un aspetto più decoroso dei pubblici uffici”,[lvii] mentre la Carta dell’Ing. Giorgio de Vincentiis (1889), accanto all’antico toponimo “S. Demetrio”, riporta il più recente “C.e della Chiesa”.

Attualmente, a testimoniare le antiche preesistenze permangono ancora vecchi toponimi, accanto alla nuova toponomastica che trae origine e trova riferimenti in quella antica: “S. Demetrio” e “Via San Demetrio”, “Zumpo”, “C.le della Chiesa”, “Pantano”, “Grotte”, “Via delle Grotte Basiliane”, “Via delle Vigne” e “Via dei Tre Palmenti”.

Filottete Rizza ci fornisce una descrizione attuale del luogo e della sua viabilità d’accesso, che trova ancora riferimenti alla situazione che possiamo ricavare dai documenti dei secoli passati.

“Dopo il quartiere di Colla si giunge al torrente Cropa e superatolo attraverso un antico ponte ad un arco, una costruzione di pozzolana di arte romanica. A sinistra del ponte hanno potuto osservare i resti di uno dei tanti mulini presenti nel passato. Oltrepassato il ponte, attraverso un vecchio tracciato mulattiero si giunge di fronte alla parete arenosa di una collina terminante in una teoria di cupole. Qui si aprono le grotte di San Demetrio. Si tratta di un antico complesso costituito da oltre 20 grotte a forma semicircolare. Le grotte bene allineate a forma di un serpentone in declivio si presentano distanziate tra loro a gruppi di tre. La prima di loro, quella più maestosa, è caratterizzata da tre antri con un ampio ingresso. Secondo una antica tradizione le grotte, nei tempi lontani, prima di essere adibite a comodi ricoveri per gli animali, ospitarono una primitiva comunità di monaci basiliani …”.[lviii]

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Petilia Policastro (KR), ponte sul fiume Cropa (foto tratta da www.cn24tv.it).

 

Note

[i] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana 1958, pp. 86-90.

[ii] Pratesi A., cit., pp. 116-122.

[iii] Pratesi A., cit., pp. 146-151.

[iv] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 101-106.

[v] Pratesi A., cit., pp. 168-179.

[vi] Pratesi A., cit., pp. 168-175.

[vii] Pratesi A., cit., pp. 86-90; 90-91; 116-122; 146-151; 168-171; 172-175; 175-179; 241-247.

[viii] “Questo Contado di Policastro nondimeno restò sempre unito, e confuso con quel di Catanzaro, onde il Conte di Catanzaro Pietro dell’istessi Re chiamato per eccellenza il Conte di Calabria Ruffo, verso il mille, e duecento appare in terzo luogo Signor di Policastro. È vero però che fu poi ributtato per la sua Superbia, e Tirannia, e la Città venne in Reggio Domanio la prima volta. Ritornò pur di nuovo sotto il dominio del Conte Pronepote Giovani Ruffo successo al Bissavolo Conte Pietro morto essì ben vecchio. Costui fù il quarto Signor di Policastro, e delli suoi Casali Cotronei San Demetrio, e Copati appunto nell’anno mille trecento e nove.”. Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[ix] Reg. Ang. XVII, pp. 57-58.

[x] “La moglie del conte Goffredo fu Giovanna Ruffo figliuola del Conte di Catanzaro, e gli portò in dote Policastro con i Casali …” al margine: “1333-1334 B. 194.”. Ferrante della Marra Duca della Guardia, Discorsi delle Famiglie Estinte, Forastiere, o Non comprese ne’ Seggi di Napoli, imparentate colla Casa della Marra, Napoli 1641, p. 249.

[xi] Al margine: “Archis Reggi Registri del 1333, 1334, B. 294”. Mannarino F. A., cit.

[xii] Al margine: “Ferrante della Marra fam. Marz.a fol. 249”. Mannarino F. A., cit.

[xiii] “Deinde visitam prosequendo visitavit ecc.am S.ti Dimitri quae inventa fuit discoperta et scopis mundata et et (sic) ornata et indigenti omnibus necessariis. est cap.nus do: sanctus sellictus.” AASS, 16B.

[xiv] AASS, 124B.

[xv] AASS, 3A.

[xvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 32-32v, 39-39v, 55-56, 57-58, 81v-82v, 87-88, 125v-127v, 128v-129v, 150v-151v, 240-240v. ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81, ff. 8-8v. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 040v-041; 099-100; 104-104v; Busta 78 prot. 288, ff. 049-050v; Busta 78 prot. 290, ff. 020-021, 102v-103, 109-111v, 134v-135v; Busta 79 prot. 294, ff. 019v-021, 054v-055v, 096-096v, 100v-101; Busta 79 prot. 296, ff. 035-036; Busta 79 prot. 297, ff. 015v-016; Busta 79 prot. 299, ff. 016v-018, 054v-055v, 073-074; Busta 80 prot. 301, ff. 034-035, 136v-137; Busta 80 prot. 302, ff. 039v-040v, 064v-065v; Busta 80 prot. 304, ff. 097-097v; Busta 80 prot. 306, ff. 073v-076v.

[xvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 096-096v.

[xviii] “Così parimenti le due restanti Parocchie suppresse di San Demetrio, e di Santa Maria la Nuova, la cui chiesa al certo è l’istessa che oggi la nuova Annunziata, unitasi alla quarta hodierna Parocchia con cui confina; ch’è la più ampia e numerosa di tutte alla stessa reggion di Borea ma nella parte più mezzana chiamata San Nicolò delli Greci ove di più è la Capella col Monte del Purgatorio, ed ogni lunedì si celebrano messe lette, e cantate con gli soliti Notturni per quelle Sante Anime.” Mannarino F. A., cit.

[xix] 10.08.1604: La domus di Andreana Riccio confinava “iusta ecclesie s.ti Dimitri iusta domum Ottavi de pace, Jo(an)nis Fran.ci Cervini, et alios fines”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 33v-34v.

[xx] 02.02.1632: Alla dote di Angila Conmeriati, figlia di Andriana Rizza, apparteneva la casa posta dentro la terra di Policastro “nel Convicinio della chiesa diruta ditta di Santo dimitri con la solita intrata dello vignano et scala che al p(rese)nte habita essa Andriana”, “con uno Casalino della parte di sotto, Cioè dello Celso di essa Andriana in su per quanto tiene le cime di detto Celso”, confine la casa degli eredi del quondam Santoro Sagaci e “la casa grande” della detta Andriana. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 016v-018.

[xxi] 13.07.1618: Feliciana Cavarretta vendeva a Santoro Sagace, due “Casalenos” che il quondam Nicolao Joannes La Medaglia, suo marito, aveva acquistato da Ottavio de Pace. I casaleni confinavano con la “viam publicam dell’ulmo”, con la domus di Polinitia Costantino, “vallone mediante” ed altri fini. Attraverso i miglioramenti apportati dal detto quondam Nicolao, i due casaleni erano stati uniti ed all’attualità, erano divenuti un casaleno coperto, ovvero una domus “coverta cum casaleno”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 098v-099v

[xxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 087v-092v.

[xxiii] 06.05.1607: Joannes Laurentio Cimino “alias fegatale”, vendeva a Jacobo Recitano la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro, “iusta Ecclesie santi dimitri iusta domum d. Polinitia, et vallonem ab alia parte” ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 018v-019v.

[xxiv] 10.04.1613: Alla dote di Polita Cimino, figlia Joanne Laurentio Cimino “alias fegatale”, apparteneva una “casa seu Cammera” della casa dove al presente abitava detto Gio: Laurentio, confine “la casa di polinitia, et santo dimitri, quale Cammera sta affacciante inansi la potica di Gio: Bapt(ist)a natale” e la via pubblica. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 076v-077v.

[xxv] 06.10.1624: Davanti al notaro comparivano Joannes Laurentio Cimino “alias fegatale” e Joannes Thoma Madeo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Joannes Thoma e Lucretia Cimino, figlia di detto Gio: Laurentio. Apparteneva alla dote una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, “confine et muro Coniunta di santo dimitri”, “quale Casa seintenda verso vascio cioe verso lo vallone”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 081-081v.

[xxvi] 06.04.1629: Lucretia Cimino “alias fegatale”, per alimentare suo marito in carcere, se stessa e le sue due figlie femmine, vendeva a Spetio Vivacqua di Mesoraca, due casaleni posti nella terra di Policastro, “in convicinio venerabilis Ecc.ae Santi dimitri muro Coniuntos cum ditta Ecc.a”, confine la domus della Baronessa di Cotronei dalla parte superiore ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 015v-016.

[xxvii] 30.10.1633: Davanti al notaro comparivano Spetio Vivacqua della terra di Mesoraca, ma “habitante” in Policastro, e Fran.co de Stilo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Fran.co e Caterina Vivacqua, figlia di detto Spetio. Apparteneva alla dote una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nella parrocchia di “Santo Petro”, confine la casa di Gianni Grano, “la chiesa deruta di Santo dimitri”, la via pubblica ed altri fini, unitamente con il casalino contiguo a detta casa, confine “lo vallone” ed altri fini. Beni precedentemente appartenuti al quondam Gio: Laurenzo Fegatale. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 094v-096.

[xxviii] 15.05.1635: Il R. D. Santo de Pace vendeva a Spetio Vivacqua, la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro “in convicinio venerabilis Ecc.e dirute ditte santi dimitri”, confine la domus di detto Spetio, la via pubblica ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 039v-040v.

[xxix] 07.07.1635: Joannes Conmeriati, figlio ed erede del quondam Fran.co Conmeriati, vendeva ad annuo censo per ducati 28 a Fran.co Lamanno, la “domum palatiatam sive palazzettum”, posta dentro la terra di Policastro “in convicinio Ecc.e santi dimitri dirute”, confine la domus di Berardino Lomoijo, la “domum magnam” di detto Joannes, l’orto del quondam Joannes Jacobo Torres, “vallone mediante”, ed altri fini. Il detto Joannes effettuava la detta vendita con il consenso del presbitero D. Santo de Pace, erede del quondam Ottavio de Pace suo padre, in relazione ad alcune terze decorse e non pagate, cedendo la detta casa al prezzo di ducati 28 a detto D. Santo. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 064v-065v.

[xxx] 23.08.1636: Il notaro Joannes Leonardo de Pace vendeva a Joannes Simone Arenda, la domus palaziata “cum logetta, et orto Contiguo cum uno pede di celso” posta dentro la terra di Policastro “in Convicinio venerabilis Ecc.e Santi Nicolai de grecis”, confine la domus di Elisabetta Conm.ti vedova del quondam Santoro Sagaci, l’altra domus di detto notaro dalla parte superiore e l’altra “Canmera” di detto notaro “affacciante à santo dimitri”, confine la casa di D. Santo de Pace. Il detto notaro concedeva a detto Joannes Simone “la strata seu intrata per andare in detta Casa ut sup.a venduta per la piazza dove si ha da sbarrare l’orto per intrare in detta Casa”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 104v-106.

[xxxi] 26.06.1623: Lisabetta Rogliano, vedova del quondam Joannes Thoma Ricca, vendeva a Joannes Alfonso Cappa, la domus palaziata con un casaleno, posti dentro la terra di Policastro “in convicinio Ecc.e dirute Santi Dimitri”, confine la domus di Joannes Baptista Natale, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 096-096v). 26.06.1639: Negli anni passati, la vedova Lisabetta Rogliano aveva venduto al Cl.co Joannes Vincenso Natale, nipote di Joannes Baptista, la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino della “Venerabilis Ecc.e dirute ditte Santi dimitri”, confine la domus di Joannes Dom.co Natale, figlio di Joannes Baptista, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 073v-076v). 04.09.1642: Testamento di Joannes Dom.co de Natale stipulato nella sua domus, posta dentro la terra di Policastro “in loco ubi dicitur S.to Dimitri in Convicinio Parochialis Ecc.ae S.ti Nicolai Graecorum” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 023-024).

[xxxii] AASS, 37A.

[xxxiii] “… e tutti quatro questi Casali erano situati alla Regione Aquilonare …”. Mannarino F. A., cit.

[xxxiv] 29.02.1613. Joannes Faraco possedeva una “vigna di abascio nello piscaro”, posta nel loco detto “s.to dimitri”, confine Orlando Rizza e Gio: Leonardo di Franco (ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81, ff. 37-40). 06.08.1647. Didaco Romeo della terra di Cutro ma, al presente, “incola” in Policastro, possedeva la vigna “detta Dello piscaro”, posta nel territorio di Policastro loco detto “Santo Dimitri”, confine la vigna di Fran.co Antonio Fanele, Berardino di Franco ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 070-071).

[xxxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 16v-18v, 162v-163, 178-179, 183-184; Busta 78 prot. 287, ff. 009-010v, 017v-018, 050-051v, 052-052v, 060-060v, 073v-074v, 144-144v; Busta 78 prot. 288, ff. 004-004v, 006v-007, 043-044, 095-095v, 095v-096v, 097v-098; Busta 78 prot. 289, ff. 013-013v; prot. 290 ff. 009-009v, 034v-035, 044v-045v, 071-072, 082v-084, 088v-089v, 093v-094v, 120v-121v, 128v-129v, 134v-135v; Busta 78 prot. 291, ff. 018-018v, 020v-021v, 026-027, 084-085v, 107-107v, 114v-118v, 128-129; Busta 78 prot. 292, ff. 005v-007, 050-050v; Busta 79 prot. 293, ff. 020v-021v, 044-045, 070-072, 080v-082; Busta 79 prot. 294, ff. 016v-017, 017v-018, 045v-046v, 057-058, 083v-085v, 089v-091, 108-108v, 111-112; Busta 79 prot. 295, ff. 013v-014v, 022-023, 061v-062v, 069v-070, 074v-075v, 088-089, 097-098, 098-099, 160v-161v; Busta 79 prot. 296, ff. 011v-013, 020v-021v, 039-040, 055v-056v, 057v-058, 059v-060v, 067-068, 068-068v, 092-092v e 097, 110v-111, 111v-112v, 119-120v, 120v-122, 138-142v, 151-151v; Busta 79 prot. 297, ff. 003-004v, 004v-005v, 007-008, 009-009v, 025v-026v, 028v-029, 032v-033v, 035-035v e 038, 047-047v, 059v-060, 064-065, 066v-067v, 067v-068, 070v-071v, 073-074, 074v-075, 077-078, 082-082v, 083v-084, 087-088, 090-090v, 108-109, 109v, 111v-112, 122v-123v, 127-129, 161-161v, 187v-188v; Busta 79 prot. 298, ff. 008v-009v, 010v-011v, 028v-029v, 047v-051, 063v-064, 086-086v; Busta 79 prot. 299, ff. 006-007, 008-010, 018-019, 019-020, 026v-028, 028-029, 029-030, 043-044v, 048-049, 078-079, 079-080, 091v-092v; Busta 79 prot. 300, ff. 008v-009v, 013-014, 019-020, 020-022, 033v-034, 079-080, 087-088; Busta 80 prot. 301, ff. 010-010v, 016v-018v, 018v-020, 020-020v, 020v-021v, 021v-022, 027-027v, 030-031v, 031v-032v, 032v-033v, 039v-041, 043v-044, 059v-061, 075v-077, 088v-089, 090-090v, 092-093, 106v-107v; Busta 80 prot. 301, ff. s.n.; Busta 80 prot. 302, ff. 029-030, 036-037, 043-044, 076-077, 116v-118, 126-127v, 130v e 141-141v; Busta 80 prot. 303, ff. 008-010, 011-012v, 029-030v, 060-061, 062-062v, 082v-083v, 097-100, 100-101, 103v-104v, 127v-128, 128v-129v, 156v-158v; Busta 80 prot. 304, ff. 015-016, 029v-030v, 030v-031, 034v-035v, 069-070, 070-070v, 080-081, 107v-109v; Busta 80 prot. 305, ff. 020-021v, 025v-027, 047-048, 085-088, 106v-107v, 107v-108v; Busta 80 prot. 306, ff. 018v-019, 023v-025, 046v-047v, 095v-097, 107v-108v, 111-112v; Busta 80 prot. 307, ff. 005-006, 028v-030, 057-057v, 069-070.

ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 101v-103v; Busta 182 prot. 802, ff. 050v-052; 070-071, 105-106; Busta 182 prot. 803, ff. 065-066v, 067v-072v, 077-079, 108-109, 110v-111v, 115-117, 137-139; Busta 182 prot. 804, ff. 045-046v, 050v-052, 098v-101, 115-117v, 150-152, 152-154; Busta 182 prot. 805, ff. 011-013v, 023v-026; Busta 182 prot. 806, ff. 026-028, 054v-055v, 059v-061v, 089v-091, 117v-119, 120v-123.

ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 016-019v, 047v-049, 085v-086v, 088-090, 092-094, 107-108v; Busta 196 prot. 875, ff. 004v-006v, 008-009, 009-010, 010v-011, 011-012v, 016-018, 028v-029, 083-084, 088v-090v, 090v-091v, 107-108v, 126v-129, 129-131; Busta 196 prot. 876, ff. 009-010v, 016v-018, 024-026, 029v-030v, 048v-050, 055-055v, 068v-070, 070-071, 075v-076; Busta 196 prot. 877, ff. 017v-018v, 018v-019v, 023v-025; Busta 196 prot. 878, ff. 014-015v, 029v-030v, 062v-063, 067v-069; Busta 196 prot. 879, ff. 005-007, 011-013, 013-015, 016-017, 035-036v, 063v-065, 075-077v, 079-080, 081v-083, 083v-084v, 085v-089, 111-112v, 124-126, 144-145; Busta 196 prot. 880, ff. 001v-002v, 003-005, 010-011, 012v-014v, 015v-017v, 054-056, 067-068v, 095-096v, 098-100, 111v-113, 116v-118, 137-138, 138-142, 159-160v, 179-180v, 190-191, 193v-195v, 200-200v, 200v-201v, 201v-202v.

[xxxvi] “Ferrante maccarrone tiene due grotti in loco detto Santo Dimitri, territorio di Policastro, iuxta le grotti del mag.co Gio. Fran.co Vicidomino, e le grotti dell’eredi del q.m m.co Francischello Cortese, delle quali si paga annuatim, ut supra, alla detta mensa Arcivescovale carlini tre, dico 0.1.10”, al margine: “Et per esso ottavio Vitetta”. AASS, 1A.

[xxxvii] 19.11.1604. All’eredità di Fran.co Ant.no Blasco, apparteneva il censo “delli grutti loco ditto santo dimitri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78 prot. 286, ff. 71-76). 15.11.1616. Alla dote di Andriana Leusi apparteneva il “loco detto s.to dimitri, con le grotte” stimato del valore di ducati 20 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 146v-155v). 18.11.1623. Alla dote di Francischina Tadeo apparteneva la metà “delli grutti” poste nel detto loco di “santo dimitri”, confine Marco Rizza via mediante ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 114-115v). 19.09.1624. Alla dote di Laura Faraco apparteneva una “grutta” a “santo dimitri” confine Masi Rizza “dico Jurilla” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 071-073). 23.11.1635. Nell’inventario dei beni del quondam Joannes Baptista Carpensano figura una “grutta” loco detto “Santo dimitri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 123-124). 08.03.1652. Nel corso dell’anno passato, Ippolita Zurlo, moglie di Carlo de Cola, aveva venduto a Gio: Pietro Pipino una “grocta” posta dentro il territorio di Policastro loco detto “S.to Dimitri”, confine la grotta della chiesa di S.ta Caterina e le grotte che erano appartenute alla quondam Laura Blasco (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 022-023).

[xxxviii] 16.03.1639. Fran.co Pipino vendeva a Santo Misiano, la vigna posta nel territorio di Policastro loco detto “santo dimitri”, confine la vigna di Joannes Thoma Capozza, la vigna di Paulo Carvelli ed i “parmenta delli stofali”, che gli era pervenuta dallo scambio fatto con Joannes Petro Pipino suo fratello, a cui detto Fran.co aveva ceduto la sua possessione posta nel medesimo loco di “santo dimitri, et pp.o nelli grutti”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 037v-038v.

[xxxix] 09.04.1618. Joannes Thoma Cepale vendeva ad annuo censo a Hijeronimo Iannici, il “petium terre arboratum sicomorum, et ficorum” posto dentro il territorio di Policastro nel loco detto S.to Dimitri, “et proprie inansi li grutti di santo dimitri”, confine l’ortale di Joannes Battista Melissi, i beni di Joannes Battista Rizza, “via med.te”, “et trazze che vanno alli grutti” ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 091v-092.

[xl] 17.01.1626. Alla dote di Caterina Iannici apparteneva il censo di ducati 4 e ½, che pagava Gio: Thomaso Cepale per 50 ducati di capitale sopra “li Celsi” della sua possessione “loco detto avanti li grutti di Santo dimitri”, confine la possessione di Gio: Battista Rizza ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 011v-013). 08.02.1639. Alla dote di Vittoria de Martino, vedova del quondam Vincenso Curto, appartenevano “li celsi di santo dimitri posti avanti li grutti”, confine “l’altra parte” di Gio: Berardino de Ascanio, “la parte” di Alfonso Vallone ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 029-030v).

[xli] 14.04.1626. Nei giorni precedenti, Laurentio Ceraldo, ordinario serviente della Regia Curia di Policastro, dietro l’istanza del U.J.D. Marco Ant.o Guarani, prodotta contro Joannes Thoma Cepale per un debito di ducati 29 e ½ , aveva fatto esecuzione della vigna di quest’ultimo, posta nel territorio di Policastro loco detto “s.ti dimitri seu pantano”, confine i beni degli eredi del quondam Joannes Dom.co Venturi, le “terras dittas deli fiorilla”, la via pubblica ed altri fini. La vigna identificata quale “la vigna dello piano et loco inanzi le grutti”, si trovava nel loco detto “lo chiano”, ovvero “sotto le grutti di santi dimitri vallone di truulo”, risultando confinante con le terre dette “delli Iurillii”, “lo pantano” che era partenuto a Cola Russo, la via pubblica dalla parte di sopra, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 029-029v e 030-033v). 01.10.1647. Jo: Gregorio Catanzaro, sua moglie Elisabeth Ritia, ed i suoi figli Andrea e Jo: Antonio Catanzaro, assieme ad Isabella Ritia, vedova del quondam Minico de Strongolo, in solidum, vendevano al R. D. Jacobo de Aquila, l’annuo censo di ducati 4 sopra alcuni beni appartenenti alla detta Isabella: un “Ortale arboratum arboribus sicomorum, ficorum” ed altri alberi fruttiferi, posto nel territorio di Policastro loco detto “li grutti di S. Dimitri”, confine il “Vineale” degli eredi di Marco Ritia, il “Vallonem de traulo” e la via pubblica; due “Vineas” poste similmente nel loco detto “Santo Dimitri”, confine la vigna di Joannes de Franco, via mediante, la vigna di Ottavio Spinello, la vigna di Laura Blasco, la vigna di Portia ed Elisabeth “in fuso” ed altri fini. I beni obbligati invece, dai detti de Catanzaro furono: un “Ortalis sicomorum, et ficuum”, loco detto “li grutti di Santo Dimitri”, confine la “aliam partem dicti Ortalis V.e q.m Minici de strongolo Isabella Ritia, ut sup.a nominate”, il “Vineale” del quondam Marco Ritia, il “vallonem de traulo”, la via pubblica ed altri fini; la vigna posta similmente nel loco detto “Sancti Dimitri”, confine la vigna della detta Isabella Ritia, la vigna degli eredi di Marco Ritia ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 098v-102v).

[xlii] 19.09.1627. I coniugi Fran.co de Venuto e Caterina de Martino, possedevano un ortale arborato di “Celsi” posto nel territorio di Policastro loco “santo dimitri”, confine “li Celsi” di Andria Faraco e Gio: Gregorio Catanzaro e “la via publica che si va in santo dimitri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 151-151v). 15.04.1630. Nel settembre-ottobre dell’anno passato, dietro l’istanza di Livio Zurlo contro Joannes Thoma Cepale, Paulo Luchetta, serviente della Reg.a Curia, aveva bandito la vendita dei beni di quest’ultimo posti in territorio di Policastro, dove si dice “santo dimitri”: “la vigna dellu chiano”, un “ortalem sicomorum” detti “li celsi di Cepale”, esistente “inansi li grutti”, ovvero “di avanti li gructi” o “avanti li gructi di s.to dimitri”, confine i beni di Joannes Baptista Melisso “et viam publicam per quam vaditur vineiis santi dimitri”, ovvero la “viam quam vaditur vinearum dittarum de santo dimitri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 100-100v e 103-104v).

[xliii] 01.01.1649. La vedova Francischina Jordano possedeva la possessione arborata di “Celsi, fico” ed altri alberi fruttiferi, posta nel territorio di Policastro loco detto “S.to Dimitri”, confine la possessione di Fran.co Cavarretta, “lo Zunfo di felice”, la via pubblica ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 006v-007v.

[xliv] 28.05.1604. Joannes Faraco asseriva che negli anni passati, aveva dotato il figlio chierico Joannes Thoma, con una vigna posta nel territorio di Policastro “loco ditto santo dimitri allo auzinetto varis arboribus arboratam iusta vineam salvatoris de mauro viam publicam et vineam de novo factam per ipsum Jo(ann)em, et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 14v-15v). 29.05.1634. Ettorre Rocca donava a sua figlia Lisa, un ortale arborato di “celsi, et fico”, loco “santo dimitri” territorio di Policastro, confine “la fontana dell’auzinetto”, la vigna di Nardo di Cella, la via pubblica ed altri confini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 102-102v).

[xlv] 28.08.1632. Joannes Thoma Cepale, possedeva un ortale arborato con diversi alberi domestici, posto nel “tenimento” di Policastro loco detto “lo vallone di traulo”, confine i beni di Joannes Baptista Rizza, vallone mediante, i beni di Marco Antonio Curto, dalla parte inferiore, e la “viam publicam quod vadit in santo dimitri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 067v-068). 21.09.1648. Salvatore Desiderio, procuratore della chiesa di Santa Caterina, vendeva a Laurenso Vaccaro, il “Cavone arborato de fico” posto nel territorio di Policastro nel loco detto “lo Vallone di traulo”, confine i beni del detto Laurenso, i beni degli eredi di Marco Rizza, i beni di Prospero Cepale, “la via publica che si và à S.to Dimitri” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 082-083).

[xlvi] 03.05.1634. Alla dote di Andriana Curto, vedova del quondam Andrea Faraci, apparteneva la metà dei “Celsi” posti in loco detto “santo dimitri seu pantano”, confine “li Celsi” di Laura Rizza e le terre di Auria Nigra, mentre l’altra metà apparteneva a Vicenzo Curto suo fratello (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 087v-088v). 23.07.1630. Ai coniugi Joannes Thoma Spinello e Caterina Conmeriati, apparteneva una possessione loco detto “lo pantano”, territorio di Policastro, confine “le timpe dello Castelluzzo” e “lo pantano” di Stefano di Martino, parte della quale confinava “della parte di sopra la via publica di santo dimitri” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297 ff. 121v-122v).

[xlvii] 26.06.1634. Nell’inventario dei beni del quondam Paulo Varveri, risulta un pezzo di terreno “di una sarmata” arborato di “Cerse”, posto in loco detto “lo Castelluzzo”, dotale di sua moglie Lisabetta Grosso (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 112v-114v). 16.01.1639. Alla dote di Elisabetta Grosso, vedova del quondam Paulo Varveri, che andava sposa a Fabritio Jerardo, appartenevano le terre dette “le castellazza” di circa 8 tomolate di capacità, poste nel territorio di Policastro, confine le terre del quondam Fabio Rotundo e Mario Delia (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 017v-018v). 17.02.1654. Alla dote di Anastasia Jerardo, figlia della vedova Elisabeth Grosso, apparteneva la metà della terre “arborate di Cerse” poste dentro il territorio di Policastro loco detto “lo Castelluccio”, confine le terre di Oratio Rocciolillo, le terre del Cl.co Dom.co d’Elia ed altri fini. La detta Elisabeth pattuiva che che l’altra metà di dette terre, andassero a Pietro Gianne Barbiero suo figlio, per la parte che gli spettava di Paulo Barbiero suo padre e marito di detta Elisabeth (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 011-013).

[xlviii] 17.09.1632. Per un capitale di ducati 100, il dottor Marco Ant.o Guarano pagava ad Anastasia Cavarretta, annui ducati 10 sopra la possessione detta “lo Canale”, posta dentro il territorio di Policastro, confine la possessione di Laurenzo di Natale, “il fiumme di Cropa” e “la via publica che si va in Santo dimitri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 076-077). 15.11.1644. Delia Callea, vedova del quondam U.J.D. Marco Antonio Guarani, vendeva al R. D. Prospero Meo un annuo censo di ducati 10, infisso sopra alcuni stabili, tra cui la “Possessionem” detta “lo canale”, confine la “Viam qua itur ad Vineas Sancti Demetrii, fluvium Cropae, et querquus Joannis Nigri ab inferiori parte”. (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803 secondo, ff. 117-118v). 20.01.1647. La vedova Delia Callea, assieme a Laura Guarano e Joannes Bernardino Accetta, in solidum, prendevano a censo dal R. D. Jo: Jacobo Aquila, la somma di ducati 80 impegnandosi a pagare l’annuo censo di ducati 8. Tra i beni stabili dotali posti a garanzia dalla detta Delia, troviamo la “Possessione” arborata con sicomori ed altri alberi fruttiferi, posta in loco detto “lo canale”, confine la “Viam publicam qua itur ad Sancto Dimitri, flumen Cropae, et alios fines” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 011v-016).

[xlix] 26.09.1653. La vedova Minica Pipino vendeva ad Antonio Pipino, il vignale arborato di “Celsi e fico”, “unitam.te cum Cinque gructi”, posto dentro il territorio di Policastro loco detto “lo Canale di S.to Dimitri”, confine i beni di Prospero Cepale, i beni degli eredi di Gio: Battista Rizza, la “via via” ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 074v-075.

[l] 30.08.1637. Nel corso dell’anno passato, Joannes Dom.co Polla, aveva venduto a Fran.co Poerio, la vigna posta nel territorio di Policastro loco detto “Santo dimitri”, confine la vigna di Laudonia Carvello, la vigna di Joannes Tuscano, “la carrara publica” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 076-077). 21.03.1649. Alla dote di Catharina Sicilia apparteneva un vignale loco detto “S.to Dimitri”, confine la vigna di Masi Rotundo, “la Carrera della grotta di giordano” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 021v-023).

[li] 15.11.1627. I fratelli Petro Curto e Cl.o Matteo Curto, detenevano in comune ed indiviso per successione paterna alcuni beni, tra cui: una “vigna sfatta” arborata di “Celsi” ed altri alberi fruttiferi loco detto “Cropa seu Pantano”, confine “la vigna ditta di monsignore”, i beni di Stefano di Martino ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 170-172.

[lii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991.

[liii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 76.

[liv] AASS, 24B fasc. 3.

[lv] AASS, 24B fasc. 3.

[lvi] AASS, 82A.

[lvii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 336.

[lviii] Rizza F., Alla scoperta di antiche grotte, Il Crotonese n. 35/1997.

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Medici, Speziali e Salassatori nella Cotrone di Ferdinando II

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Re Ferdinando II

Ferdinando II Re del Regno delle Due Sicilie.

Nelle sue funzioni di vice-protomedico del Distretto di Cotrone, il 12 maggio del 1837, il dottor Francesco Morrone trasmette al Protomedico Generale del Regno di Napoli una denuncia sull’esercizio illegale della professione di farmacista da parte di D. Francesco Antonio Le Rose di Cutro. Il dottor Morrone si rammarica che, nonostante l’avvertimento “a non intrudersi in cose non proprie del suo mestiere”, il Le Rose abbia sempre disprezzato le sue ammonizioni, costringendolo a ricorrere all’autorità del Protomedico Generale “per le opportune e sollecite providenze”. L’episodio, di cui la lettera è traccia, è collegato alla necessità, che le società organizzate hanno sempre avuto, di certificare l’esercizio di determinate professioni o mestieri. La “validazione”, per usare un termine oggi di moda, cioè il riconoscimento pubblico di poter esercitare una determinata attività con riflessi sul sociale, è sempre stata un problema sentito, soprattutto quando si entra in campo medico. Già i Romani avevano attivato delle speciali commissioni che dovevano valutare le capacità professionali degli aspiranti medici. Nel Medioevo tale incarico viene affidato al medico del re, di solito il più bravo del regno, il “primo medico” e da qui nasce il termine protomedico. Tale pratica nei secoli si rafforza e diventa una vera e propria istituzione nel Cinquecento. Gli Spagnoli nel loro impero affidano ai protomedicati delle funzioni fiscali più che mediche. Infatti veniva demandata ai protomedici l’esazione delle tasse dei medici, degli speziali (i farmacisti) e di altre figure allora collegate alla professione medica come i barbieri (specializzati soprattutto come salassatori e cavadenti), le levatrici, ma anche ciarlatani e fattucchiere (che erano obbligati a curare solo con le parole, essendo loro vietato di somministrare farmaci e men che mai mettere le mani addosso ai pazienti). Nel Regno delle due Sicilie il Protomedicato Generale aveva sede a Napoli ed era composto da una Commissione protomedicale presieduta dal Medico di camera del Re, che era affiancata dal Collegio dei farmacisti. Il Regno era suddiviso in ventidue province, di cui 15 costituivano i dominii al di qua del Faro (Regno di Napoli) e sette quelle al di là del Faro (Regno di Sicilia). Complessivamente le province erano divise in 76 distretti ciascuno dotato di un vice-protomedicato. Quello di Cotrone, appartenente alla provincia della Calabria Ulteriore 2ª, all’epoca dei fatti narrati nella lettera, era affidato al cav. Dottor Francesco Morrone, vice-protomedico, e, probabilmente, al dottor Francesco Guzzo, farmacista visitatore.[i]

É da rimarcare che l’incarico era di prestigio, infatti la legge del 1822, che istituiva nei distretti i vice-protomedicati, prevedeva che dovessero essere composti ciascuno “da un de’ medici più probi e da un abile farmacista. I controlli venivano effettuati senza preavviso, soprattutto quelli dai farmacisti. All’epoca tutti i farmaci erano prodotti in loco, e gli speziali dovevano dimostrare di avere scorta di quelli previsti da un’apposita “tavola” (repertorio di medicinali semplici e composti) e di non avere prodotti scaduti. Molti controlli venivano eseguiti dal farmacista visitatore, è proprio il caso di dirlo, a naso! Comunque, nel 1831, il Re Ferdinando II aveva promulgato anche dei provvedimenti abbastanza moderni, per l’epoca, destinati ai malati delle campagne, che rappresentavano allora la maggioranza della popolazione. Era previsto che l’indigente colto da malattia cronica, o richiedente cure lunghe e speciali, venisse indirizzato dal sindaco del suo paese al grande ospedale napoletano degli Incurabili. L’indigente aveva anche diritto alle medicine gratuite a spese del comune di residenza con ricetta del medico comunale sottoscritta dal parroco, che attestava la povertà dell’ammalato.

proto-lettera1

La lettera del 12 maggio 1837.

Cotrone 12 Maggio 1837

Al Signor Protomedico Generale del Regno di Napoli / Mi dò la premura soccartarle originalmente una denuncia pervenutami dal Comune di Cutro sul conto di D. Francesco Antonio Le Rose Farmacista illegale. / Per lo addietro mi furono fatte simili doglianze a voce, ed io mi determinai ad avvertirlo dignitosamente, imponendogli pria di tutto a non intrudersi in cose non proprie del suo mestiere. Ha sempre disprezzato le mie ammonizioni facendo il sordo. / In tale stato di cose mi è convenuto farne intesa la di Lei Autorità per le opportune e sollecite providenze; e trattandosi di doglianze in scritto ho scelto il temperamento di trasmetterle direttamente a Lei. / Io avendo verificato l’esposto lo ritrovo vero in tutta l’estenzione del termine. / Il vice-Protomedico / Francesco Morrone.

 

Note

[i] Almanacco Reale Regno delle Due Sicilie 1855 http://www.archivi.beniculturali.it/Biblioteca/Almanacco/047copXsezIII_314_345.pdf

 

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Villa Aragona detto volgarmente Andali. Un casale “albanese” tra il Cinquecento ed il Seicento

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Andali e Belcastro (CZ).

L’origine dell’abitato di Villa Aragona è da situarsi tra il 1542 ed il 1574, anni in cui furono fondati, o ripopolati, anche i vicini casali di Marcedusa e di Troiani. Allora il feudo di Belcastro apparteneva agli Aragona, duchi di Montalto, (Ferrante (1542), Pietro (1549-1552) e Antonio (1553-1574)[i]. Secondo il vescovo di Belcastro Giovanni Emblaviti, Villa Aragona fu abitata da Albanesi: “Ex Epiro fugati à Turcis” che non contraggono matrimoni con gli Italiani e “sunt veluti una Domus”[ii]. Nel Conto del regio tesoriero di Calabria Ultra Turino Ravaschiero relativo all’anno 1564-65, nell’ “Introito deli carlini quindeci et gr.i uno a foco” non troviamo elencati i fuochi del casale di Andali.[iii]

Anche nelle tassazioni precedenti non si accenna al casale.[iv] Si presume quindi che il casale sia stato fondato dal duca di Montalto Antonio d’Aragona, feudatario di Belcastro dal 1553 al 1574 e che spetta a lui il nome che all’origine fu dato al casale, sorto nei pressi di un antico abitato del quale esistevano ancora i ruderi.

 

Primi documenti

Le prime notizie sul casale le troviamo nei conti dei regi tesorieri di Calabria Ultra. Nelle imposizioni per il pagamento dei caporali e guardiani delle torri di Calabria Ultra nel “Conto del R.o Thesoriero di Cal.a Ultra dell’anno 1579-1580” è citata “Vill’Aragonie di la Cerda”. Nell’ “Introyto per li fochi Albanesi che pagano per mita la dett’impositione”, il casale è tassato per 12 fuochi. Nel documento sono annotate le terze, ognuna delle quali dell’importo di 2 tari e grana due e mezzo, che l’università è costretta a pagare dall’ottobre 1579 al settembre 1580. Sono incaricati del versamento Giovanni Creva, o Cresta, e Marco San Marco.[v]

Il vescovo di Belcastro Orazio Schipano nella sua relazione del 1592, riprendendo quanto scritto dal suo procuratore, il canonico Galieno Pigneri (“quodam pago vulgo dicto di Alvanisi”), affermava che nella sua diocesi, oltre alla città di Belcastro vi era un solo “casale d’Albanesi”.[vi] Cinque anni dopo, al tempo del vescovo Alessandro Papatodaro, vi era “quodam pago dicto Aragona” e “in castro Aragonae Archipraesbiter illius castri est Parochus curam habens animarum”.[vii] All’inizio del Seicento gli Albanesi che abitano nella Villa Aragona sono circa duecento, ai quali un arciprete, che ha anche la funzione di parroco, amministra i sacramenti. Secondo quanto scrive il vescovo, vivono “more latino ipsi namq. Albanenses latino more vivunt”.[viii] Sempre in questi anni, come risulta dal “Cedulario deli fochi or.rii dela Prov.a de Calabria Ultra” del gennaio 1604, il casale di “Agnone seu Andali” è tassato per 39 fuochi.[ix] Sempre dai conti dei regi tesorieri sappiamo che il 25 gennaio 1608, Diomede Maczuccari versava per Villa Aragonica ducati 8 tari 4 e grana 19.[x] Il casale sarà tassato per gli stessi fuochi anche nella numerazione del 1669.[xi]

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Andali (CZ), topografia della località.

La perdita del rito greco

All’inizio del Seicento il casale è abitato da circa quaranta fuochi,[xii] e a causa della povertà degli abitanti, vi è un solo sacerdote per celebrare la messa ed amministrare i sacramenti.[xiii]

Sembra tuttavia che nonostante i vescovi di Belcastro continuino ad affermare che gli abitanti seguono il rito latino, in verità il rito greco è ancora presente. Il vescovo Antonio Ricciulli (1626-1629) così si esprime: “In pago Andali nuncupato per Parrochum perpetuum graeco ritu ministrantem. In pago vero S.ti Angeli per parrochum similiter perpetuum Latino ritu servientem.”.[xiv] I vescovi di Belcastro, quasi sempre lontani dalla diocesi, nelle loro relazioni seicentesche, cercheranno di non evidenziare e di nascondere la presenza di elementi del rito greco nel casale.

Il vescovo Giovanni Emblaviti nella sua relazione del 28 luglio 1692, ci informa sulla sottrazione del messale e del breviario pertinenti al rito greco (forse un codice evangelario miniato), che erano stati portati via dal casale e si trovavano ora nella Biblioteca Barberina di Roma. Così egli descrive il fatto: “In hac Jurisd.e duo adsunt Rura , unum nationis Albanentium, nuncupatum Andali sive Aragona, ex hoc Rure Em.mi Domini fuit asportatum Romae ad Bibliotecam Barberinam Missale et Breviarium eiusdem idiomatis, ut mihi retulerunt certi de veritate, et modo et à quo; constat ex nongentis et novem animabus”.[xv]

Secondo il vescovo, il messale ed il breviario furono portati via dalla chiesa del casale al tempo di Urbano VIII, Maffeo Barberini, (1623-1644): “Unum Nationis Grecorum vulgo nuncuscantur Albanisi, quorum idioma non est greci sermonis comunis, sed generis Epiri, licet in multis coincidant vocabula, qui tamen more latinorum vivunt, et ex traditione accepi eorum Missale et Breviarium transmissum fuisse ad ipsam Almam Urbem tempore Urbani Octavi fel. Mem.”.[xvi] Lo stesso vescovo ci informa che nel casale vivevano 466 Albanesi che praticavano il rito latino, i quali tuttavia “plures habebant abusus ab Epiro adductos”.[xvii]

Durante il papato di Urbano VIII, i vescovi di Belcastro furono: Antonio Ricciulli (1626-1629), Filippo Crino (1629-1631), Bartolomeo Gipsio (1633-1639) e Francesco di Napoli (1639-1651). A quest’ultimo seguì Carlo Sgombrino: “L’anno 1653 all’ultimo di marzo in Belcastro venne il vescovo D. Carlo Sgombrini, successore a Mons.r Fran.co Napoli di Palermo, e il d.o vescovo Sgombrini dell’Oriola, e venne il giorno di luni al trado”.[xviii]

Tra questi va ricercato colui che portò via il messale ed il breviario e li donò al Papa. Tra i più sospettati sono i vescovi Bartolomeo Gipsio (1633-1639) e Francesco di Napoli (1639-1651). Il primo ebbe il 20 luglio 1633 dal Papa la possibilità di utilizzare per due anni i proventi delle pene della sua curia per le cose necessarie alla cattedrale,[xix] e di potersi assentare dalla sede di Belcastro per sfuggire alla malaria ed alle epidemie invernali.[xx] Nel 1639 ottenne di lasciare il vescovato di Belcastro per quello di Volturara. Più sospetti si addensano su Francesco di Napoli, che introdusse “observantiam Ceremonialis Romani, et precipue Castaldi tam pro missis, quae leguntur, quam pro missis quae cantantur pro pontificalibus et quovis alio servitio … Libris quoque hoc est Antiphonarii, Gradualis ac Psalterii, quibus chorus canebat propspexi, cum notulis et forma cantus, quorum inopia informiter canebatur, magnis et ex ultima impressione Iunti, innosque novos iuxta Bullam felic. Rec. Urbani 8i obtinui …”, ed aggiunge che, nonostante gli abitanti del casale di Villa Aragona siano Greci, ossia Albanesi, “modumque loquendi conservant, tamen iuxta ritum latinum, omnis dogmatis ceremoniaeque greciae oblita, Christiane vivunt”. A quel tempo la chiesa del casale era fornita di ogni cosa necessaria e poteva contare sulle elemosine degli abitanti tra le quali una dote di 120 capre.[xxi]

 

Un palazzo del vescovo di Belcastro (?)

Alla metà del Seicento la popolazione è composta da circa 350 abitanti, dei quali 200 “animas communicabiles” e 150 non “communicantes”.[xxii]

Il vescovo palermitano Francesco di Napoli, pochi anni prima della metà del Seicento, per sfuggire dalla malaria, che infesta nei mesi estivi la città di Belcastro, decide di costruire una sua residenza in un luogo della sua diocesi più salubre, per ristorarsi piacevolmente. Per l’opera egli spese circa settecento ducati: “Meque eiusdem oblectationis causa concitavit incommodum Praelatorum ut noviter Palatium erigerem in quadam Villa meae Cathedrali subdita et ab hac Civitate tribus milliaribus distante, quem locum omnes salubriorem extimant, omnesque mansiones feci desuper terram, quae commode inhabitantur cum accessus occurit et in eas ducatos septingentos hactenque erogavi”.[xxiii]

In questo palazzo sembra che si sia rifugiato il vescovo Giovan Battista Capuano (1729-1748 ?), il quale se ne stette quasi sempre lontano dalla diocesi. Egli entrò in contrasto con i laici, tanto che fu minacciato con la pistola e fu accusato di molti abusi. In una lettera del 4 settembre 1731 diretta dal nunzio di Napoli al Card. Segretario di Stato, il vescovo informava che malgrado l’ordine di carcerazione dei due fratelli Iazzolini, per l’attentato alla sua persona, si sono tutti e due dati alla fuga; uno di essi è poi ritornato in patria più baldanzoso di prima, spalleggiato dal barone del luogo. Perciò per non esporsi a nuovi pericoli, egli ha pensato bene di trasferirsi ad Andali, luogo della sua diocesi.[xxiv]

 

La chiesa di Andali

Il vescovo Carlo Sgombrino così descrive la situazione ecclesiastica del casale nella sua relazione del 1665: Gli abitanti sono di origine albanese e conservano la lingua ma vivono cristianamente secondo il rito latino. In tutto gli abitanti sono 294, dei quali 203 sono di comunione. La chiesa arcipretale è sotto il titolo della SS.ma Annunciazione ed è adeguata al popolo. Essa non ha bisogno di ripari ed è fornita di ogni cosa necessaria al culto. Ha fonte battesimale, conserva gli oli sacri ed è fornita di campana per convocare il popolo. L’arciprete abita in una casa appartenente alla chiesa, che è ad essa unita. Non ha altre rendite se non quelle provenienti dalle decime e dai diritti sui morti. Il tutto ascende a circa 40 ducati annui.

Nella chiesa vi è un solo beneficio semplice di iuspatronato laicale, con la dote di ducati 7 con l’onere di due messe ogni anno al primo possessore, 5 messe al secondo e 60 messe al terzo ed altri possessori. Le messe annue ammontano a 450, unite le messe che sono celebrate dall’arciprete ogni domenica e nei giorni di precetto. Nel casale vi è solo un sacerdote oltre all’arciprete. Non vi sono chierici ma solo due diaconi selvatici per servizio della chiesa, che godono l’immunità e sono esenti da ogni giurisdizione laicale, reale e personale. La chiesa gode di una rendita piccola di non oltre 15 ducati ed è aiutata dalle elemosine degli abitanti per quanto riguarda l’acquisto di cera, olio ed altre cose necessarie.[xxv]

Abitato da circa 300 Albanesi, che conservano solo il nome e la lingua, vi risiede un parroco perpetuo col titolo di arciprete, la cui rendita appena ascende a circa 25 scudi ed inoltre vi sono altri quattro chierici.[xxvi] Dopo la grave carestia ed epidemia del biennio 1671-1672, nel marzo 1677 la popolazione si è ridotta a circa 150 anime.[xxvii]

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La SS.ma Annunziata di Andali (da www. diocesidicrotonesantaseverina.it).

Gli arcipreti

7.4.1643. Presbiter Andali Giovanni Bartolo Nicoletta di Belcastro.[xxviii]

9.10.1651. Il rettore della chiesa arcipretale della SS.ma Annunziata è Gio. Battista Scarito, mentre Paolo Peta è beneficiato dell’altare della B. M. de Monte Carmelo di iuspatronato laicale.[xxix]

18.11.1666. Ioanni Stanizzi di 29 anni, provvede alla chiesa parrocchiale di S.ta Maria Annunziata di Andali vacante per cessione di Paolo Peta.[xxx]

Aprile 1709. La chiesa vacante per privazione di Giovanni Battista Stanizzi, “qui a pluribus annis non residet”, è affidata ad Andrea Stanizzi.[xxxi]

Dicembre 1763. De parochiali archipresbyteratu nuncupato, Annuntiationis B.M.V. terrae Andali, Bellicastren. dioc., cuius fructus 24 duc. vac. per ob. Io. Andreae Fragala, de mense Iulii def., providetur Iosepho Stianizzi, pbro oriundo, in concurso approbato.[xxxii]

Seguì Giuseppe Stanizzi e alla sua morte avvenuta nel 1780, nell’agosto dell’anno dopo segue Giosafat Gentile, che era anche economo curato della stessa chiesa parrocchiale arcipretale di Santa Maria Annunziata.[xxxiii]

Morto l’arciprete Giosafat Gentile nel 1788, succede nel settembre 1793 Giuseppe Stanizzi, prete di anni 43.[xxxiv]

21.11.1848. Stefano Trocino di 31 anni provvede alla chiesa parrocchiale, arcipretale di B.M.V. della terra di Andali, per dimissione di Lecterio Cuccinetto, che è promosso alla collegiata di Cutro.[xxxv]

 

Gli abitanti del casale

Tra gli atti notarili stipulati dal notaio della città di Belcastro Francesco Mazzaccaro tra il 1631 ed il 1648,[xxxvi] alcuni sono rogati, o riguardano, il casale di Andali. Essi ci permettono di descrivere alcuni aspetti della vita dell’abitato nella prima metà del Seicento.

firma notaio Mazzacaro Belcastro

Firma e sigillo del notaio Francesco Mazzaccaro di Belcastro.

Anni particolarmente segnati dal terremoto del 1638 e dal succedersi di “male annate” dovute alla siccità. Particolarmente critico fu il biennio 1647-1648, come annota il notaio: “Napoli fe tumulto l’anno 1647 à 22 di giugno per lo quale tumulto fu in questa Città di Belcastro carestia che si pesò un pane onze sei et ottanta che lo grano valeva à car.ni dudici lo tu.lo. L’anno seg.te 1648 lo grano all’aera si vendi a car.ni sidici e dicesette lo tumulo”. “Nella Città di Belcastro l’anno 1648 del mese di Xbre che lo grano si vendiva a car.ni dudici il tumulo per insino al mese di Maggio si alterò il prezzo a car.ni decedotto, ma si patì molto, non per mancamento di grano che non fossi stato nella Città, quanto perche li Cittattini che teneano detto grano piu presto secretamente lo vendevano a forastieri che a Cittattini”.

Alla carestia del biennio 1647/1648 seguì pochi anni dopo quella del 1655/56 alla quale si aggiunse la peste.

“L’anno 1655 e 56 in Belcastro fu carestia al principio della raccolta lo grano si vendi a car.ni 18, e dopo al mese di Marzo, Aprile e Maggio fu grandiss.ma penuria, e si bene il grano si vendiva a tt.lo diecesette lo pane a pena era onze sei il tutto per il mal governo.

In detto anno 1656 fu la peste nella Città di Napoli, e fu di grandiss.mo danno nel Regno e principio del mese di Marzo, et alli 24 di Giugno stava nella più forza d.a peste per il che molto si dubitava”.

A causa del fallimento dei raccolti molti abitanti “trovandosi in grande necessità”, per potersi alimentare sono costretti o a svendere le proprietà o a ricorrere al prestito, gravando con annui censi le abitazioni e le vigne. Di questa situazione ne traggono profitto soprattutto i conventi francescano e domenicano, la confraternita dell’Annunziata ed i prelati di Belcastro. Sempre in questi anni di grande difficoltà economica, in Belcastro sono erette due confraternite con numerosi “fratelli”. “Nell’anno 1653 in Belcastro furono erette due Confr.te l’una nella Chiesa della Pietà, e l’altra alla Chiesa dell’Ann.ta nelle quali vi erano di fratelli di ricetto settanta per ciascheduna”.[xxxvii]

Essendo il casale costruito su un territorio appartenente al feudo di Belcastro, gli abitanti dovevano pagare al feudatario lo “jus soli” di tre carlini annui per ogni casa. Ogni casa infatti era gravata “ab onere carelorum trium anno quolibet solvendorum Ducali Curiae huius Civitatis iusta solitum”. Nel periodo di tempo considerato era feudatario di Belcastro Orazio Sersale (1624-1653), dal 1644 primo duca di Belcastro.

I documenti del periodo ci tramandano i nomi di alcuni abitanti del casale. Essi sono: Paolo Tantillo e Francesca Tantillo, vedova di Andrea Cacossa, Giorgio Peta, Giorgio, Antonio e Tommaso Colistra, Antonio Petruzzo, Caterina Spata, Minica Masci, Giovanni Cacossa, Domenico Ciaccio.

Particolarmente importante per il ruolo economico, svolto anche fuori del casale e della città di Belcastro, è la famiglia dei Peta, presente anche a Papanice.[xxxviii]

 

La città scomparsa

“… in queste campagne appaiono alcuni vestigii d’antiche mura d’una città distrutta chiamata anticamente Carcinio, della quale poco si ragiona nell’antiche scritture”.[xxxix] La città era situata su un colle e secondo il vescovo di Belcastro Giovanni Emblaviti, si chiamava Andali e fu forse distrutta dai Saraceni. Essa era posseduta dai Templari, ai quali seguirono i Cavalieri di Malta, i quali si impossessarono anche della rendita valutata in circa 400 ducati annui: “Andali ab antiquo Episcopatu, quod superius cum Civitate huius nominis existebat à Mauris iam diruta cuius redditus adhaeserunt Templaris, quibus successit Religio Hierosolimitana”. “Iuxta hanc villam antiquis temporibus Civitas Andali nuncupata à Mauris forsan diruta cuius redditus Quadrigentorum ducatorum huius monetae ascendebat quondam Templariorum quibus successit Religio fratrum S. Joannis Hioerosolomitani Melite”.[xl]

I ruderi erano ancora visibili alla fine del Settecento. Il “Colle di Andali” è tra le terre della Cappella del SS.mo Sacramento, eretta dentro la chiesa parrocchiale di Andali, e dentro il vignale “vi esistono molti segni di fabriche antiche”.[xli] Anche nel vicino vignale detto “San Cataldo”, “vi stanno alcuni segni o siano pedamenti di fabriche antiche volgarm(en)te d(et)te li casaleni di San Cataldo”[xlii] e “macerie” sono anche segnalate nella vicina località “Scavigna”.

Da quanto detto si può ipotizzare l’esistenza presso l’attuale abitato di Andali di un antico casale, poi andato distrutto, appartenente alla grangia della “domus” o chiesa di San Giovanni Battista di Belcastro dei templari. I ruderi della chiesa di San Giovanni in Belcastro in località “Santa Maria” saranno ancora visibili all’inizio del Seicento.[xliii] La grangia di Belcastro dei Templari composta dalla chiesa di San Giovanni Battista, da possedimenti, rendite e dal casale di Andali è ampiamente documentata nei documenti e nella toponomastica del luogo.[xliv]

sigillo andali

Sigillo dell’università di Andali.

Il casale di Andali di pertinenza della città di Belcastro

L’insediamento di una nuova comunità in un ambiente boscoso e selvatico in un pianoro vicino ad una sorgente (nel luogo detto “dietro la Chiesa” vi era “viam per quam itur allo lavaturo, et via sursum qua confinat cum funtanella”, cioè la “publica via che conduce alla fontanella, poco distante da questo abitato di Andali”), determinò in breve tempo una ristrutturazione del paesaggio. I nuovi abitanti con i loro animali, cominciarono ad adattare l’ambiente alle loro necessità abitative ed esitenziali. Essi disboscarono alcune parti di territorio avute in enfiteusi o in affitto, le dissodarono, formando orti, vigne, terre a semina ed a pascolo. Vicino alla chiesa ed alla piazza e lungo le vie, che si incrociano ed attraversano il casale, furono costruite le abitazioni. Accanto l’incolto lasciò spazio agli orti, alle vigne ed agli alberi da frutto. Con il passare del tempo e per la quotidiana opera, tutto il territorio circostante assunse una nuova identità in funzione ed in riferimento alle esigenze vitali della nuova popolazione. Se l’ambiente attorno al casale subì un radicale mutamento, dall’altra il feudatario ed i proprietari delle terre, trovarono nella nuova forza lavoro a buon prezzo l’occasione per espandere le terre a semina, in ogni luogo dove era possibile, per aumentare la produzione del grano e la sua esportazione verso il proficuo mercato napoletano. All’inizio del Seicento il casale ed il territorio circostante hanno già assunto un nuovo aspetto.

Esso è governato da un sindaco, un eletto ed un mastro giurato. L’abitato si presenta formato da un insieme di piccole case terranee, spesso isolate tra loro da vie e con accanto dei piccoli orti. Esso si snoda lungo le vie che l’attraversavano e che confluivano nella piazza centrale, dove c’è l’unica chiesa arcipretale, dedicata alla SS. Annunziata. I documenti dell’epoca ricordano la casa di Paolo Tantillo e Francesca Tantillo, vedova di Andrea Cacossa, che era situata sopra la chiesa, mentre una via la separava dalla casa di Domenico Ciancio.[xlv] La famiglia dei Peta (Todaro, il figlio chierico Paolo, Giorgio, Francesco e Minica Masci, vedova di Petro), occupavano tutto un rione con una “continenza” di case “cum orto contiguo”.[xlvi] Il chierico Francesco Buba e la madre Nescia Stanizzi, vedova di Antonio Buba, abitavano una casa confinante via mediante con quella di Aloisio Carullo e sempre via mediante, con quella della vedova di Paolo Masci.[xlvii] Vi era poi una continenza di case che apparteneva a Ioanne Pennola. Essa confinava via mediante, con la casa della vedova di Petro Dara e la casa della vedova di Antonio Petruzzo.[xlviii]

La toponomastica del casale ricorda anche il campanile, il luogo detto la Cona ai confini dell’abitato ed il rione Celzo.[xlix]

 

Il paesaggio

Il “distretto” del casale si estende nella fascia presilana tra il fiume Crocchio ed il suo affluente Nasari. Il territorio di natura collinare è caratterizzato da valloni e timponi. Vi sono pochi terreni adatti alla semina. Predominano le terre inseminabili e boschive. Spesso il terreno è scosceso, pietroso, scivoloso e sterile e non manca, specie nella parte verso la marina, di essere “oliso, e cotraco, val quanto a dire in cui non si produce nemmeno erba”.[l] Verso monte è boscoso, adatto al solo uso di pascolo.[li] Non mancano alcune piccole sorgenti, dei laghetti e dei pantani. Verso la marina e nella parte mediana, vi sono numerose vigne alberate con gelsi, ulivi e alberi da frutto ed estesi querceti, mentre più a monte predomina il castagneto. A sinistra del fiume Crocchio ci sono le terre dette “Comuni” dell’università di Belcastro, Andali e Cuturella.

Attorno all’abitato vi sono gli orti con gli alberi da frutto. Nella parte mediana il paesaggio è caratterizzato dai numerosi alberi da frutto dove spiccano “citrangoli”, “sorbi”, “arangi”, “mali aurei”, “pomi”, “pruni”, “nuci”, “mendoli”, “peri”, “cerasi”, “fici”, ecc.. Particolarmente numerosi e presenti su tutto il territorio sono gli alberi di gelso (“sicomis”) nero e bianco, che indicano una estesa bachicoltura (“sirico”) ed una fiorente lavorazione della seta. “Bovi”, “belvae sumerinae”, “vacche”, “crape”, “porcastri”, “pollitra”, “frisinga”, “scrufa”, “porci”, “pecore”, “pollitra cavallina”, ecc. sono gli animali, che aiutano ed alimentano gli abitanti. Particolarmente numerose sono le capre, le pecore ed i maiali. “Cipulline”, “agli”, “olive”, fave, ceci, castagne, grano, orzo, “ripuli”, “caso pecorino”, “germanella”, “prisutti”, olio, “vino”, “sayme” e “lardo” sono i prodotti principali con i quali si nutrono gli abitanti.

Andali

Paesaggio nei dintorni di Andali (CZ).

Gli orti

Alcuni orti sono situati accanto alle case dell’abitato. Altri appena fuori dalla parte di sotto del casale.[lii]

 

Le vigne di Cuda

La località Cuda era situata nel distretto del casale di Andali e confinava con il “vallone di Andali”. La località, particolarmente importante per la vita economica del casale, era parte coltivata a vigne e parte coperta di castagni.

In questo luogo si estendono i vigneti di molti abitanti del casale. I vigneti sono spesso gravati da un censo annuo dovuto al feudatario (“francam, salvo tamen ab onere annui reditus ab hodie in antea q.n.s si esset cui de jure”), al quale spesso si aggiungono quelli dovuti ad enti ecclesiastici di Belcastro. Le vigne sono spesso alberate con alberi da frutta ( fichi, querce, “sicomis seu celsi”, ecc) . Qui ci sono le vigne di Paolo Tantillo (“diversis arboribus arboratam et vitibus vitata), di Matteo Strati, di Matteo Pinnola, di Ioannella Mazza, vedova di Antonio Strati, (“vitibus vitatam et diversis arboribus arborata), di Tommaso Priamo, di Marco Pignerio, di Marcello lo Preite di Belcastro, del reverendo Petro Mazza, di Caterina Spata, vedova di Nicola Sciumbata, (“vineam de vitibus vitatam et diversis arboribus arboratam cum ficis quercis sicomis et aliis arboribus et cum terreno circum circa vinie p.tte”), di Matteo Forino, di Francesco Strata, di Todaro Peta (una vigna di viti vitata, et diversi arberi arborata), di Antonio e Francesco Peta, di Ioanne Cacossa, di Petro Dara, di Antonio Vadulato, di Jacobo Schipano, di Gioanni Garcea, di Salvatore Cacossa, di Ioannes Stanizzi (vigna e gelsi), di Andrea Spata, ecc.[liii]

 

Il seminativo

Dove è stato possibile disboscare sono stati ricavati piccoli appezzamenti di terreno adatti ad essere seminati. Alla semina spesso seguono scarsi raccolti dovuti alla poca resa dei terreni ed alla siccità. “Orgio”, lino, grano, maiorca, fave, “ciceri” sono i principali prodotti, che si possono raccogliere su parte delle possessioni e dei vignali di “Scavigna”, “Sgarrillo”, “Colle di Andali”, ”San Cataldo”, ecc.

 

Il castagneto di San Giovanni

Un posto importante per l’economia del casale è rappresentato dal castagneto. Il castagneto si estende soprattutto nei luoghi detti “sopra Andali” e San Giovanni Battista e nelle località Cuda e San Cataldo. Tra i proprietari troviamo la Religione di Malta, Tommaso Priamo, Angelo e Cesare Yrovasi, Maria Ratta e Aurelia Salvati, Fragostina Caputa, Paolo e Francesca Tantillo, Mario Rota, Giovanni Peta, il chierico Giovanni Giacomo Morelli, Marco Steriti (continentia di terre arborate di castagne, e cerze in loco ditto Cuda confine le castagne dell’heredi del q.m Minico Borrello, confine le castagne di Masi Cimino).

La Religione di Malta possiede “San Giovanni”, una vasta estensione alberata di castagni, situata “in loco ubi dicitur sop.a Andali”, che è stata suddivisa e data a censo agli abitanti del casale e di Belcastro. Così è descritta in una platea dell’inizio del Seicento: “Item detta Balial Corte tiene ancora un altro pezzo di t.ra dissutile con certe castagne, e dui pedi di celsi. Dove se dice Andali alla montagna di questa banda detta la fiumara de nasari iux.a di parte di sotto la via publica, di l’altra parte la serra del Vescovado di Belcastro e tira alla colla delo nocito e tira alla serra delo Iurvo nominato Petro de Sarvato, alias de greco ad Andali e và lo vallone appendino siccagno, che descende alle fate, e corre a petra maiure e tira allo passo delo vallone sotto le castagne del sig.r Alonso Morello e và la via via insino alle t.re e castagne de t.ho Lerro per la Nuce del Vescovado d’Andali e la via via delo passo delo scaccaro, e la via via per lo vallone siccagno in su sin allo terreno dele castagne, che furo del q.m Ant.o de Pedutella dall’à và à tirare alla colla deli pira, e la costa appendino, e cala all’acqua che nasce sotto lo timpuni nominata l’acqua dela pina, e la serra serra seù cinte và a ferire la via via in detta Macchia di Nasari et in detto terreno di santo Gioanne vi sono dentro molte terre donate à censo, e castagne che rendono all’ecc.a dentro li sopradetti confini deli quali tu. Restanti per l’ecc.a, se ne suole havere una salma di grano l’anno, le quale tu., censi et castagne sele godeno et usufruttano li Cappellani, che servano l’ecc.a di santo Gio.e.”.[liv]

Tra coloro che all’inizio del Seicento, pagano censi in denaro spettanti alla Grancia di Belcastro e provenienti dal castagneto di Andali, troviamo: Vincentio Coco, figlio di Indici, Fiorentino Pignieri, Cesare Caivano, Virginia de Massaris, Pietro Francesco e Gio. Vincetio Morelli, il Rev.do Donno Horatio Maurice, Vin.tio San Marco, Bartolo e Antonio Pirayna, Andrea Zupa. Altri censi provengono alla Balliar Corte dalle vigne di San Giovanni, che possiedono Antonio e Luca Salinaro, Mastro Francesco Caluzzune, Gio. Batt.a, Giulio e Gio. Vicentio Cimini.

Il numero delle successioni nel passaggio delle proprietà e dei censi, evidenzia che la censuazione del castagneto e delle vigne di San Giovanni di Andali, come anche degli altri territori, è da collocarsi poco dopo la metà del Cinquecento, anni in cui avvenne anche la formazione del nuovo casale di Andali con l’arrivo dei nuovi coloni “albanesi”.[lv] Le terre di San Giovanni dove era situato l’antico abitato, erano situate “nel timpone di questa terra di Andali”, poco distante e sopra il nuovo abitato.[lvi]

Esse confinavano con la continenza di terre dette Sgarrillo[lvii] e con il vignale detto Colle di Andali.

Andali castagneti

Castagneti in località “Colle di Andali”.

I vignali

In località “Ascavigna” vi erano i vignali di Domenico e Tommaso Altomare, di Lupo Ratta, degli eredi di Michele, e della SS.ma Annunciazione di Belcastro. Sempre in località “Ascavigna” vicino al vallone, o corso d’acqua, che esce “dallo pantano”, vi erano i vignali del fu di Scipione de Vono, degli Altomare e quello del Reverendo Giovanni Tommaso Casizzone. Parte dei vignali erano coltivati a grano.

 

Le possessioni

Le “possessioni” erano estensioni di terreni in parte seminabili, in parte sterili ed in parte alberate con ulivi, querce, gelsi, sorbi, fichi, “arangi” ed altri alberi “domiti et indomiti” (“arboratam olivis, quercis, sicomis et aliis arboribus una cum terris nobilibus et et ignobilibus cum d.a possess.e existentibus”). Esse si estendevano lontano dall’abitato soprattutto lungo la via che dal casale andava alla marina e nelle località “Vallone de Cipulla”, “Cuda” e “Ascavigna”.

I maggiori proprietari erano soprattutto benestanti del casale e della città di Belcastro: il chierico Aloisio de Cummisso, D. Cesare Galati, Maso Pignero, Pietro Cosco, Dianora Schipano, Domenico Altomare, Giorgio Colistra, Giovanni Petruzzo, Giovanni Stanizzi, i coniugi Francesco Casizzone e Angilella Pignerio, Dianora Schipano, ecc.

Andali

Oliveti presso Andali (CZ).

 

Viabilità

La località di Andali rappresentò fin dal Medioevo un nodo viario ed un incrocio importante. Una via collegava il casale, attraversando il vallone dove scorre il fiume Nasari, alla città di Belcastro: “Villa Aragonia, vulgo Andali, uno, sed pessimo, ac praecipitoso stadio distans a Civitate”.[lviii] La via che da Belcastro andava al casale attraversava il fiume vicino a dove c’erano i mulini della città.[lix] Una via andava verso la montagna passando per il vignale “Colle di Andali”.[lx]

Una “antica via” passando per la località San Cataldo lo collegava con l’abitato di Sersale. Sempre dal casale partiva la “viam per quam itur ad marinam”. “La via che si cala alla marina”, attraversava “lo vallone de Cipulla” e la località detta “li cruci”, o Croce di Andali.[lxi]

andali1882

La viabilità di Andali in una carta della fine dell’Ottocento.

APPENDICE

Documenti estratti dall’Archivio di Stato di Catanzaro

Ripartimento di Zagarise. 1784

Andali.

Inventario dell’averi, e rendite della Ven. Cappella del SS.mo Sagramento di questa Terra di Andali incorporate alla Cassa Sacra

Cappella del SS.mo Sacramento

Inventario degli averi e delle rendite della Ven. Cappella del SS.mo Sacramento eretta dentro la chiesa Parrocchiale della terra di Andali, devoluti ed incorporati alla Cassa Sacra: *“Colle di Andali, vignale ignobile, volgarm.te d.o Vignale della Chiesa sito, e posto dentro il Territorio di Belcastro della Capacità, ed estensione tumulate undeci dentro il quale vi esistono molti segni di fabriche antiche, dei quali tt.a undeci, sole tumulate cinque circa, non continuate, ma respettivamente spezzoni spezzoni, dentro esso comprensorio, sono seminabili, confina colle Terre di D. Pietro Paolo Fragale dalla parte di Tramontana, ed il termine divisorio tra di loro è un vallone secco, dall’altre parti confina colle Terre di S. Giovanni ò sia del Fra Cappellanato di Malta, esso vignale tira sino al luogo, volgarm.te d.o La fontana delli jungi, esce alla crista, e crista a basso piglia il vacante sino alle Castagne che sono da quella parte immediatam.te del vallone corr.te il quale divide questo vignale da d.e terre di S. Giovanni, tira la Confinazione p(er) esso vallone Corr.te abasso, esce alle Castagne dell’eredi di Marcantonio Lia in cui vi è un termine divisorio ò sia un sentiero di terreno, che ne indica La Confinazione, finita questa Confinazione tira della parte di sotto altro termine ò sia sentiero di terreno tra esso vignale , e l’accennate terre di S. Giovanni, e và a finire a d.o vallone secco, tra il med.o e le terre del pred.o Sig.re Fragale. V’arbustato con tre piedi di Castagne, due delle quali sono vecchie..” A margine “Questo vignale viene diviso nel mezzo da una publica strada p(er) cui si và alla montagna”.

San Cataldo altro vignale di terre ignobili, sito e posto nel med.o territorio, e dell’estensione e capacità tumulate cinque incirca, dentro il med.o vi stanno alcuni segno o siano pedamenti di fabriche antiche volgarm.te d.te li casaleni di San Cataldo, epperciò delle cinque tumulate di estensione, ne rimangono solo tt.e quattro seminabili perche l’altra tumulata viene occupata da d.e casaleni, confina dalla parte di sotto con le terre d.e Mazolfo del dominio di D. Pietro Paolo Fragale di questa terra, le quali vengono divise da esso vignale per mezzo di un grosso sentiero di terreno, che va a terminare al primo casaleno che s’incontra dalla sud.a parte di sotto, et indi dall’antica via che s’andava a Sersale, dalla parte di tramontana per mezzo la crista di una collinetta, colle terre del fu Arciprete D. Gio. Batt.a Stanizzi oggi per causa di doti possedute da m.ro Antonio Donato di q.a terra, dalla parte soprana, col vignale dell’abolito conventino domenicani di Belcastro, devoluto alla Sacra Cassa, e dal ponente vien terminato da un vallone, che lo divide dalle terre, che erano di pertinenza dell’abolita confraternità, sotto il titolo di S. Anna di q.a sud.a terra.

Scavigna vignale di terre nobili, composte dal pezzotto, anni sono cambiato col fu Arciprete Fragale, a cui essa ven.le cappella diede il pezzotto volgarmente d.o Cuda, e dall’altro vignale pervenuto alla cappella med.a dalla cappella del Purgatorio di Belcastro, tra li quali pezzotto, e vignale per essersi fatta una sola continenza, non vi è segno ora di divisione, sta situato e posto in d.o territorio ed è dell’estensione, e capacità tumulate otto circa, quattro dei quali sono seminabili, ed altre tumulate quattro, consistentino in un timpone pietroso, e boscoso sono inseminabili, potendo servire per solo uso di pascolo. Le terre di queto vignale per causa dell’alluvioni accadute nel passato inverno, e dai trascorsi tremuoti si sono riconosciute in buona parte aperte perche rutolorono , ed ondolorono, verso la parte di sotto per il cui motivo formorono vari stagnetti di acqua. Confinano da d.a parte di sotto colle terre di D. Nicola Talarico di Belcastro, e per il sud.o ondolamento dell’espressate terre di Scavigna si vennero a coprire, e distruggere i termini divisori, ne vi si possono apponere, per esservi un continuato stagno di acqua in d.a confinazione, dalla parte tra levante e greco confina con un vignale di Tomaso Fragale di d.a Terra per mezzo di un termine grosso o sia sentiero di terreno,, continuando verso greco, confina con un vignale di Antonio Gualtieri alias Esopo di Belcastro per mezzo di una macerie di pietre, che per causa dell’alluvioni pred.te alquanto si profondo, e con un vignale dell’abolito conventino dei domenicani incorporato alla cassa sacra, e dalla parte di tramontana colle terre d.e il Pagano dei S.ri Gimigliano di essa città per mezzo di un termine divisorio porzione formato di macerie di pietre, e porzione di un vallone, e tirando in su si esce sopra d.o timpone e finalm.te dalla parte di sopra, tirando verso ponente confina per mezzo di una rupe formata di un abbasso di terreno, che va a terminare in un cristone colle terre ignobili di d.a ven.le cappella, volgarm.te chiamate Iannicani da detto cristone tirandosi a deritto verso levante al termine grosso che divide d.e terre da quelle sopra descritte di Tomaso Fragale e questa linea puol servire per ora di termine, tra esso vignale e le terre di D. Nicola Talarico. V’arbustato di trenta piedi di quercie, cioè dodeci grandi molte annose e con pochi rami, e dieciotto piccole…

Iannicani vignale di terreno corso, ed ignobile sito, e posto nel territorio med.o e dell’estensione, e la capacità tt.e nove circa otto dei quali sono seminabili, ed una infertile perche di terreno volgarm.te d.o oliso, e cotraco, val quanto a dire in cui non si produce nemmeno erba. Confina con una pietra grande sita nel termine della publica via per cui si va alla Cuturella, che divide da esse terre quelle di D. Gio. Iazzolino di Belcastro, scende nel vallone corrente d.o Iannicani, lo quale è dalla parte di ponente, e vallone vallone, lasciando questo sale in su, e si unisce al sopra descritto vignale di terreni nobili di essa ven. cappella, che lo circonda dalla parte di tramontana, e tirando si unisce a d.a pietra grande; va arbustato di tre piedi quercie…

Piede di celso moro nel luogo d.o La Fontanella, possiede inoltre esso piede di celso moro sotto l’orto del q.m Gius.e Stanizzi e m.ro Tomaso Gentile sito nella publica via che conduce alla fontanella, poco distante da questo abitato di Andali, sotto la quale via vi sono li celzi di D. Pietro Paolo Fragale, che un tempo furono di m.ro Pietro Stanizzi…

 

Cappella sotto il titolo dell’Immacolata Concezione eretta dentro la parrocchiale chiesa di questa Terra di Andali

Sgarrillo. Continenza di terre corse nel luogo volgarm.te detto Sgarrillo, sita e posta in questo territorio, e propriamente nel timpone di questa terra di Andali poco distante da questo abbitato, e nella parte che riguarda il settentrione. Dalla parte di occidente confina colle terre di S. Giovanni, osia del Fra’ cappellanato di Malta, per mezzo di un grosso sentiero di terreno che ne indica la confinazione inalterabile, il quale va a terminare verso la parte di maestro in un vallone, che dalla parte di sopra la divide dalle terre degli eredi di Fran.co Peta, dalla parte di tramontana confina col vallone d’acqua corrente detto il fiume Lavandaro, e dalla parte di sotto colle terre dell’eredi di Ferrante Cacossa, tra le quali vi è una vallottella che dimostra pure la confinazione. Va arbustata di sessanta piedi di castagne … Questa continenza è dell’estensione e capacità di tumulate undeci circa, cioè sei seminabili e sono propriamente quelle terre che confinano con quelle di S. Giovanni, o sia del Fra’ cappellanato di Malta, e l’altre cinque inseminabili per essere scoscese lavate dalle piogge, e sterilissime

 

Confraternita sotto il titolo di S. Anna e del Rosario di questa Terra di Andali

San Cataldo comprensorio di terre corse, ed ignobili site e poste nel territorio di Belcastro, nel luogo detto S. Cataldo e dell’estensione e capacità tumulate ventiquattro circa, dodeci dei quali sono seminabili, ed altre dodeci sterili, ed infruttuose a motivo di esser scoscese, e pietrose confinano dalla parte di sopra per mezzo un grosso sentiero di terreno, colle terre demaniali vuolgarm.te d.e comuni di q.a uni.tà di Andali, e propriam.te con quelle, che oggi tiene occupate Fedele Talarico, dall’altra parte confina con un amasso di pietre native, e di là va a ferire ad un altro ammasso di pietre grandi, quindi cala un poco in giù per mezzo di altre pietre più piccole, e va a terminare in un ammasso di pietre di mezzana grandezza, e dall’altra parte confina con il tenimento d.o Vajna del dominio di D. Pietro Paolo Fragale di questa terra e dell’abolito conventino dei domenicani di Belcastro, per la terza parte, indi va a ferire in un vallone, che divide queste terre da quelle, che era di pertinenza della cappella del SS.mo Sagramento di questa predetta terra, e vallone vallone in su, ch’è dalla parte di tramontana, va ad unirsi al pred.o termine, o sia sentiero grosso, che lo divi de dalli comuni di detta terra..

 

Cappella sotto il titolo del Purgatorio eretta dentro la parrocchiale chiesa di Andali

Scavigna, terreno corso, ed ignobile della capacità, ed estensione tumulate sette circa sito, e posto in territorio di Belcastro, sei de quali sono seminabili ed uno inseminabile perché ridotto a pantanoso per lo terreno, che l’anno caduto rotolò a causa dell’alluvioni, e tremuoti, confina dalla parte di mezzo giorno con un vallone di acqua corrente chiamato scavigna, dalla parte di scirocco per mezzo di un termine, o sia sentiero di terreno, colle terre dell’abolita chiesa della sanità della città di Belcastro, dalla parte di tramontana con un vignale Le Pera del r.do Capitolo di essa Città,, e dalla parte di ponente, e lebeccio con il vignale di Tomaso Fragale di Andali per mezzo di un altro termine o rialto di terreno, che tirando in giù va a finire nel sud.o vallone di Scavigna.

Scavigna altro pezzotto di terreno ignobile e corso nella sud.a continenza di Scavigna, della capacità, ed estensione quarti tre di tumulo, confinante da un lato col sud.o vignale volgarm.te d.o Le Pera dello Capitolo di Belcastro, dall’altro lato colle terre di Dom. Grande di Andali, e dalla parte di ponente e mezzo giorno colle terre o sia vignale di Tomaso Fragale. Questo terreno si è riconosciuto per esser in un .. in cui percolano tutte le acque del pendio, terreni che lo circondano, senza averne uscita molto pantanoso…

(ASCZ, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, ff. 1 e sgg.).

Andali

Documenti estratti dai protocolli del Notaio Francesco Mazzaccaro di Belcastro (ASCz)

23.5.1631. Nella terra di Cropani. Joannes Baptista de Urso della città di Belcastro deve avere da Paulo Tantillo del casale di Andali, ducati 31 per obbligo stipulato per mano di Silvestro Vellino, ordinario attuario della terra di Cropani (f. 21).

7.12.1631. Nella città di Belcastro. Il chierico Francesco Scarrillo della città di Belcastro, figlio di Colantonio Scarrillo, da una parte e dall’altra Paulo Tantillo e la figlia Francesca Tantillo, vedova di Andrea Cacossa del casale di Andali, pertinentia di questa città di Belcastro. Paolo Tantillo possiede una vigna in località Cuda confine la vigna di Matteo Strati, la vigna di Matteo Pinnola. La vigna del Tantillo, su richiesta dello Scarrillo che avanza 22 ducati dal Tantillo, fu messa all’asta pubblica nella piazza di Belcastro e comprata dal chierico Iacinto Marsano per ducati 18 con il peso dell’annuo censo di carlini annui 25 dovuti alla cappella del SS.mo Sacramento di Belcastro. La vigna fu poi venduta dal Marsano allo Scarrillo per lo stesso prezzo. Lo Scarrillo la ridiede al Tantillo con le stesse condizioni (ff.32-33r).

24.2.1632. Nella città di Belcastro. Ioannella Mazza, vedova di Antonio Strata, con il consenso dell’arcidiacono Ioanne Battista Lazzaro, da una parte e dall’altra Antonio Pignerio di Belcastro. La Mazza possiede una vigna “vitibus vitatam et diversis arboribus arborata in località Cuda “iuxta vineam et castanetum Thomae Priamo, vineam Marci Pignerio (francam / salvo tamen ab onere annui reditus ab hodie in antea q.n.s si esset cui de jure). La Mazza la vende al Pignerio per ducati 24 (f. 56).

28.6.1633. Sposalizio tra Tommaso Priamo, della città di Belcastro, e la vedova Ippolita Galati. Tra le doti vi è “una possessione arborata di celzi, et altri arbori, et con terreno contiguo a d.a possess.e confine la possess.e di D. Cesare Galati, la possess.e di Masi Pignieri et altri fini posta detta possess.e nel territorio di d. a città in loco d.o ascavigna (f. 28).

19.10.1633. Nella città di Belcastro. Pater Frater Thomas Ciaccio Bellicastren. Ordinis Praedicatorum procuratore di Ioanne Battista de Urso da una parte e dall’altra Paolo Tantillo e Francesca Tantillo vedova di Andrea Cacossa del casale di Andali di pertinenza della città di Belcastro. I Tantillo sono gravati di un annuo censo di ducati cinque per il capitale di ducati 50 per la celebrazione di una messa settimanale nella chiesa o cappella di Santa Maria della Pietà per le anime del purgatorio. I Tantillo possiedono una vigna “diversis arboribus arboratam et vitibus vitata in loco ubi dicitur Cuda iuxta vineam mattei strata della città di Belcastro vineam marcelli lo preite … Duo castaneta unum positum intus castanetum S.ti Joannis et alterum in loco ubi dicitur S.to Cataudo iuxta terras fran.ci caputi castaneas marii rota … domum sitam et positam intus casalem Andali positam supter eccl.am ipsius casalis iuxta domum dominici Ciancio via mediante et alios fines … Franca salvo tamen ab onere annui reditus cui de jure”. Il Ciaccio compra una parte del capitale che grava sui beni dei Tantillo (ff.71-72).

11.1.1634. Nella città di Belcastro. Angelus Yrovasi di Belcastro da una parte e dall’altra Cesare Yrovasi. Angelo possiede in comune e indiviso con cesare, Maria Ratta e Aurelia Salvati un castagneto in località Cuda “iusta castanetum fragostinae Caputae, possessionem Angeli Venuti al presente del chierico Aloisio de Cummisso (f. 12).

6.9.1636. Aurelia e Tommaso Cosco, figli ed eredi di Pietro Cosco, possiedono “uno vignale di terre arborato con cerze, uno sorbo, uno celso, et altri alberi loco detto ascavigna, confine la possessione di Dianora Schipano e la possessione di Domenico Altomare (f. 20).

20.1.1638 nel casale di Marcedusa. Contratto tra Thomas e Ioannis Stanizzi del casale di Marcedusa e Gorigus (Giorgio) Peta del Casale di Andali. Gli Stanizzi possiedono nel distretto del casale di Andali, territorio della città di Belcastro, nel luogo detto “lo vallone de Cipulla” una possessione confine la possessione di Giorgio Colistra del predetto casale di Andali, “viam per quam itur ad marinam viam publicam et alios fines”. La vendono al Peta per 60 ducati (ff. 46v-47). La possessione degli Stanizzi era “arborata di cerza celsi et altri alberi”.

20.2.1638. Nel casale di Marcedusa. Caterina Petruzzo del casale di Marcedusa, col consenso del marito Giorgio Toccio, da una parte e dall’altra Tommaso Stanizzi dello stesso casale. La Petruzzo possiede la terza parte di una possessione “et proprie illam ex parte inferiori que fuit Jonnis Petruzzo sitam et positam in districtu casalis Andali territorium civitatis Belcastri iuxta possessionem Giorgi Colistra casalis Andali viam per quam itur ad marinam. “francam / salvo tamen ab onere annui reditus spettantis super p.tta parte possessionis ab hodie in antea cui de jure/”. La vende allo Stanizzi per 20 ducati (f. 46).

3.5.1638. Nella città di Belcastro. Contratto di matrimonio tra Detio Visciglia ed Elisabetta Schipano, figlia del fu Jacobo Schipano. Tra le doti una vigna in località Cuda confine la vigna di Gioanne Garcea e la vigna di Salvatore Cacossa del casale di Andali. (f. 58).

5.6.1638. Nella città di Belcastro. I coniugi Francesco Casizzone e Angilella Pignerio possiedono una possessione in località ascavigna “arboratam olivis, quercis sicomis et aliis arboribus una cum terris nobilibus et et ignobilibus cum d.a possess.e existentibus iuxta possessionem dittam de Spinello, possessionem Dianorae Schipano et alios fines” (f. 60).

30.8.1638. Nella città di Belcastro, Il Chierico Luca Antonio La Rocca, procuratore della cappella del SS.mo Corpo di Cristo situata dentro la cattedrale da una parte e dall’altra Ioannes Stanizzi del casale di Andali. Lo Stanizzi possiede una vigna e celsi in località cuda confine la vigna di marcello lo preite di belcastro e la vigna di Andrea Spata di Andali (f. 67).

6.10.1638. Nella città di Belcastro. Julia Caputa, vedova di Angelo Morello, possiede “ hortalem sicomorum in loco ubi dicitur nasari, iuxta sicomorum heredum q.m Joannis Laurenti, et Horatii Carpansano viam publicam per quam itur ad casalem Andali” (f. 75).

7.11.1638. Nella città di Belcastro. Tra le doti tra Giovanni Battista Corea e Caterina Ratta vi una vigna in località Cuda confine la vigna di Giovanni Garcea (f. 84).

27.11.1638. Nella città di Belcastro. Il chierico Joannes Jacobus Morelli possiede “quendam petium terreni arboratum quercis et castaneis situm et positum in loco ubi dicitur sop.a Andali iuxta castaneas, et terras Sancti Joannis Baptistae Religionis Maltae, iuxta castaneas heredum q.m Joannis Peta (f. 83).

10.12.1638. Nel casale di Marcidusa. Tommaso Stanizzi del casale di Marcedusa da una parte e dall’altra Giorgio Peta del casale di Andali. Lo Stanizzi vendette una possessione a Giorgio Peta posta nel territorio della città di Belcastro seu destritto del casale di Andali in loco dove si dice lo vallone di Cipulla arborata detta possessione di cerze celsi et altri alberi confine la possessione di Giorgio Colistra, la via che si cala alla marina et altri confini” (f. 86).

15.1.1639. Nella città di Belcastro. Domenico e Tommaso Altomare possiedono “quendam vinialem in loco ubi dicitur ascavigna, iuxta vinialem lupi ratta, iuxta vinialem heredum q.m Micahelis Amoruso, iuxta possessionem ipsorum de Altomare, iuxta vinialem SS.mae Annunciationis dittae Civitatis …. Alium vinialem, que fuit q.m Scipionis de Vono positum in su.dicto loco iuxta vinialem R.di D. Joannis Thomae Casizzone, vallonem seu cursum aquae que exit dallo pantano” (f. 92).

10.3.1639. Nella città di Belcastro. Domenico e Tommaso Altomare possiedono “una possessione arborata di celzi, olive, cersi, fico et altri arbori domiti et indomiti, con una vigna arborata con diversi alberi” in località asca vigna confine la possessione di Dianora Scipano, i vignali di D. Rev. Gio. Tommaso Casizzone, la vigna di Masi Pigniero (f. 98).

10.4.1639. Nella città di Belcastro. Contratto tra Antonio Petruzzo del casale di Andali della pertinenza della città di Belcastro ed il reverendo Petro Mazza della città di Belcastro. Il Petruzzo ha un censo di Carlini 8 per ducati 8 di capitale sopra la “vinea” del reverendo Mazza posta in territorio di Belcastro in località Cuda “iuxta vineam Pauli Tantillo p.tti Casalis, vineam Mattei Strata, et alios fines”. Poiché il Petruzzo è in debito con Il SS.mo Sacramento del casale di Andali per ducati 8 per l’affitto di alcune capre (duc. 4 per quest’anno e duc. 4 per l’anno venturo), cede l’annuo censo per ducati 8 di capitale al Santissimo Sacramento (f. 103).

3.10.1639. Nella città di Belcastro. I fratelli Horatius e Antonius Pignerius, figli ed eredi di Adoritio, dichiarano che il loro padre vendette al fu Salvatore Cacossa del casale di Andali una vigna in località Cuda confine la vigna di Antonino Vadulato, lo vignale delli heredi del q.m Mario Rota (f. 118).

28.8.1641. Il rev. Giovanni Tommaso Gargano acquista all’asta “quendam costam seu vinialem vulg.r dittam de trumbetta iuxta flumen dittum de nasari vallonem dittum de cipulla, terras nominatas li cruci thomae Priamo, et vallonem vallonem rursum qui dividit costam p.ttam cum costam de girormilla” (f. 141).

14.10.1641. Nella città di Belcastro. Contratto tra Caterina Spata del casale Andali, vedova di Nicola Sciumbata, e il Mag. Antonio Pignerio della città di Belcastro. La Spata possiede “vineam de vitibus vitatam et diversis arboribus arboratam cum ficis quercis sicomis et aliis arboribus et cum terreno circum circa vinie p.tte” “in loco ubi dicitur Cuda iuxta vineam Thomae Priamo, iuxta vineam Mattei Forino, vineam Fran.ci Strata iuxta vallonem quem dividit terrenum Giorgi Peta Casalis Andali et vallonem rursum, confinat cum possessione heredum q.m Angeli Venuto. Lo vande per 52 ducati (f. 113).

20.7.1642. Nella città di Belcastro. Todaro Peta ed il figlio il chierico Paolo Peta da una parte e dall’altra i RR. Frati Antonio di Rossano, guardiano del monastero di S. Francesco d’Assisi di Belcastro, frate Francesco de Cotroni, sacerdote e procuratore del monastero, frate Thomas Buffone di S.ta Sofia, frater Dominicus Milo de Rossano laico. I Peta possiedono una vigna di viti vitata, et diversi arberi arborata sita nel distretto del casale di Andali in località Cuda, confine la vigna di Antonio e Francesco Peta, lo vallone di Andali e altri confini e una continenza di case poste dentro il casale di Andali confine la casa di Giorgi Peta e la casa di Francesco Peta. Trovandosi in grande necessità, prendono in prestito dai frati ducati 20 al tasso del 10% sui loro beni (censo di carlini 20 annui) (f. 189).

1.8.1642. Nella città di Belcastro. Minica Masci del casale di Andali, pertinenza della città di Belcastro, vedova di Petro Peta, monaca domestica dell’ordine di S. Domenico, ed il figlio Georgio Peta dello stesso casale da una parte e il R.do frate Antonio de Rossano, guardiano del monastero di S. Francesco d’Assisi, che attualmente si trova solo nel monastero. I Peta possiedono una continenza di terre “ingnobilium” nel territorio della città in località Campia ed un’altra possessione “diversis Arboribus arboratam” … sotto il casale in località “lo vallone de Cipulla iusta viniam Georgi Colistra del predetto casale e la via pubblica ed un certo orto “sicomorum” similmente sotto detto casale iusta terrenum Ioannis Peta Thomae Priamo ed una continenza di case dentro il casale confine la casa di Todaro e Francesco Peta ed un’altra continenza di case “cum orto contiguo” posta dentro il casale. Tali beni sono franchi “salvo tamen ab onere redituum qns” e solo gravati di un annuo censo di ducati 7 per un capitale di ducati 70 dovuti alla chiesa della SS. Annunziata della città di Belcastro. Trovandosi in grande necessità la Masci ed il figlio prendono in prestito dai frati ducati 70 al 10% (ff. 186-187).

12.8.1642. Nella città di Belcastro. Andrea Forino di Belcastro da una parte e dall’altra i RR. Padri Domenico di Belcastro, priore del monastero di S. Domenico, Tommaso Ciaccio, Antonino da Belcastro, Jo. Battista de Aia, procuratore del monastero, Tommaso di Mesoraca e Tommaso da Bisignano, lettore. Il Forino possiede una casa in Belcastro ed una vigna in località Cuda confinante con la vigna di Tommaso Priamo e con la vigna del mastro Antonio Pignerio. Trovandosi in grande necessità sottomette i suoi beni ad un annuo censo prendendo in prestito dai frati ducati 19 al 10% (f. 190).

2.9.1642. Nella città di Belcastro. Nicola Sulla del casale di Carraffa e Minica Colistra del casale di Andali, attualmente abitante nel casale di Carraffa, vedova di Angelo Sulla da una parte e dall’altra Francesco Peta del casale di Andali pertinenza della città di Belcastro. Il Sulla e la Colistra possiedono una casa nel casale di Andali confinante con la casa del q.m Joannis Colistra e la casa del q.m Petro Colistra. La vendono al Peta per ducati 15 (ff. 192v-193r).

22.10. 1642. Nella città di Belcastro. Paolo Apa del casale di Andali attualmente abitante nel casale di Zingarie da una parte e dall’altra Petro Dara del casale di Andali. L’Apa possiede nelle circonferenze (“in circumferentiis”) del casale di Andali nel luogo detto “dietro la Chiesa” una vinea confine “ortum magistri Michaelis, viam per quam itur allo lavaturo, et via sursum quae confinat cum funtanella. La vende per ducati 12 al Dara (ff. 196-197r).

3.11.1642. Nella città di Belcastro. Vincenza Coco, vedova di Nicola Scarillo, possiede un annuo censo sulla vigna di Matteo Strata situata in località Cuda “iuxta possessionem Marcelli lo Preite e un’altra vigna dello Strata (f. 198).

15.1.1643. Nella città di Belcastro. Anna Lazzaro, vedova di Iacobo Invida, possiede “quendam continentiam domorum sitam et positam intus p.ttam civitatem in loco ubi dicitur sancta maria iuxta ecc.am dirutam sancti Joannis domus Cl. Lucae Antonii Pitera Civitatis Catanzarii …” (f. 205).

7.4.1643. Nella città di Belcastro. Da una parte i coniugi Vittoria Vaccara e Joannes Paulus Gargano, dall’altra il Rev.do Joannes Bartolus Nicoletta Civ.tis eiusdem et Presbiter Casalis Andali. I coniugi vendono al Nicoletta una “costam arboratam prunis pede uno quercae et aliis arboris” in località “lo vallone delli canali” (f. 210v-211r).

9.4.1647. Nel casale di Andali. Georgio Peta del casale di Andali, pertinenza della città di Belcastro da una parte e dall’altra Joahannes Baptista Carpansano della città di Taberna e la madre Lucrezia Gargano. Il Peta nei giorni passati ha comprato dal Carpansano e dalla Gargano un territorio chiamato la Caputa, Angli e Camere nel territorio di Belcastro confine il feudo detto Moglicane di Carlo Mannarino di Catanzaro, il territorio detto li fleri della religione di Malta, la gabella detta l’acqua della fico di Ottavio di Diano ed altri confini per ducati 1000. Firmano il Diacono Joanne Stanizzi, il chierico Ioanne Domenico Catizzone, il chierico Ioanne Nicoletta e Petro Dara (ff. 21-22).

1.2.1648. Nella città di Belcastro. Nel contratto di matrimonio tra Angilus Greco e Isabella Steriti, figlia di Marco, tra le doti vi è “una continentia di terre arborate di castagne, e cerze in loco ditto Cuda confine le castagne dell’heredi del q.m Minico Borrello, confine le castagne di Masi Cimino, et altri confini” (f. 90).

27.4.1648. Nella città di Belcastro. Il chierico Francesco Buba e la madre Nescia Stanizzi, vedova di Antonio Buba, del casale di Marcidusa da una parte e dall’altra Joannes Pinnola del casale di Andali. Il Buba e la madre possiedono una casa dentro il casale di Andali “iuxta domum Aloysii Carullo via med.te, iuxta domum viduae q.m Pauli Masci via med.te et alios fines”. La casa è pervenuta per eredità dal fu Antonio Buba. La casa è franca “salvo tamen ab onere carelorum trium anno quolibet solvendorum Ducali Curiae huius Civitatis iusta solitum”. Trovandosi in grande necessità, la vendono per ducati 25 (ff. 98v-99).

27.8.1648. In casale Andali. Da una parte Thomas Colistra del casale, figlio di Giorgi Colistra, e dall’altra la vedova Sigismunda Schipano del casale, il figlio Dominicus Peta e la figlia Margarita Peta. Sposalizio tra Tommaso Colistra e Margarita Peta. Sottoscrivono l’atto tra gli altri il presbitero Ioanne Stanizzi di Andali ed il diacono Paulo Peta di Andali, il presbitero Joanne Bartolo Forino ed il clerico Josepho le Chiane (ff. 101-102).

31.8.1648. Nella città di Belcastro. Joannes Cacossa alias Conte del casale del Andali da una parte e dall’altra il presbitero Luca Antonio La Rocca della città di Belcastro. Il Cacossa possiede una casa dentro il casale confine la casa di Antonio Colistra e la casa di Paolo Cacossa via mediante. Inoltre possiede una “vinea” nel territorio di questa città loco La Cuda, iuxta vineam Petri Dara, iuxta vineam Antonii Vadulato ed altri confini ed un’altra vinea nel luogo detto “sopre Andali” iuxta vineam Petri Colistra. Trovandosi in necessità le sottomette ad annuo censo di carlini 20 per ducati 20 di capitale concesso dal presbitero (ff. 105-106).

6.9.1648. Nella città di Belcastro. Ioanne Pennola del casale di Andali pertinenza della città di Belcastro da una parte e dall’altra il frate Petro de Catanzaro, guardiano del monastero di S. Francesco d’Assisi, e frate Matteo de Castro Villaro. Il Pennola possiede una continenza di case dentro il casale confine la casa della vedova di Petro Dara via mediante e la casa della vedova di Antonio Petruzzo ed una vinea posta nel distretto di detto casale confine la vinea di Paolo Tantillo. Li sottomette ad annuo censo di carlini 20 per ducati 20 ai frati (ff. 55-56).

19.9.1648. Nella città di Belcastro. Giorgio Peta del casale di Andali, pertinenza della città di Belcastro, da una parte e dall’altra Antonio Peta dello stesso casale ed inoltre il reverendo padre frate Michele di Belcastro Prov., frate Ioanne Baptista de Suriano, frati assegnati nel convento di S. Domenico di Belcastro. I Peta dichiarano che negli anni passati hanno comprato con patto di retrovendendo dai Campagna della città di Catanzaro una gabella di terre aratorie nobili poste in territorio di Belcastro in località la Caputa confine le terre del convento di San Domenico, confine il territorio della Caputa di Giorgio Peta, confine la gabella di Ottavio di Diano detta l’acqua della fico per ducati 200 (ff. 71v-72).

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Note

[i] Pellicano Castagna M, La storia dei feudi nobiliari della Calabria, p.181.

[ii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1699.

[iii] ASN, Tesorieri e Percettori vol. 4087 (ex 485), Conto di Turino Ravaschiero (a. 1564-1565) I-II.

[iv] Pedio T., Un foculario del Regno di Napoli del 1521 e la tassazione focatica dal 1447 al 1595, in Studi Storici Meridionali, 3/1991, p. 265.

[v] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 506/4109, ff. 22, 68v, 95.

[vi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1592.

[vii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1597.

[viii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1603.

[ix] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 558/4162, f. 86v.

[x] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 561/4165, I, f. 41.

[xi] Barbagallo de Divitiis M. R., Una fonte per lo studio della popolazione, Roma 1977, p. 60.

[xii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1612.

[xiii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1620.

[xiv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1627.

[xv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1692.

[xvi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1707.

[xvii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1703.

[xviii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1650, f. 237v.

[xix] Russo F., Regesto, 31454.

[xx] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1634.

[xxi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1645.

[xxii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1641.

[xxiii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1645.

[xxiv] ASV, Nunz. Nap. 182, f. 28, in Russo F., Regesto 57514.

[xxv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1665.

[xxvi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1673.

[xxvii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1677.

[xxviii] Nel 1648 il rev.do Joanne Bartolo Nicoletta è arciprete di Belcastro. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1648, f. 236.

[xxix] Russo F., Regesto, 36609.

[xxx] Russo F., Regesto, 40952.

[xxxi] Russo F., Regesto, 51294.

[xxxii] Russo F., Regesto, 65388.

[xxxiii] Russo F., Regesto, 67532.

[xxxiv] Russo F., Regesto, 68632.

[xxxv] Russo F., Regesto, 76785.

[xxxvi] ASCz, Not. F. Mazzaccaro b. 161.

[xxxvii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro b. 161, a. 1650, ff. 236v, 237v.

[xxxviii] Cola Peta risulta proprietario delle terre di Mutrò in territorio di Crotone che poi passarono a Tommaso Sculco, AVC, Acta, 1699, f. 67v.

[xxxix] Marafioti G., Croniche, p. 214.

[xl] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1699, 1707.

[xli] “Colle di Andali, vignale ignobile, volgarm.te d.o Vignale della Chiesa sito, e posto dentro il Territorio di Belcastro della Capacità, ed estensione tumulate undeci dentro il quale vi esistono molti segni di fabriche antiche, dei quali tt.a undeci, sole tumulate cinque circa, non continuate, ma respettivamente spezzoni spezzoni, dentro esso comprensorio, sono seminabili, confina colle Terre di D. Pietro Paolo Fragale dalla parte di Tramontana, ed il termine divisorio tra di loro è un vallone secco, dall’altre parti confina colle Terre di S. Giovanni ò sia del Fra Cappellanato di Malta, esso vignale tira sino al luogo, volgarm.te d.o La fontana delli jungi, esce alla crista, e crista a basso piglia il vacante sino alle Castagne che sono da quella parte immediatam.te del vallone corr.te il quale divide questo vignale da d.e terre di S. Giovanni, tira la Confinazione p. esso vallone Corr.te abasso, esce alle Castagne dell’eredi di Marcantonio Lia in cui vi è un termine divisorio ò sia un sentiero di terreno, che ne indica La Confinazione, finita questa Confinazione tira della parte di sotto altro termine ò sia sentiero di terreno tra esso vignale , e l’accennate terre di S. Giovanni, e và a finire a d.o vallone secco, tra il med.o e le terre del pred.o Sig.re Fragale. V’arbustato con tre piedi di Castagne, due delle quali sono vecchie…”, in Inventario degli averi e delle rendite della Ven. Cappella del SS.mo Sacramento eretta dentro la chiesa Parrocchiale della terra di Andali, devoluti ed incorporati alla Cassa Sacra, ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro.

[xlii] San Cataldo. Terreno ignobile, sito e posto in esso territorio e propriam.te nella Colla di Andali, della capacità ed estenzione tt.e tre circa, in parte seminabile, confina colla parte destra col vignale d.o S. Cataldo di Vitaliano Donato di Andali, dalla sinistra, col vignale d.o S. Cataldo della V.bile Cappella SS.mo di Andali med.o, dalla parte di sotto col vignale di Francesco Filippello dell’istesso Andali, e dalla parte di sopra, lo circonda anche il d.o vignale del SS.mo, ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, f. 10v.

[xliii] 15.1.1643. Nella città di Belcastro. Anna Lazzaro, vedova di Iacobo Invida, possiede “quendam continentiam domorum sitam et positam intus p.ttam civitatem in loco ubi dicitur sancta maria iuxta ecc.am dirutam sancti Joannis domus Cl. Lucae Antonii Pitera Civitatis Catanzarii …”, ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, 1643, f. 205.

[xliv] Rende P., Gli Ospitalieri, i Templari ed i casali di S. Martino e di S. Giovanni in territorio di Genitocastro, poi Belcastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[xlv] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 71-72.

[xlvi] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 186-187.

[xlvii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 98v-99.

[xlviii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 55-56.

[xlix] ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro.

[l] “Croce di Andali. Terre ignobili della capacità tt.e otto circa, sito e posto nel terr.o di essa Città, e propriamente dalla parte di sotto della T.ra di Andali, confinano da un lato col fondo Trombetta del Mag.co D Giovanni Jozzolino, dall’altro con un vignale del Decanato di essa Città, dalla parte di sopra colla via publica e col vignale di Margarita Peta di Andali, e da quella di sotto colli Pistonelli di d.a Terra. Il termine che le circuisce è anche di un rialto o sia sentiero di terreno, che ne indica la confinazione. Per essere terreno sterile si è liquida la rendita in sola semina perché ignobile – grano tt.a 4.” ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, 1784, f. 7.

[li] “Vajina. La terza parte di un comprensorio di un terreno nobile, posto nella montagna di essa Città, perché l’altre due parti in oggi si posseggono da D. Paolo Fragale di Andali e dell’esten.ne e capacità tt.e sessanta, sedici de quali sono seminabili e quaranta quattro scascese alpestri ed inseminabili. Confina dal destro lato con un cavone o sia vallone che lo divide dalla difesa della Cerva, dal lato sinistro colle terre volgarmente dette Comuni dell’Università di Belcastro, Andali e Cuturella, dalla parte di sopra colle Colle di S. Cataldo, e dalla parte di sotto col Fiume Crocchia, con termini visibili divisori ed inalterabili per ogni lato. Va arbustato con piedi di carigli vecchi di niun frutto”. ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, ff. 11v-12r.

[lii] 1.8.1642. Minica Masci del casale di Andali, vedova di Petro Peta, monaca domestica dell’ordine di S. Domenico, ed il figlio Georgio Peta dello stesso casale, possiedono un certo orto “sicomorum” similmente sotto detto casale iusta terrenum Ioannis Peta Thomae Priamo ed una continenza di case dentro il casale cum orto contiguo”. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1642, ff. 186-187.

[liii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 67 e sgg.

[liv] Platea de le robbe stabili, e censi , che detto Ill.mo e R.mo Sig.r Baglio Cagnolo, e sua Balial Corte tiene in Belcastro e sua Grancia (1614). National Library of Malta, Vol. AOM 6196, f. 54.

[lv] Primi censuari del castagneto sono: Indici Tamante Coco, Tangano Dalito, Iacono Grandello, Pietro de Diano, Antonio Fagullo, Paolo Nutiato, Gio. Matteo Massaro, Petruzzo de Mastro Angelo, Cler. Antonio Iurdano, Donno Gio. Battista Gabriele. Delle vigne di San Giovanni: D. Battista de Terlo, D. Francesco Floruto, Polidora Marincola, Francesco dela Castellana. Nota deli censi in danari spettantino alla preditta grancia di Belcastro in N.L.M., Vol. AOM 6196, ff. 55-56.

[lvi] “Questo vignale viene diviso nel / mezzo da una publica strada p(er) / cui si và alla montagna”. 27.11.1638. Nella città di Belcastro. Il chierico Joannes Jacobus Morelli possiede “quendam petium terreni arboratum quercis et castaneis situm et positum in loco ubi dicitur sop.a Andali iuxta castaneas, et terras Sancti Joannis Baptistae Religionis Maltae, iuxta castaneas heredum q.m Joannis Peta. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1638, f. 83.

[lvii] “Sgarrillo. Continenza di terre corse nel luogo volgarm.te detto Sgarrillo, sita e posta in questo territorio, e propriamente nel timpone di questa terra di Andali poco distante da questo abbitato, e nella parte che riguarda il settentrione. Dalla parte di occidente confina colle terre di S. Giovanni, osia del Fra’ cappellanato di Malta, per mezzo di un grosso sentiero di terreno che ne indica la confinazione inalterabile, il quale va a terminare verso la parte di maestro in un vallone, che dalla parte di sopra la divide dalle terre degli eredi di Fran.co Peta, dalla parte di tramontana confina col vallone d’acqua corrente detto il fiume Lavandaro, e dalla parte di sotto colle terre dell’eredi di Ferrante Cacossa, tra le quali vi è una vallottella che dimostra pure la confinazione. Va arbustata di sessanta piedi di castagne … Questa continenza è dell’estensione e capacità di tumulate undeci circa, cioè sei seminabili e sono propriamente quelle terre che confinano con quelle di S. Giovanni, o sia del Fra’ cappellanato di Malta, e l’altre cinque inseminabili per essere scoscese lavate dalle piogge, e sterilissime. ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, f. 1.

[lviii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1735.

[lix] Vignale di Sammarco o sia Oliveto confina “dalla parte di sotto colla via publica, che conduce alle molina di essa città ed in Andali”, 1784, f. 4. “Molino. In oltre possiede un molino da questa parte il Fiume Nasari, o sia dalla parte di d.a Città di Belcastro, ed è il primo che si ritrova, quando si viene dal Casale di Andali, sotto la publica via e propriamente sotto il piede del feudo della Regia Corte volgarm.te d.o Spina in pede, sta situato nel pred.o territorio macinante con saetta di legname e coll’acque di d.o Fiume Nasari”. ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, Convento domenicano, f. 16v.

[lx] “hortalem sicomorum in loco ubi dicitur nasari, iuxta sicomorum heredum q.m Joannis Laurenti, et Horatii Carpansano viam publicam per quam itur ad casalem Andali”. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1638, f. 75.

[lxi] “quendam costam seu vinialem vulg.r dittam de trumbetta iuxta flumen dittum de nasari vallonem dittum de cipulla, terras nominatas li cruci thomae Priamo, et vallonem vallonem sursum qui dividit costam p.ttam cum costam de girormilla,” ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, f. 141v.

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La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo e la confraternita di Santa Caterina di Policastro

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San Pietro Policastro

Tela raffigurante San Pietro, posta nel coro della chiesa Matrice di Petilia Policastro (KR).

L’esistenza di San Pietro, chiesa parrocchiale posta nella parte medievale dell’abitato di Policastro, il cui titolo ha riferimenti con la latinizzazione del territorio,[i] comincia ad essere documentata durante la prima metà del Cinquecento, quando fu provvista al clerico Iacobello Ferrato (Ferrari ?), per la morte di Andrea Pinelli.[ii]

Attorno alla metà del secolo, la chiesa compare nell’elenco dei benefici della diocesi di Santa Severina, che dovevano pagare le decime alla Santa Sede[iii] e tra quelle di Policastro che dovevano corrispondere all’arcivescovo la quarta beneficiale, come risulta documentato nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”, durante il quadriennio 1545-1548 e nel 1566.[iv]

Risale a questo periodo anche la prima documentazione relativa all’esistenza della confraternita di Santa Caterina che aveva sede nella chiesa di San Pietro, anche se una nuova chiesa dedicata alla Vergine e Martire, era al tempo in costruzione non lontano dalla parrocchiale.

“S.ta Chaterina” compare nell’elenco dei benefici della diocesi di Santa Severina che dovevano pagare la decima alla Santa Sede alla metà del Cinquecento,[v] periodo in cui comincia ad essere documentato l’obbligo da parte del rettore e del cappellano di “s(an)te Catherine de policast.o”, di comparire personalmente in occasione del sinodo diocesano, pagando quattro libre di cera a titolo di cattedratico.[vi] Obbligo che risulta documentato durante i sinodi di tutta la seconda metà del secolo.[vii]

Petilia Policastro (KR). In evidenza i luoghi in cui esistevano la chiesa di San Pietro (1) e quella di Santa Caterina (2).

 

La chiesa di San Pietro alla metà del Cinquecento

Nel pomeriggio del 9 giugno 1559, il cantore della chiesa di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo di Santa Severina Giovanni Battista Ursini, dopo aver visitato la chiesa di Santa Maria delle Grazie, proseguì la sua visita alle chiese di Policastro, presso la vicina chiesa parrocchiale sotto l’invocazione dei “s.ti Pet.i et pauli” di cui era cappellano D. Jo: Dominico “pet.alia”.

Qui trovò un altare di fabbrica con altare portatile, con tre tovaglie ed un coperimento d’altare, sopra il quale vi era una “Conam magnam” con diverse pitture di santi, che si diceva appartenesse alla confraternita di Santa Caterina. Furono rinvenuti anche una croce d’argento dorata, un messale, un cuscino e due candelabri di legno vecchi. Sopra l’altare era posto un “lintheamen”. L’altare possedeva anche tre calici di peltro con le loro patene, quattro vestimenti sacerdotali di tela completi, tra cui una casula di seta rossa, otto “lintheamina sive Coperim.ta altaris”, vecchi e laceri, un ante altare di tela dipinto, quattro cortine di tela, un ante altare di mayuto, un altro simile di mayuto, venticinque tovaglie tra vecchie e nuove, sette casule di tela ed un cuscino di tela.

Nella chiesa erano sistemati “Circum Circa”, alcuni “Scanna” di tavole per poter sedere mentre, “In medio”, vi era la “imago Crucifixi in relevo” con un “panno” nero davanti. La chiesa si presentava “in navi” tutta “intenplata” di tavole.

Fu quindi visitato un altro altare di tavole sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli”, lasciato alla chiesa da D. Antonio Clasidonti ed all’attualità servito da D. Battista de Donato, D. Francesco Canzonerio e D. Hieronimo de Nicotera, dove si trovava la “Cona” con l’immagine della gloriosa Vergine Maria e quella degli apostoli Pietro e Paolo.

Dall’altro lato dell’altare maggiore, fu visitato un altro altare sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli” appartenente alla famiglia de Albo, con un altare di fabbrica ed una “Cona” di tela con l’immagine della gloriosa Vergine Maria e quella degli apostoli Pietro e Paolo.

Successivamente il vicario passò a visitare la “Cap.lam” fatta di pietra sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli” della famiglia Farago, dove si trovava un altare di fabbrica con sopra una “Cona magna” in tela con l’immagine della gloriosa Vergine e dei beati apostoli Pietro e Paolo. I beni di questo altare, già menzionati nell’inventario dell’altare maggiore, erano costituiti da tre tovaglie, un ante altare “depictum Cum mayuto”, un calice con patena di peltro ed un messale. Il vicario ingiunse di provvedere agli ornamenti necessari.

Fu quindi rinvenuto un altro altare della chiesa sotto l’invocazione di “s.ti pet.i” pulito e senza ornamenti. Nel campanile vi erano due campane e presso l’altare maggiore si trovava un campanello.

 

La chiesa di Santa Caterina alla metà del Cinquecento

Proseguendo la sua visita, il vicario si portò nella vicina “ecc.am s.tae Catherinae quae est Confratria”, i cui beni appartenenti alla confraternita, erano già stati precedentemente portati al cospetto del vicario arcivescovile da parte del magister Hieronimo Farago,[viii] ed in considerazione del fatto che “dicta ecc.a est nova”, la trovò parte coperta e parte discoperta perché era ancora in fase di costruzione.

Qui egli rinvenne l’altare maggiore di fabbrica con un ante altare vecchio e con sopra la “imago” raffigurante Santa Caterina “de relevo”, un “quatrum Salvatoris n(ost)ri in Columna positum” ed un altro vecchissimo con una tovaglia intorno, una croce piccola “de relevo” di stagno ed un crocefisso “de relevo super tabulas repositum”. Vicino all’altare vi erano alcune travi per poter sedere. Nel campanile vi erano due campane ed un campanello.

Di questa “ecc.a et Confratria” erano cappellani D. Hieronimo de Nicotera, D. Francesco Canzonerio e D. Antonio Zagharia.

Entrando dalla “portam maiorem” della chiesa, alla sinistra, si trovava una “Cap.lam” lavorata con cantoni lapidei che aveva principiato a costruire Battista Serra ed il cui altare era servito da D. Ambrosio Rocca. Detta cappella però mancava ancora di tutto il necessario.[ix]

 

Parroci e rettori

Alla fine del Cinquecento, a seguito della riduzione delle parrocchie di Policastro ed in virtù della sua antichità, la chiesa di San Pietro rimaneva una delle quattro parrocchiali esistenti nella “terra Regia” di Policastro, come ricaviamo dalla relazione del 1589, prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani per la Santa Sede.[x]

Nel 1591 ne era parroco il presbitero Hijeronimo Campana, carica che, successivamente, fu ricoperta dal presbitero Joannes Dom.co Catanzaro, che ne risultava già in possesso nel febbraio 1604.[xi]

Conseguentemente alla riduzione del numero delle parrocchiali, al posto dell’antica organizzazione cittadina, che ripartiva per famiglia la cura delle anime tra le diverse parrocchie, fu introdotta una nuova ripartizione, stabilita secondo confini territoriali determinati, che dividevano l’abitato tra quelle rimaste.

Gli atti dei notari policastresi della prima metà del Seicento, testimoniano infatti che, a partire dagli inizi del secolo, accanto ad un criterio d’identificazione delle abitazioni secondo il loro vicinato (“convicino”) ad una chiesa, o ad un altro elemento caratteristico del luogo, ne comincia a comparire anche uno per confini parrocchiali.[xii] Troviamo, infatti, accanto all’indicazione “in convicino santi petri”, ovvero “in convicinio parrochialis Ecc.e santi Petri”,[xiii] quella che identifica il luogo in “parocchia di santo piedro”.[xiv]

Dopo essere appartenuta a Joannes Thoma Faraco, che risultava essere stato “parocus, et rettor” della chiesa di “Santi Petri” già nel settembre 1616,[xv] troviamo successivamente, che il beneficio relativo alla “parochiali ecclesia S. Petri, terrae Policastri”, fu detenuto da Hieronimo Longo ed, a seguito della morte di quest’ultimo, nel novembre 1624 fu provvisto al clerico Petro Giraldo.[xvi]

L’otto settembre 1632, essendo vacante la “Parocchiali Ecclesia tituli sancti Petri Policastrensis nostrae Diocesis”, e volendo intervenire per preservare le anime dei parrocchiani, l’arcivescovo Fausto Caffarelli, come previsto dal Concilio Tridentino, istituiva il presbitero Scipione Callea “Vicarius seu vice Parochum praefatae Parocchialis Ecclesiae”, assegnandogli “pro congrua porzione et substentatione”, “quatuor ducatos in mensem” sulle rendite certe della stessa parrocchiale, oltre a tutti gli “emolumenta incerta”.[xvii] Tra le prime, sappiamo che, al tempo, la chiesa poteva contare sul possesso di un vignale in loco “la salinara seu agrillo”.[xviii]

Il 6 dicembre 1635, alla presenza del R. D. Joannes Fran.co Rocca, vicario foraneo di Policastro, il R. presbitero Scipione Callea era immesso nel possesso della chiesa parrocchiale vacante sotto il titolo di “S.ti petri”, in qualità di parroco e/o curato e rettore,[xix] come lo troviamo in seguito,[xx] quando fu fatto anche protonotaro apostolico.[xxi]

 

Un luogo di sepoltura

Rispetto alla parrocchiale di San Pietro, per la quale non abbiamo notizia di deposizioni, le sepolture all’interno della chiesa di Santa Caterina, dove si trovava quella dei confrati,[xxii] sono documentate già nei primi anni del Seicento.[xxiii]

A quel tempo le due chiese avevano anche una differente consistenza patrimoniale. Attorno alla metà del secolo, San Pietro possedeva solo alcune piccole rendite, derivanti da censi infissi su terreni e case,[xxiv] mentre, rispetto alla difficile situazione economica della parrocchiale, più florida appariva quella della chiesa di Santa Caterina, in ragione dell’esistenza della confraternita. Questa possedeva un vignale in località “gorrufi”,[xxv] un vignale in località “lo molinello”,[xxvi] alcuni beni in loco “le parmenta”[xxvii] ed in loco “lo cinale”,[xxviii] una vigna in loco “le carita”,[xxix] un castagneto in loco “ubi dicitur Castanetum santella”,[xxx] e alcune terre in località detta “la fiomara”, presso il fiume Soleo.[xxxi] La chiesa possedeva anche una grotta a “S.to Dimitri”,[xxxii] oltre ad alcune case[xxxiii] e ad alcuni casaleni[xxxiv] entro le mura di Policastro.

Ad una parte di questi beni, che costituivano la dote patrimoniale della chiesa, si andavano a sommare quelli ricevuti dai fedeli che, in occasione della stipula dei loro testamenti, allo scopo di guadagnarsi l’aldilà, disponevano nei confronti della chiesa lasciti di case,[xxxv] denaro,[xxxvi] e anche animali.[xxxvii]

Allo scopo di fornirne un esempio, riferiamo il contenuto del testamento del frate Marco Mingaccio della terra di Caccuri, stipulato il giorno di Natale del 1604, nella sacrestia della chiesa di Santa Caterina dove questi si trovava infermo. In questo atto, il frate disponeva di essere seppellito nella chiesa di Santa Caterina, lasciando erede di tutti i suoi beni la stessa chiesa, con il patto però che, entro sei mesi dalla sua morte, il procuratore di Santa Caterina avrebbe dovuto far realizzare una cappella “nel muro della parte delorto in questo modo videlicet sopra la cappella delli heredi del q.m Ant.no Campana che sta vicino le campane che vengha al dritto di mezo lo arco et per fattura et accomodam.to di detta Cappella ci lascia docati dece”. Altri quattro ducati li lasciava affinchè fosse detta una ebdommada la settimana in perpetuo in detta cappella costruenda per la sua anima. Disponeva che non facendosi la cappella entro il tempo stabilito, succedesse nel legato la chiesa dell’Annunziata Nova di Policastro, i cui procuratori avrebbero dovuto avere pensiero di costruire la cappella nella detta chiesa “dove alloro piacerà”.[xxxviii]

In genere, i beni oggetto di questi lasciti erano rapidamente posti all’incanto e venduti,[xxxix] o anche permutati.[xl] Nel caso di queste vendite, su tali beni rimaneva infisso il censo stabilito al momento dell’incanto.[xli] Il denaro ottenuto in questo modo era investito sul mercato creditizio locale da parte di procuratori[xlii] cui erano affidata la gestione degli affari della confraternita che, similmente ad altri enti ecclesistici di Policastro, erano eletti annualmente con il beneplacito dell’arcivescovo. Durante la prima metà del Seicento, ricoprirono questa carica: Joannes Baptista Rocca (1605),[xliii] Joannes Palatio (1606),[xliv] Gregorio Bruna (1607, 1608),[xlv] Joannes Pettinato (1620),[xlvi] Julio Berricello (1644)[xlvii] e Salvatore Desiderio (1647, 1648).[xlviii]

 

L’altare di Santa Maria del Carmine

Risale ai primi anni del Seicento, l’erezione di un altare dedicato alla Madonna nel Carmine nella chiesa di Santa Caterina.

Nel proprio testamento del primo aprile 1606, Michele Arcomanno stabiliva che, dopo la sua morte, dovesse essere seppellito “nella venerabile chiesa di santa Caterina”, alla quale lasciava la possessione loco ditto “la fiomara” con il peso di doversi celebrare una messa per ogni hebdommada, “sullo altare costruendo per detta chiesa sullo loco vicino la sepultura fatta per esso testatore”. Per la costruzione di questo altare lasciava alla chiesa la metà dei 12 ducati che gli doveva Agostino Cavarretta “nella ricolta p.a”. Lasciava ancora alla detta chiesa, un “quatro” per la costruenda cappella con l’immagine di Santa Maria del Carmine che deteneva in casa. Nominava propri eredi universali e particolari di tutte le sue robbe mobili e stabili, i figli Gio: Francesco e Giulia Arcomanno disponendo che, morendo costoro senza eredi, gli dovesse succedere la chiesa di Santa Caterina.[xlix]

L’otto dicembre 1608, il “frater” Gregorio “de ordine osservantie de terre policastri”, donava a sua sorella, “soro” Elisabetta Musitano della terra di Cutro, tutti i beni che gli spettano, sia da parte materna che paterna. Tale donazione avveniva con il patto che 6 ducati fossero dati alla chiesa di Santa Caterina di Policastro, da applicarsi nella “congregatione, et benefitio di detta chiesa”, somma che avrebbero dovuto esigere il chierico Marco Ant.o Guarano e Gio: Paulo Larosa, da impiegarsi “per far venire le bulle della madonna del Carmine con declaratione che la ditta soro Elisabetta sia patrona di detta donatione”.[l]

Il 22 luglio 1616, Camilla Fimia, considerato che da molti anni, il quondam Mattio de Falco suo marito, era creditore nei confronti di Troijano de Mauro e della moglie Dianora Campana, per la somma di ducati 5, ne faceva donazione alla cappella della “madonna del Carmino”, posta dentro la chiesa di Santa Caterina, affinchè fossero spesi per la riparazione della cappella, in beneficio della sua anima e di quella del marito.[li]

 

I necessari ripari

A dispetto della sua recente costruzione, la chiesa di Santa Caterina risultava bisognosa di ripari già nella prima metà del Seicento.

Il 30 settembre 1630, Gio: Fran.co Mendolara, procuratore di Santa Caterina, asseriva che, “stando la chiesa p(raedi)tta per cascare per causa che se ritrova infracidita la ligname della Coverta”, con l’intervento dei confrati, aveva dato memoriale all’arcivescovo di Santa Severina, per poter utilizzare i ducati 55 lasciati dal quondam Angilo Cropanise, spendendoli così in riparo di detta chiesa, ma mantenendo comunque l’obbligo di servire in perpetuo l’ebdommada per l’anima di detto donatore.

Allo scopo, già precedentemente, i “fratelli” si erano congregati il 10 settembre di quell’anno, “ad sonum Campane”, nella detta chiesa di Santa Caterina, dove, alla presenza del R. vicario D. Joannes Fran.co Rocca e del “R.do arcipreite Cappellano”, furono presenti: D. Parise Ganguzza, D. Gio: And.a Romano, D. Gio: Thomaso Caccurio, D. Peleo Scigliano, C. Fortunato Larosa, dottor Marco Ant.o Guarano, Gio: Laurenzo Corigliano, Gio: Vittorio Fanele, not.r Gio: Battista Guidacciro, Cl.o Gio: Battista Serra, Fran.co Nigro, Giulio Verricello, Gio: Dom.co Campana, C. Gerolimo Mendolara, Fran.co Tronga, Stefano Capozza, Gio: Mattio Cavarretta, Ferrante de Vito, Jacinto Misiano, Santo Mascaro, And.a Giordano ed il Cl.o Scipione Tronga.

In quella occasione, i detti confrati avevano deciso di dare ad annuo censo il detto capitale al Cl.o coniugato Livio Zurlo, “Confrate, et priore” della detta chiesa e confraternita, obbligandolo sopra i frutti delli “Celsi della vasilea e delle Castagneta della montagna” e di tutti gli altri beni della detta chiesa e della confraternita. Successivamente, però, il detto Cl.o Livio Zurlo era morto. Il 30 settembre 1630, “gia che hora si sta fatigando, a far servitio ad essa chiesa”, “ed è nicessario soccorrere li mastri fabricatori, et altri che attendano alla detta opera”, i confrati erano stati nuovamente congregati davanti alla chiesa matrice, decidendo di eleggere D. Parise Ganguzza al posto del detto Livio Zurlo.

In questa nuova occasione, furono presenti: il sig.r vicario foraneo D. Gio: Fran.co Rocca, il sig.r Marcello Leusi, il signor Marco Ant.o Guarano, D. Santo de Pace, not.r Jacinto Richetta, Gio: Battista Pinello, Gregorio Bruna, Antonino Gatto, Jacovo Larosa, D. Gio: And.a Romano, D. Peleo Scigliano, Petro di Ercole, Scipione Romano, Gerolimo Romano, Gio: Dom.co Falcune, Gio: Vittorio Accetta, Gio: Paulo Caruso, Gio: Dom.co Campana, Mutio Scoro, Gio: Thomaso Tronga e Gio: Battista Ijerardo. I beni obbligati furono: “li celsi” detti “la vasilea”, confine i beni di notar Jacinto Richetta, i beni di Gio: Laurenzo Corigliano ed altri fini, e “uno Castagneto” posto nella “montagna di detta Citta”, confine “lo Castagnito” di S.ta Maria “la spina”, “ditto lo Castagnito di Napoli”, con il patto che il detto procuratore avrebbe dovuto utilizzare gli annui ducati 5 per il servimento di detta ebdommada in perpetuo, nell’altare della “nostra donna dela Carmino” posto dentro la chiesa di Santa Caterina.[lii]

L’esistenza di un altare dedicato alla Madonna del Carmine nella chiesa di Santa Caterina, risulta documentato ancora qualche anno dopo quando, in un atto del 15 gennaio 1639 si menzionano i beni di “Sante Marie Carminis”.[liii]

 

Il luogo detto “la basilea” in convicino di Santa Caterina

L’esistenza di una parte dell’abitato di Policastro posto all’interno delle mura, identificato in qualità di “Convicino s.tae Caterinae”, ovvero di “convicino Ecclesie sante Caterine”, in relazione alla vicinanza della chiesa di Santa Caterina, comincia ad essere documentato già nei primissimi anni del Seicento.[liv] In questo periodo risulta che la chiesa di Santa Caterina si trovava nel luogo detto “la vasilea” o “la basilea”.

Un atto del 9 agosto 1613, testimonia infatti, che le case di Francisco Commeriati, poste dentro la terra di Policastro, confinavano con la chiesa di Santa Caterina, l’orto di Fran.co Paudari ed i “sicomos” di Petro Paulo Serra “ubi dicitur la vasilea”,[lv] toponimo correlato all’esistenza in questo luogo del vallone “dittus la vasilea”.[lvi] La vicinanza della chiesa alle “mura della Citta ditte similm.te la vasilea”, come ricorda anche il Mannarino agli inizi del Settecento,[lvii] è testimoniata anche da altri documenti degli inizi del Seicento,[lviii] che evidenziano qui anche l’esistenza dell’orto della chiesa, costituito dai “Celsi della vasilea”, ovvero “li celsi” detti “la vasilea”,[lix] posti nelle vicinanze delle rupi, dei valloni e dei fossi che proteggevano questo settore della cinta muraria.[lx]

Sempre durante questo periodo, precedente agli eventi sismici che interessarono la Calabria centro-settentrionale a cominciare dal 27 marzo del 1638,[lxi] proseguendo fino alle scosse verificatesi nella notte tra i giorni 8 e 9 del mese di giugno dello stesso anno, i documenti evidenziano invece, che la chiesa di San Pietro era vicina alle case del magister Filippo Schipano. Tra queste, sappiamo che quella definita “magna”, confinava con l’orto della venerabile chiesa di “Santi Petri”, dalla parte inferiore, con la domus di Leonardo Accetta, la via pubblica ed altri fini.[lxii]

Petilia Policastro (KR), panoramica del versante meridionale.

 

La chiesa “nova” di Santa Caterina

Dopo gl’ingenti danni causati dal terremoto del 1638, quando l’abitato di Policastro fu distrutto “dalle fondamenta”,[lxiii] risultando il centro più colpito tra quelli vicini, con 353 edifici rimasti abbattuti,[lxiv] le funzioni parrocchiali di San Pietro furono temporaneamente ricoperte dalla vicina chiesa di Santa Maria delle Grazie,[lxv] mentre quella di Santa Caterina fu adattata in una “barracca”, realizzata vicino ai ruderi rimasti della vecchia chiesa.[lxvi]

Successivamente, “in convicinio Sancti Petri deruti”, ovvero sul luogo in cui era precedentemente esistita la chiesa di San Pietro, anche grazie ai lasciti dei fedeli devoti,[lxvii] fu edificata una nuova chiesa dedicata a Santa Caterina,[lxviii] vicino alla domus di Philippo Schipani,[lxix] all’interno della quale fu eretto un nuovo altare per assolvere alle funzioni parrocchiali della chiesa di San Pietro.

In relazione a ciò il luogo risulta individuato in qualità di “convicinio” della nuova chiesa di Santa Caterina già in un atto del 1645,[lxx] mentre, cominciando dal sinodo del 1646, rispetto all’originario censo che la chiesa di “S. Catherinae t(er)rae Polic.i” corrispondeva all’arcivescovo di Santa Severina a titolo di cattedratico, in occasione del sinodo di Santa Anastasia,[lxxi] comincia ad essere documentato il pagamento di un nuovo censo commisurato in tre libre di cera.[lxxii]

Anche relativamente alla parrocchiale, possiamo riscontrare un differente pagamento dovuto dal “Capellano di S.to Pietro” all’arcivescovo a titolo di quarta beneficiale. Troviamo così che, rispetto alla somma di ducati 4.4.0 che questi pagava anticamente e precedentemente al sisma del 1638, come risulta ancora dall’“Introito di danari essatti dal Rev.do D. Marco Clarà delle rendite della Mensa Arciv.le” (1630), successivamente passò a pagare ducati 6, come compare relativamente alle annualità dei pagamenti degli anni 1654 e 1655.[lxxiii]

Petilia Policastro (KR), le rupi di Santa Caterina.

 

Sotto Santa Caterina

Nel luogo sottostante le rupi su cui era esistita la vecchia chiesa di Santa Caterina, detto “sotto la rupa di S. Catarina”,[lxxiv] o più diffusamente “sotto santa Caterina”,[lxxv] esistevano vigne, vignali e possessioni, limitate con muragli di pietra[lxxvi] ed arborate con olivi, oleastri, viti, gelsi, fichi, mandorli, agrumi e melograni, ma anche “Cerse”, “et aliarum arborum fruttiferorum”. Luogo che continuò ad essere appellato in questo modo anche dopo il terremoto del 1638,[lxxvii] quando la chiesa di Santa Caterina fu riedificata nel luogo dove era esistita quella di San Pietro.

Da questo luogo in cui era esistita la vecchia chiesa di Santa Caterina, la via che discendeva dalla porta di Policastro detta la “Porta di Santa Caterina”, ingresso della terra rivolto verso oriente e posto “lungo le mura di quel vecchio Tempio, ad’essa Santa Vergine, e Martire consegrato”,[lxxviii] giungeva nel luogo detto “sotto santa Caterina alias lo piro”,[lxxix] dove si trovava “la cona” e dove, da questa via che conduceva a “salumune”, località esistente presso il corso del fiume Soleo,[lxxx] si diramava quella che giungeva ai mulini detti “de iuso”, ovvero “de abascio”,[lxxxi] posti sempre in loco detto “sotto santa Catherina”.[lxxxii]

Sottostante le rupi di Santa Caterina, si trovava anche la località chiamata “cimicicchio”,[lxxxiii] che si estendeva sotto “la rupe di s.ta Caterina, et porta della Judeca”,[lxxxiv] confinando con le timpe “de Napoli, de Sancta Catharina” e la via pubblica che conduceva all’acquaro dei detti mulini.[lxxxv]

Orti in località “cimicicchio” e “porta della Judeca” di Petilia Policastro (KR).

 

La visita del Falabella

Il 5 ottobre 1660, dopo aver visitato la chiesa sotto l’invocazione di “S. Jacobi” posta “à parte superiori dicti oppidi”, l’arcivescovo proseguì la sua visita presso la chiesa di “S.tae Catherinae Virginis et Martiris sub regimine Confratruum edificatam à latere dextro in parte inferiori dicti oppidi”.

Entrato nella chiesa, l’arcivescovo visitò l’altare maggiore, sito dalla parte settentrionale dell’edificio e lo rinvenne coperto con un pallio di seta bianca e corredato con sei candelabri di legno e con gli altri ornamenti necessari. Sopra il detto altare si trovava la “statua ex stucco” dorata di Santa Caterina.

L’arcivescovo ordinò ai confrati che da parte dei procuratori che avevano tenuto l’amministrazione, fossero esibi i conti relativi all’ultimo decennio.

La chiesa aveva l’onere di celebrare otto messe per ogni hebdommada: due in favore delle anime detenute in purgatorio per legato del Rev.s D. Joanne Baptista Favaro, una per l’anima di Michaele Arcomanno, un’altra per le anime di Decio Blasco e Petro Paulo Durso, un’altra per l’anima del quondam Angelo Cropanese, un’altra per l’anima di Joannes Battista Serra, un’altra per l’anima di Vespesiano Blasco, trenta messe all’anno per l’anima di Fran.co Antonio Blasco ed un’altra hebdommada per l’anima del quondam Fran.co Antonio Salerno.

L’arcivescovo visitò la sacrestia “seu Chorum” dove furono rinvenuti: quattro “Albas”, sei casule “seu Planeta” di seta di diversi colori, di cui due di colore bianco e due nere che, rinvenute lacere, furono mandate a rammendare e l’arcivescovo ordinò di non usarle. Considerata la mancanza di “amictis”, l’arcivescovo comandò di provvedere, reperendone due nuovi da benedire entro il termine di un mese. Egli trovò anche due messali e tre calici con il piede di ottone e vertice d’argento dorato, di cui due mancanti di patena, ed ordinò di provvedere la chiesa di due nuove patene entro il termine di due mesi.

Il pavimento del coro si presentava “effossum”, per cui l’arcivescovo comandò di livellare il pavimento di detto coro e di fare delle aperture entro due mesi.

Quindi l’arcivescovo visitò la “Capellam” “sub regimine Confratruum eiusdem Ecc.ae S. Catharinae”, sotto l’invocazione di “S. M. de Montis Carmeli”, posta alla destra dell’altare maggiore. Qui egli trovò l’altare coperto da un pallio di tela dipinta con l’immagine della stessa B.M.V., tre tovaglie, “Carta Secretorum”, crocifisso, due candelabri “auro celatis” e “Lapide Sacrato”, che il presule comandò di livellare e modificare nel predetto altare affinchè non sporgesse in alto. L’arcivescovo visitò la sepoltura che trovò sporgere dal pavimento e comandò di eguagliarla al piano del pavimento entro il termine di due mesi ed altrimenti, passato questo tempo, di non procedere più a seppellire.

Il “Pavimentum” fu trovato ben disposto ed il tetto coperto da “tegulis”, ma entrambe le porte piccole furono rinvenute rotte e l’arcivescovo ordinò di rifarle nuovamente con “tabulis castaneis”.

A questo punto della visita comparve il Rev.s D. Scipio Callea, parroco della chiesa di “S. Petri”, asserendo che la predetta chiesa di Santa Caterina era stata edificata “in Solo Ecc.ae dirutae Parochialis S. Petri cum eiusdem lapidibus et alijs materialibus”, in forza del decreto emanato da parte dell’arcivescovo Fausto Caffarelli durante la sua visita in data 26 ottobre 1641, senza pregiudizi per i diritti della Mensa Arcivescovile di Santa Severina e della chiesa parrocchiale.

In relazione a ciò, all’interno della chiesa di Santa Caterina era stato edificato un altare in onore di S.to Petro con l’immagine dello stesso santo che, al presente, si osservava alla destra dell’altare maggiore, dove si esercitavano tutte le funzioni parrocchiali della chiesa di S.to Petro. Presso tale altare che era provvisto di tutto il necessario, erano ascoltate le confessioni, era impartita la dottrina cristiana durante i giorni festivi, erano pubblicati i matrimoni ed, in genere, si faceva tutto ciò che, nel passato, era stato fatto nella chiesa di S. Petro, “prius quam dicta Ecc.a S. Petri fuisset diruta à terraemotu”.

L’arcivescovo comandò che l’altare venisse edificato entro due mesi, alla sinistra dell’altare maggiore, “in medio fornicis” ed a cospetto di quello di Santa Maria di Monte Carmelo, provvedendolo di tutto il necessario, in maniera da potervi celebrare in occasione della prossima festa di Natale. Considerato poi che vi erano due “Campanualae” appartenute alla parrocchiale di S.to Pietro, l’arcivescovo ordinò che assieme ad altro metallo sufficiente, queste fossero fuse per realizzare una nuova “Campanam maioris magnitudinis”, da utilizzare tanto per le funzioni parrocchiali che per quelle della confraternita.

Considerato poi che nella chiesa non vi era una sedia confessionale, fu comandato al parroco di provvedere entro due mesi, facendone fare una nuova da collocare “in loco patenti sub fornice à parte sinistra”, dove apporre anche “Casos reservatos et Bullae Coenae”, ammonendo di non ascoltare confessioni lontano dalla detta sedia, eccetto nel caso di infermi, sacerdoti e chierici, sistemando anche opportune “Crates seu Cancelli arcti” in maniera che nessuno potesse metterci le mani.

La chiesa aveva l’onere di celebrare la domenica e negli altri giorni festivi di precetto nei quali il popolo era tenuto ad ascoltare il “Sacrum”.[lxxxvi]

 

La riduzione dell’onere delle messe

Rispetto a tale stato, negli anni successivi la situazione della parrocchiale non migliorò. Come apprendiamo dalla relazione del 1675 prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina, il crotonese Muzio Suriano (1674-1679), essendo vacante per la tenuità del suo reddito, e risultando affidata ad un economo che ne esercitava la cura ad interim, il presule meditava di unirla alla matrice, anch’essa vacante da tre anni a causa della scarsità del suo reddito.[lxxxvii]

Nel novembre dell’anno successivo, la chiesa parrocchiale di “S. Petri” di Policastro, vacante fin dal 1673 per la morte di Scipione Callea, fu comunque provvista al presbitero di Policastro Antonio Curto,[lxxxviii] e dopo la morte di quest’ultimo, giunse al presbitero diocesano Fabritio de Martino nel giugno del 1690.[lxxxix]

In questi anni però, la difficile situazione economica, aveva condotto tutte le principali chiese di Policastro, nella condizione di non poter più onorare i loro impegni, e per porre rimedio a questo stato di sofferenza, nel 1681 si ricorse alla riduzione degli oneri delle messe che le gravavano. Succedeva, infatti, che le rendite dei beni che i benefattori avevano legato al tempo dei loro lasciti testamentari, tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, fossero ormai divenute inadeguate a soddisfare la retribuzione dei cappellani che celebravano tali messe di suffraggio, mentre, sempre a causa della crisi, erano anche aumentati i casi degli insolventi.

Dalla documentazione prodotta in questa occasione, per poter ottenere dall’arcivescovo tale riduzione, sappiamo così che, al tempo, l’onere principale delle messe che si celebravano a tale scopo nella “V(enera)b(i)le Chiesa di S.a Catarina V.e e martire”, era collegato ai lasciti di alcuni antichi benefattori: Detio e Fran.co Ant.o Blasco (1623) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva un annuo censo di carlini 30 ed un vignale detto “la Valle delli Cancelli”, Antonio Campana e Antonino Ammannito (1696, sic) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva un annuo censo di carlini 30 ed un vignale detto “li Carisi”, Blasio Priolo (1698, sic) e Paolo Curto (1600) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva due vignali in loco “Salamone, et il Canale”, Stefano Leto (1552) e Michele Arcomanno (1557) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva un pezzo di terra loco detto “il Mortelletto” ed un altro detto “S.o Vito”, Marco Mingaccio (1640) e Gerolamo Romano con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva l’annuo censo di carlini 12 legati dal detto Gerolamo, Lucretia de Riso (1540) con un onere di 50 messe, relativamente al quale, quest’ultima aveva lasciato alla chiesa una casa che, distrutta dai terremoti, non dava alcuna rendita e si era persa anche la memoria del luogo in cui era esistita, Mesiano Rizza (1550) con un onere di 50 messe, relativamente al quale, quest’ultima aveva lasciato alla chiesa una casa che si trovava nelle condizioni della precedente, Dianora moglie del quondam Sebastiano Grandinetto (1546) con un onere di 25 messe, relativamente al quale, quest’ultima aveva lasciato alla chiesa una casa che si trovava nelle condizioni dette, il R. D. Pietro Paolo Russo (1544) con un onere di 50 messe, relativamente al quale aveva lasciato alla chiesa un pezzo di terra loco detto “la Fiumara” ed una “Casamatta”, e Ferdinando Iacometta (1548) con un onere di 50 messe, relativamente al quale non si possedeva cognizione dei beni donati ipotecati al pagamento.

Oltre a queti oneri che non riuscivano più ad essere soddisfatti, nella “V(enera)b(i)le Chiesa di S.a Catarina” vi erano poi le messe che da molti anni non venivano più celebrate, a causa del fatto che, i debitori “obbligati alle Elemosina”, non avevano “corrisposto” quanto invece sarebbe stato loro dovuto.

Si trattava di 40 messe per l’anima di fra Marco Mingaccio (1640) “sacrestano”, cui erano obbligate le robbe del notaro Horatio Scandale per il pagamento di ducati annui 4, 50 messe per l’anima di Spetiano Blasco (1623), relativamente cui erano obbligati al pagamento i possessori dei beni del detto Vespesiano, e 200 messe per l’anima di Vittoria Caputo (1623), relativamente cui erano obbligati al pagamento i possessori dei beni di Laura Blasco.[xc]

 

Lo stato della parrocchiale agli inizi del Settecento

Il 16 luglio 1713, accogliendo la supplica dell’arciprete di Policastro Jo: Paulo Grano, la Sacra Congregazione del Concilio gli richiedeva una relazione dettagliata, riguardante sia la situazione economica, che quella delle anime, delle quattro parrocchie di Policastro. Relazione che l’arciprete inviò il 20 settembre di quell’anno.

In questo “statu Parochialium Ecclesiarum loci Policastri”, leggiamo che “Policastrum”, luogo posto in diocesi di Santa Severina, assommava 2534 anime, con quattro chiese parrocchiali divise da confini definiti, all’interno dei quali ogni parroco amministrava la cura delle anime dei propri parrocchiani.

Oltre che sulle decime e sui “parochialibus emolumentis”, le quattro parrocchie potevano contare su poche entrate, in quanto alcune possedevano qualche fondo, altre nessuno. La matrice era l’unica chiesa a custodire il SS.mo Sacramento, di cui si servivano anche le altre parrocchie per somministrare il Viatico agli infermi.

Considerata questa situazione, l’arciprete chiedeva, quindi, che si giungesse “ad novam terminorum definitionem” delle parrocchie, proponendo una soluzione che prevedeva, in particolare, l’unione con la parrochia contermine di “S. Petri Apostoli”, la cui chiesa era andata “diruta” a causa del terremoto, “nec ob paupertatem refecta”, mentre la cura delle sue 355 anime era esercitata da un rettore nella chiesa dei “Sodalium S. Catharinae Virg. et mart.”.

In questa occasione, in particolare, la situazione della parrocchia di “S. Pietro di Policastro”, risulta esposta nella “Nota” scritta a quel tempo dal parroco D. Gio: Fran.co Bernardi.

“Nota dell’Entrade della Parocchia di S. Pietro di Policastro.

Il Paroco suole esigere ogn’anno di Agosto un tt.o di grano ò / di germano, o di orgio che seminerà ciascheduno Massaro con un / paro di bovi, e seminando con più para, per ogni paro paga un / tt.o in questa Parocchia attualm.te vi sono nove para di bovi che / in q.to anno s’esigono tt.a nove. tt.a 9.

Da ciascheduno bracciale che seminerà sopra / le tre tt.a n’esige mezzo tt.o di quella simigna / seminerà in questo presente anno ritrovo che / vi siano venti quattro bracciali, che uniti impor / tano tt.a dodici di grano, giermano, e fave. tt.a 12

Tiene ancora la sud.ta Parocchia alcuni Vigna / li dalli quali specificam.te suole esigere dà fertile / ad infertile l’infrascritt’entrade videlicet

Dalla Manca dell’insarco d.to la Manca di S. Pie / tro carlini quattro d. 0.2.0

Da uno Castagnitello loco d.to Cardopiano carlini diece d. 1.0.0

Dal terreno di d.to luogo dove sta fondata l’Abbatia quan / do si semina s’esigono un tumolo, e mezzo di germano, o / due tumula attualm.te non si ne ha niente

Dal Vignale luogo d.to S. Elia in erbagio carlini otto d. 0.4.0

Dal Vignale luogo d.to il Salito carlini diece d. 1.0.0

Dal Vignale luogo d.to Samberisti carlini diece d. 1.0.0

Dalli Vignali luogo d.to il Feudo carlini venti d. 2.0.0

Da due Vignali nella Salinara carlini venti d. 2.0.0

Da un Vignale loco d.to il Mortilletto da mezza tt.a incirca / non si ne percipe cosa alcuna

Da un Vignale loco d.to l’Attalione non si ne percipe niente / per esser d’entro un cumulo di pietre, à tempo di D. Scipio / ne Callea all’ora Parocho lo ritrovo haverlo venduto car / lini cinque

Tiene un Vignale nelli Cursi di Mesoraca dal quale quando sor / tisse darsi à semina si ne suole esigere tre mezzi tt.a di / grano che tanto vi hà il jus arandi, perche in erba si / vende dal Sig. Duca di Mesoraca.

La d.ta Parocchia anticam.te soleva esigere m.ti jussi, e Rendite / i quali sono perduti, ed a pena si esigono l’infra(scri)tti videlicet

Dall’eredi di Lutio Venturi carlini dodici e mezzo d. 1.1.5

Dal Sig. Ciccio Ferrari sopra la Gabbella dell’Acqua del Giar / dino d. 0.1.10

Dalla Mag.ca Maria Giordano sopra le case carlini diece l’ / anno, che per la sua gran povertà, ne paga carlini cinque d. 0.2.10

Da Gelindo la Pera sopra la casa grana cinque d. 0.0.5

Dall’eredi di Vitaliano Pollaci sopra la casa g.na d. 0.0…

Dalle Decime personali in tutto in d.to anno hò esatto doc.ti / quattro, e tari tre, l’anno passato si sol esigere di meno d. 4.3.0

Suole percipere il Paroco dall’incerti, cioè dal Jus Stolae, e fedi di / Matrimonii quelli carlini trenta l’anno ò poco più ò poco meno / per esser piccola d.ta Parocchia, che si ponno computare per le / candele, ed utensili che paga alla Chiesa di S.ta Caterina che / la somministra di tutto il necessario.

L’Entrada di d.ta Parocchia in grano importa tt.a ventiuno l’ / anno o più ò meno secondo li bracciali che seminano tt.a 21

L’entrada in danari tanto dalle decime personali q.to dalli sopra / detti Vignali, e renditi tutti fanno la somma di d.ti 14.4.15

Ed il soprad.to grano computato à carlini sette il tt.o in danaro / fa la somma di d.ti quattordici e carl.i sette d. 14.3.10

Che tutta l’entrada di d.ta Parocchia fa la somma di duc.ti 29.3.5

Dalla quale somma d.ta Parochia ne paga l’infra(scri)tti / pesi videlicet

Per Quarta à Monsig.e doc.ti sei d. 6

Al Seminaro Carlini cinque d. 0.2.10

Alla Mensa Arcivescovale per il Catredatico paga l’Abbatia d. 0.1.0

Al sacristano per metà che il di più corrispon / de la Cappella di S. Caterina d. 3

Si che levatine d.to nove tari tre e grana diece / di peso restano netti per il Paroco doc.ti Dicenove tari 4 e g.na 15 d. 19.4.15

D. Gio: Fran.co Bernardi Paroco faccio fede come sup.a

Et havendo numerato il conto dell’anima fatto da / me sud.o Paroco, ritrovo che la Parocchia di S. Pie / tro fa trecento cinquantacinque anime. 355.”.[xci]

In questo periodo, il Mannarino provvede a fornirci una descrizione della chiesa di Santa Caterina, dov’era ospitata la parrocchiale.

“La seconda Parocchia alla parte più infima, ed orientale, è l’abbadia di Santo Pietro, à cui van congionte l’altre due contigue della Sinagoga, e di Santa Maria delle Grazie, situate nella Chiesa di Santa Caterina non più la vecchia diruta, ma la nuova redificata da’ fondamenti assai più curiosa, se ben più ristretta da quella prima vastissima, in forma ottangolare, che viene ad essere doppiamente quadrata fatta così, perché la figura quadrata, ed ottangolare sono le Capitane delle figure Parellogramme, onde nella sua incidenza porta una bella rettitudine, e simitria perpendicolare; fù essa chiesa fundata da Marc’Antonio Poerio, Padre di Gio. Berardino mio Avo Materno, una col di lui fratello Abloisio. Il suo Campanile però è a triangolo, che non comparisce meschinello, anzi magnifico, mentre il circolo del suo triangolo attraendolo, più gli restringe il quadrato, e l’uno coll’altro fanno uno vicendevole accordo, con gli fianchi obliquati, che fan mentere à chi disse che il quadrato col triangolo non si confà, ed è pur detto Campanile altissimo colla Cima piramidale chiusa a cabo or in questa Chiesa della Santa Vergine, e Martire l’altare Maggiore con una Capella à finissimo stucco eretta dall’abbate e D.re D. Domenico … che dopo la perdita della sua sposa si fece sacerdote, e si sposò di nuovo con questa chiesa e con idee ammirabili proprie d’un sposo, che ama con genio, e cuore la sua diletta, e per adornarla impiega tutto il suo avere, ancor egli diedesi tutto ad amare la sua novella diletta ad abbelirla con nuovi sfoggi eresse da fondamenti la nuova Capella di Maria gran Regina del Carmelo al lato destro, e nel sinistro ristorò quello del medesimo Apostolo con le sue ragioni Parocchiali, fece un nuovo organo assai stornito per la dolcezza del suono come altresi la nuova intempiata per la Chiesa, Coro e Sacrestia ed ambedue questi furno rinovati all’uso più moderno, con lavori ordine dorico vagamente intagliato, e disposto il materiale detto legni di Castagne, e Noce e finalmente pria di chiudere gli occhi per finimento della Chiesa, che altro non mancava, fece tre superbe scale con zoccolo à torno, che circuisce dalla prima Porta à man destra con faccia a mezzo giorno, sino alla terza, ed ultima, che mira a Tramontana, tanto che se questa Chiesa fù rinovata dalla famiglia Poerio, della Coca consanguinea fù perfezzionata oltre poi a dette Capelle, nuovo organo, Pulpito, soffitti, sacrestia e Coro, vi è l’ornamento dell’archi alti, e grandi di Pietra lavorata, con un gran Piano innanti all’atrio spaziosissimo, per commodità de’ fratelli delle due Confraternite sotto il titolo del Carmelo l’uno e l’altra della ord.ia Vergine e Martire titulare di detta Chiesa, a dietro a cui vi è finalmente l’ospidale per gli poveri Pellegrini, e così ben disposta, ne pur compare come il primiero suo Tempio che miseramente restò sepolto sotto le proprie rovine del tremuto dell’anno che dissi 38.”.[xcii]

Lo stesso autore si sofferma anche sul luogo in cui rimanevano i ruderi della vecchia chiesa distrutta dal terremoto del 1638, nelle vicinanze della “quinta Porta” di Policastro detta “di Santa Caterina”,[xciii] mentre, tra le “Memorie dell’Antichi Monasteri di Policastro”, ricorda quello di “Santa Maria di Cardopiano de’ Padri Basiliani”, le cui rendite erano state precedentemente unite a quelle della parrocchiale.[xciv]

 

Unita alla Matrice

Dopo essere stata osteggiata dall’arcivescovo Carlo Berlingieri (1679-1719),[xcv] al tempo del suo successore Nicolò Pisanelli (1719-1731), trovò finalmente compimento l’unione della parrochiale di San Pietro alla matrice di San Nicola. La relazione di quest’ultimo datata 8 maggio 1725, segnala infatti, la presenza di tre parrocchie[xcvi] rispetto alle quattro che si evidenziavano in precedenza.

Secondo il Sisca, a seguito di questa unione, alcuni quadri ed altri arredi sacri che erano appartenuti alla chiesa di San Pietro. furono trasferiti nella chiesa matrice mentre, ancora ai suoi tempi, il titolo di abbate relativo alla chiesa di Santa Maria di Cardopiano, che era stato trasmesso al parroco di S. Pietro, risultava conferito all’arciprete “pro tempore”.[xcvii]

La chiesa di Santa Caterina continuò invece a restare sede dell’omonima confraternita. Secondo quanto riporta il catasto universale di Policastro del 1742, a quel tempo, la “Chiesa di S. Catarina” possedeva alcuni appezzamenti di terreno: un vignale detto “li Cancelli”, due vignali nel luogo detto “Salamone”, un vignale detto “il Molinello”, un vignale detto “le volte di Leuci”, un vignale nel luogo detto “S. Cesario”, un vignale detto “li Gattarelli”, un vignale detto “le Carite”, e i “Celsi in S.ta Catarina Vecchia”.[xcviii]

Il 2 agosto 1790, tra i “Luoghi e Terreni d’affittarsi” che appartenevano alla “Chiesa Mad.e di d.a Città”, risultava quello denominato “S. Catarina vecchia” mentre, tra quelli appartenenti “al Sospeso Conv.to de’ P. P. Osservanti della Città di Policastro”, risultava “S. Catarina vecchia, o sia Salomone”.[xcix]

Con una rendita di ducati 5.66, “S. Caterina vecchia” risultava tra i fondi della “S. Spina” elencati nella Lista di Carico dei Luoghi Pii di Policastro, mentre, sempre nella stessa lista, “S. caterina vecchia”, risultava tra i fondi della “Chiesa Madre” che ne aveva percepito l’affitto (d. 179). Tra i censi enfiteutici appartenenti al convento degli Osservanti della Santa Spina, che compaiono nell’inventario dei beni appartenenti ai Luoghi Pii del “Diparto di Policastro e Mesoraca” compilato il 29 agosto 1796, troviamo quello che pagava “D. Giuseppe Cavarretta per canone sop.a il Vignale d.o S. Caterina vechia, ò sia Salamone censuitoli dalla C.S. deve in Aprile p(rossi)mo venturo d. 05.44”.[c]

Al tempo del “Decennio francese”, “S. Caterina Vecchia” risultava tra i fondi della “Chiesa Madre” già venduti prima del 1810,[ci] mentre, il vignale “di S. Caterina” posto “nel luogo nomato S. Francesco”, che si stimava del valore di ducati 60, anche se molto deteriorato, fruttava ancora un annuo canone enfiteutico di ducati 2 al “Conservatorio, o sia chiesa di S.a Caterina”.[cii]

 

San Gaetano

Risalgono alla metà del secolo, le prime notizie circa l’erezione di un monastero di monache nella chiesa di Santa Caterina, riguardo cui l’università di Policastro chiese all’arcivescovo di Santa Severina, che si reintegrasse il nuovo ente con le rendite ed i beni già appartenuti al monastero diruto di Santa Domenica. Sappiamo così che, a quel tempo, esisteva in Policastro “un nuovo Monastero di Monache sotto il titolo di S. Gaetano” che, quantunque fosse solo un “Conservatorio di Donne”, era comunque un luogo dove si viveva con molta osservanza e disciplina regolare “che può dirsi che vivano a guisa di vero, e perfetto Monastero”, dove le donne stavano “in perpetua Clausura”.[ciii] Riguardo ad esso, anche se la reintegra richiesta dall’università si era rivelata essere un maldestro tentativo di appropriazione dei beni anticamente appartenuti al monastero di Santa Domenica,[civ] così si esprimeva l’arcivescovo: “Che le donne, le quali convivono nel Conservatorio, che present.e esiste in Policastro, osservino con ammiraz.e, ed edificaz.e di tutto il Paese, e luoghi circonvicini, tutto il rigore della Clausura e disciplina Regolare, e verissimo, ed io med.o ne vivo tanto contento, perche in verità sono lo specchio di esemplarità à tutti l’altri monasteri di queste vicinanze”.[cv]

La relazione vescovile del 1765 evidenzia che, alla chiesa di “Sanctae Catharinae Virg.s et martyris olim Parochialis”, si trovava annesso un conservatorio per pie donne, retto da un procuratore eletto dalle stesse e confermato dall’arcivescovo. La chiesa aveva altri due altari oltre quello maggiore, in cui si conservavano l’eucarestia per l’uso dei religiosi e l’olio sacro per gl’infermi.[cvi]

La stessa relazione sottolineava che in questo “Conservatorium Mulierum”, vivevano religiosamente 10 monache che osservavano spontaneamente la regola della clausura, anche se si trattava di una “clausura minime”.[cvii]

Ritroviamo il “Conservatorio di donne di Policastro” nel 1780,[cviii] ed al tempo del terremoto del 1783 ospitava 17 monache.[cix] Tale evento, comunque, non ne pregiudicò la sopravvivenza. Sul finire del secolo troviamo ancora il “Conservatorio di S. Gaetano per donne” al quale erano destinati ducati 200.[cx] In questo periodo i suoi edifici furono ristrutturati, attraverso l’edificazione di un “piano superiore” e l’ampliamento del “piano terreno”, in maniera da pervenire così ad una “Nuova pianta” dei locali, che si conserva insieme al nuovo “Prospetto esteriore”, presso l’Archivio di Stato di Napoli.[cxi]

Petilia Policastro (KR), portale dell’edificio che ospitò il conservatorio di S. Gaetano.

Il “Conservatorio, o sia chiesa di S.a Caterina” si segnala ancora agli inizi dell’Ottocento.[cxii] Così il Sisca ne riassume le vicende fino alla sua soppressione: “Accostato alla chiesa di S. Caterina era eretto un Ospizio per pellegrini poveri; in seguito fu ampliato e trasformato nel Conservatorio di S. Gaetano con un prosperoso educandato femminile, diretto da suore e fondato dalla Priora Suor Caterina Scandale. Dopo un secolo di vita regolare e arricchito di molti legati, fu soppresso. Nel 1860 oltre ad un gruppo di giovinette delle famiglie più agiate, il Convitto, pur avendo una rendita di 300 lire, ospitava 8 monache e 5 converse. L’ultima monaca fu Suor M. Giuliana Bilotti da Zagarise morta il 18 gennaio 1888.”.[cxiii]

In questi anni gli edifici pervennero al comune, che li ristrutturò allo scopo di ospitare il Municipio, le Scuole ed altri uffici (Pretura, Carabinieri, Carceri). Altre importanti ristrutturazioni seguirono dopo il secondo conflitto mondiale, quando il fabbricato fu ulteriormente sopraelevato: “… – il 3 agosto 1879 – il Consiglio tratta la cessione gratuita del Monastero di S. Caterina detto delle Monache. Il locale era destinato per le scuole (quattro classi maschili e tre femminili) e per la sede del Municipio. (…) Il convento fu rifatto quasi per intero e più che per le scuole servì agli uffici municipali, per la Pretura, la Caserma dei Carabinieri e le carceri mandamentali (che, purtroppo sono ancora buie e umide). Nel 1948, e sempre sotto l’amministrazione Carvelli, sull’area della chiesa di S. Caterina furono sopraelevati altri due piani. Completamente estromesse le scuole elementari, occupa il primo piano la Scuola Media, il secondo è interamente utilizzato per gli uffici del Comune, che ha acquistato una sede più comoda e, anche, un accesso indipendente.”.[cxiv]

Petilia Policastro (KR), l’edificio che ospitò il conservatorio di S. Gaetano.

“Ai giorni nostri di questa chiesa non rimane che il ricordo in quanto abbattuti i ruderi, l’area è servita per ampliare il Palazzo Municipale con vari uffici. I grandi quadri di S. Pietro e della Vergine del Carmelo, con altri arredi sacri, erano stati portati alla Chiesa Matrice; l’artistico pulpito di noce intarsiato (e forse anche l’organo) alla chiesa di S. Francesco. Il titolo (solamente onorifico) di Abate, trasmesso dalla badia cistercense di S. Maria di Cardopiano al parroco di S. Pietro, è ora conferito all’arciprete «pro tempore»”.[cxv]

Attualmente, i toponimi “Vico Santa Caterina” e “Largo Santa Caterina”, ricordano le antiche preesistenze in questo luogo.

Petilia Policastro (KR), il “Largo Santa Caterina” in una vecchia foto (Fotoraccolta di Mimmo Rizzuti).

Petilia Policastro (KR), il “Largo Santa Caterina” all’attualità.

 

 

Note

[i] In riferimento all’antica origine abbaziale di questa chiesa, riscontriamo che ancora agli inizi del Settecento, il parroco conservava lo jus arandi sopra un vignale “nelli Cursi di Mesoraca”. AASS, 24B, fasc. 1.

[ii] 17 giugno 1531. “Castellimaris et Casertan. episcopis ac Vicario Archiep.i S. Severinae in spiritualibus generali, mandat ut Iacobello Ferrato, clerico S. Severinae, provideant de parochiali ecclesia S. Petri terrae Policastri S. Severinae dioc., vac. per ob. Andreae Pinelli, ex R.C. def..”. Russo F., Regesto III, 16996.

[iii] “R.to da … per s.to pietro de pulicastro per x.ma d. 0.3.0” AASS, 2 A.

[iv] “Denari de le carte” (1545): “De donno minicello petralia per s.to pietro d. 4.4.0”. “Conto de dinari de le quarte exacti in lo predicto anno 1546”: “Da donno minicello petralia per s.to petro d. 4.4.0”. “Conto de quarte exacte per lo R.do quondam Don Jacobo rippa como appare per suo manuale q.ale sta in potire de notari mactia cirigiorgi et sonno de lo anno 1547”: “Da donno Joandominico Petralia de policastro per s.to Petro d. 4.4.0”. “Dinari q.ali se haverano de exigere de le quarte de lo anno vj jnd(iction)is 1548”: “Da donno minicello Petralia per la quarta de s.to Petro de policastro d. 4.4.0”. “Denari delle quarte de tutti li benefitii della diocesa de s(an)cta s(everi)na” (1566): “La ec.a de’ S(an)cto pe.o pagha lo anno per quarta d. 4.4.0”. AASS, 3A.

[v] “R.to da … per S.ta Chaterina, et una casa beneficiale furno da d: Antonio Bernardato et succ(essivament)e da D: Gio felice per x.a d. 0.0….”. AASS, 2 A.

[vi] “Rector et Cappellanus s(an)te Catherine de policast.o debet Comparere Cum censu cere librarum q.or C.L. iiij”. AASS, 18B.

[vii] Nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”: “Da s.ta catherina libre quactro de cera” (17.05.1545), “Denari receputi ad lo sinido nello iorno de s.ta anastasia de lo ij.o anno de lo afficto 1546”: “Da s.ta chatherina libre quattro de cera”, “Dinari reciputi de lo sinido nello iorno de s.ta anastasia nello anno retro scripto 1547”: “Da s.ta chatherina libre quactro de cera”, AASS, 3A. 1564: “Rector sante catherine de policastro cum censu cere librarum quatuor”, non comparve personalmente e fu condannato a pagare entro 8 giorni. 1579: “Rector et Capp.s s.te Catherinae de polic.o Cum Censu Cere lib. quat.r”, comparve D. Ant.o de Natale “pro capp.no”, pagando le 4 libre di cera. 1581: “Rector et Capp.nus S. Cath arinae de Polic.o cum censu Cere librarum quatuor”, comparve per esso D. Antonuccio Papasodero senza mandato e non fu ammesso. 1582: “Rector et Capp.s s.te Caterinae de polic.o Cum Censu librarum qu(atu)or Cere”, non comparve. 1584: “Rector et capp.s S. Caterine de polic.o cum Censu librarum quatuor Cerae”. 1587: “Rector et Capp.s Sanctae Caterinae de polic.o cum censu librarum quatuor”, non comparve quindi fu condannato alla pena debita. 1588: “Rector et Capp.s S. Caterinae” comparve e pagò il solito censo. 1590: “R.s Cappl.os S. Caterine cum censu librarum cere quatuor trium”, non comparvero quindi furono condannati. 1591: “Rector et Capp.s S.tae Caterinae de polic.o cum censu librarum quatuor”, comparvero e pagarono. 1593: “Il Cappellano di s.ta caterina di detta T(er)ra con quattro libre di cera. 1594: “Il Capp.no di S. Caterina di d.ta t(er)ra con quattro libre di Cera”. 1595: “Il capp.no di S. Caterina di d. t(er)ra con quattro lib(re) di Cera”, non comparve il cappellano. 1596: “Il capp.no di s. Caterina di detta t(er)ra con quattro lib(re) di Cera”, fu condannato. 1597: “Capp.nus seu Confratres sanctae Catherinae t(er)rae Policastri cum Cathedratico cerae librarum quatuor”, comparve e pagò. 1598: “Cappellanus seu Confratres S. Catherinae t(er)rae Polic.i cum cathedratico cerae librarum quatuor”. AASS, 6A.

[viii] In questa occasione, i beni della confraternita di “s.tae Caterinae” posti in un’arca, risultavano: un ante altare di seta di diversi colori, un altro ante altare di tela, una pianeta di raso bianca, un “amictum”, un ante altare di damasco bianco figurato, due “Tonicellas” di seta verde, una casula di velluto rosso, una tovaglia, un calice di argento con patena, due “Coperim.ta” di tela, sedici tovaglie ed altri beni laceri. Il vicario ingiunse al Farago di conservare i detti beni e di provvedere entro l’indomani al pagamento del censo e dei diritti inerenti la visita arcivescovile. AASS, 16B.

[ix] AASS, 16B.

[x] “Policastro è terra Regia, qual’essendo stata venduta dal Conte di S. Severina fù fatta di demanio con l’opra, e patrocinio del Cardinale di S. Severina, è habitata da tre milia anime incirca vi sono quattro chiese parocchiali, e nella matrice è l’Arciprete, e Cantore con venti altri preti, quali per il più vivono delloro patrimonio, et elemosine che ricevono dal servitio delle chiese, e confraternità, …”. ASV, Rel. Lim. 1589. “Policastro è terra Regia habitata da tre milia anime incirca. Vi sono quattro chiese Parocchiali, e nella Maggiore è l’Arciprete il Cantore e vinti altri Preti, quali p(er) il più vivono di loro patrimonio, et elemosine che ricevono dal serv.o delle chiese, e Confratie …”. AASS, 19B.

[xi] 23 settembre 1605: davanti a notaro, il presbiter Dom.co Catanzario, “Curator ecclesie s.ti petri”, attestava che, “in faciem ecclesie”, il quondam presbiter Hijeronimo Campana “affidasse” i coniugi Joannes Petro Bonanno e Julia Niele nella “ditta parrochiali Ecclesia santi petri sub anno 1591” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 135v-136). 18 luglio 1606: il presbiter Joannes Dom.co Catanzaro, che aiutava D. Luca Musitani, cappellano della venerabile chiesa di San Nicola dei Greci, dichiara che, il 04.02.1604, “in facie ecclesie”, aveva affidato i coniugi Hijeronimo Poerio de Alfonso e Julia Ritia nella chiesa di San Pietro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, f. 170).

[xii] In alcuni casi, gli atti riportano anche la dizione “in convicinio, et Parocchia”. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 091-093.

[xiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 040-041, 11.09.1615.

[xiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 102-103v, 28.08.1623.

[xv] 18 settembre1617: il reverendo presbitero Joannes Thoma Faraco, “parocus, et rettor” della chiesa di “Santi Petri”, “tacto pectore more presbiterorum”, testimoniava che, il 17.09.1616, aveva celebrato il matrimonio tra Fabio Rotundo e Dianora Coco nella chiesa di San Pietro. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, f. 046.

[xvi] Novembre 1624: “De parochiali ecclesia S. Petri, terrae Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus XII duc. vac. per ob. Hieronimi Longo ab an. MDCIII (sic) def., providetur Petro Giraldo, clerico diocesano.” Russo F., Regesto VI, 29157.

[xvii] AASS, 4D fasc. 3.

[xviii] 16.09.1613. Il chierico Joannes Fran.co Arcomanno e Joannes Vincenso Callea, in qualità di eredi del quondam Michele Arcomanno, possedevano in comune ed indiviso diversi beni, tra cui la “Continentiam terrarum” posta nel loco detto “la salinara”, confine il “vinealem santi petri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 098-099v).

28.07.1624. Vespesiano Popaijanni, assieme a suo figlio Fran.co, vendevano al presbitero D. Joannes Paulo Mannarino, la “Continentiam terrarum aratorie” posta nel territorio di Policastro loco detto “la salinara”, confine il “vinealem Santi Petri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 055v-056v).

26.04.1629. Alla dote di Julia Caccurio che andava sposa a Bartolo Capozza, appartenevano le terre poste nel territorio di Policastro in loco detto “la salinara seu agrillo, et frachette”, confine il vignale di San Pietro, le terre di Lucretia Vaccaro ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 018-019).

21.05.1633. Lucretia Vaccaro, vedova del quondam Fran.co Lavigna, vendeva al presbitero D. Joannes Paulo Mannarino, la “Continentiam terrarrum” posta nel territorio di Policastro loco “la salinara”, confine le “terras Santi Petri” ed altri fini. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 030-030v).

[xix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 121-122v.

[xx] 15 settembre 1638: il R. D. Scipio Callea, “Curator, et rettor venerabilis Ecclesie santi Petri” di Policastro, asseriva che, il 15.03.1637, aveva congiunto in matrimonio “per verba de p(rese)nti”, Marcello Venturi e Rosa Coco, come appariva dal relativo libro. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, f. 074v.

[xxi] 2 gennaio 1637: “Scipio Callea, rector parochialis ecclesiae S. Petri, terrae Policastri, S. Severinae dioc., fit Prothonotarius Aplcus, cum omnibus iuribus et privilegiis.”. Russo F., Regesto VI, 32287.

[xxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 174-175.

[xxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 7-8, 26-27, 223-224v, 232-232v, 232v-233v. ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81, ff. 4-5, 17-18, 33-34. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159-159v; Busta 78 prot. 288, f. 061; Busta 79 prot. 297, ff. 129v-130.

[xxiv] 28.09.1647. Mario Tronga, che possedeva in comune ed indiviso con il Cl.co Scipione Tronga suo fratello, la gabella della capacità di circa salmate 12 posta nel “destricto” di Policastro loco detto “Zaccarella”, confine le terre dell’U.J.D. Mutio Jordano, le terre di Hyeronimo Coco, le terre degli eredi dell’olim Ottavio Vitetta ed altri fini, gravata nei confronti del presbitero Prospero Meo dal peso di ducati 6 per un capitale di ducati 60, e nei confronti della venerabile chiesa di “S.ti Petri” per annui carlini 2, vende la sua metà di gabella a detto suo fratello (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 076v-079). 06.10.1648. Il R. D. Santo de Pace vende a Giovanni Carvello, la possessione arborata di “Cerse, viti” ed altri alberi fruttiferi, “posta dentro q.a Città nel loco detto Carolino”, confine i beni di Santo Mesiano, i beni di Gio: Dom.co Caccurio, “lo fiume di Soleo” ed altri fini che “solam.te rende alla Parocchia di S. Pietro” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 086v-087v). 30.11.1648. I fratelli D.r Lutio e Gio: Fran.co Venturi, fino all’attualità, avevano posseduto in comune ed indiviso tutte le loro robbe, tanto quelle ereditarie, che quelle che avevano comprato. All’attualità dividevano tutto in due parti, una per ciascuno. Gio: Fran.co, come fratello minore, eleggeva la prima parte, mentre a detto D.r Lutio rimaneva la seconda. Alla detta prima parte si accollavano alcuni pesi, tra cui: carlini 12 alla chiesa parrocchiale di “S.to Pietro” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 109v-114). 05.02.1653. Il Cl.co Lupo Schipano vendeva a Joseph Jordano, la domus palaziata “cum horto contiquo”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.ti Petri”, confine la domus di Isabella Schipano, i “Casalenos” di Jo.s Berardino Poeri, la via pubblica ed altri fini, gravata dall’annuo censo di grana 5 alla chiesa di “S.ti Petri” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 016-017). 18.01.1654. Carulo de Cola vendeva al presbitero Joannes Antonio Leuci, la “continentia de Case consistentino in cinque Camere coverte, et una scoverta cum gisterna di dentro et poctega, ch’esce nella strada publica cum l’airi d’adalto, et abasso”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “della Piazza”, confine le case di Fran.co de Cola, la via pubblica ed altri fini, gravata dal peso di annui carlini 10 sopra la detta “Pottega” alla chiesa di “S.to Pietro” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 003-005).

[xxv] 12.06.1612. Juliano Zagaria donava al figlio Joannes Zagaria alcuni beni, tra cui le terre che erano appartenute al quondam Joannes Bernardino Scandale, poste nel territorio di Policastro nel loco detto “gorrufi” confine i beni del chierico Joannes Laurenzo Corigliani, le terre di Leonardo Spinelli, il vignale di Santa Caterina ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 030v-031v.

[xxvi] 29.01.1630. Flandia Furesta, vedova del quondam Fran.co Durante, essendo debitrice nei confronti dei coniugi Andria de Albo e Maria Durante, assegnava loro, tra l’altro, una vigna con terreno vacuo e contiguo in parte con detta vigna, appartenuti al quondam Gianni Furesta suo padre. Beni posti nel territorio di Policastro loco “lo molinello”, confine le terre dei predetti eredi de Blasco, il vignale della chiesa di Santa Caterina e la via pubblica dalla parte di sopra. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 078v e 081-081v.

[xxvii] 15.02.1632. Davanti al notaro comparivano Elisabetta Tassitano, vedova del quondam Cornelio Catanzaro, assieme a Fabritio Jerardo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Fabritio e Lucretia Catanzaro figlia della detta Elisabetta. Apparteneva alla dote la possessione arborata di “Celsi, fico” ed altri alberi fruttiferi che al momento si trovava seminata, posta nel territorio di Policastro loco “le parmenta”, confine i beni di Santa Caterina, i beni di Gio: Dom.co Caccurio ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 022-023v.

[xxviii] 27.03.1634. Davanti al notaro comparivano Joannes Dom.co Schipano e Lucretia Schipano, fratello e sorella, assieme a Fran.co Rocciolillo. Essendo avvenuto il matrimonio tra detti Lucretia e Fran.co, si consegnavano i beni pattuiti nei capitoli matrimoniali, tra cui la possessione loco “lo cinale” territorio di Policastro, confine i beni di Gio: Fran.co de Mauro, i beni di Santa Caterina ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 043v-044.

[xxix] 14.05.1645. I coniugi Marco Maltise e Franciscella Trocano, vendevano ad Alphonso Galluzzo del casale di Albi, pertinenze di Taverna ma, al presente, “incola” in Policastro, la “Vineam Dotalem” alberata con diversi alberi, posta nel “districtu” di Policastro loco detto “le carita”, confine la vigna che era appartenuta al dominio del quondam Minico Romano e che, al presente, possedeva la chiesa di Santa Caterina Vergine e Martire di Policastro, confine la vigna di Joannes Nicolao Guidacciro, la possessione del chierico Joannes Baptista Cerasari ed altri fini. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 072v-075.

[xxx] 18.02.1634. Ferdinando Coco vende per ducati 360 al presbitero Parise Ganguzza, alcuni beni stabili che gli provenivano dall’eredità di Marco Antonio Coco loro comune padre, tra cui il “Castanetum” posto nel tenimento di Policastro “ubi dicitur Castanetum santella”, confine il “Castanetum” della chiesa di Santa Caterina ed il “Castanetum” del quondam Joannes Jacobo. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 009-010.

[xxxi] 03.08.1630. I fratelli Marco Ant.o e Horatio Fanele, vendevano a Fabritio Faraco, la possessione di 2 tomolate di capacità, arborata con “sicomorum, ficorum, et quercuum”, posta nel territorio di Policastro loco detto “la fiomara”, confine il “flumen Solei”, il vignale di Santa Caterina, le terre dette “de Zaccarella Jo(ann)is Dom.ci Caccuri”, via pubblica mediante, le terre di detto Fabritio via pubblica mediante ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 126-127). 19.04.1636. Davanti al notaro comparivano D. Joannes Fran.co Rocca, “Vic.s foraneus” di Policastro nonchè procuratore del Pio Monte posto nella chiesa Matrice lasciato da Gregorio Bruna, e Vittoria Liotta erede del quondam D. Joannes Leotta suo fratello, con l’assenso ed il consenso di Fabritio Faraco suo marito. Tra le altre robbe del detto quondam Gorio, messe all’asta nella publica piazza, vi era il “terreno seu vignale” o continenza di terre arborata “sicomorum” che, appartenuta al quondam Gio Ant.o Palmeri, era stato comprato dal detto quondam Gorio, posto nel territorio di Policastro loco “la fiumara”, confine le terre di Marcello Leusi, il vignale di Santa Caterina, il “fiunme di soleo” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 037v-042). 04.01.1639. Fabritio Faraco ricomprava il vignale del quondam Gio: Antonio Palmeri con “una Casetta dentro”, posto nel territorio di Policastro loco detto “la fiomara”, confine “lo fiumme di soleo”, le terre di Marcello Leusi, il vignale di Santa Caterina, “et altri fini di celsi” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 008-009). 15.02.1649. Davanti al notaro comparivano Salvatore “infuso” e Lucretia Grosso “Virgine in Capillo”, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Appartenevano alla dote, la parte spettante alla futura sposa dei vignali posti “nella fiumara”, confine le terre di Santa Catarina ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 016v-018). 31.08.1655. Fausto Vecchio di Policastro, vendeva al presbitero Sancto de Pace ed a Michaele Aquila, procuratori della chiesa sotto il titolo di “S.ti Jacobi” e del pio monte dei maritaggi appartenente agli eredi del quondam presbitero Jacobo de Aquila, l’annuo censo di carlini 15 per un capitale di ducati 15 sopra alcuni beni, tra cui il vignale posto nel territorio di Policastro loco detto “la fiumara” che era appartenuto alla chiesa di Santa Caterina, confine i beni di Alfonso Campitello, il “flumen Solei”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 126-128).

[xxxii] 08.03.1652. Ippolita Zurlo, moglie di Carlo de Cola, l’anno passato, al tempo in cui era ancora vedova, aveva venduto a Gio: Pietro Pipino una “grocta” posta dentro il territorio di Policastro loco detto “S.to Dimitri”, confine la grotta della chiesa di Santa Caterina, le grotte appartenute alla quondam Laura Blasco ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 022-023.

[xxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 136-137v e 223v-224; Busta 78 prot. 287, ff. 102-103; Busta 79 prot. 293, ff. 037v-038v.

[xxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 061-064; Busta 80 prot. 304, ff. 025v-026v.

[xxxv] 19.09.1606. Volendo dare seguito alle volontà della moglie Feliciana Trocani, espresse nel suo ultimo testamento, Silvio Naturile cede per tre anni alla chiesa di S.ta Caterina e per essa, a Joannes Palatio, procuratore della venerabile chiesa di S.ta Caterina, la “domum” posta nella terra di Policastro, “in convicinio Ecclesie s.ti Nicolai de grecis” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 205-205v). 26.08.1607. Controversia tra Joannes Maria Prante e Gorio Bruna, procuratore della chiesa di S.ta Caterina, relativamente alla “domus cum ortis contiguis ex parte inferiori, et superiori, et cum omnibus Casalenis et sicomis, et aliis arboribus”, che erano stati donati alla detta chiesa. Beni che erano confinanti con la via pubblica da due lati, la domus di Joannes Baptista Carcelli e l’orto di Vergilio Catanzario (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 033v-034).

[xxxvi] 06.04.1626. Andria Scandale lascia la somma di 20 carlini alla chiesa di S.ta Caterina, che potrà avere dopo la morte di Agostina sua madre. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. sciolti s. n. 20.04.1630. Dal testamento di Sanzone Salerno apprendiamo che, in relazione al legato di ducati 20 fatto alla chiesa di Santa Caterina da Elisabetta Rocca, prima moglie del detto Sanzone, quest’ultimo aveva fatto fare un avanti altare di velluto verde “con l’arme de casa rocca” che era stato posto sull’altare maggiore. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 101-102v.

[xxxvii] 14.05.1604. Minico Pollizzi lasciava per testamento, un porcastro alla chiesa di S.ta Caterina (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 7-8). 13.10.1605. Salvatore Blasco lasciava per testamento, un somaro alla chiesa di S.ta Caterina, in maniera “che le confratie di detta chiesa vadano gratis” al suo funerale (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 240v-241v).

[xxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 223-224v.

[xxxix] 03.09.1620. Joannes Pettinato, procuratore della chiesa di S.ta Caterina, considerato che, nei giorni passati, era morto il quondam Hijeronimo Romani ed aveva lasciato alla detta chiesa, la sua domus palaziata con il patto che fosse venduta, avendo provveduto all’incanto, la cedeva ad annuo censo perpetuo a Paulo Luchetta. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 058v-059v.

21.09.1648. Salvatore Desiderio, procuratore della chiesa di S.ta Caterina, vendeva a Laurenso Vaccaro, il “Cavone arborato de fico” posto nel territorio di Policastro nel loco detto “lo Vallone di traulo”, confine i beni del detto Laurenso, i beni degli eredi di Marco Rizza, i beni di Prospero Cepale, “la via publica che si và à S.to Dimitri” ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 082-083.

[xl] 07.07.1648. Salvatore Desiderio, “Procurat.re Confraternitatis Ecc.ae S.tae Catharinae” di Policastro, permutava il “rusticum predium” appartenente alla detta confraternita, posto nel “destrictu” di Policastro loco detto “Scardiati seu Valle delli Cancelli”, confine il “predium” del presbitero Joannes Jacobo Aquila ed altri fini, con i seguenti beni di Martino Vecchio: la “Vineolam” chiamata “Paternise”, “conticuam vineis Sartorii de Vona et Victorii Jerardi”, le terre di Joannes Dom.co Caccuri ed altri fini; il “Vineale appellatum Galluzzi”, “annexum” alle terre di Alfonso Campitelli, le terre del detto Martino ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 032v-035v.

[xli] 10.10.1647. Davanti al notaro comparivano il R. D. Parise Ganguzza ed il chierico Hyeronimo Coco, in merito ad una loro controversia riguardante il possesso ed i frutti di alcuni orti. Tra le altre cose, il detto Hyeronimo pretendeva di essere assolto dal pagamento del censo di annui carlini 10, dovuto alla chiesa di Santa Caterina sopra l’orto che era appartenuto al presbitero D. Blasio Capotia. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 106v-108.

[xlii] 21.07.1605. Il notaro Horatio Scandale, per riscattare un proprio “ortale arboratum sicomis” pignorato, posto nel territorio di Policastro loco detto “lo ringho”, detenuto al presente da Cesare Curto, prendeva in prestito la somma di ducati quaranta da Joannes Baptista Rocca, procuratore della venerabile chiesa di S.ta Caterina, impegnandosi a pagare l’annuo censo di ducati quattro ogni anno alla metà di agosto ad iniziare dal prossimo anno 1606 ed obbligando i suoi beni. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 116-117v.

25.11.1608. Il notaro Horatio Scandale, essendo debitore nei confronti della venerabile chiesa di S.ta Caterina di Policastro per la somma di ducati quaranta, più ducati dieci di interessi maturati, relativi al prestito del denaro usato nell’acquisto della “possessionem” di Joannes Petro de Aquila loco detto “gorrufi”, e volendo onorare il suo debito ma non avendo il denaro necessario, cede alla detta chiesa rappresentata dal suo procuratore Gregorio Bruna, l’entrata di ducati cinquanta relativa all’affitto di anni quattro della sua possessione loco detto “Cropa”, affittata per la ragione di ducati dodici e mezzo l’anno a Joannes Dom.co Polla e Fabio Folinazzo “alias sigilia”. La cessione risulta effettuata alla presenza del detto procuratore e dei seguenti confrati: Camillo Campana, Joannes Baptista Rocca, Jacobo Apa, D. Aniballe Callea, D. Joanne Paulo Blasco. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 111-112.

[xliii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 116-117v.

[xliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 205-205v.

[xlv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 033v-034 e ff. 111-112.

[xlvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 058v-059v.

[xlvii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 045v-046.

[xlviii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 054v-055v. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 032v-035v e ff. 082-083.

[xlix] ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 17-18.

[l] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 114-114v.

[li] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 117v.

[lii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 170-172v.

[liii] 15.01.1639. Laurentio de Pace aveva acquistato dal presbitero D. Parisio Ganguzza, un ortale arborato di sicomori appartenuto al quondam Fran.co Paudari, posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine i beni di “Sante Marie Carminis”, i beni degli eredi del quondam Vergilio Catanzario, la via pubblica ed altri fini, per il prezzo di ducati 25. All’attulialità il detto Laurentio pagava al detto D. Parisio quanto dovuto (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 014v-015).

[liv] 04.08.1604. Testamento di Minica o Minicella Scavino, abitante nella casa di Laura Scavino “intus p(raedi)ttam terram in Convicino s.tae Catarinae iusta domum fran.ci paudari viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 26-27). 12.08.1604. Testamento di Vittoria Palatio, abitante “intus p(raedi)ttam terram in Convicino s.tae Caterinae iusta domum D. Dom.cii Palatii justa domum Lupii pecori et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 40-41). 12.11.1604. Testamento di Andriana de Conte, abitante “in convicino Ecclesie sante Caterine”, confine la domus di Vergilio Catanzaro, via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 220-220v). 27.11.1604. Testamento di Diana Caccurio della terra di Mesoraca, moglie di And.a Caruso, abitante in Policastro “in Convicino sante Caterine”, confine la domus della venerabile chiesa di S.ta Caterina, il casaleno del presbitero Joannes Dom.co Catanzaro, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 223v-224). 21.02.1605. Joannes Palatio dona al Cl.o Joannes Francesco Palatio suo figlio, alcuni beni, tra cui una casa palaziata posta nella terra di Policastro “in Convicino ecclesie s.te Caterine iusta domum Pr. Donni Dom.ci palatii cioè la casa de fora” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 91-92). 21.03.1605. Testamento di Gregorio Ammerato, abitante dentro la terra di Policastro “in Convicino Ecclesie sante Caterini”, confine la domus di Marco Inbriaco, il casaleno di D. Joannes Dom.co Catanzaro, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 232-232v). 25.09.1605. Davanti al notaro si costituiscono Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto” e Marco Imbriaco, per il matrimonio tra il detto Marco e Lucretia de Maijda, figlia del detto Hijeronimo. Gioanna de Maijda “alias la mantuta”, zia della sposa, le donava una “casa terrana” posta nella terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina confine la casa di Gioallupo Pecoro e Masi Luchetta, la via pubblica ed altri confini. Nel medesimo loco della casa promessa, si trovava anche la casa di detta Giovanna, cioè la casa di S.ta Caterina (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 136-137v). 30.10.1605. Joannes Fran.co Corigliano vende a Cesare Truscia, un “casalenum” posto dentro la terra di Policastro “in convicino ecclesie venerabilis s.te Caterine justa ortum Franci Paudari, et Jo(ann)is petri bonacci, et viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro Policastro, Busta 78, prot. 286 ff. 143-143v; parte seconda foto 144-145). 23.04.1606. Caterina Ardano vedova del quondam Matteo Fortini, vende a Vergilio Catanzaro un “Casalenum” posto nella terra di Policastro “in Convicino Ecclesie s.te Caterine iusta ortum ipsius Vergilii, et ortum Jo(ann)is Marie prantedi, et domum ditte Caterine venditricis, viam publicam et alios fines (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78, prot. 286, ff. 164v-165v). 25.08.1606. Salvatore Levati vende al presbitero D. Dominico Palatio, il casaleno posto nella terra di Policastro “in convicinio Ecclesie s.te Caterine”, confine la domus di detto Salvatore, la domus del detto presbitero D. Domenico, il casaleno di Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 191v). 10.09.1606. Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto”, Gioanna de Maijda sua sorella e Marco Inbriaco suo genero, in solidum, vendono a D. Dom.co Palatio un “casalenum” posto dentro la terra di Policastro “in Convicinio ecclesie s.te Caterine”, confine il casaleno e la casa del detto D. Domenico, la domus di Masi Luchetta, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 199v-200v). 17.07.1607. Hijeronimo Lamanno vende a Vergilio Catanzaro, la “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro, “in Convicinio Ecc.e sante Caterine”, confine un’altra domus del detto Vergilio, il casalenum di Joannes Palatio, l’orto di Fran.co Paudari ed altri fini, insieme al “casalenum” posto nel loco predetto “ante ianua domus p(raedi)tta” e la via pubblica (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 028-029). 10.09.1608. Relativamente alla vendita effettuata da Hijeronimo Lamanno nei confronti di Vergilio Catanzario di una “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detto Vergilio, l’orto di Fran.co Paudari, ed altri confini, il detto Vergilio completa il pagamento del prezzo di vendita (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 101-102). 10.09.1608. Joannes Fran.co Russo vende a Hijeronimo Lamanno, la “domum terraneam” posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detta chiesa, la domus di Agostino Romani “vinella mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 102-103). 04.01.1609. Testamento di Cornelia Pecoro, abitante nella “domum terraneam” posta nella terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus del presbitero Dom.co Palatio, la domus di Joanna Mantuta, la via pubblica ed altri fini. Lascia a Gio: Lamantuta, carlini venticinque sopra l’orto contiguo alla sua casa (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159-159v). 11.01.1609. Testamento di Laura Taranto, abitante nella domus posta nella terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di Caterine Dardano, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159v-160). 03.01.1618. Prospero Carrozza vende a Hijeronimo Lamanno, la domus palaziata con un “catoijo” dove si teneva paglia, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine l’orto di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, le domos della quondam Lucretia Turana, la via pubblica ed altri fini. La detta domus era stata acquistata dal detto Prospero dal quondam Joannes Battista Favari (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 076v-077v). 04.02.1618. Davanti al notaro si costituiscono i coniugi Salvatore Levato e Laura Cancello, assieme a Fran.co de Miglio, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Fran.co e Caterina Levato figlia dei detti coniugi. Appartenevano alla dote i beni lasciati dalla quondam Minichella Scavino, zia della futura sposa, tra cui una casa terranea posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la casa di Fran.co Paudari e la via pubblica da due parti (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 078v-081v). 04.05.1618. Il presbiter D. Dominico Palatio vende al serviente Paulo Luchetta, la “domum terraneam” posta nella terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detto Paolo “a parte inferiore”, il casalenum appartenuto al quondam Andrea Grispini, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 093v-094v). 15.09.1625. Il presbitero D. Joannes Baptista Favari, circa 12 anni prima, aveva venduto a Prospero Carrozza, una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina. Il detto Prospero però non aveva pagato né era in condizione di farlo. Al presente, il detto presbitero vendeva detta casa a Fiore Palmeri, insieme con la metà dell’orto contiguo incluso “lo celso” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 142v-144). 18.09.1630. Il notaro si porta nella domus palaziata di Fiore Palmeri, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus del presbitero Joannes Baptista Favari “dittam la turana”, l’orto di Petro Paulo Serra, la via convicinale ed altri fini, per stipulare il suo testamento (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 162v-163). 21.01.1631. Leonardo Caccurio vende a Paulo Venturo, la domus palaziata con orto contiguo dove era un “pede magno sicomi”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus che era appartenuta alla quondam Lucretia Turana, confine l’orto di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 004-005). 13.07.1637. Claritia Paudari figlia del quondam Fran.co Paudari, vende a Joannes Laurentio de Pace, il casaleno posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di Santa Catherina, confine la “domum seu ortum” del presbitero D. Parise Ganguzza, il casaleno di detto Joannes Laurentio, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 050-050v). 03.11.1637. Nei mesi passati, i coniugi Nicolao Grosso ed Elisabetta Palazzo, avevano venduto a Laurentio de Pace, il casaleno posto dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus di detto Laurentio, la via pubblica ed altri fini. Al presente i detti coniugi ricevevano il denaro pattuito (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 101-101v). 21.02.1638. Hyeronimo Salerno vende ad Andrea Cavarretta, la “Continentiam domorum” costituita da 3 camere, con “Cortilem inferioribus, et superioribus”, cui andava incluso un “orticellum Contiguum”, posta dento la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Sante Caterine”, confine la domus di Laurentio de Pace, i “sicomos” di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 023-024). 21.02.1638. Davanti al notaro si costituiscono Isabella Marrazzo, vedova del quondam Valentio Jordano, e Hyeronimo Salerno. Negli anni passati, detto Gerolimo aveva venduto a detto Valente, due case poste dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “santa Caterina”, confine “li Celsi” di Petro Paulo Serra, “vallone mediante”, e le case di Laurenzo de Pace che erano appartenute al quondam Virgilio Catanzaro, “della parte di sotto il Cortiglio”, per il prezzo di ducati 18, relativamente al quale si era impegnato a pagare l’annuo censo di carlini 12. All’attualità la detta Isabella, non avendo il denaro per continuare a pagare il censo, retrocedeva le case a detto Gerolimo per il medesimo prezzo (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 024-025). 28.02.1638. Davanti al notaro compaiono D. Aloisia de Angelis, vedova ed erede del quondam Justuliano Cirisani, e Hyeronimo Poerio. La detta Aloisia asseriva che suo marito aveva comprato dal Cl.co Lutio Venturi, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, un “ortale” arborato di “Celsi” posto dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santa Caterina”, confine l’orto di detta chiesa, l’orto e casalino di Gio: Thomaso Scandale, la via pubblica ed altri fini, impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 15. All’attualità la detta Aloisia retocedeva il bene al detto Gerolimo che s’impegnava a pagare lo stesso censo al monastero (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305 ff. 025-025v).

[lv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 091v-092v.

[lvi] 02.11.1634. Petro de Mauro vende a Hijeronimo Salerno, la “Continentiam domorum cum Cortiles, et orto” consistente in 6 membri palaziati posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine l’orto di D. Parise Ganguzza, il casaleno di Nicolao Grosso, i “sicomos” di Petro Paulo Serra “vallone mediante dittus la vasilea”, le vie pubbliche ed altri confini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 152-153v).

[lvii] “Nell’anno 1520 si ritrovò sotto la muraglia a canto il tempio antico di S.ta Caterina un Idoletto Piccolo d’Ercole alto un buon Palmo, qual’era di Bronzo con in mano la Clava …”. Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lviii] 20.08.1607. Nella dote di Julia Niele che andava sposa a Thomaso Autimari del casale di Cellare, pertinenza di Cosenza, figura “la vasilea harborata di celsi confine le mura della terra, et l’orto di Fran.co paudari” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 032v-033v). 28.05.1617. Joannes Laurenzo Corigliano dichiarava che suo padre Joannes Fran.co, aveva venduto a Cesare Truscia il “casalenum” posto dentro la terra di Policastro loco detto “la vasilea”, confine l’orto di Fran.ci Paudari “et murii ditte Civitatis”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 025v-026). 25.11.1623. Alla dote di Beatrice Bonanno che andava sposa a Joannes Baptista Lanzo, apparteneva “la vasilea” che era stata del quondam Fran.co Bonanno suo padre, confine l’orto di Fran.co Paudari, l’orto di Filippo Carise, “li celsi” di Petro Paulo Serra ed altri fini. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 115v-119). 27.08.1631. Alla dote di Catherina Bonaccio che andava sposa a Petro de Mauro, apparteneva una continenza di case poste dentro la terra di Policastro, nel convicino di Santa Caterina dove si dice “la vasilea”, confine l’orto che era appartenuto al quondam Fran.co Paudari e “le mura della Citta ditte similm.te la vasilea”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 061-062v).

[lix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 170-172v.

[lx] 24.10.1620. Il chierico Scipione Popaianni vendeva ad Andrea de Pace, la “Continentiam domorum palatiatorum”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Santi petri”, confine la “logettam domorum” del quondam Marco Antonio Coco, l’orto e il “palazzettum” di quest’ultimo ed altri fini; nonché l’orto “arboratum sicomorum” posto nello stesso loco, confine la detta continenza di case palaziate, l’orto della venerabile chiesa di Santa Caterina, l’orto del detto quondam Marco Antonio ed altri fini; nonché un altro “orticellum”, confine il detto orto, “et ripas dittas le catarrata et vallone ditto le Catarrata”, confine i “sicomium et Casalenos” del quondam Julio Jannino ed altri fini, con il patto che rimanesse al detto Scipione, la “Camera” confinante con la via pubblica ed i detti orti, dove al presente abitava Isabella Spolvera (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 068-069). 16 agosto 1621. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, Andrea de Pace donava al clerico Joannes Thoma suo figlio, i seguenti beni: la “continentia domorum” con orto contiguo arborato “sicomis”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santi Petri”, confine la domus degli eredi del quondam Marco Antonio Coco, il “vallonem dittum le catarrata”, l’orto di Santa Caterina ed altri fini, che detto Andrea aveva comprato dal Cl.o Scipione Popaianni (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 049-049v). L’ultimo di febbraio 1638, Donna Aluise o Aloisia de Angelis, vedova ed erede del quondam Justuliano Cirisano, asseriva che suo marito aveva comprato dal Cl.co Lutio Venturi, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, un “ortale” arborato di “Celsi” posto dentro la terra di Policastro “nel Convicinio di santa Caterina”, confine “l’orto di detta chiesa”, l’orto e casalino di Gio: Thomaso Scandale, la via pubblica ed altri fini, impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 15. All’attualità la detta Aloisia retocedeva il bene a Hyeronimo Poerio che s’impegnava a pagare lo stesso censo al monastero (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 025-025v). 22.02.1643. I coniugi Lupo de Florio e Laura Faraco vendevano a Joseph Giordano un “Ortale sicomorum” dotale posto dentro la terra di Policastro loco detto “la basilea”, confine la domus e l’orto del quondam Hijeronimo Poeri, un altro ortale ed il casaleno del quondam Tiberio Grigoraci, le “Rupas dictae Civitatis” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 040v-042). 15.08.1655. Alla dote di Vittoria Ritia che andava sposa a Petro de Franco, apparteneva “un pede di Celso” posto dentro la terra di Policastro nel loco detto “la Vasilea”, confine l’orto del quondam Petro Paulo Serra, “vallone” mediante (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 111v-113).

[lxi] “… nell’anno trent’otto del caduto centinaio che successe la sua rovina per quel terribil Terrimoto di tutta la Calabria, accaduto à 27 Marzo nella Domenica delle palme à 21 ora.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxii] 17 dicembre 1630. Il notaro si portava nella domus palaziata di Portia Nicotera, moglie del magister Filippo Schipano, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “santi Petri”, via pubblica mediante, confine la domus di Leonardo Accetta, ed altri fini, per stipulare il suo testamento. La detta Portia istituiva eredi il Cl.o Lupantonio e Isabella Schipano suoi figli. Morendo entrambi senza figli, sarebbe succeduta loro la cappella del SS.mo Sacramento che avrebbe dovuto far servire una ebdommada la settimana in perpetuo. Lasciava a detta cappella la metà del suo orto con “gisterna”, posto dentro la terra di Policastro, nel convicino di “s.to petro” che possedeva in comune ed indiviso con Paulo Nicotera suo fratello. Dichiarava che la “casa nova”, non doveva essere considerata nell’eredità perché avendola fatta detto m.o Filippo con la sua fatica, andava a lui (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 188v-189v). 31 gennaio 1633. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, il “magister” Philippo Schipano donava al Cl.o Lupo Antonio Donisio, suo figlio, alcuni beni, tra cui la domus palaziata “novam”, posta nel convicino di San Pietro, confine un’altra domus “magna” di detto Philippo, confine l’orto della venerabile chiesa di “Santi Petri” dalla parte inferiore, la domus di Leonardo Accetta, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 008-008v).

[lxiii] “… la notte seguente, verso le cinque in sei ore, da più orribile terremoto furono abbatute alcune Città, Terre e Castelli (…) Policastro città fu abbattuta dalle fondamenta”. Boca G., Luoghi sismici di Calabria, 1981, p. 220.

[lxiv] “… che Policastro per essere d’alto sito, ed arenoso, fosse il più danneggiato nella Comarca in trecento cinquanta tre tra Templi, Palaggi, e Case atterrati, secondo il Conto di Luzio Orsi.” Mannarino F. A., cit.

[lxv] 09 agosto 1644. Catharina, Julia e Feliciana Caruso, vendevano a Simione Lomoio il “Casalenum” che gli era pervenuto dall’eredità di Hijeronimo Ammannito loro padre, posto nella terra di Policastro “in Convicinio Sanctae Mariae Gratiarum Ecclesiae ad p(raese)ns Parochialis in loco Sancti Petri deruti in loco ubi dicitur la timpa delli Napoli”, confine la domus di Marco Maltise “muro coniuncto”, la domus di detto Simionis via mediante ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 079v-080v).

[lxvi] 03.06.1639. Su richiesta del Cl.co Joannes Dom.co Campana, figlio del quondam Camillo, il notaro si portava nella “barraccam ubi habitabat” detto quondam Camillo, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della “Cappella sive barracca santa Catherina”, confine la “barraccam” del quondam Fran.co Grosso, gli eredi del quondam Berardino Lamanno e la via pubblica da quattro lati, per redigere l’inventario “seu ripertorio” dei beni del morto. Tra questi vi era una “Continentia di Case dirute, et fragasciate del terrimoto consistenti in quattro menbri scoverte, et sciollate”, poste nel convicino di Santa Caterina, confine il casalino degli eredi del quondam Berardino Lamanno e la via pubblica da due parti, con quattro “orta circum, circa dette Case derute uno delli quali vie fundata la barracca di detta chiesa di santa Caterina l’orto grande confine dette Case derute”. ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 057-058v.

[lxvii] 17 aprile 1644. Per la sua devozione verso la chiesa di Santa Caterina ed i suoi confrati, Francisco Greco donava “ad beneficium, et reparationem praefatae Ecclesiae”, e per essa, al suo procuratore Julio Berricello, la metà delle “frondes suorum sicomorum”, pervenutegli dall’eredità dell’olim Finitia Calendino (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 045v-046). 06.03.1646. Nel suo testamento, Blasio Ritia lasciava tre ducati alla “fabrica della Chiesia de S.ta Catarina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 084v-087).

[lxviii] 27.04.1644. Nell’atto si stabilisce che la parte inadempiente, avrebbe dovuto pagare la somma di ducati 100, alla venerabile chiesa di Santa Caterina “per reparatione della nova fabrica di detta Chiesia” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 049v-050v). 01.09.1645. Nell’atto si pattuiva che, la parte eventualmente inadempiente, avrebbe dovuto pagare ducati 10 alla chiesa di Santa Caterina “per riparo di essa” (ASCZ, Notaio G.M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 109-111; foto 114-116). 22.10.1645. Nell’atto si pattuiva che la parte inadempiente all’accordo, avrebbe dovuto “pagare alla Nova Chiesia di Santa Catharina, che inatto si stà fabricando”, ducati 10 “per riparat.ne di essa” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 154-155v).

[lxix] 30 aprile 1644. Martino Vecchio vendeva a Petro Joannes Vivacqua, due “Casalena cum orto conticuo arborato cum uno Pede sicomoris”, posti dentro la terra di Policastro “in convicinio Sancti Petri deruti Ecclesiae Parocchialis, ubi ad p(raese)ns fabricatur nova Ecclesia sub titulo Sanctae Catharinae Virginis, et Martiris”, confine la domus di Antonino Pollaci, la domus di Philippo Schipani, “muro coniuncto”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 053-054v). 03 maggio1644. Su richiesta di Feliciana Cavarretta, moglie di Philippo Schipani, il notaro si portava nella domus del detto Philippo, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di “S.ti Petri dirutae”, confine la domus di Antonino Pollaci, “muro coniunto”, la via pubblica ed altri fini per stipulare il testamento di detta Feliciana. La testatrice lasciava alla “Chiesia, che si stà fabricando di S.ta Cat.na”, “le porghe, seu Celsi” loco detto “la Vasilea”, territorio di Policastro, confine “li Celsi” di detta chiesa, “li Celsi” del Cl.co Carlo Richetta “vallone” mediante ed altri fini, con la clausola che dette porghe non si potessero né vendere né alienare (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 048v-050). 12.01.1646. Il R. presbitero Joannes Paulo Blasco, assieme a Delia Callea, vedova dell’olim Marco Antonio Guarani, vendevano al chierico Hyeronimo Coco, il casaleno che possedevano in comune ed indiviso, posto dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale “sub vocabulo Sancti Petri, ubi ad p(raese)ns edificata est nova Ecc.a Sanctae Catherinae Virginis et Martiris”, confine la domus terranea di Antonino Pollaci, “à parte inferiori et Orto conticuo praefati Antonini”, la domus di Ippolita Misiano “à parte superiori muro coniuncto” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 006-007v). 06.02.1646. Nei giorni passati, il serviente della corte Domenico Valente, dietro lettera esecutoriale spedita il 27.01.1646 dalla “Corte del Mag.co Baglivo” di Policastro, su istanza del C. Gerolimo Coco, aveva provveduto a fare esecuzione contro Julia Lomoio di Policastro, vedova dell’olim Francisco Nigri, relativamente ad una casa terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della parrocchiale di “S. Pietro”, “dove al p(rese)nte si stà edificando la nova Chesa di Santa Catharina”, confine il casalino di Antonino Pollaci, “della parte di sop.a”, la casa terranea degli eredi dell’olim Burtio Carbone ed altri fini. Joannes Gregorio Catanzaro, ordinario serviente della corte di Policastro, incantava detta casa a Joannes Dominico Guzzo per la somma di ducati 10 (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 015-017). 09.02.1646. Joannes Dominico Guzzo vendeva al C. Hyeronimo Coco, la domus terranea precedentemente acquistata all’asta, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di “S. Pietro”, “ubi ad p(raese)ns edificata est nova Ecclesia sub vocabulo Sanctae Catherinae Virginis et Martiris”, confine il casalino di Antonino Pollaci “à parte superiori”, la casa terranea degli eredi dell’olim Burtio Carbonis “à parte inferiori”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 017-018v).

[lxx] 29.09.1645. Il Cl.co Jeronhimo Coco, prendeva in prestito un capitale di ducati 50 alla ragione del 10 % in monete d’argento e “Zicchinis” d’oro, impegnandosi a pagare l’annuo censo di ducati 5 al R. D. Joannes Andrea Romano. Tra i beni posti a garanzia nell’occasione, troviamo il “Palatium magnum cum Orto conticuo, et Gisterna”, consistente in “pluribus membris”, posto dentro la terra di policastro, “in convicinio novae Ecclesiae sub titulo Sanctae Catharinae Virginis, et Martiris via publica mediante”, confine la domus di Marco Lomoio, vinella mediante, ed altri fini. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 138-141. 18.07.1647. Hijeronimo Coco vende a Leonardo Crocco, la domus terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della venerabile chiesa di S.ta Caterina “nova”, confine la domus della vedova di Burzi Carbone, la domus di Philippo Schipano, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 061-062v). 18.07.1647. Laura Blasco vende a Leonardo Greco, la domus terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della venerabile chiesa “nova” di S.ta Caterina, confine la domus di Francisco Guzzo, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 062v-063v).

[lxxi] 1600: “Capp.nus seu Confratres S. Catherinae t(er)rae Polic.i cum cathedratico cerae librarum quatuor”, non comparve. 1601: “Cappellanus seu Confr(atr)es S.tae Catherinae t(er)rae Policastri cum Cathedratico cerae librarum quatuor”, comparve con la solita cera. 1602: “Cappellanus seu confratres S(anc)tae Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae librarum quatuor”, non comparve. 1603: “Cappellanus seu confratres s(anc)tae Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cere librarum quatuor”, comparve. 1604: “Cappellanus seu confraternitas S. Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae lib(rarum) quatuor”. 1605: “Cappellanus seu confratres S(anc)tae Catherinae terrae Policastri cum cathedratico cere librarum quatuor” comparve e pagò. 1605: “Cappellanus seu confratres s(anc)tae Catherinae terrae Policastri cum cathedratico cere librarum quatuor”, comparve. 1606: “Cappellanus seu Confratres S. Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae librarum quatuor”, comparve e pagò. 1606: “Cappellanus seu Confratres S.tae Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae librarum quatuor” pagò. 1607: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Catherinae terrae Policastri Cum cathedratico cere librarum quatuor”, comparve e pagò. 1608: “Cappellanus seu Confratres S.tae Caterinae T(er)rae Policastri cum Cathedratico cerae librarum quatuor”, non comparve. 1609: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Cathedratico librarum cerae quatuor”, comparve e pagò. 1610: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Cathedratico librarum Cere quattuor”, non comparve. 1611: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri Cum Cathedratico librarum Cerae quattuor”, comparve e pagò. 1612: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri cum cathedratico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1613: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri cum cathedratico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1614: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri cum Cathedratico Cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1615: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Cathedratico Cerae librarum quattuor”, non comparve. 1616: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri Cum Catredatico Cerae librarum quattuor”, non comparve. 1617: “Cappellanus seu Confratres S(anc)tae Chaterinae Terrae Policastri cum catredatico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1618: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Policastri cum catredatico cerae librarum quattuor Comp.t Cum Cera”. 1619: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Catredatico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò in cera. AASS, 6A.

1634: “Rector S. Catharinae cum quatuor libris cerae – Idem de Blasco Rector solvit carolenos octo.” Scalise G. B. (a cura di), Siberene, p. 24 e sgg. 1635: “Rector S. Catharinae cum quattuor libris cerae Idem obtulit”. 1636: “Rector S. Catharinae cum quatuor libris cerae”, comparve per sé stesso ugualmente l’“Archypresbyter et Rector” ed offrì le quattro libre di cera. 1637: “Procurator S. Catharinae cum quatuor libris cerae”, lo stesso archypresbyter offrì le quattro libre di cera. 1638: “Procurator S. Catharinae cum quattuor libris cerae”, il procuratore Joannes Battista Pollacio offrì. 1639: “Rector Ecc.ae Sanctae Catherinae cum quattuor libris cerae”, lo stesso Archipresbitero offrì le quattro libre sopradette. 1640: “Rector Ecclesiae Sanctae Catherinae cum quattuor libris cerae”, non comparve. 1642: “Rector Ecclesiae Sanctae Catherinae cum quatuor libris Cerae”, lo stesso archpresbytero offrì “uti Rector”. 1643: “Rector Ecclesiae Sanctae Catherinae cum quatuor libris Cerae”, per esso compave m.ro Salvator Desiderii ed offrì. 1644: “Rector Proc.r Ecc.ae Sanctae Catharinae cum quattuor libris cerae”, offrì lo stesso per esso. 1645: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum quattuor libris cerae Non comp.t max accessit et obtulit”. AASS, 26A.

[lxxii] 1646: “Procurator Ecclesiae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae”, comparve ed offrì per esso lo stesso Archipresbitero. 1647: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae” per esso lo stesso archipresbitero offrì. 1648: “Proc.r Ecc.ae S.tae Catharinae cum tribus libris Cerae”, offrì per esso l’archipresbitero Blasco. 1649: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris Cerae”, offrì lo stesso archipresbitero per esso. 1651: “Procurator Ecc.ae S.tae Catharinae cum tribus libris Cerae”, lo stesso archipresbitero offrì per esso. Al margine: d. 0.3.0. 1653: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae”, lo stesso Rev.o Salvatore comparve per esso ed offrì. 1655: “Proc.r Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae”, comparve ed offrì. 1656: “Proc.r Ecc.ae S.tae Catharinae cum tribus libris cerae”, non comparve. 1658: “Procuratorem S. Catharinae cum tribus libris cerae”, comparve ed offrì. 1661: “Proc.r S. Catharinae cum tribus libris Cerae”, non comparve “solvit per R.s Vic.ri foraneum d. 0.3.0. 1662: “Procurator S. Catharinae cum tribus libris Cerae”, comparve ed offrì sei carlini d. 0.3.0. 1663: “Proc.r S. Catharinae cum tribus libris Cerae”, comparve e pagò d. 0.3.0. 1664: “Proc.r S. Catharinae cum tribus libris cerae”, non comparve. AASS, 26A.

[lxxiii] AASS, 35A.

[lxxiv] 30.11.1648. I fratelli D.r Lutio e Gio: Fran.co Venturi che, fino al momento, avevano posseduto in comune ed indiviso tutte le loro robbe, tanto quelle ereditarie che quelle comprate, all’attualità se le dividono equamente, facendone due parti. Alla parte del detto D.r Lutio, andavano annui carlini 11 per un capitale di ducati 11, che pagava Dieco Romeo sopra “l’hortali delli Celsi”, uno posto “sotto la rupa di S. Catarina”, l’altro contiguo alle case che erano appartenute di D. Minico Palazzo (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 109v-114).

[lxxv] 23.05.1604. Alla presenza del notaro, si costituiscono da una parte Dianora Scalise, vedova del quondam Hieronimo Jannini, insieme a Joannes Dom.co Accetta, genero della detta Dianora, madre di Andriana Jannini e, dall’altra, il giudice Jo: Thoma Richetta, in merito ad una questione sorta relativamente ad una “possesionis olivis arborata”, sita nel tenimento di Policastro, in loco detto “sotto s.ta Caterina iusta possessionem Nicolai Guidacciro, iusta heredum q.m diaconi Jo(ann)es Petri Corigliani viam publicam et alios fines”. La possessione promessa in dote ai coniugi Joannes Dom.co ed Andriana dalla detta Dianora, mediante capitoli matrimoniali stipulati davanti al notaro da Joannes Fran.co Accetta, era stata poi venduta al Richetta (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 12v-13v). 09.09.1605. Pompeo Tabernense, “ordinario serviente Regie Curie policastri publico banditore”, nonchè commissario specialmente deputato da parte della curia di Policastro, dietro istanza di Joannes Paulo Milea contro Joannes Ant.o Palmerio “Jaconum salvaticum”, in relazione ai capitoli matrimoniali stipulati tra il detto Joannes Paulo ed Elisabetta Palmerio, provvedeva a fare esecuzione dei beni del detto Joannes Ant.o, tra cui vi era l’ortale posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina” che, posto all’incanto, rimaneva aggiudicato a Joannes Fran.co Corogliano (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 124v-125). 28.01.1608. Joannes Fran.co Campitello vende a Joannes Agostino de Cola U.J.D., il “petium terre arboribus sicomorum olivarum et aliorum arborum domesticorum”, posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni degli eredi del quondam Ferdinando Nigro, i beni di Vincenzo Callea, Joannes Fran.co Coroliani, la via pubblica da due lati ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 057-058). 04.09.1608. Al fine di poter accedere all’ordine sacerdotale, Joannes Thoma Richetta “iudex terre policastri”, dona al figlio chierico Jacinto Richetta, alcuni beni tra cui: un “petium terre” arborato con “olivarum et mendole”, posto nel territorio di Policastro nel loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni di Nicolao Guidacciari, i beni della detta chiesa, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 099-100). 08.11.1609. La “soror” Costantia Nigra vende a Joannes Furesta alcuni beni, tra cui: un ortale “arboribus arboratum olivarum et Citrangolorum” nel loco detto “sotto s.ta Caterina”, confine i beni di Vespesiano Blasci, i beni di Ottavio Accetta, la via convicinale, il “Jardenum” che fu di Alisandro Circhioni, gli eredi del quondam Hijeronimo Grandinetti ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 152-155). 28.06.1610. Dopo aver stipulato un “Compromisso” alla presenza degli arbitri Fabio Caccurio e Gio: Paulo Accetta, i fratelli Fabritio e Ottavio Accetta, fanno stipulare l’atto con il quale si impegnano vicendevolmente a non molestarsi, e si dividono tra loro alcuni beni, tra cui una parte del vignale di “sotto s.ta Caterina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287 ff. 191-191v). 31.05.1617. Caterina Furesta, figlia di Joannes Furesta e moglie di Scipione Misiani, testimoniava che, in merito alla sua dote, aveva ricevuto alcuni beni stabili, tra cui il “petium terre arboratum Citrangulorum olivarum et sicomorum et aliarum arborum fruttiferorum cum vinea intus p(raedi)ttum petium terre”, posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni di Vespesiano Blasci, il “viridarium” del SS.mo Sacramento ed altri fini. Al presente donava tali beni al chierico Leonardo Jacinto Misiano suo figlio, così che potesse attendere “in scolis humanitatis literarum” ed ascendere agli ordini sacerdotali (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 026-027). 03.03.1624. Laurentio Ceraldo, ordinario serviente della regia curia di Policastro, dietro istanza di Joannes Dom.co Caccuri, contro Joannes Paulo Accetta e Joannes Thoma Cepale, dopo i “solita banna in platea publica” ed avere acceso la candela “in platea publica”, incanta a Joannes Berardino Dardano di Mesoraca, alcuni beni di Joannes Paulo Accetta, tra cui: la possessione arborata “olivarum, viniae et arangorum” posta nel loco detto “sotto santa caterina”, confine i beni della “Cappelle Corpus Cristi”, i beni di Scipione Misiani, i beni di Gregorio Bruna, i beni del q.m Ferdinandi Cerantonio ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 013v-014v). 15.12.1629. Per consentirgli di ascendere agli ordini sacri, Elisabetta Corigliano vedova del quondam Joannes Thoma Richetta, dona al Cl.o Carlo Leonardo Richetta suo nipote, alcuni beni, tra cui un pezzo di terra arborato “olivarum” posto “sotto Santa Caterina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, f. 072). 25.02.1631. Auleria Cavarretta vedova del quondam Joannes Vincenzo Coco, permuta la sua vigna posta nel loco detto “Cropa”, con un ortale arborato “sicomorum, cum uno pede ficis” e “Celsi” di Hijeronimo Coco, che era appartenuto al quondam Joannes Berardino Coco, avuncolo di detto Hijeronimo, posto nel territorio di Policastro loco “sotto Santa Caterina”, confine i beni di Bursio Carvune, l’“olivetum” di Jacobo de Vona, “et a parte superiore ripam”, la vigna di Julio Verricelli, la via pubblica ed altri fini, gravato dal peso di annui carlini due nei confronti di Laura Blasco, figlia del quondam Vespesiano Blasco (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 023-024v). 04.11.1631. Le sorelle Dianora, Diana e Camilla Accetta di Policastro, “virgines in capillo”, stante l’inabilità di Gio: Paulo Accetta ,loro padre poverissimo vecchio e cieco, donano al Cl.o Innocentio Accetta, loro fratello, un “vignale seu clausura” arborato con diversi alberi fruttiferi, “Cerse olive Celsi et uno pede di aranco”, che asserivano di possedere da più anni, in virtù di decreto della Regia Corte di Policastro, in relazione alla dote della quondam Innocentia Fera loro madre, posto nel territorio di Policastro loco “sotto santa Caterina”, confine i beni “seu giardino” del SS.mo Sacramento, i beni di Camillo Cerasaro e Gio: Gerolimo Blasco (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 077-077v). 27.08.1633. Il Cl.o Joannes Berardino Accetta vende al presbitero D. Joannes Paulo Mannarino, il “vinealem arboribus olivarum, et ficum” posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni di Gio: Gerolimo Blasco dalla parte superiore e la vigna del quondam Gregorio Bruno (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 051-052). 09.04.1634. Davanti al notaro compaiono Burtio Carvune e Dieco Cavarretta, figlio di Filippo Cavarretta, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Didaco e Vittoria Carvune, figlia di detto Burtio. Apparteneva alla dote un vignale arborato di “Celsi, et fico” loco detto “sotto santa Caterina”, gravato dal censo annuale di 1 tari alla sig.a Laura Blasca. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 072-073v). 19.04.1636. Davanti al notaro compaiono D. Joannes Fran.co Rocca, vicario foraneo di Policastro e procuratore del pio monte di maritaggi lasciato da Gregorio Bruna, ed il R.do D. Parise Ganguzza. Tra le robbe del detto quondam Gorio messe all’asta nella publica piazza, vi era la possessione arborata di “Celsi, et vigne” di “sotto santa Caterina”, che rimase aggiudicata al R.do D. Parise Ganguzza (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 042v-048). 24.11.1638. Davanti al notaro compaiono Auleria Cavarretta, vedova del quondam Vicenzo Coco, assieme a Jacobo de Vona, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Tra i beni appartenenti alla dote, troviamo un ortale di “Celsi” posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto Santa Caterina”, confine i beni di Burtio Carvune, Giulio Verricello ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 105v-106v).

[lxxvi] 27.08.1633. Il Cl.o Innocensio, Antonio, Dianora, Diana e Camilla Accetta, fratelli e sorelle maggiorenni, vendono al Cl.o Joannes Berardino Accetta, il “Vinealem arboribus olivarum, ficis” ed altri alberi posto nel territorio di Policastro loco detto “Sotto Santa Caterina”, confine i beni di Joannes Hijeronimo Blasco ed i beni di Gregorio Bruna dalla parte superiore. Tale vignale, inframezzato da un “moraglio”, andava “de piano per derittura di quello di scipione Misiano et detto Giangerolimo, et della parte sotto detto moraglio” restava a detti venditori (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 050-051).

[lxxvii] 25.09.1641. Il C. Innocentio Accetta vende a Catherina Furesta, vedova del quondam Scipione Misiano, il “petium terre” della capacità di ½ “quartocciate” circa, posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto Santa Caterina”, confine i beni di detta Catherina, i beni di Joannes Hijeronimo Blasco ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 036v-037v). 07.10.1641. Il R.do D. Parisio Ganguzza retrocede a Catherina Rocca, vedova del quondam Joannes Victorio Fanele, nonchè al C. Carolo Fanele suo figlio, la “possessione” “arborata di Celsi, con vigna, et altri arbori fruttiferi”, posta in loco detto “sotto Santa Caterina” che aveva precedentemente acquistato dal quondam D. Gio: Fran.co Rocca, “Procuratore del Pio monte”, quale lascito del quondam Gregorio Bruno sopra la sua eredità, confine i beni del quondam Scipione Misiano, “della parte di sotto”, la vigna di Giulio Berricello, “vinella et istrata mediante”, “li Celsi” di Gio: Gerolimo Blasco ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 041-042). 10.03.1644. Il C. Carulo Richetta vende ad Andrea Rocciolillo, la “Vineam parvam” posta nel “districto” di Policastro loco detto “sotto santa Catherina” alberata con diversi alberi, confine i “sicomores” di detto C. Carulo via mediante, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 023-024). 11.05.1644. Come appariva da una scrittura privata del 05.08.1636, Joanne Gregorio Cerasaro possedeva il “Vignale di sotto Santa Catherina” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 058-061). 07.08.1644. Claritia Foresta, vedova dell’olim Joannes Baptista Pinelli, assieme a Catharina Foresta, vedova dell’olim Scipione Misiani, vendono al reverendo presbitero Prospero Meo del castro di S.to Mauro ma, al presente, “incola” in Policastro, l’annuo censo di ducati 3 per un capitale di ducati 30, infisso sopra alcuni loro beni, tra cui la possessione della detta Catharina posta nel “districtu” di Policastro, loco detto “Sotto Santa Catherina” “arboratam sicomorum ficuum, olivarum, et aliorum arborum”, confine i beni del chierico Carolo Fanele, “primo loco” posseduta dall’olim Gregorio Bruno “à parte superiore”, la possessione del “Sanctissimi Corporis Chrixti” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 077-079). 19.03.1645. Andrea Rocciolillo vende a Lorentio de Pace, la “Vigna piccola” “che adesso se ritrova assai disminuita, et deteriorata”, posta nel territorio di Policastro dove si dice “sotto santa Catharina”, confine i beni del C. Carlo Fanele appartenuti al dominio dell’olim Gregorio Bruna, la via pubblica da due lati ed altri fini che, negli anni passati, aveva comprato dal chierico Carlo Richetta (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 046v-048). 12.04.1647. Nel passato, Gio: Berardino Accetta aveva acquistato da Gio: Vittorio Accetta e figli, una parte di possessione loco detto “Sotto S.ta Caterina”, vendutagli dai figli ed eredi del quondam Gio: Paulo Accetta (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 030v-033). 07.11.1647. Negli anni passati, Petro Poerio aveva comprato da Jo : Fran.co Venturi, la metà di due “Ortali di Celsi”, di cui uno posto dentro il “distretto” di Policastro loco detto “Sotto Santa Catherina”, confine l’altra metà e parte del C. Salvatore Grosso, via pubblica mediante ed altri fini. All’attualità il detto Petro retrocedeva i detti ortali al detto Jo: Fran.co per il medesimo prezzo che, a sua volta, li vendeva a Dieco Romeo per lo stesso prezzo (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 123-124v). 14.09.1654. Davanti al notaro compaiono da una parte, i coniugi Carlo Piccolo ed Innocentia Misiano mentre, dall’altra, compaiono Jacinto e Carlo Misiano assieme a Catarina Foresta, madre e figli. Negli anni passati, in relazione al matrimonio dei detti coniugi, era stata promessa la dote di ducati 150 tra cui figuravano gli annui ducati 30 sopra una casa ed una possessione loco detto “sotto S.ta Catarina”. Tale possessione era gravata dal peso di annui carlini 15 per un capitale di ducati 15 dovuto al R. D. Prospero Meo che si accollava il detto Carlo (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 113-114).

[lxxviii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxxix] 10.01.1605. Vespesiano Blasco vende a Vincentio Callea, un “vinealem” dove si trovavano “certi pedis oleastri”, posto nel territorio di Policastro nel loco detto “sotto santa Caterina alias lo piro cioè sotto lo moraglio ipsius Jo(ann)is vincenti quod emit ipsius Vespasiani” ed il q.m Fran.co Ant.o Blasco suo fratello ad annuo censo, confine “della parte di sotto la timpa timpa” con l’altro vignale dello stesso Vespasiano “justa sicomos Isabelle riccie et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 87-88). 11.06.1605. Vespesiano Blasco vende a Gioanni Ant.o Palmerio, un pezzo di terra posto nel territorio di Policastro “ubi dicitur lo piro in Certe timpe à vineale quod tenet jo(ann)e Vincentius Callea iusta viam publicam et iusta bona Constantia campane et vulgariter dicendo, lo frunte frunte cioe della sciolla et lo frunte che della parte di sopra ciè una aliva e terreno diesso vespesiano e detto terreno sintende deli frunte insu della sciolla destara parte l’acquaro che al p(rese)nte va alle molina de iuso, et lo terreno della parte di sotto la sciolla seu timpa sin sino all’acquaro resta per esso vespesiano” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 107-107v).

[lxxx] 19.11.1604. Gelsi, terreni ed olive che si trovano dall’una e dall’altra parte “del fiumme loco ditto soleo, et salamune”, lasciati dalla quondam Narcisa Jiraci, madre del quondam Francesco Antonio e di Vespesiano Blasco. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 71-76). 31.05.1615. Vespesiano Blasco cede a Burtio Carvune, il “petium terre” posto nel territorio di Policastro loco detto “salamune a parte inferiore acquari quod vaditur in molendinis dittis de abascio seu de iusu iusta ripas fluminis solei, et viam publicam quod vadit ad flumen p(raedi)tto solei iusta ortalem sicomi ipsius Vespesiani viam publicam medalte” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 027v-028).

[lxxxi] 22.09.1605. Joannes Fran.co Campitello e sua moglie Isabella Rizza, vendono a Joannes Fran.co Corigliano, un “petium terre” posto nel territorio di Policastro “ubi dicitur lo piro sotto santa Caterina”, nel quale vi erano un piede d’olivo ed un piede di mendola, “lo moraglio moraglio delle granata Cioe lo moraglio della parte di sop.a la cona la via publica di dui parti Cioe luna va in salamone, et l’altra nelle molina de abascio Justa sicomos ipsorum Fran.ci et Isabelle” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 134v-135v). 19.03.1618. Hijeronimo di Maijda de Tomasello, vende a Joannes Hijeronimo Blasco, il “vignale” o “pezzotto di terreno arborato di celsi et olive loco ditto sotto santa Caterina”, confine “l’istrata publica che si va alle molina di abascio”, i gelsi ed il terreno di D. Dom.co Palazzo, il vignale degli eredi della quondam Laura Coco ed il terreno di Gio: Paulo Accetta (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 089-090). 16.01.1620. Il presbitero Joannes Fran.co Palatio, utile erede del quondam presbitero Dominico Palatio che, nel recente passato, aveva pignorato a Sanzone Salerno l’“ortale sicomorum arboratum cum uno pede olive”, posto nel “tenimento” di Policastro in loco detto “socto santa Caterina”, confine la “viam publicam qua discenditur loco ditto salamune”, la “viam publicam quam discenditur in molendinis de iuso”, il “petium terre” di Joannes Laurentio Corigliani “a parte superiore”, l’ortale di Scipione Misiani ed altri fini, considerata la volontà del detto Sanzone di redimere tale suo possedimento, riceve il denaro dovuto (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 003-004).

[lxxxii] 09.02.1647. Joannes Gregorio Cerasaro vende a Catharina Foresta, vedova dell’olim Scipione Misiani ed a Carolo Misiano, madre e figlio, uno “Ortale seu Vineale” “arboratum olivarum” di circa 2 tomolate di capacità, posto “in tenim.to” di Policastro “et pp.e ubi dicitur sotto santa Catherina”, confine la vigna di Jo: Hyeronimi Blasco “à parte superiore”, i “Molendina vulgo dicto di Suso” “à parte inferiori”, i beni di detti di Foresta e Misiano ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 019-021).

[lxxxiii] 22.08.1653. La vedova Delia Callea vende per ducati 500 a Joannes Jacobo Natale, figlio di Jo: Dom.co, il “Viridarium seu Possess.nem” arborata con “sicomoris, ficiis” ed altri alberi fruttiferi, posta nel “districtu” di Policastro nel loco detto “Cimicicchio”, confine i beni di Marcello Leuci, via mediante “ex parte inferiori”, i beni di Didaco Romeo, le “ripas d.ttae Civ.tis nuncupatas de S.ta Cat.na”, le “vias publicas” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 053-056).

[lxxxiv] 25.02.1620. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 011-013v.

[lxxxv] 15.11.1644. Delia Callea, vedova del quondam U.D. Marco Antonio Guarano, vende al Rev.s D. Prospero Meo “hic Policastri Beneficiato”, l’annuo censo di ducati 10 infisso sopra alcuni stabili, tra cui il “Praedium seu Possessionem” detta di “Cimicicchio”, “arboratam seu consitam sicomis, fiquibus” ed altri alberi fruttiferi, “iuxta timpas de Napoli, de Sancta Catharina, et viam quae ducit ad Molendina Aquarii” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 80, ff. 117-118v).

[lxxxvi] AASS, 37 A.

[lxxxvii] “In Civitate Policastri est Ecc.a Archipresbyteralis sub titulo Sancti Nicolai Pontificis, quae tribus ab hinc Annis vacat propter tenuitatem reddituum, Curam Animarum exercet Vice Parochus, sed, Deo adiuvante, curabo, ut eidem Ecc.ae Archipresbyteralia uniatur alia Ecc.a Parochialis sub titulo Sancti Petri Apostoli dictae Civitatis; quae propter tenuitatem reddituun etiam vacat. (…) “Alia est Ecc.a Parochialis sub titulo S. Petri Apostoli, quae, ut dictum fuit propter tenuitatem fructuum vacat, sed eius curam interim exercet Oeconomus idoneus, et approbatus.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1675.

[lxxxviii] 17 luglio 1669. “Pro Antonio Curti, de terra Policastro, subdiacono S. Severinae dioc., licentia recipiendi ordines extra tempora ab Ordinario.” (Russo F. VIII, 41792). Novembre 1676. “De parochiali ecclesia S. Petri, loci Policastro, S. Severinae dioc., cuius fructus 12 duc., vac. per ob. Scipionis Callea ab anno 1673 def., providetur Antonio de Curtis, pbro diocesano.” (Russo F., Regesto VIII, 43721).

[lxxxix] Giugno 1690. “De parochiali ecclesia S. Petri, loci de Policastro, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc., vac. per ob. Amilcaris de Curtis, a quatuor mensibus def., providetur Fabritio de Martino, pbro diocesano.” (Russo F., Regesto IX, 46220).

[xc] AASS, 29A.

[xci] AASS, 24B, fasc. 1.

[xcii] Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723.

[xciii] “Altretanto poi come in due Piedi termina il resto dell’Aquilone nella nuova Porta de’ Francesi, ov’era il Quartiero di quella Nazione, dall’Austro nella quinta Porta di Santa Caterina, che più ferisce all’oriente, lungo le mura di quel vecchio Tempio, ad’essa Santa Vergine, e Martire consagrato; in cui dal misero avanzo dell’archi, latitudine, longitudine, sepolcri, sito, è di tutta la circonferenza, s’argomenta la di lui grandezza. Se ben tanto antica magnificenza la sappiam per relazione de’ nostri Padri, ed’avi, questi anziani, e quelli di primo Pelo nell’anno trent’otto del caduto centinaio che successe la sua rovina per quel terribil Terrimoto di tutta la Calabria, accaduto à 27 Marzo nella Domenica delle palme à 21 ora.”. (Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723).

[xciv] “Nella Montagna alla parte occidentale in sù da questa parte del fiume Soleo, ben quattro miglia lontano dalla Città, vi era il Monastero di Santa Maria di Cardopiano de’ Padri Basiliani, dà tempi come si crede del Beato Nilo Calabrese Abbate di quel luogo dell’ordine stesso sin presso all’anno mille, e quatrocento circa di quel secolo legasi una sottoscrizione d’un altro Nilo Abbate di quel luogo. E ben della sua chiesa né appariscono ancor le reliquie, e se né conserva il titolo Abbaziale nell’ordinario Paroco di Santo Pietro alla di cui Parochia fù incorporato tutto il Comprensorio di terreno, che circuiva il Convento.” (Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723).

[xcv] Pesavento A., Clero e società a Petilia Policastro dal Cinquecento al Settecento, www.archiviostoricocrotone.it

[xcvi] “Policastrum 2820 Animarum Parochi tres gubernant…”, ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1725.

[xcvii] “Ai giorni nostri di questa chiesa (parrocchia di S.to Pietro nella chiesa di S.ta Caterina ndr.) non rimane che il ricordo in quanto abbattuti i ruderi, l’area è servita per ampliare il Palazzo Municipale con vari uffici. I grandi quadri di S. Pietro e della Vergine del Carmelo, con altri arredi sacri, erano stati portati alla Chiesa Matrice; l’artistico pulpito di noce intarsiato (e forse anche l’organo) alla chiesa di S. Francesco. Il titolo (solamente onorifico) di Abate, trasmesso dalla badia cistercense di S. Maria di Cardopiano al parroco di S. Pietro, è ora conferito all’arciprete «pro tempore»”. Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 201.

[xcviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 69.

[xcix] ASCZ, Cassa Sacra, Atti Vari 308/3.

[c] AASS, 24B fasc. 3.

[ci] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 288.

[cii] AASS, 24B fasc. 2.

[ciii] AASS, 24B fasc. 3.

[civ] Rende P., L’abbazia di Santa Domenica in territorio di Policastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[cv] AASS, 24B fasc. 3.

[cvi] “Ecclesia Sanctae Catharinae Virg.s et martyris olim Parochialis, nunc eidem est adnexum Conservatorium piarum foeminarum, de quo infra, et regitur per Procuratorem ab ipsis eligendum, et à me confirmandum. Duo habet Altaria praeter majus, in quo pro uso Religiosarum asservantur Sacrae Specias Eucharisticae, et Sacrum Oleum prò usu earumdem infirmarum.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765.

[cvii] “Conservatorium Mulierum instar Monialium religiose viventium, et regulas Clausurae sponte servantium, cum Clausura minime sit, et sunt numero decem.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765.

[cviii] ASN, fondo Cappellano Maggiore.

[cix] Vivenzio, G., Istoria e Teoria de Tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli 1783.

[cx] AASS, 86A.

[cxi] ASN, Suprema Giunta di Corrispondenza con quella della Cassa Sacra di Catanzaro.

[cxii] AASS, 24B fasc. 2.

[cxiii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 223.

[cxiv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 302.

[cxv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 201.

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La città abbandonata di Cerenzìa Vecchia

Le chiese di Santa Maria delle Grazie e di Santa Maria del Soccorso di Policastro

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Statua di Santa Maria della Grazia conservata nella chiesa del monastero di Santa Maria della Spina di Petilia Policastro (KR).

Nel pomeriggio del 9 giugno 1559, il cantore della chiesa di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo di Santa Severina Giovanni Battista Ursini, impegnato nella visita delle chiese di Policastro, dopo essersi recato alla chiesa di Santo Dimitri, e prima di giungere alla chiesa parrocchiale sotto l’invocazione dei “s.ti Pet.i et pauli”, visitò la “ecc.ae s.tae Mariae de gr(ati)a” della quale era cappellano D. Battista Canzonerio.

Qui trovò l’altare di fabbrica ed alcuni beni custoditi in un’arca: tre tovaglie, un coperimento d’altare di tela, due candelabri di creta, una “Cona in tela” davanti l’altare, un “plumacium”, un calice di peltro con patena, un messale, un vestimento sacerdotale di tela completo, tre “amictos”, due “planetas” di tela, due “lintheamina” di tela mentre, dentro un cuscino, erano conservati diversi altri beni vecchissimi e laceri. Una “lampas” era solitamente accesa davanti l’altare, ma al momento si trovava spenta. Nella chiesa esisteva anche un altro altare di fabbrica coperto da un “lintheamen”, mentre nel campanile pendeva una campana mezzana.[i]

 

Il luogo

La vicinanza della chiesa di Santa Maria delle Grazie alla parrocchiale di San Pietro, che ricaviamo dalla visita del vicario dell’arcivescovo Ursini,[ii] appare evidenziata anche successivamente, mentre, dai documenti della prima metà del Seicento, apprendiamo che tra le case poste nel “convicino” della chiesa,[iii] confinavano con il suo edificio: la casa palaziata di Polita de Simmari,[iv] la domus terranea di Dianora de Maijda, figlia di Hijeronimo de Maijda, che confinava con “le mura di Santa maria la gratia”,[v] e la casa di Blasio Ritia, che confinava con la chiesa di Santa Maria della Grazia, vinella mediante, e si trovava in prossimità delle rupi dette “delle Catarrate”,[vi] dove giungeva un antico fosso, che i documenti di questo periodo chiamano il “valonnem magnum dittum la iudeca”.[vii]

In relazione a tale vicinanza, ed a seguito dei danni riportati dalla chiesa di San Pietro in occasione del terremoto del 1638, in luogo della parrocchiale diruta, le funzioni parrocchiali furono temporaneamente trasferite nella chiesa di Santa Maria delle Grazie.[viii]

A quel tempo, nel convicino della stessa chiesa, lungo “la via che si và alla Porta della Giudeca”, questa possedeva la casa che era stata di Joannes Laurentio Cervino, il quale era stato costretto a cederla a causa dei suoi debiti,[ix] durante la lunga amministrazione del procuratore Ottavio Vitetta. Periodo in cui quest’ultimo si occupò della gestione di alcuni prestiti di denaro, in relazione ai beni ricevuti dalla chiesa per la celebrazione di messe di suffragio.[x]

Oltre alla “Giudeca”, un altro luogo caratteristico posto nelle vicinanze delle chiese di “s.ta maria la gr(ati)a” e di Santa Caterina, spesso richiamato negli atti della prima metà del Seicento, era “la timpa delli Napoli”,[xi] o “rupa ditta delli napoli”.[xii] Le “timpas de Napoli, de Sancta Catharina” (1644) confinavano con la località detta di “Cimicicchio”[xiii] e con le “ripe di questa Città” (1647).[xiv]

Fotopiano di Petilia Policastro (IGM, 1953), il luogo in cui esisteva la chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Dalla chiesa del SS.mo Salvatore a quella di Santa Maria del Soccorso

L’esistenza a Policastro di una chiesa dedicata al SS.mo Salvatore, risulta documentata già da un atto del 29 aprile 1615, che menziona un vignale appartenente alla dote di Berardina Caccurio, figlia di Alfontio Caccurio, redditizio per grana due e mezzo “alla chiesa dell’salvatore di detta terra”.[xv]

Alcuni documenti successivi, che ci forniscono notizia di un legato in favore del “santiss.mo Salvatore” di Policastro da parte di Isabella Rizza, evidenziano che questa chiesa esistente nel luogo detto “Lo Salvatore”, cominciò successivamente ad essere chiamata la chiesa di Santa Maria del Soccorso, titolo ricordato in questo periodo, anche riguardo alla fondazione del vicino monastero di Santa Maria delle Manche.[xvi]

Attraverso un atto del 3 settembre 1617, apprendiamo che Sansone Salerno, in qualità di erede del quondam Serafino e di Isabella Rizza, si trovava ad essere creditore nei confronti di Livio Zurlo, nipote ed erede del quondam Gio: Vittorio Monaco, per la somma di ducati 100 di capitale più annui ducati 10 d’interesse, e che la quondam Isabella Rizza, nel suo ultimo testamento, aveva lasciato tale censo alla chiesa del “santiss.mo Salvatore”.[xvii]

Il 20 aprile 1630, nel proprio testamento, Sanzone Salerno disponeva che fosse celebrata una ebdommada a S.ta Maria “del succorso al titolo et nome del S.mo Salvatore”. Disponeva che i ducati 15 che deteneva Stefano Capozza, pagati da Livio Zurlo, andassero in riparazione della detta chiesa “col titolo del S.mo Salvatore”. Disponeva che il censo di carlini 18 che pagavano gli eredi del quondam Juzzolino con le terze decorse, fossero convertite in beneficio di detta “chiesia del Salvatore unita nella visita p(er) n(ost)ro signore ArciV.o nella chiesa del soccorso col titolo delaltare del S.mo Salvatore”, secondo le volontà di sua zia Isabella Riccia. Disponeva ai suoi eredi che, con il denaro del credito che vantava nei confronti dell’università di Policastro sopra la “gabella della farina”, ammontante per capitale e terze decorse a ducati 8000, si edificasse “uno ospidale di poveri contico con d.a chiesia del Salvatore”.[xviii]

Troviamo in seguito che la chiesa di Santa Maria del Soccorso, posta mezzo miglio fuori l’abitato di Policastro,[xix] nel luogo detto anche “lo soccurso”,[xx] lungo la via che conduceva alla “montagna”,[xxi] possedeva un capitale di 50 ducati, che fu detenuto da Vitaliano Larosa, pagando un interesse del 10 % e successivamente, dallo stesso Stefano Capozza procuratore della detta chiesa.[xxii] A quel tempo risultano documentati altri lasciti di denaro[xxiii] e di beni.[xxiv]

Fotopiano di Petilia Policastro (IGM, 1953), il luogo in cui esisteva la chiesa di Santa Maria del Soccorso.

La visita del Falabella

Dopo aver visitato la chiesa della SS.ma Annunziata Nova nel corso della giornata precedente, e prima di dirigersi alla parrocchiale di Santa Maria li Francesi, il 7 ottobre 1660 l’arcivescovo Francesco Falabella visitò la chiesa di “S. Mariae Gratiarum” dove, dopo aver ascoltato la messa, visitò l’altare posto dalla parte occidentale dell’edificio, che trovò ornato con un “pallio laneo” di colore rosso, tre tovaglie, “Carta secretorum”, due candelabri di legno e croce.

Considerato che l’altare era troppo basso, l’arcivescovo comandò che vi fosse sistemato un “lapidem”, in maniera che l’altare raggiungesse, perlomeno, la misura di “unius pedis” “ad basem Columnarum”, ed ordinò che vi fosse infisso un “Lapis Sacratus” entro il termine di un mese. La disposizione risultava impartita nei confronti del chierico Francesco Cavarretta “Cui commendavit curam p(raedi)ctae Ecc.ae”, il cui nome però appare cancellato nel documento con una riga.

L’arcivescovo comandò, inoltre, di dorare il calice e la patena entro e non oltre il termine di 15 giorni. Sopra l’altare vi era la icona dipinta su tela “cum Imaginibus B. M. Gratiarum Sanctorum Petri, Blasii, et Atanasii”.

La chiesa aveva l’obbligo di celebrare la messa alla domenica e nei singoli giorni festivi, mentre le elemosine necessarie erano pagate usando le sue rendite, che ascendevano a circa ducati undici e mezzo annui. Di questa somma, ducati cinque si percepivano dalla locazione di una casa, altri ducati cinque da un censo che pagavano gli eredi del quondam Joannes Berardino Accetta, mentre altri quindici carlini li pagava Joannes Cervino per un censo.

Poiché la chiesa si trovava debitrice nei confronti di Joannes Guarano per la somma di ducati dieci a causa di un “censu decurso”, e di altri ducati sette “in circa” nei confronti di Joannes Dom.co Cervino per un altro “censo decurso”, l’arcivesco comandò, sotto la pena della scomunica “maioris”, che tali somme fossero pagate ai creditori entro tre giorni da parte del procuratore della detta chiesa che, per i poteri di Joannes Baptista Cerasaro, fu eletto il chierico Fran.co Cavarretta.

In un’arca di legno conservata nella chiesa furono trovati: una casula o pianeta di seta bianca, due “Albae”, un messale vetusto che l’arcivescovo ordinò di sostituire con uno nuovo entro il termine di un anno e cinque tovaglie per uso dell’altare.

Per quanto riguardava l’edificio, l’arcivescovo comandò che entro un mese, si riparasse il tetto “in medio” e nelle altre parti dove ciò si rendeva necessario, per evitare che ci piovesse, e di costruire una nuova porta sul lato sinistro “in medio d.ae Ecc.ae”.[xxv]

L’indomani, otto ottobre, l’arcivescovo passò alla visita della chiesa chiamata “S. M. del Succurso” posta fuori dalle mura di Policastro “per statium medii miliarii”, dove ascoltò la messa e visitò l’altare posto nella parte occidentale dell’edificio, che rinvenne coperto con un pallio di seta di diversi colori, corredato con tre tovaglie, “Carta Secretorum”, croce, sei candelabri di legno e “Lapide Sacrato”. L’arcivescovo ordinò di uniformare il piano dell’altare in maniera tale che non eccedesse nel mezzo ed inoltre, ordinò che vi fosse infissa una “tabula Lapidea”.

Qui, l’arcivescovo trovo la “Icona devote depicta in tela cum Imagine B. M. vulgo detta del Succurso, ac Imaginibus S. Blasii Martiris, et S. Apolloniae Virginis”, mentre sopra l’altare si trovava un baldacchino di legno dipinto.

La chiesa non aveva alcun onere di messe, ma vi si celebrava alla domenica per devozione, grazie alle elemosine dei fedeli che erano raccolte dal suo procuratore Dom.co Ammannato. Attraverso la vendita di alcune vacche che erano state ricevute in dono dalla chiesa, il detto procuratore si trovava in possesso della somma di ottanta ducati, che l’arcivescovo dispose fosse impiegata ad un annuo censo.

Le sue “Supellectile” erano costituite da un “Calicem carentem auro à parte interiore”, similmente alla sua patena, che l’arcivescovo comandò di non usare più e di dorare entro il termine di un mese, mentre dispose che fossero puliti ogni mese le “Mappas vulgo detti purificatori”.

Per quanto atteneva invece all’edificio, comandò che fosse rifatta la finestra posta sopra la porta, che fosse sistemato il pavimento “effossum” e che fosse riparato il tetto nelle parti che ne avevano bisogno.[xxvi]

Petilia Policastro (KR), il luogo in cui esisteva la chiesa di Santa Maria del Soccorso in una vecchia cartolina.

Una nuova rendita

La natura di semplice beneficio ecclesiatico su cui si fondava la chiesa di Santa Maria della Grazia, risulta evidente attorno alla metà del Seicento quando, al fine di costituire una rendita adeguata, fu unito all’altro simile su cui era fondata la chiesa di Santa Maria del Soccorso, posta fuori le mura di Policastro.

Risale al 1667, la supplica presentata dal chierico Gio. Angelo Gallotti della città di Lagonegro, diocesi di Policastro Bussentino, all’arcivescovo di Santa Severina Francesco Falabella, affinchè potesse essere promosso al quarto ordine minore, avendo servito il detto presule per tre anni come suo mastro di casa.

Dato che, in questo caso, secondo le disposizioni del Concilio di Trento, gli doveva essere subito conferito un beneficio, e siccome nella sua città non ne esisteva nessuno che gli potesse essere assegnato, chiedeva che i venti ducati di rendita senza peso alcuno, che come legati piii ed elemosine, detenevano le chiese di Santa Maria del Soccorso e Santa Maria delle Grazie di Policastro, fossero eretti in beneficio semplice e che quest’ultimo gli fosse assegnato.[xxvii]

Le notizie successive evidenziano che tale supplica fu accolta, avviando così il consueto passaggio di mano tra clerici, della nuova rendita creata in questo modo, a tutto discapito di un’aministrazione “fedele” dei beni delle due chiese.

Il 15 luglio 1675, l’arcivescovo Mutio Suriano, essendo vacante il “Simplici Beneficio, seu Cappelaniam sub invocat.nem S. Mariae de Succursu, et S. Mariae Gratiarum in Oppido Policastri”, per rassegnazione fatta in Roma il 26 giugno 1675 dal chierico Gio: Battista Martinucci Palermi, ultimo “Beneficiato sive Cappellano, et Possessore”, “Considerando che per la mia assenza da q.elle parti et per non havere in esse ministro fedele, le Chiese di d.o Beneficio vanno in collasso”, lo assegnava al crotonese Carlo Berlingieri commorante in altra città. Per rassegnare il beneficio nelle mani dell’arcivescovo, il Martinucci Palermi costituiva suo “P(at)ronem” il P. Cl. Carlo Infosino, con la clausola che tutti i frutti già maturati e non incassati o che fossero risultati già maturati al giorno della rassegnazione, sarebbero rimasti in suo favore.[xxviii]

Petilia Policastro (KR), corso Giove (dalla pagina facebook I Ricordi dei “Petilini Emigrati”).

In platea

I beni appartenenti ai due benefici uniti nel 1667, compaiono in una “Platea delli Beneficii della Grazia, e Soccorso di Policastro” compilata il primo di gennaio 1728.

“Platea, seu Inventario fatto da me D. Dom.co Rocca del Beneficio sotto

il titolo di S.a M.a delle Grazie, e Soccorso di q.a Città di Policastro oggi 1 G.aio 1728.

(…)

Prim.te la sud.a Chiesa di S. M.a delle Grazie al p(rese)nte si ritrova situata dentro q.a / Città di Policastro giusta li suoi notorii Confini per dentro la quale vi sta l’Alta / re col quadro coll’Imag.e di S.a M.a delle Grazie pittata sopra tela; il sud.o / Altare si trova al p(rese)nte guarnito coll’infra(scri)tti Suppellettili

In p(ri)mis Un Calice con patena d’argento indorati, ed il piede d’ottone, due / Corporali d’orletto, una borsa di più colori, tre veli, seu supracalici di co / lore, un missale Romano, uno Campanello, Sei candelieri di legno / indorati, due fioretti, uno Crocefisso di legno indorato, Carta di Gloria, / In principio, e lavabo, tre tovaglie d’Altare, Un innanzi Altare / di damasco bianco colla sua Cap.a di pietra di tufi lavorati, col suo / … … di tavole pittato, un Camiso di tela fina, Amitto, e / Cingolo, due pianete di damasco colorate, con una Camp.a sopra d.a Chiesa.

Item tiene l’infratte annue Rend.e

Un Capitale di d. 150 affrancandi quandocumque alla Rag.e del Sei / per Cento ipotegato sopra la Gabella d.a Cucoli sita in q.o territorio, / alborata di quercie, e d’altri alberi fruttiferi di capacità di tt.e 70 / in circa confine la terra d.a li Campanari del dominio della Chiesa / M(ad)re di Mesoraca, la foresta piana delli Mag.i Carlo Tronca, Gio: B.a, e Barto / lo Scandale, li Beni di Franc.o Cavarretta, ed altri fini.

Nec non sopra una Continenza di terre di Capacità di tt.e 5 in circa / alberate di quercie sita in q.o territ.o di Policastro nel luogo di Catrivari / confine le terre degl’eredi del q.m Paulo Giordano li Beni della q.m Auria / Mannarino, ed altri fini per come il tutto apparisce dall’Istrum.to censua / rio rogato per il Sig. Notaro Tomaso Nigro di q.a pred.a Città sotto il dì / 13 mag. 1717, cui per se ne percipe ogn’anno d. nove d. 09 : 00.

Item un altro Capitale di d. 50 alla Rag.e del Sette per Cento affrancandi quan / documque debbito dal cl. d. Vitaliano Giordano, e della annualità suddetta / se ne celebrano tante messe al n. di 35 alla Rag.e di Un carlino l’una / come app.e per istrum.to stip.o da M.r Ruggero nell’anno 1713.

Sono l’infratti pesi

Nel giorno della festa per la Celebra.e della Messa Cant.a d. 50

per il jus visitae d. 25

per il quinquennale d. 20

La sud.a Chiesa del Soccorso sta situata fuori q.a Città di Policastro, sotto li / Molini di q.a Camera Principale; vi è l’Altare coll’Imag.e di S. Maria / del Soccorso colla Capp.a di legname pittata con sei Candelieri, Croce, / Carta di Gloria. Solam.e si canta la messa nel giorno della Festa. / Possiede un Ortale vicino d.a Chiesa alborato di Celzi, ed altri alberi fruttiferi.

Pesi

Messa Cant.a nel giorno della Festa d. 50

per il Jus visitae d. 25

per il Jus quinquennale d. 20

D. Dom.o Rocca Rett.e ho fatto scriv.e la p(rese)nte Platea / per mano dell’infratto Reg. Not.o Ant.o Fanele, ed in fede p.a Policastro / la prima Gennaio 1728.”.[xxix]

Petilia Policastro (KR), edicola posta nel luogo in cui esisteva la chiesa di Santa Maria del Soccorso.

Ultimi documenti

La relazione vescovile del 1765 ribadisce che, la chiesa di “Sanctae Mariae Gratiarum”, con un solo altare, dove si trovava eretto un beneficio sotto lo stesso titolo, era retta da D. Cesare Rocca che la possedeva.[xxx] Lo stesso D. Cesare reggeva e possedeva anche la “Ecclesia Santae Mariae de Succursu” posta “Extra moenia”, dove, similmente alla precedente, si trovava eretto un beneficio sotto lo stesso titolo.[xxxi]

Ritroviamo i due benefici nella “Platea di tutti i Benefici Semplici, tanto Eccl(esiasti)ci quanto di Juspatronato laicale fondati in questa Città, e Diocesi di S.a Sev.a” (1788), dove, elencati tra quelli di “Policastro”, risultano “Il Semplice Eccl(esiasti)co Beneficio sotto il tit.o di S.a M.a delle Grazie” ed “Il Semplice Eccl(esiasti)co Beneficio sotto il tit.o di S.a M.a del Soccorso”.[xxxii] Sulla base della platea del 1728, conservata presso l’archivio arcivescovile di Santa Severina, la documentazione successiva (1794), elenca le rendite ed i pesi relativi ai due benefici.[xxxiii]

Successivamente non troviamo altre notizie, segnale che entrambe le chiese andarono dirute a seguito del sisma del 1783,[xxxiv] mentre, sempre al tempo della Cassa Sacra, un atto del 2 agosto 1790 menziona i “Luoghi e Terreni d’affittarsi del vacante Benef.o di S. M.a del Soccorso”, ovvero solo “un ortale circondato di armacero attaccato all’istessa Chiesa”.[xxxv]

 

Note

[i] AASS, 16B.

[ii] Tale vicinanza è evidenzia anche dal Mannarino agli inizi del Seccento: “La seconda Parocchia alla parte più infine, ed’orientale, è l’abbadia di Santo Pietro, à cui van congionte l’altre due contigue della Sinagoga, e di Santa Maria delle Grazie, situate nella Chiesa di Santa Caterina non più la vecchia diruta, ma la nuova redificata dà fondamenti …” (Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723).

[iii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78 prot. 286, ff. 53-53v, 103-104, 130-130v, 139v-140, 205v-206v, 217-217v, 227-227v; Busta 78 prot. 287, ff. 118v-119, 119v-120, 160-161, 146v-147, 168-168v, 185-185v; Busta 78 prot. 288, ff. 016-017, 050v-051v, 071v-072, 073-074, 086v-087v; Busta 78 prot. 289, ff. 020-020v; Busta 78 prot. 291, ff. 006v-007; ff. 086-086v; Busta 79 prot. 294, ff. 055v-056v; Busta 79 prot. 296, ff. 166v-168; Busta 79 prot. 297, ff. s.n., 020v-021, 042-042v, 042v-043v, 046-046v, 090v-091, 156v-157, 160-161, 161-161v, 174-175, 175-175v; Busta 80 prot. 301, ff. 003-003v, 038-039v, 140v-142; Busta 80 prot. 302, ff. 034v-036; Busta 80 prot. 304, ff. 063-064, 066v-068; Busta 80 prot. 305, ff. 007-008; 008-009, 105v-106v; ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 9-10. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 017-018v, 036-036v, 074-075v, 078-079v, 115-117, 121v-123; Busta 182 prot. 802, ff. 032v-034v, 072v-073v, 102-104; Busta 182 prot. 803, ff. 079v-080v; Busta 182 prot. 804, ff. 016v-018v, 155v-158; ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 058-059; Busta 196 prot. 875, ff. 080v-082; Busta 196 prot. 876, ff. 007v-009; Busta 196 prot. 878, ff. 084v-085.

[iv] 19.05.1605. Tra i beni della dote di Polita de Simmari che andava sposa a Prospero Grigoraci della terra di Stilo, ma al presente abitante in Policastro, si menziona una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro “Confine la chiesa di santa maria della gr(azi)a” la casa di Gio: Baptista Natale e la via pubblica da due lati. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 103-104. 15.01.1617. Davanti al notaro si costituivano Polita de Simmari, vedova del quondam Prospero Grigoraci, assieme a Berardo Vecchio, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Apparteneva alla dote una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di “santa maria della gr(ati)a”, confine la casa di Gio: Battista Natale, la via pubblica da due parti ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 006v-007). 16.11.1642. Alla dote di Beatrice Juliano “Virginis in capillo”, figlia di Paulino Juliano, che andava sposa a Jo: Dominico Cavallo, apparteneva la casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di “Santa Maria la gratia”, confine le case di Cola Prospero, la casa di Ippolita de Sinbari ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 115-117). 16.01.1643. Tra i beni che erano appartenuti al quondam Jo: Baptista Natale, troviamo una casa che attualmente possedeva Gio: Domenico Natale e nella quale abitava Paulino Juliano, posta nel convicino di “Santo Pietro”, confine Polita de Simbari, Cola Prospero e Gio: Gregorio Cerasario, via mediante (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 011v-021v). 14.11.1655. Davanti al notaro comparivano Andrea Juliano e la vedova Vittoria de Pace, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Paulino Juliano, padre del futuro sposo, gli donava la casa posta nella terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.to Pietro”, confine la casa degli eredi di Fabritio Piccolo, la casa degli eredi di Ippolita de Simbari, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 191-193v).

[v] 13.09.1605. Hijeronimo de Maijda e sua figlia Dianora de Maijda, vendono con il patto di retrovendita a Joannes Ber.no Petralia, una “domum terranam” posta dentro la terra di Policastro “in convicino ecclesie s.te Mariae gratiae iusta Casalenum mediante ditte ecclesie viam publicam duobus lateribus” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 130-130v). 06.10.1605. Joannes Ber.no Petralia, avendo acquistato con il patto di retrovendita da Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto” e da sua figlia Dianora de Maijda, una “domum terranam” posta dentro la terra di Policastro, “in Convicino ecclesie sante Marie gratie”, confinante da due lati con la via pubblica ed altri fini, per il prezzo di ducati quindici, riceve la restituzione di detta somma e restituisce la casa ai de Maijda (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 139v-140). 24.06.1613. Davanti al notaro ed al cospetto del parroco, compaiono Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto” e Joannes Andrea delo Moijo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Joannes Andrea e Dianora de Maijda, figlia del detto Hijeronimo. Della dote faceva parte una “casa terranea con Camera Contigua”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “santa Maria della gr(ati)a”, confine il casalino novo che al presente fabbricava il detto Gerolimo, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 086v-087v). 23.01.1622. Negli anni passati, in contemplazione del loro matrimonio, Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto”, aveva promesso ai coniugi Andria Lomoijo e Dianora di Maijda, figlia del detto Gerolimo, 12 onze in monete d’argento. Al presente, il detto Gerolimo assegnava ai detti coniugi, tra l’altro: la casa con camera terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santo Pietro”, confine “lo casalino novo” di detto Gerolimo “et le mura di Santa maria la gratia”, la via pubblica da due parti ed altri fini. Il detto Andrea concedeva al detto Gerolimo ed a Paulo de Maijda suo figlio, di fabbricare sopra il muro e la camera predetti, alzandoli a loro piacere cosi da fare “fundere le fusa di detto casalino novo”, “purchè non venghi corsune seu Canaletta allo muro di detta Casa, et Camera” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 007v-008v).

[vi] 08.10.1623. Davanti al notaro comparivano Caterina Popaianni, vedova del quondam Vespesiano Pantisano, assieme a Joannes Fran.co Callea, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Appartenevano alla dote una casa palaziata con casalino contiguo, posta dentro la terra di Policastro nella parrocchia di “santo Petro”, confine i casalini del quondam Ferrante Cerasaro, la via pubblica ed altri fini, assieme alla metà del “trapito” che essa deteneva in comune con suo fratello Vespesiano Popaianni, posto dentro la terra di Policastro confine Blasio Rizza ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 110-111). 26.05.1634 Davanti al notaro comparivano Caterina Popaijanni, vedova del quondam Fran.co Callea, assieme a Nardo Arenda, figlio di Joannes Simone Arenda, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Leonardo e Joannella Callea, figlia di detta Caterina. Appartenevano alla dote la meta della “Casa, et trappito” posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “santo petro”, confine la casa di Blasio Rizza, Gerolimo Amannito ed altri fini, mentre l’altra metà di detto “trappito” restava per i figli del quondam Vespesiano Popaijanni (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 078v-080v). 02.01.1637. Davanti al notaro comparivano il Cl.co Leonardo Arenda, marito di Joannella Callea, assieme a Caterina Popaijanni. Negli anni passati, detta Caterina, madre di detta Joannella, aveva promesso in dote ai detti coniugi diversi beni. All’attualità, adempiando alla sua promessa, consegnava loro, tra l’altro, la metà di una casa terranea “con trappito”, di cui l’altra metà rimaneva ai figli ed eredi del quondam Vespesiano Popaijanni, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “santo Petro”, confine la casa di Blasio Rizza, le “[rip]e ditte delle Catarrate” e la via convicinale (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 001-002). 06.03.1646. Su richiesta di Blasio Ritia, il notaro si porta nella sua casa posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.ti Petri”, “iusta Ecc.am S.tae Mariae de gratiae”, vinella mediante, la via pubblica ed altri fini, per stipulare il suo testamento. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 084v-087. 25.11.1647. Davanti al notaro comparivano Gio: Dom.co Lomoio, con il consenso di suo padre Andrea Lomoio, assieme a Paulo e Laura de Maijda, padre e figlia, anche per parte di Gio: Dom.co Scandale, marito di detta Laura. I detti Paulo e Laura asserivano che, negli anni passati, Santo Lomoio, fratello di detto Gio: Dom.co e figlio di detto Andrea, aveva donato a detta Laura la metà di una casa posta dentro la terra di Policastro, nella parrocchia di “S.to Pietro”, confine la casa di Blasio Rizza, “muro coniuncto”, la casa di Antonio Caputo, via pubblica mediante, la casa di S.ta Maria “la gratia”, “dalla parte di sop.a”, vinella mediante, la via pubblica, “dalla parte di sop.a” ed altri fini, assieme ad altri beni. Tali beni spettavano a Santo Faraco, come figlio ed erede della quondam Dianora de Maijda, mentre il detto Andrea Lomoio ne aveva l’usufrutto vita natural durante. La situazione aveva generato lite tra le parti che, all’attualità erano giunte ad un accordo. La detta Laura ed il detto Paulo, cedevano in feneficio di detto Gio: Dom.co la detta donazione dei detti beni, mentre il detto Gio: Dom.co s’impegnava a pagare ducati 13 e ½ al detto Paulo (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 103-106v). 06.09.1655. Testamento di Agostina Jerardo, moglie di Blasio Ritia, rogato nella sua domus posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.ti Petri” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 131v-132v).

[vii] 15.09.1630. Antonino Gatto vendeva a Francisco Marchise la “Cameram palatiatam” muro congiunto con un’altra domus “magna” di detto Antonino, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “gratiarum”, confine i “Casalenos” appartenuti al quondam Joannes Dom.co Sacco “et valonnem magnum dittum la iudeca” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 160-161).

[viii] 09 agosto 1644. Catharina, Julia e Feliciana Caruso, vendevano a Simione Lomoio il “Casalenum” che gli era pervenuto dall’eredità di Hijeronimo Ammannito loro padre, posto nella terra di Policastro “in Convicinio Sanctae Mariae Gratiarum Ecclesiae ad p(raese)ns Parochialis in loco Sancti Petri deruti in loco ubi dicitur la timpa delli Napoli”, confine la domus di Marco Maltise “muro coniuncto”, la domus di detto Simionis via mediante ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 079v-080v).

[ix] 10.01.1618. Joannes Laurentio Cervino, essendo debitore nei confronti della chiesa di “sante Marie gratie”, per un annuo censo di carlini 15 infisso sopra la sua vigna di “gorrufi” “ditta la fossa”, lasciato dal quondam D. Gio: Battista Cansoneri per la celebrazione di una ebdommada, mentre erano decorsi circa nove anni senza che fossero effettuati i relativi pagamenti che assommavano a ducati 13 e ½, e non avendo modo di pagare, cedeva alla detta chiesa, nelle mani del suo procuratore D. Ottavio Vitetta, “uno palazzetto” posto dentro la terra di Policastro, confine la casa di Gio: Petro Legname e le altre case di detto Gio: Laurenzo, la via pubblica ed altri fini, che si intendeva “l’airo di sopra et sotto con la scala fabricatizza”, con il patto di poterlo riscattare alla scadenza d’agosto e non in altro tempo (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 077v-078v).

18.10.1621. Joannes Laurentio Cervino vendeva al presbitero D. Joannes Baptista Favari, la casa palaziata consistente in due membri e un casalino dalla parte di sotto, confine le case di Gio: Thomaso Lamanno, il casalino di detto Gio: Thomaso, la casa di Gio: Petro Spinello, la via convicinale ed altri fini, esclusa la “Camera nova” che detto Joannes Laurentio aveva fabbricato dalla parte di sopra e che aveva venduto alla chiesa della Madonna della Gratia (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 073-074v).

13.11.1622. Oratio, il Cl.o Marcello e Jacobo Cervino, asserivano che, negli anni passati, il quondam Joannes Fran.cus Cervino, loro padre, aveva acquistato ad annuo censo da Joannes Dom.co Sacco, la “Continentiam Casalenorum cun orto” posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “la gratia”, confina la domus di detta chiesa, la via pubblica ed altri fini. Avendo rinunciato all’eredità paterna, i detti de Cervino dichiaravano di non volere pagare il detto censo. Il detto Joanne Dom.co, rientrato così in possesso del bene, lo vendeva ad annuo censo ad Antonino Gatto. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 055v-056v).

04.05.1629. Thoma Lamanno “alias ucciuccarello”, vendeva al C. Ottavio Vitetta, procuratore della chiesa di S.ta Maria “gratiarum”, 2 “Casalenos” “sine signo muri”, posti dentro la terra di Policastro nel convicino della detta chiesa, confine un’altra domus della detta chiesa, i “casalenos” del quondam Joannes Dom.co Sacco che al presente possedeva Antonino Gatto, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 020v-021).

25.11.1647. Attraverso una donazione fatta negli anni passati, Laura de Maijda possedeva la metà di una casa posta dentro la terra di Policastro nella parrocchia di “S.to Pietro”, confine la casa di Blasio Rizza “muro coniuncto”, la casa di Antonio Caputo, via pubblica mediante, la casa di S.ta Maria “la gratia” “dalla parte di sop.a,” vinella mediante, la via pubblica “dalla parte di sop.a” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 103-106v).

01.12.1653. Gio: Andrea Sacco, al presente “habitante” nella terra di Mesuraca, vendeva a Gianne Jerardo, padre di Lucretia di Policastro nipote del detto Gio : Andrea, “due Casalena dirute cum uno horticello” posti dentro la terra di Policastro, nel convicno della chiesa di S.ta Maria “la gratia”, confine le case di detta chiesa, le case di Fran.co Papaianni, “la via che si và alla Porta della Giudeca” ed altri fini, mentre l’orto confinava con la casa di Andrea Rocciolillo, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 084v-085).

[x] 20.12.1625. Per consentirgli di prendere gli ordini sacri, D. Joannes Baptista Favari donava al C. Joannes Baptista Pollaci, un “vignale arborato di celsi” o “ortale di celsi”, loco detto “lo ringo”, con il patto che, dopo la morte del Favari, il detto Pollaci avrebbe dovuto far celebrare una messa la settimana nella chiesa di S.ta Maria “la gratia”. Rimaneva pattuito che, dopo la morte del Pollaci, l’ortale sarebbe rimasto alla detta chiesa in ragione dei ducati 50 che gli erano stati prestati dal C. Ottavio Vitetta, procuratore di detta chiesa (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 186-186v).

12.10.1634. Gio: Berardino e Gio: Fran.co Accetta, pagavano annui ducati 5 per il servimento di 1 “edonmada” la settimana nella “Clesia” di “Santa Maria la gratia”, che era assegnato dal Cl.o Ottavio Vitetta, procuratore di detta chiesa (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 151-152).

[xi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 185-185v; prot. 289 ff. 020-020v; Busta 182 prot. 803, ff. 079v-080v.

[xii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 042v-043v.

[xiii] ASCZ, Notaio G.M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 117-118v.

[xiv] ASCZ, Notaio G.M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 051-052.

[xv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 020-021.

[xvi] Rende P., Il monastero dei Francescani Riformati di Santa Maria delle Manche di Policastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[xvii] Nell’atto si menziona Scipione Curto, procuratore della chiesa del SS.mo Salvatore di Policastro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 037v-039).

[xviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 101-102v.

[xix] AASS, 37 A.

[xx] 15.11.1647. Negli anni passati, Gio: Thomaso Scandale aveva comprato da Vittoria Rizza, un vignale posto nel loco detto “lo soccurso” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 092-094). 25.09.1654. Gio: Tomas Scandale vendeva al D.r Lutio Venturi, l’annuo censo di carlini 25 per un capitale di ducati 25 sopra alcuni suoi beni, tra cui un vignale loco detto “lo soccurso”. (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 124-126).

[xxi] 20.01.1623. Julia Campana, vedova ed erede del quondam Fabio Caccuri, rinunciava in favore di Gio: Dom.co, Gio: Vittorio e Gio: Fran.co Caccurio, alcuni beni appartenuti al quondam Horatio Caccuri, tra cui la “vignula” posta dentro il territorio di Policastro, loco “sopra santa maria dello soccorso seu chiusella”, confine la vigna di Alfonso Caccurio, “la via publica che si va alla montagna et la via del venerabile monasterio di santa maria le manche”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 067v-069). 24.07.1623. Joannes Dom.co Caccurio lasciava una ebdomada in perpetuo nell’altare maggiore della chiesa di “Santa maria della olivella”, nominando cappellano D. Gegnacovo de Aquila, fintanto che il chierico Ferrante de Vito non si fosse fatto prete. Per soddisfare tale ebdomada, assegnava la possessione della “la vignola”, confine i beni di Alfonso Caccuri, “et due vie publiche” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 099-099v). 11.01.1624. Davanti al notaro comparivano Joannes Baptista Lanzo e Battista Mazzuca, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Battista e Lucretia Lanzo, figlia di detto Joannes Baptista. Apparteneva alla dote un pezzo di terra loco detto “la fico di luca” “seu chiusella”, territorio di Policastro, confine i beni del quondam Minico Cavarretta, i beni degli eredi del quondam Vespesiano Zupo, “la via che si va alla montagna et la via che si va in santa maria la spina”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 005-005v). 18.05.1654. A seguito di un accordo, la vedova Vittoria Richetta, erede del quondam Gio: Dom.co Caccurio, cedeva al R. D. Oratio ed a Carlo Caccuri, la possessione arborata con diversi alberi fruttiferi, posta nel territorio di Policastro dove si dice “sop.a lo soccorso detto la Vignula”, confine i beni che erano stati del quondam Alfonso Caccuri che possedevano Dieco Venturino ed altri, e “le vie publiche l’una, che si và alle Manche, e l’altra alla montagna” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 052-054v).

[xxii] 19.08.1632. Trovandosi indebitato, Vitaliano Larosa, abitante in Policastro, ipotecava le sue terre già gravate di “Camino”, nei confronti di Alfonso Campitello (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 059v-064). 19.08.1632. Con il denaro ricevuto da Alfonso Campitello, Vitaliano Larosa provvedeva ad affrancare l’annuo censo di ducati 5 per un capitale di ducati 50 sopra la sua gabella posta nel territorio di Policastro loco “Camino”, che pagava alla chiesa di S.ta Maria “dello soccurso” in relazione alla celebrazione di 1 ebdommada (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 065v-066v). 20.08.1636. Stefano Capotia asseriva che, negli anni passati, al tempo in cui era e come anche al presente si trovava ad essere, procuratore della venerabile chiesa di Santa Maria “dello soccorso” di Policastro, aveva dato a censo ducati 50 a Vitaliano Larosa al 10 %, sopra le terre di quest’ultimo dette “di Camino”. Successivamente il detto Vitaliano aveva affrancato il censo con una parte del denaro ricevuto da Alfonso Campitello. Non essendosi trovati altri che volessero prendere il detto censo, lo aveva preso lo stesso Stefano, in maniera da provvedere a pagare i cappellani che celebravano le messe. Tale censo era stato infisso sopra le terre di “Santo Cesario”, che detto Stefano deteneva in comune ed indiviso con il dottor Mutio Giordano (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 102v-103v).

[xxiii] 01.06.1629. Nel proprio testamento, il C. Gio: Thomaso Campana lasciava alla “madonna del soccurso” ducati 5 “p(er) riparare detta chiesa” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 036-037v).

[xxiv] 15.05.1642. Anibal Bello donava alla “Venerabilis Ecclesiae Sanctae Mariae nuncupatae dello soccurso” di Policastro e, per essa, al suo procuratore Stefano Capotia, la “vineam” posta “in districtu” di Policastro, loco detto “le chianetta”, nonché la “Domum constructam foris dictam Civitatem in Loco ubi dicitur Lo Salvatore, et proprie secus dictam Ecclesiam”. Si pattuiva che il detto Anibal avrebbe abitato vita natural durante nella casa donata, ricevendo il vitto dal detto procuratore ed impegnadosi in servizi per la detta chiesa (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 094v-096).

[xxv] AASS, 37 A.

[xxvi] AASS, 37 A.

[xxvii] AASS, 4D, fasc 3.

[xxviii] AASS, 4D, fasc 3.

[xxix] AASS, 4D fasc. 3.

[xxx] “Ecclesia Sanctae Mariae Gratiarum cum unico pariter Altari regitur per R(everen)dum D. Caesarem Rocca, qui possidet. Beneficium sub eodem titulo in ea erectum, et missas ei adnexas celebrat.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765.

[xxxi] “Ecclesia Santae Mariae de Succursu regitur per praed.m D. Caesarem Rocca, qui possidet. Beneficium sub eodem titulo in ea erectum, et de necessariis providet.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765.

[xxxii] AASS, 72A.

[xxxiii] “Il Semplice Eccl(esiasti)co Beneficio di S.a M.a delle Grazie possiede un capitale di d. 150 sopra la Gabella di Cucoli confine li Campanari, e Foresta, e sopra Catrivari. Item un altro capitale di d. 50 sopra il q.m D. Vito Giordano. Quale Beneficio fu fondato nell’anno 1667 e d.e Rendite si trovano annotate nella Platea dell’anno 1728. Sistente nella Scansia di Policastro situata in q.o Archivio.” “Il Semplice Eccl(esiasti)co Beneficio di S.a Maria del Soccorso fondato nell’anno stesso 1667 tiene solam.te d.a Rendita. Un Ortalizio attaccato a d.a Chiesa Campestre alborato di Celsi, et altri albori fruttiferi, che s’affitta per quanto si può affittare. Tiene il peso di 4 messe l’anno nelli giorni delli Titulari di S. Biaggio e S.a Appollonia. Come pure il peso della Visita, e Cattedratico. (AASS, 72A).

[xxxiv] Per quanto riguarda Santa Maria del Soccorso ne rimane testimonianza esplicita attraverso un atto del 5 febbraio 1791. “Rimase l’affitto dell’Orticello della Chiesa del Soccorso di Policastro inclusa la Chiesetta diruta …” (ASCZ, Cassa Sacra, Atti Vari, Policastro 272/16).

[xxxv] ASCZ, Cassa Sacra, Atti Vari 308/3.

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Forme solidali nel Seicento: La confraternita laica della SS.ma Annunziata di Belcastro

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Belcastro (CZ), chiesa della SS.ma Annunziata.

La chiesa sotto il titolo dell’Annunciata era situata fuori le mura della città di Belcastro. Essa è già presente nel Quattrocento, come evidenzia un breve in data 15 aprile 1490, con il quale il papa Innocenzo VIII ordinava all’arcivescovo di Santa Severina ed ai vescovi di Crotone e Isola, di mettere in possesso Iohanne de Galganis, presbitero di Catanzaro, del decanato della cattedrale di Belcastro e della chiesa della Beata Maria Annunziata di Belcastro. In passato essa era stata concessa ad Antonio de Russis ma dopo la sua morte, il vescovo di Belcastro Raymondo per molti anni impedì che qualche canonico la potesse occupare e ancora oggi egli la tiene occupata.[i] In seguito la chiesa divenne sede di una confraternita laica, che prese lo stesso titolo della chiesa. Nei primi anni del Seicento il vescovo di Belcastro Antonio Laureo ci informa che in Belcastro vi erano due confraternite laiche, una intitolata a Santa Maria Annunziata e l’altra alla Pietà.

 

La confraternita dell’Annunziata

Il 25 marzo si festeggiava l’Annunziata con lauro, mortilla, predicatore e messa cantata. I confrati della chiesa ed ospedale dell’Annunziata di Belcastro si riunivano nella chiesa ed eleggevano i sei nuovi ufficiali della confraternita, cioè il priore, due procuratori, due infermieri ed il mastro di cerimonie. Una volta eletti, questi nominavano due razionali che, alla fine di ogni annata, dovevano verificare i conti di introito ed esito della confraternita di cui facevano parte uomini e donne.

Per il mantenimento della chiesa e dell’ospedale, essa poteva contare sui lasciti dei confrati e su voti, offerte e rendite provenienti da benefattori, da confrati e dai suoi beni. Contribuivano ad incrementare le entrate i confrati e le “sorelle”, o consori, che alla morte “per la confratia” versavano un tari.

Essi inoltre, si dedicavano durante l’anno alla “cerca”. La cerca “per la Terra e per la chiesa”, era fatta ogni prima domenica del mese, ampliata poi anche alla quarta domenica con la cerca “delo carmino”, e nei giorni dell’Annunziata, della candelora, di S. Pietro,[ii] di Santa Maria della Sanità, della Visitazione della Madonna ecc., e per l’aire.[iii] Da questa attività essi raccoglievano grano, olio, semente de sirico, cuculli, seta, manna, ecc. A questi si aggiungevano le numerose offerte di torce, cera, seta, grano, bambace, uova, caso, denaro, pane, pane bianco, rosette, mele, vitella, yenca, porcella, crape ecc., e le elemosine, che si raccoglievano nella “cascetta appesa inansi l’Imagine”. Parte di quello che la confraternita raccoglieva era venduto e parte era utilizzato per la chiesa e l’ospedale: “oglio alla ciarra dela sacrestia”, calce per coprire i “tavuti”, torce, cera, incenso, candele, medicine, spese per assistere i malati, salario del cappellano (tra i cappellani ricordiamo Ottavio Chiaromonte, che per il suo servimento nella chiesa riceveva un salario di ducati otto per “messe, officii et laudi” e Francesco Antonio Altomare), salario del sacrestano (il chierico Minico Rotella a carlini cinque il mese ed una quarta di olio al mese più vari regali in generi alimentari e denaro), restauri, acquisti, ecc.

Spesso i confrati si servivano delle cose necessarie acquistando nelle varie fiere (de Molera, de Sant’Agatio, di San Giovanni “delli agli”, di Santo Luca, de Crichisi, de S. Laurenso) e nelle città e nei paesi vicini (Cosenza, Catanzaro, Cropani). A volte vi si recavano per vendere ciò che avevano prodotto (seta, grano, tela) o avevano avuto in elemosina o per lascito.

I confrati godevano dell’assistenza nell’ospedale in caso di malattia e in caso di morte potevano essere seppelliti nella chiesa. La confraternita in alcuni casi assisteva anche i forestieri e si dedicava a opere di carità verso i carcerati, i monaci ed i poveri.[iv]

Nel “Libro nel quale si contiene la Platea di tutti i beni stabili e mobili di d.a n.ra confraternita et scritto per beneficio di quella”, conservato presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, è inserito un resoconto annuale della vita economica della confraternita dal 1607 al 1622.

Il “Libro Quarto nello quale si contiene la creatione d’Off.li anno per anno per g.le Congreg.ne et introito et exito et significatorie per administrat.ne de Procuratori annuatim”, ci informa sulle vicende che i confrati dell’Annunziata di Belcastro dovettero affrontare nei primi anni del Seicento. Anni particolarmente importanti in quanto, nonostante le carestie e gli inverni aridi e freddi, videro la costruzione del campanile, della cappella dell’Annunziata, della cappella della Madonna del Carmine, l’ampliamento della chiesa, ecc.

La platea della confraternita della SS.ma Annunziata di Belcastro, conservata all’Archivio di Stato di Catanzaro.

L’inizio

Il 25 marzo 1607, giorno nel quale si festeggia la SS.ma Annunziata, nella chiesa omonima si riuniscono il priore Gio. Francesco d’Urso, il procuratore Vincenzo Casizzone, gli infermieri Gio. Angelo Cimino e Marcello Casicotto, il mastro di cerimonie Apostolo Furino e ventinove confrati. “Adi 25 di marzo 1607 Nella chiesa della Santiss.ma Annunciata della Città di Belcastro. Congregati li sott.i confrati. Gio. Fran.co d’Urso priore. Vincenzo Casizzone proc.re. Gio. Angelo Cimino infermiere.Marcello Casicotto infermiere. Apostolo Furino m.o de cirimonie. Michele Vitello. Oratio San Marco. Gio. Vincenzo Poerio. Fabricio Vitelli. Minico Cuzzino. Vittorio Greco. Vincenzo de Tacina. Pandolfo Russo. Gio. Fran.co Pettinato. Gio. Battista Pisano. Paulo Steriti. Gio. Gerolamo Flerio. Lupo Cosco. Fran.co Antonio Galati. Fran.co Furino. Gio. Bartolo Farago. Oratio Nicoletta. Gio. Matteo Gargano. Salvatore Grandello. Col’Ant.o Scarrillo. Giulio Galati. Gio. Dominico Tiriolo. Vincenzo Furino. Anello Tirrimbò. Gio. Leonardo Venuto. Andrea Tiriolo. Fran.co Ant.o Garcea. Masi Garcea. Gio. Tomaso Pulello”. Essi per “costume antico et per costitutioni fatti”, devono creare i nuovi procuratori e gli altri officiali “per servitio della confraternità Chiesa et Hospidale” e quindi eleggere due razionali per verificare i conti dell’amministrazione precedente.

In quel giorno per l’amministrazione della confraternita per l’anno 1607/1608 fu riconfermato priore Gio. Francesco d’Urso, per procuratori furono eletti Gio. Francesco Pettinato e Gio. Battista Pisano, per infermieri Marcello Casicotto e Gio. Angelo Cimino e per mastro di cerimonie Apostolo Furino. Per vedere i conti degli amministratori passati furono eletti per razionali Giulio Galati ed il notaio Gio. Tomaso Lo Flerio.

In quella occasione fu stabilito che il Priore e gli altri ufficiali dovevano fare “uno libro maggiore nel quale habbia da fare una Platea di tutte robbe et beni stabili che possede ò infuturum possederà detta Confraternita Chiesa et Hospidale acciò per l’advenire l’officiali siano estrutti delle dette robbe beni di d.a Confraternita Chiesa et Hospidale et appresso scriverci anno per anno li conti di introito et exito …”. Fu anche ribadito che “Volemo ancora per questa presente conclusione che qualsivoglia delli nostri fratelli ò sorelle venessi Dio guardante à morte li piacesse sotterrarsi nella Chiesa della Santissima Annuntiata le sia lecito senza altra licenza rompersi l’astraco, et sotterrarsi, ò farsi sepultura ò monumento, purche detta spesa sia, à spesa di quel fratello ò sorella defunta, e questa vaglia per Constitutione perpetua. Volemo ancora per la presente conclusione che ciascun delli fratelli sudetti scritti, ò scribendi venissero quod absit à morte, che non siano obligati pagar detta confraternita sotterrandosi nella Nostra Chiesa della Santissima Annuntiata e non altramente”.

 

L’annata 1607/1608

L’annata del 1607 fu particolarmente scarsa perché segnata dalla siccità e dalla carestia. Per chiedere la grazia dell’acqua, in primavera si fecero numerose processioni con l’intervento dei battenti per invocare da santo Elia la grazia della pioggia.[v]

Nei primi giorni di giugno iniziarono i lavori di costruzione del campanile.[vi] Al tempo del raccolto i confrati come il solito, si dedicarono alla “cerca” del grano. Una parte del grano, raccolto a Fusca, Campia, Magliacane, Crima, Filaci, Olivella, alla marina, a Coturella e Marcedusa, fu trasformato in pane per coloro che stavano fabbricando il campanile ed una parte fu venduto a 17 carlini il tomolo.

Durante l’autunno e l’inverno si proseguì a portare pietra con i carri trascinati dai buoi e con le “bestie” (per ogni giorno di viaggio con “bestia” si pagò un tari), e si comprano anche dei “ceramedi”.[vii] Alla costruzione del “campanaro” parteciparono oltre a mastri e manipoli locali anche “un forastiero” e dei “giovani de mesoraca”. A tutti, oltre al salario giornaliero di 10 o 15 grana a seconda del lavoro svolto, si fornì anche alloggio e vitto giornaliero (caso, carne, cauli e vino).

Mentre procede la costruzione del campanile, in gennaio si incarica un pittore di dipingere un quadro della Madonna del Carmine.[viii] Per far fronte alle spese per i nuovi lavori la confraternita può contare sulle entrate e sulle rendite provenienti dalle elemosine e dai beni di cui dispone: affitti di case, affitto delle castagne dell’Annunziata, censi, vendite di oggetti ed animali donati[ix] e dalle attività agricole, quali la vendita delle fronde dei celsi della chiesa,[x] la produzione della seta, l’affitto delle terre,[xi] la lavorazione della manna[xii] e la vendita del grano, prodotto dalle sue terre gestite direttamente dalla semina al raccolto.[xiii]

Belcastro (CZ), in evidenza il luogo dove sorge la chiesa della SS.ma Annunziata.

L’annata 1608/1609

Il 25 marzo 1608 sono eletti Gio. Tomaso Lo Flerio priore, Apostolo Forino e Giulio de Leone procuratori, Gio. Tomaso Pulello e Colantonio Scarrillo infermieri e Vincenzo de Tacina mastro di cerimonie.

Dopo una breve pausa all’inizio dell’anno, in primavera ripresero i lavori al campanile come risulta da un pagamento per la fornitura di calce.[xiv] Per fare fronte agli oneri che comportano i nuovi lavori, si tenta di incrementare le entrate, cercando di trovare degli accordi con gli eredi di beni lasciati per testamento alla confraternita.[xv] Prosegue anche l’attività caritativa ed assistenziale della confraternita verso i fratelli, i poveri, gli indigenti, i carcerati ed i forestieri.[xvi] In autunno i lavori al campanile procedono alacremente anche per l’aiuto di numerosi devoti, che trasportano gratuitamente con le loro bestie pietra, calce e ceramidi.[xvii] Per chiedere l’aiuto divino e scongiurare il pericolo del ripetersi di annate sterili, che incidono negativamente sulla cerca e sui raccolti, all’inizio di marzo per avere la grazia della pioggia si fanno processioni e si chiamano i battenti;[xviii] battenti che sono richiamati anche il giovedì santo.[xix]

 

L’annata 1609/1610

Dopo che il 21 marzo 1609 si era celebrata la messa “dello spirito santo acciò spiri ad eligersi procuratori buoni”, nel giorno dell’Annunziata furono eletti per nuovi ufficiali il priore Gio. Geronimo lo Fleri, i procuratori Antonello Salvato e il notaio Gio. Tomaso lo Fleri, gli infermieri Gio. Tomaso Scarrillo e Gioseppe Marzano e mastro di cerimonie Gio. Tomaso Pulello.

In aprile procedono lentamente i lavori[xx] ed a maggio arrivò da Palermo la nave con la statua di marmo della Madonna dell’Annunziata. Contribuì al pagamento dell’opera Gio. Battista d’Urso, che era particolarmente devoto alla chiesa dell’Annunziata e che abitava a Palermo.[xxi] “Die 21 de magio 1609 venne la figura de marmoro in Belcastro et per nolito se pago docati sei et docati dui de beveragio”. Arrivata la barca allo “scaro”, i marinai si recano in Belcastro per dare la notizia al procuratore della confraternita.[xxii] Il patrone del naviglio con i marinai sbarcano la statua e si decide su come portarla in Belcastro. Il giorno dopo la statua con l’aiuto dei marinai e degli abitanti di Belcastro, scesi fino alla marina, è messa su un carro trascinato dai buoi e fa il suo ingresso in città, accolta dai fedeli al suono del tamburo. Dopo in processione è accompagnata in chiesa.[xxiii]

Nei giorni seguenti iniziano le cerche per fare una corona d’oro alla Madonna. Per compiere l’opera si invitano i cittadini a donare ciò che hanno di prezioso. “Die 24 de magio 1609 s’è fatto la cerca per fare la corona alla madonna sanct.ma per la Citta et si fece de dinari docati nove et mezo che cona pattacca fu de archimia et non servette et petre de finella quattro granata piccole et cinque verde uno agnus Deo de argento una resta de coralli piccoli con partituri de argento et unaltra esta de coralli piu grandetta una catina de azaro quattro yannacche de ferno nigro et una de vitro con rosette inaurate et de argento rutto cinque censie et una quarta dui partituri de oro cento rosette de oro una manica de raso giallo guarnita de trinette russe et bianche una magnusa con piczetti torchini et bianchi et unaltra mangnusa a quatretto con piczi de oro et follole de oro et uno mandile”. “Die 25 de magio 1609 alla eccl.a per li rogat.ni si face car.ni dudici et mezo et unaltra foco de argento russo et una yannacca de pietre gialle et verde n. tridici et quattro anella de oro et quattro de argento quali anelli de argento et sup.tto tutto argento rutto ascendete ad onze cinque et tre meze quarte fo consignato all’aurefice dare principio alla corona della madona una fadiglia de cataluffa carmuscina et bianca guarnita de passamani uno filo de perne nigre et bianchi nove altre reste de coralli con spartituri de diverse sorte dui vili uno con piczi doro et laltro bianco uno retorto de sita carmonscina et bianca una magnusa lavorata de sita bianca et verde due tuppere et unaltra magnusa bianca che all’imagine otto yannacche con perne nigre unaltra yannacca de vitro con rosette inaurate”.

Sempre in quei giorni di fine maggio si consegna all’orafo Anibale Cifolli l’oro ed i gioielli per confezionare la corona alla Madonna[xxiv] e sorgono dei contrasti sul modo di portare e come e dove collocare la statua; perciò il confrate Gio. Vincenzo Poerio è incaricato di andare in Santa Severina per sentire il parere di un “ingegneri”.[xxv]

Durante l’estate si consegnano in più occasioni all’orafo denaro, oro e gioielli, sia per la sua “mastria” che per ornare e completare la corona.[xxvi] Il 30 agosto si salda l’orafo Anibali Cifolli, che ha finito la corona.[xxvii] Per far fronte all’aumento delle spese i confrati si impegnano a potenziare la loro attività nella cerca del grano[xxviii] e dei “cuculli” per fare la seta.[xxix] Grano e seta che poi sono venduti. In luglio si dava inizio alla costruzione della cappella dove porre la statua della Madonna dell’Annunziata.

Il 7 luglio il confrate Antonio Strati era stato inviato “con lettere a Santa Severina che le portassi a mastro Andrea Scarpellino per trattare la cappella del immagine”. Poi si era incominciato a portare materiali da costruzione presso la chiesa.[xxx] Il 28 agosto arriva a Belcastro il mastro Gio. Antonio Nicoletta “con altri mastri di Rogliano per acconciare la imagine dela madona a chiamata nostra”.[xxxi] All’ultimo di agosto si stipula l’accordo con Gio. Antonio Nicoletta e con il mastro Linardo Coza per fare il tabernacolo alla Madonna dell’Annunziata.[xxxii]

Sempre in quei giorni il mastro Nicoletta va a vedere dove reperire il materiale più adatto per fare il suo lavoro.[xxxiii] Il 18 di ottobre inizia la costruzione e alla sera del 22 ottobre arrivano tre “discipuli” del mastro Gio. Antonio Nicoletta per aiutare il mastro Linardo Coza a lavorare i cantoni. Cantoni che servono per costruire la cappella dell’Annunziata. Il prezzo concordato per completare il lavoro è stabilito in ducati 88 più vitto ed alloggio per i mastri e per gli aiutanti discepoli.

Poiché i cantoni occorrenti per costruire la cappella sono tagliati in una “perrera” in territorio di Mesoraca, i mastri che sono addetti al loro reperimento sono imprigionati e per liberarli la confraternita è costretta a pagare. Essi inoltre hanno causato danno alle querce.[xxxiv] In novembre e dicembre continua la costruzione della cappella e sono molti i viaggi di cantoni, che gli abitanti di Belcastro portano con i buoi e con “le bestie” dalla “perrera” di Mesoraca per ordine dei mastri Bartolo Grabiele, Linardo Coza e Gio. Antonio Nicoletta.[xxxv]

Durante questi mesi i mastri ricevono degli anticipi finché, finito il tempo pattuito, il 20 dicembre si salda il mastro Gio. Antonio Nicoletta.[xxxvi] Sempre in dicembre inizia la sua attività nella chiesa dell’Annunziata la confraternita della Madonna del Carmine.[xxxvii] Nonostante l’opera fatta, la cappella non è ancora del tutto completa e alla metà di gennaio 1610 riprendono i lavori, lavori che proseguirono anche se lentamente nei mesi successivi con la presenza ancora di mastri e di manipoli di Rogliano.[xxxviii] Pur continuando i confrati la loro attività economica,[xxxix] il denaro non è sufficiente per completare i lavori; li si sollecita perciò a contribuire ed a fare dei prestiti. Il 7 febbraio 1610 nella chiesa dell’Annunziata “Li procuratori sudetti con contezza di Gio. Geronimo Lo Freri priore ora esponeno come è notorio del partito fatto della cappella della Santa Annuntiata e perche vi è bisogno di complire detta cappella come si può senza l’agiuto delli confrati e devoti et perche marcello casicotto et vincenzo casizzone confrati s’hanno offerto donare parola et far cautela alli sudetti mastri chaveano di fare la detta cappella conforme sara iudicata da pietro francesco morello conforme la cautela nelli atti dela corte appare et di piu esponemo che havemo fatto una lista di confrati divoti et consore che per esortatione dovessero far lo caritativo sussidio al sudetto bisogno”. Finchè non si troverà il denaro, i lavori vanno avanti a singhiozzo.[xl]

Belcastro (CZ), campanile della SS.ma Annunziata.

L’annata 1610/1611

Il 25 marzo 1610 giorno della SS.ma Annunziata, i confrati secondo il solito si radunarono dentro la chiesa della SS.ma Annunziata in presenza del cappellano della confraternita D. Ottavio Chiaromonte, per eleggere i nuovi ufficiali e per discutere sulla situazione economica della confraternita particolarmente precaria “… in questo tempo di bisogno tanto per la manifattura et opera facienda per collocare la Santissima Imagine quanto alla venuta di Mons.r Ill.mo Rev.mo possino e sappiano domandare favori et gratie in benef.o e servitio di questa Santa Casa”. Quel giorno dai confrati “forno conclusi unanimiter et pari voto li sop.ti Gio. Vincenzo Poerio per Priore, Marcello Casicotto et Vincenzo Casizzone per procuratori et infermieri et proc.ri della Cappella del Carmino à Giulio de Leone e Gio Tomaso Pulello, et m.o di cerimonie à Colantonio Scarrillo, come persona delle quali concursero la maggior parte delle voci fatto calcolo et li sop.ti p.nti, et accettanti et restorno per off.li come ancora unanimiter et pari voto forno eletti per Razionali à vedere li conti delli proc.ri passati à Pietro Fran.co Morelli, et Giulio Galati quali possano vedere et sententiare loro conti conforme li parerà de Justitia”.

Fu inoltre deciso che “li sop.tti Gio. Tomaso Polello et Giulio de Leone infermieri e procuratori del Carmino si faccino novo libro di introito et esito per saperne dare conto a loro tempo, et che li procuratori della SS.ma Annuntiata non li possano impedire li vestimenti del altare, candele et altre cose simile, ma che s’intendano tutte le cappelle in una et sotto la protetione di d.a confraternità et dominio”. Sollecitati a contribuire in maniera fattiva alle onerose spese per pagare i mastri che lavorano alla chiesa, i confrati più facoltosi si impegnarono a prestare denaro alla confraternita. Pandolfo diede ducati 20, Apostolo Furino duc. 40, Francesco Rota ducati 8 e carlini 7, Giulio Leone duc. 5, Vincenzo Casizzone duc. 16; molti altri contribuirono con elemosine di vario genere.

Così i lavori ripresero con forza, come risulta dai pagamenti fatti ai mastri e dai viaggi di cantoni della perrera di Mesoraca (ogni viaggio pagato a carlini tre e mezzo). Nello stesso tempo, come da decisione presa, i confrati vendettero tutto ciò che era possibile, si fanno numerose cerche “per la terra per agiotare le spese deli mastri dela cappella” e si sollecitano più volte i fedeli a fare donazioni e prestiti.

I lavori continuarono durante la primavera e terminarono con l’estate. In giugno i mastri ed i manipoli (Michele deli Donnici, Francesco Casizone, Poerio de Poerio, Vincenzo Curto, Pietro Abruzzi, Bernardino Spirune,) sono intenti a fare la forma e ad “assettare la cappella”.[xli] Terminati i lavori, su ordine del vescovo di Belcastro il primo agosto i mastri Andrea Maggiore e Pietro Barba Lunga vanno a verificare e stimare i lavori fatti alla cappella[xlii] ed il 7 settembre si salda il mastro Gio. Antonio Nicoletta.[xliii]

Il ripetersi di annate scarse per la siccità ed il freddo spinge i confrati a prendere decisioni economiche importanti per la vita economica futura della confraternita. Essendo le annate agricole spesso sterili e calamitose, per contare su entrate certe e stabili, per risarcire coloro che hanno anticipato il denaro e per procedere nei lavori, il 14 novembre 1610 i confrati si riuniscono dentro la chiesa dell’Annunziata.

I procuratori Marcello Casicotto e e Vicenzo Casiczone in quella occasione mettevano al corrente i confrati della situazione economica della confraternita. Essi affermarono “che per residuo della Cappella di cantoni fatti per m.o Gio. Antonio Nicoletta in detta Chiesa deveno al sudetto alli 15 di decembre D.ti 37 et piu di 48 altri D.ti si devono a particolari confrati e benefactori ch’in servitio di detta cappella ce l’hanno improntati”.[xliv] Non avendo denaro sufficiente si decise che per sanare i debiti non c’era altra via che di dare a censo i beni della confraternita consistenti “in celsi, vigne, et case, casalina, et castagne”. Se questa decisione permise nei mesi seguenti di sanare i debiti contratti con alcuni confrati, nel lungo periodo sarà deleteria, in quanto vedrà allungarsi il numero di coloro che non pagheranno i censi annui sui beni avuti.

Finiti gli ultimi ritocchi alla cupola e dorati l’angelo e la Madonna all’interno della cappella,[xlv] arrivò il vescovo a benedirla.[xlvi] L’annata si chiudeva con un introito pari a ducati 328-2-13 ed un esito di ducati 332-4-19. Entrate ed uscite ben superiori a quelle usuali, che di solito oscillavano tra gli ottanta ed i cento ducati, segno evidente dei grandi lavori e del grande impegno finanziario dei confrati.

Belcastro (CZ), campanile della SS.ma Annunziata.

L’annata 1611/1612

Il 25 marzo 1611 furono eletti Michele Vitelli priore, Apostolo Forino e Giulio de Leone per procuratori, Gio. Tomaso Scarillo e Vincenzo de Tacina per infermieri e Iacovo Scarrillo per mastro di cerimonie.

Durante l’annnata 1611/1612 non sono segnalati lavori importanti alla chiesa. Sono annotati alcuni pagamenti al mastro Vincenzo Mercuri, che in più occasioni dora il “Dio Padre, Madonna e Angilo”.[xlvii] Mentre continua la cerca e la produzione della seta[xlviii] e della bambace per fare tessere la tela.[xlix] Si fanno comprare in Napoli candelieri e calici dorati[l] ed un quadro della Madonna del Carmine, da portare quando si fa la cerca la quarta domenica. Il 5 novembre si paga Fabritio Lico per la porta del campanaro. L’annata si chiude con un introito ed esito di circa 100 ducati.

 

L’annata 1612/1613

Il 25 marzo 1612 furono eletti Gio. Matteo Gargano priore, Colantonio Scarrillo e Vincenzo Forino procuratori, Gio. Andrea Scarrillo e Masi Farago per infermieri e per mastro di cerimonie Gio. Battista Scarrillo. In autunno riprendono i lavori. Si aggiusta l’ospedale ed il magazzino dove è riposto il grano[li] e continua per tutti i mesi seguenti la costruzione del campanile.[lii] Nel frattempo che il campanile sia completato, i confrati decidono di far fare in Palermo una nuova campana. Per sostenere questa ulteriore spesa indirizzano a questo scopo tutte le risorse provenienti dalla vendita della seta e del grano e dalle altre entrate (elemosine, censi, donazioni, prestiti).[liii] Il 12 marzo 1613 il vescovo di Belcastro visita i lavori che si stanno compiendo e promette di sostenerli con un suo contributo.[liv] I conti dell’annata 1612/1613 si chiudono con l’esito a 173 ducati, tari 2 e grana 2 a fronte di un introito di 154–3-0. Il deficit è causato dai lavori al campanile, dall’anticipo per la nuova campana e dall’alto numero di censuari, che a causa dell’annata sterile non hanno versato il censo alla confraternita.[lv]

 

L’annata 1613/1614

Il 25 marzo 1613, congregati dentro la chiesa della SS. Annunciazione, i confrati elessero Gio. Geronimo Flerio priore, Vincenzo de Tacina e Pandolfo Russo per procuratori, infermieri Ottavio Greco e Iacovo Flerio e per mastro di cerimonie Gio. Berardino Lazzaro.

Il procuratore dell’anno precedente Col’Antonio Scarrillo informa i confrati che “ha pagato docati cento à salvatore grandello per ordine di Gio. battista d’urso per li ducati 100 havea fatto fare una campana nella città di palermo per la chiesa della ss.ma annunziata. Et volendola conciare non possette à capere licenza per estraersi per tanto esso procuratore saria di parere che detti docati 100 si rilascino al detto signor Gio. Battista, quale piacendo al Sig.re de qua pochi dì sarà in Belcastro, et detto signor gio. battista essendo homo di gran valore, habbia pensiero di far fare detta campana”.

Non essendo stato possibile costruire la campana in Palermo, in quanto ne è proibita l’estrazione, i confrati decisero di farla costruire altrove. Il 4 dicembre 1613 il procuratore Vincenzo de Tacina esponeva “come questi giorni passati fu concluso per parlamento che li d.ti cento quali s’haveano di mandare per la campana s’havessero da consignare ad antonio galeano quale havea pensiero di girarli in napoli al dottore colantonio gargano per affettuire il partito della campana e perche detta conclusione non hebbe effetto che il d,o antonio galeano ha retornato lo dinaro che tiene” Non essendo andato in porto nemmeno questa soluzione, i confrati decisero “che doman matino si mandi in Cropani da Gio. Battista Barrinella publico negoziante quale s’ha offerto con molto avantaggio et sicurtà della chiesa fare venire a sue spese la campana preditta purche lo denaro si dia in deposito a ferrante cosentino quale deposito venuta la campana allo scaro di cropani si possi disbirgare detto deposito et come sara venuto lo corriero dal detto vada lo procuratore con alcuni confrati in cropani a depositare detto denaro”. Conclusa così la questione della costruzione della campana, in primavera continua la costruzione del campanile[lvi] ed a marzo cominciano i lavori per ampliare la chiesa. L’annata fu particolarmente arida. Poco si spese e poco entrò (circa 53 ducati).

Belcastro (CZ), campanile della SS.ma Annunziata.

L’annata 1614/1615

Il 25 marzo 1614 si congregavano i confrati dentro la chiesa della SS.ma Annunziata in presenza del cappellano della chiesa Ottavio Chiaromonte per eleggere i nuovi ufficiali e procuratori per l’anno 1614 e 1615. Per priore fu eletto Micheli Vitelli, per procuratori Marcello Casicotto e Vincenzo Casizzone, per infermieri Gio. Tommaso Polello e Giovanni Lo fleri e per mastro di cerimonie Antonio Pinelli.

Ritornati nella disponibilità dei cento ducati, i congregati confermarono unanimemente “che i cento ducati che tiene antonio galeano si ne faccia fare la campana” ed il procuratore Vincenzo Casizzone, essendo priore Michele Vitelli, li informava, che egli aveva incominciato “à fabricare per allungare la chiesa … per evitare et evadere lo disturbo grande che si fa nel giorno della festa della santiss.a Annuntiata”. Messi al corrente, i congregati approvarono e sollecitarono anche i lavori alla fabrica del campanaro.[lvii]

Per adempiere a quanto stabilito il 3 aprile fu inviato un corriere a Cropani per ordine del vescovo Fulvio Tesoriere “per far lo partito della campana” con il mercante Giovanni Battista Barrinella. Sempre a Cropani il 22 dello stesso mese si reca Cesare Corea a prendere “l’inferrata” che era stata acquistata a Messina. Mentre si conclude l’accordo per la costruzione della campana, vanno avanti i lavori alla chiesa e al campanile. Ai lavori oltre ai mastri ed ai manipoli salariati prestano la loro opera gratuitamente anche numerosi abitanti e non mancano gravi infortuni.[lviii]

Il 25 luglio il procuratore Marcello Casicotto informava i confrati che “have trattato con uno mastro campanaro per fare una campana nella chiesa della ss.ma nunciata come tempo fa che s’ha trattato perciò loro fa intendere che provedano a quanto li parera per la fattura di detta campana e per il trattamento s’ha da fare con detto mastro per mettere in exequtione quanto bisognera circa l’exposto”.

Ottenuto l’assenso a procedere, sono inviati due corrieri a Cropani per concludere definitivamente l’accordo, che prevede la fornitura del materiale a spese della confraternita ed il pagamento di ducati venti e vitto e alloggio per due mesi al mastro campanaro Giovanni Gullo, il quale si dedicherà alla fattura della campana. Si invia Cesare Corea a Cuturi e Paulo Gareca a Squillace per comprare il metallo e Oratio Arratta e Gratio Lechiare portano la legna. Si comprarono anche la “zimatura”, il rame, una caldara, un caldarone ed un mortaro.[lix] La costruzione della campana durò quasi tutto il mese di agosto.[lx]

Il 31 agosto il mastro campanaro Gioanne Gullo in Belcastro dichiarava di avere ricevuto dal procuratore Marcello Casicotto ducati 40, tari 2 e grana 5 e cioè ducati 22 tari 2 e grana 5 per rotola 49 per il metallo che egli fornì per la campana e ducati 20 per la sua mastria. Fatto il calcolo in tutto per la costruzione della campana la confraternita spese ducati 102 tari 4 e grana 15. Contribuì alle spese anche il vescovo, che donò 5 ducati. Altro denaro si spese in seguito per il battaglio, le corde ed i ferri.[lxi] Finita la costruzione della campana, il mese dopo fu assegnata al mastro campanaro Gioanne Gullo anche la costruzione di una campana più piccola.[lxii]

 

L’annata 1615/1616

Il 25 marzo 1615 si congregarono i confrati per rinnovare gli organi della confraternita. Furono eletti per priore Gio. Matteo Gargano, per procuratori furono confermati Marcello Casicotto e Vincenzo Casizzone, per mastro di cerimonie Ottavio Greco e per infermieri Jacovo Lo Flerio e Jacovo Vivacqua. In questo anno non sono segnalati particolari lavori.

Belcastro (CZ), cappella nella chiesa della SS.ma Annunziata.

L’annata 1616/1617

Il 25 marzo 1616 furono eletti Gio. Geronimo lo Flerio per priore e per procuratori Colantonio Scarrillo e Antonello Salvato e per infermieri Gio. Berardino e Gio. Andrea Lazzaro e per mastro di cerimonie Antonio Pinello.

In aprile ripresero i lavori di costruzione al campanile[lxiii] ed il mese dopo si giunse ad un accordo tra le parti, che metteva fine ad una lunga lite, avente per oggetto la sostanziosa eredità lasciata alla confraternita dal capitano Fabritio Carpansano.[lxiv] L’ultimo giorno di aprile 1616 i procuratori, che avevano gestito la lite, informarono i confrati sui termini dell’accordo, che essi avevano stipulato con i nipoti ed il fratello del capitano. L’accordo prevedeva il pagamento a favore della confraternita di ducati 800, con i quali la confraternita aveva intenzione di istituire un monte di pietà per beneficio dei poveri.

Il 27 novembre 1616 gli stessi procuratori affermavano che Horatio Carpansano, fratello del defunto capitano, aveva deciso di pagare i ducati 800 “in denari stabili et censi” in questo modo: “Assigna una continentia di terre loco d.o la valle del lupo per docati trecento che cossi disse haverla comprata come appare per intrumento et di più docati cento ottanta tene di capitale sopra le terre delli Dottori Gio. Jacovo et Horatio Lifreri poste dentro il territorio di detta Città loco detto falini et più settanta dui per tante terze decurse dello preditto censo delli detti lefreri sopra dette terre ut s.a mentionate et più docati cento cinquanta deveno li d.ti di frerio ad esso D. horatio per affitto di tre annate delle terre di Antonio Mazza conforme per cautela appare maturandi ad agosto prossimo. Et più docati vinti di capitale sopra la vigna di Micheli Pigneri posta in loco d.o Zinga come per instrumento appare. Et docati ottanta di terze decurse sopra le terre Gio. Fran.co Alessi poste alla salinella come per instrumento censuale appare che tutte le sopradette partite fanno la somma di d.ti ottocento”.

Aumentata la disponibilità finanziaria, i lavori al campanile procedono più alacremente. Vi lavorano i mastri Vincenzo Casizzone e Paulo Palumbo ed i manipoli Vartolo Olivo, Girormo de Sena, Masi Tiriolo, Vincenzo de Dattolo, Andrea Arratta, Giuseppe Ferraro, Ferrante Uvvaro, Ottavio Viviano, Francesco Lopreite, Adria Deni. Agostino de Pace, Oratio Arratta, Virardino Arratta, Minico Gallina, Iacovo Spirune, Vincenzo Casizzone riforniscono di continuo pietre per la costruzione.[lxv] L’annata si chiudeva con un introito di circa 98 ducati a fronte di un esito di circa 92.

 

Annata 1617/1618

27 marzo 1617 dentro il coro della chiesa dell’Annunziata furono eletti: Michele Vitelli priore, Gio. Andrea Scarrillo e Giulio Leone procuratori, Ottavio Greco e Iacovo Vivacqua infermieri e Antonino Arratta mastro di cerimonie.

Il 12 settembre 1618 i procuratori radunano i confrati per metterli al corrente che l’università di Belcastro, trovandosi in grave difficoltà verso il fisco regio, ha chiesto alla confraternita un prestito. “Exponeno “come lo sin.co di questa Citta et molti altri Cittatini l’hanno rechesto e pregato che stanti li nicessita grande et pagam.ti onerosi di guerre et la presente pervenutoli il pagamento del 3.o di piu e venuto il com.rio in detta Citta non potria sensa grand.mo dano di poveri remediare le nicessita p.tte et hanno pregato come si e detto che l’havessimo inprontato denaro di la nostra confraternita docati cento ò piu se fossiro in nostro potere ma perche al presente non ni trovamo più di trentatre havendo inteso li bisogni ut supra …”.

Messi di fronte al pericolo dell’arrivo di un commissario regio che avrebbe sequestrato tutti gli animali, i confrati decidono per quanto è possibile di aderire alla richiesta.[lxvi] In autunno il procuratore Gio. Andrea Scarrillo, preso atto delle difficoltà in cui si trovavano i coloni a causa della cattiva annata, che già a novembre ha fatto alzare il prezzo del grano a carlini dodici il tomolo, dona a credito ai poveri i 20 tomola e mezzo di grano raccolti attraverso la cerca nelle aie. In tal modo i coloni potranno seminare. A causa del prestito all’università, delle poche entrate per la cattiva annata e del grano dato ai coloni, i lavori al campanile e alla chiesa, dove si sta facendo la soffittatura, procedono molto lentamente.[lxvii] L’annata si chiudeva con un’entrata di poco più di 22 ducati e con un esito di circa 70 ducati.

Belcastro (CZ), cappella nella chiesa della SS.ma Annunziata.

Annata 1618/1619

Il 25 marzo 1618 si riunivano i confrati ed eleggevano i nuovi amministratori. Colantonio Scarrillo fu eletto priore, Giovanni lo Freri e Pandolfo Russo procuratori, Giuseppe Marzano e Luca Grandello per infermieri e mastro di cerimonie Gio. Berardino Lazzaro. Tuttavia Pandolfo Russo, uno dei procuratori eletti, rifiutò la carica asserendo “che esso lo faria volentieri ma perche e povero artegiano et e necessitato andar a guadagnarsi il pane terra per terra no po assistere a detto servitio”. Pertanto al suo posto fu eletto Gio. Tomaso Farago, come secondo che aveva riportato più voti.

Una grave epidemia da maggio si prolungò fino ad ottobre; come evidenziano le numerose offerte di un tari dei defunti “per la confratia” e il grande numero di quelli seppelliti gratuitamente perché poveri.[lxviii] In maggio il mastro Vincenzo Catizzone costruisce “due altaretta” in chiesa ed altri mastri continuano a fare i cantoni a Mesoraca, cantoni che in giugno furono caricati sui carri e portati con i buoi alla chiesa, dove procede la soffittatura e la copertura del tetto sotto la guida del mastro Pandolfo Russo,[lxix] il quale costruisce anche un “confessionario”.[lxx] In gennaio 1619 continua il reperimento dei cantoni e si pagano tre mastri forestieri a carlini tre il giorno per il loro lavoro. L’annata fu scarsa ed il grano raccolto con la cerca per le aie fu di tomoli 23 e fu venduto a carlini 12 il tomolo. I conti si chiusero, ma tanti furono i debitori.[lxxi]

 

Annata 1619/1620

Il 25 marzo 1619 furono eletti: Gio. Francesco Minardello priore, Antonello Salvato e Gio. Battista Pisano per procuratori, Gio. Tomaso Pulello e Iacovo Vivacqua per infermieri e Giovanni Gargano mastro di cerimonie. Il vescovo Hieronimo Ricciullo di Belcastro il primo maggio li confermava. Il 29 ottobre riprendevano i lavori di costruzione. Il mastro Vincenso Casizzone vi lavora per tre giorni assieme al figlio, così come il mastro Paulo Palumbo con suo figlio. Essi furono pagati i mastri a carlini dudici a ragione di tre carlini et mezzo il giorno ed i figli a grana quindici.

Il lavoro è continuato dal mastro Paulo Palumbo, che è aiutato da molti manipoli tra i quali Ottavio di Marco Aloe, Ferrante Strifizzono, Aurelio Imperaci, Gio. Battista Catansaro, Filippo Peruzzo, Salvatore Cosco, Francesco Steriti, Francesco di Pace ecc. Alcuni dei manipoli offrono anche una giornata di lavoro gratis. Alla fine del 1619 il campanile è quasi completato.[lxxii] L’annata si chiudeva con le entrate e le uscite di circa 78 ducati.

Belcastro (CZ), statua della Vergine (da belcastroweb.com).

Annata 1620/1621

25 marzo 1620 furono eletti per priore Gio. Andrea Scarrillo, per procuratori Gio. Angilo Cimino e Pandolfo Russo, per infermieri Gio. Battista e Gio. Andria Lazzaro e mastro di cerimonie Gio. Battista Casizzone. Il 31 marzo il vescovo Hieronimo Ricciullo li confermava.

La primavera fu freddissima ma la raccolta del grano fu copiosa. I lavori alla chiesa ed al campanile erano praticamente terminati, ma la confraternita doveva far fronte a nuovi compiti ed a nuovi pericoli. Poco tempo dopo l’elezione i confrati furono riuniti urgentemente dal procuratore Gio. Angelo Cimino. Il procuratore informava che “qualmente l’è pervenuto a notitia che Donno Gio. Lorenzo Renzelli di Rogliano al presente canonico e cappellano della chiesa della Santissima Annunciata di detta Città, s’intende, che stà per partirsi per andare in Roma et che s’habbia provisto di alcune scritture et pretende dare supplica à superiori, che tutti lasciti et intrate, lasciati da benefattori a detta confraternita, quali si mettono in reparatione di detta chiesa, unirseli con detto suo canonicato et vadano in beneficio d’esso d. Gio. Lorenzo. Et perché detti lasciti sono sempre andati in beneficio di detta confratia, et l’hanno posti et poneno in reparatione della sud.a chiesa et il canonico già mai s’ha intraposto a questi negotii come è cosa notoria perciò l’espone ad essi congregati acciò espongano loro intentione, che si proveda a quello li parerà bisognante altrimenti saria la total rovina d’essa chiesa et confraternita”.

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Documenti sulla chiesa e confraternita dell’Annunziata tratti dal fondo Cassa Sacra (Archivio di Stato di Catanzaro).

Inventario degli oggetti della chiesa della SS.ma Annunziata (1608).

Il 20 aprile 1608 nella sacrestia della SS.ma Annunziata di Belcastro i nuovi procuratori Apostolo Forino e Giulio de Leone fanno l’inventario di tutti gli oggetti appartenenti alla chiesa.

“In pr.is uno stendardo seu confalone de domasco russo.

Una Croce de argento sopra inaurata.

Dui crocifissi di stucco.

Tre calici di argento con patene sopra inaurati.

Una cappa bianca et unaltra rossa lavorata de bianco.

Una casubra de domasco a rosa sicca con l’imagine dela madonna.

Unaltra casubra de domasco rosso con la croce nigra.

Unaltra casubra de domasco bianco con la croce russa.

Una casubra de dubretta di seta conforme la cappa.

Due stole de dubretta di seta con frangie russe et bianche.

Et l’altra con guarnizione de domasco bianco con croce de argento.

Dui manipuli simili et unaltro simile

Uno avanti altaro de domasco bianco con trene d’argento falso.

Una casubra de dubretta di seta verde con croce torchina.

Unaltra de dubretta rosa sicca con croce verde.

Unaltra de dubretta de seta torchina con croce gialla.

Due tonicelle de dubretta pardiglia con guarnizione gialle et a rosa sicca.

Uno avanti altare de domasco russo et altro de oro bellodorato

Un altro avanti altare de dubretta de cocullo a scacco

Un altro avanti altare de su lacze brune lavorato a scacco.

Quattro cammisi una tovaglia de sita carmosina longa.

Unaltra de sita rangina longa unaltra tovaglia de sita nigra de altare longa unaltra tovaglia dela bella robba carmosina a capucci torchini.

Dieci otto abiti tra rutti e sani et uno de marcello fera. Inclusi nelli diece otto abiti lo abito di gio. francesco et un altro de fran.co maria san.co.

Una giarra grande de trenta libre e fin de maza de oglio.

Due cascie una de tutta tavola et laltra a meza tavola

Uno calco grande et uno piccolo de vitro quindici lampe sei urtulilli de vitro.

Dui campanelli, uno caldarone

Robbe della Ecl.a quale sonno nella cascia che li pr.ri teneno alla casa et sono:

In pr.is uno casciotto con sei veli bianchi fra grandi et piccoli de più un altro lavorato di seta russa et turchina et un altro bianco.

Uno velo lavorato de sita carmoscina et torchina.

Uno retorto con liste de sita bianca e nigra.

Due tovaglie et uno retorto de sita carmoscina.

Due coscini uno con zagarelle delabella robba et l’altro de sita gialla et rossa.

Due tovaglie una con le ricze gialle et altra con ricze bianche due tovaglie bianche con li cordoni.

Una crucigata et una tovaglia yiosica dui retorti bianchi, uno maccaturo novo con li piczi, una tovaglia lavorata de filo arrozato due magnuse una listiyata con le liste de argento et piczi de oro et l’altra de argento et seta launata uno cinto de oro pigno de oratio polisi per car.ni sette.

Due lenzoli con zagarelle turchine sei tovaglie de seta nigra et unaltra de sita nigra.

Una tovaglia de faccie dentro la quale vi sono una tovaglia de sita carmoscina dui coscini uno de sita carmoscina et altro de sita nigra dui lensoli con zagarelle turchine.

Dui coscini uno con zagarelle turchine et altro de filo arrozato.

Una casubra intocco de cataluffa con trene de oro et argento da circa trenta palmi.

Uno spolveri bianco vecchia uno paro de lensoli usati.

Una coperta yiosica una tovaglia de tavola una salauda usata, uno cavune usato.

Uno Tavuzo con le scritture et instr.ta de ecl.a uno retorto de sita nigra et bianca et lo dono per elemosina la moglie del q.o gir.mo garcea una tovaglia de sita nigra, due tovaglie una de filo bianco et laltra de filo torchino, et unaltra tovaglia de filo arrozato quali robbe se possero in una cascia a mezza tavola con la chiave quale chiave la consigno gio. batt.a pisano olim procuratore a giulio de leone novo procuratore.”

 

Descrizione delle campane della chiesa della SS.ma Annunziata (1784).

Annunciata. “Indi ci semo conferiti nell’abolita chiesa e confraternita sotto il titolo dell’Annunciata, e fatte scendere dal campanile di essa le tre campane, che in esso esistevano, cioè una grande, una mezzana ed una piccola. La grande si è trovata colla seguente iscrizzione “Sub Praesulatu Ill.mi, Rev.mi D. Ioannis Emblavita Epi Bellicastren Anno Dni 1710 + tempore Pr. V.I.D. Lucae Pitari et mag.co Thomae Buccia = v’è l’effiggie che rappresenta l’Annunciata H.G.P. = Gio. Ant. Palmieri F… Il di cui bronzo al peso del trenta tre, si è trovato rotola duecento … La mezzana si è trovata coll’epoca del 1614, e che ha l’effiggie dell’immac.ta, il peso di questa al trenta tre si è trovato di rotola ottanta. La piccola con l’iscrizzione Tempore Prioratus Mag.ci Thomae Mazzei et Procu. Paschalis Totino = S.A.N.L.L. coll’effiggie della vergine e Bambino con quattro Puttini a torno, e coll’epoca 1780, il di cui peso rotola quaranta.”.

 

Descrizione dei quadri della chiesa della SS.ma Annunziata (1784).

“Indi ci semo conferiti nella chiesa dell’Annunciata nella quale si sono ritrovati li seguenti quadri. Nell’altare maggiore vi è dipinto in oglio sulla tavola l’effiggie della SS.ma Annunciata, la quale è della larghezza palmi sei meno un oncia e mezza, e della lunghezza palmi otto, onc. Tre, senza iscrizzione.

Nell’altare della Nascita di Giesù Bambino vi è un quadro rappresentante d.a nascita, dipinto sulla tela in oglio, dell’altezza o sia lunghezza pal. Sette e mezzo e della larghezza pal. cinque onc. tre, senza iscrizzione.

Nell’altare del Carmine vi è il quadro dipinto anche sulla tela in oglio rappresentante l’effiggie della B.ma Vergine sotto lo stesso titolo, ed è della lunghezza o sia altezza pal. Nove meno onc. tre, e della larghezza pal. Cinque oncie tre senza iscrizzione.

Nell’altare della Visitazione vi è il quadro similmente dipinto sulla tela in oglio della lunghezza pal. Otto onc. tre, larghezza pal. Sei meno un oncia e mezza, in pie di questo quadro vi è la seguente iscrizzione Sacilum de Iure Patronatus Familiae de Tacina P.R. D. Jo. Vincentium Tacina Cantorem editam A.D. 1630 Ad praesensio D. Franciscus Antonius Marescalco S. Mauri, qui propris expensis hanc iconem construere fecit A.D. 1746.

Nella cappella o sia altare di S. Anna vi è il quadro della mad.a dipinto altresi sulla tela in oglio lungo pal. Sei, largo pal. Quattro, senza iscrizione.

Nella cappella della Beata Vergine di Trapani vi è il quadro rappresentante l’istessa Madonna dipinto sulla tela in oglio, che misurato si è trovato della lunghezza o sia altezza pal. Sette oncie tre e della larghezza pal. Quattro oncie tre senza iscrizzione”.

 

Descrizione degli altari della chiesa della SS.ma Annunziata (1784).

“Esistono altresi in d.a Chiesa l’altare mag.re col quadro dipinto in tavola, con cornice dorata, rappresentante la SS.ma Annunciata, l’altare pred.o è di stucco, e tiene a lati due statue di marmo bianco, l’una rappresentante l’Angelo Gabriele, e l’altro la SS.ma Annunciata, ha la gradinata di legno, fogliaciata con vernice in oro, uno avanti altare di damasco, sei candelieri di legno inverniciati in oro, con sei frasche cartapesca inverniciata anche in oro e corrispondente carta gloria, lavabo, et in principio, due coscini di damasco cremes usati e due tovaglie di tela anche usate.

L’altare della nascita di Gesù Bambino anche di stucco col quadro in tela dipinta in oglio rappresentante la nascita, adornato di quattro candelieri vecchi di legno, croce e Crocefisso di cartapesca, corrispondente carta gloria, in principio, e lavabo con cornici di legno rustico, due coscini vecchi di damasco in seta color rosasmorta, e tre tovaglie. Nell’architravi di detta cappella sono le seguenti iscrizzioni = Tab. et Locum. equitum Joannes Bapt.a Carpanzano suorum et omnes de Carpanzano estructo = Anno D.ni 1664 = Hunc Familia de Di .………..

L’altare del Carmine anche di stucco col quadro dipinto in oglio, rappresentante la madonna predetta, con quattro candelieri vecchi, e fiori anche vecchi di carta carta gloria, lavabo ed in principio, con cornici di legno, e due tovaglie di tela molto usate e due coscini vecchi di damasco in seta color cremes.

L’altare anche di stucco sotto il titolo della Visitazione, con quadro in tela dipinto in oglio adornato di sei candelieri di legno inverniliati in oro, con simili piedi di fiori, e fiori di talco vecchi, con corrispondente Carta di Gloria, in principio e lavabo, due coscini di lana diverso colore, e tre tovaglie di tela, croce di legno inverniliata in oro e crocefisso di cartapesta = In piedi di detto quadro vi è la seguente inscrizione = Sacelli de jure patronatus Fam. De Tacina P.R.D. Jo. Vinccen. De Tacina Cantorem editum A.D. 1630 = Ad presens vero D. Fran.us Ant.us Marescalco S. Mauri qui propriis expensis hanc Iconem construere fecit A.D. 1746.

La Cappella di S. Anna pure di stucco col quadro tela dipinto in oglio rappresentante l’istessa sta senza veruno ornamento.

La Cappella della Madonna di Trapani con quadro anche dipinto in oglio rappresentante l’istessa imagine, con sola croce, e cinque candelieri di legno invermiliati in oro.

La Cappella di Gesù Cristo resuscitato con statua di legno rappresentante l’istessa figura. L’altare è anche di stucco adornato con due tovaglie di tela, sei candelieri, e corrispondenti Carta di gloria, lavabo in principio di legno, inverniliati in oro, Croce di legno e crocifisso di carta pesta, un velo con ferro dove sta apeso, e vetrata corrispondente alla nicchia.

Un Coretto di legno castagna, due confessionili, l’uno di legname abbeto, e l’altro legname castagna con un pulpito s.a di esso.

Un Orchesto di tavolame abbeto incorniciato.

Un campanello di bronzo sopra detto coretto.

Tre banchi di legno.

Un paravento di porta di tavole abbeto.

Un lampiere di rame gialla.

Nella sacristia di d.a chiesa si sono trovati due stipi grandi uno di legname castagna, e l’altro di abbeto.

Fabriche di detta chiesa consistentino nel vaso di essa con ale ai lati, intempiata di tavole dipinte nel vaso ed in rustico nelli ali.

Il campanile di fabrica con tre campane di bronzo con corrispondenti battagli di ferro”.

 

Note

[i] Russo F., Regesto, 13327.

[ii] “Lo giorno de s.to petro 29 de giugno si fece la cerca deli coculli et si fece cinque t.a de coculli si compra salme de lignia si fa carriare la ligna nel patello e dentro luglio si fece la seta; 11 luglio 1609 comperato quattro rotola di carne de yenca per li mastri dela seta, ricotte, pane et pira, vino, cipulle, citroli et adi 19 fo pisata alla bilatia deli gabellotti per gio. battista greco et gio. thi de ciaccio per libre 14 et onze dece. Die 30 de agusto1609 d.ta seta fo venduta a ragione de carlini 24 la libra (35-3–0)”.

[iii] “Il 16 luglio festa della madonna del carmino 1611 fatto grano per l’aire tumula trent’uno, et sette et mezzo del carmino sono in tutto tt.a 38 ½ vendutone del d.o grano tumula trenta sei à carlini sei lo tumulo docati vinti uno e carni sei.”

[iv] “A 24 de luglio sono venuti tre pelegrini tra li q.ali uno e cascato malato per governarlo si sono spesi li sette danari per pollastri, conserva, agro de citro et altre medicine spesi per Col’Ant.o Scarrillo infermeri carlini cinque e mezo”. “Dato all’infermeri per comperarne qualche cosa ad una inferma forestera sta allo spitale” (5 grana). “9 ottobre 1611 allogato una bestia per uno poverello portarlo in mesoraca”. “Per dui soldati che furo malati allo spitale speso per medicine”. “La sportella di pane bianco di Prudentia Pigneri se dispensò per li procuratori novi et non de cerimonie alli carcerati, monaci et poverelli per l’amor d’Iddio”. “Comprato uno pollastro ad un infermo povero” ecc.

[v] “In maggio il procuratore Gio. Battista Pisano annotava di avere speso 14 grana per comprare “doe cannate di vino che servero per li battenti fecero la processione per l’acqua” e “comperato due cannate de vino per li battenti quando se ando a S.to Lia”. Il 24 aprile 1608 il grano si vendette a carlini 14 il tomolo.

[vi] In quel mese si compra del vino per i mastri e si pagarono quattro “homini” per “accostare la petra all’ecc.a”.

[vii] L’otto ottobre si spesero 29 carlini e si dà anche pane, caso e vino a Lupo Arratta, che per sei giorni “carryo petra con la carroccia” ed inoltre portò anche “una carrata di tiylli”. Sempre nello stesso mese altri homini “carriyaro la petra” ed anche a loro si fornì il “magnare”. Il 16 novembre si paga Vincenzo de Dattolo ed altri dodici manipoli che lavorarono per due giorni. Il Dattolo ed altri manipuli lavorarono anche nei giorni successivi “alla fabrica dello campanaro”.

[viii] Il 24 gennaio 1608 si compra una pezza di caso e del vino “per lo pitture che pingea la madonna del Carmino”. Altre cannate di vino sono fornite in più occasioni al pittore anche nei giorni successivi ed il 13 di febbraio 1608 gli si anticipano ducati tre per il suo lavoro.

[ix] “marzo 1608 ricevuto una meza coza de semente de sirico venduta a grana 25”.

[x] “si sono venduti li celsi della S.ma nunciata di dentro lorto dela fontanella et di avanti la chiesa”.

[xi] Tra le quali le terre di Brocuso in territorio di Mesoraca donate da Collantonio Scarrillo.

 

[xii] “die 18 gennaro 1610 ho fatto cardare le manne fatte delle cerche et assumate tutte foro cinque libre et meza l’ho dato a filare et se ne fara tela. Si comperano sette libbre di bambace, se le fa filare se fa tessere canne undici di tela”.

[xiii] “Tre homini runcaro le terre si seminaro alla nontiata”, “roncare le terre che si pigliano per detta chiesa”, 18 dicembre “homini” che seminano.

[xiv] Pagamento effettuato il 27 maggio 1608 di ducati 14 per 200 tumula di calce “pel campanaro” a Vincenzo Casizzone.

[xv] Il 30 giugno 1608 il procuratore della confraternita Apostolo Furino prende possesso di una metà di due vignali posti a Drialo lasciati per testamento alla confraternita da Andreana Mannarino.

[xvi] Il 24 luglio 1608 arrivano tre pellegrini, uno dei quali cadde malato e “per governarlo si sono spesi per pollastri, conserva, agro de citro, ed altre medicine” e poi “unguento, anreo, et uno pugnatello d’oglio rosato”. 6 dicembre 1618 “Donato per elemosinaa dui poveri forestieri i quali erano carcerati per potersi liberare”.

[xvii] In ottobre 1608 prosegue la compra ed il trasporto di pietre e si comprano 150 “ceramedi” da D’Arquilio Sarleto, mentre molti altri sono portati gratis con le loro bestie dal “ceramedio” da devoti (Vincenzo Casizzone, Minico Cuzzino, Masi Venutu, Geronimo Garcea, Salvatore Cirentia, Artemitia). Si comperano anche altre 45 tumula di calce da Paulo di Sena.

[xviii] Il 6 marzo 1609 “comprato due cannate di vino per li vattenti” ed il 13 marzo “comprato tre cannate di vino per li sudetti vattenti”.

[xix] 15 aprile 1609 “Trasuto il sacramento al sepulcro, comprano legna carne vino e pane per coloro che dormono in guardia del sepolcro guardano il sepolcro e ci dormono il martedì santo, il mercoledì ed il giovedì pagato per lavari gli abiti deli battenti delo giovedì santo”.

[xx] 23 aprile 1609 “pagato a poherio per incomenciare a minare la calce per fravicare conciarsi l’acquaro et recoglersi la rina. Il 26 aprile 1609 si comperano dodici tavole.

[xxi] “… lo signor Gio. Battista d’Urso come particolare devoto di questa casa santa di nostra donna li ha lasciato d’operare continuamente in servitio e beneficio di d.a s.a casa e precise alle figure di marmore mandate da Palermo (ove esso habita) con tanto amore et affettione et diligenza cosa cognita e notoria à tutti havendoci speso d’ottanta docati incirca delli suoi in diverse occorrenze per il che saria bene che si concedessi conforme al suo desiderio una messa la settimana ogni sabato in perpetuo ad honore et gloria di nostra donna à beneficio e giovamente d’esso Gio. Batt.a d’Urso”. 2 luglio 1609 “per recattare le lettere vennero de Palermo con lo disegno del imagine.

[xxii] “La prima volta vennero a dare nova che hanno portato la figura li marinari et mangiorno in casa mia (pane, ova, caso, carne, ricotte e vino).

[xxiii] “Si paga il patrone delo navile e compagni per portare la figura fino a Belcastro”. “Pagato a Matteo Garcea che venne con la bestia insino a mare a portare lo vino et pane per l’homini allistiano come portare l’immagine”. Si paga Vespasiano Gargano “che pagasse quattro travi pigliate nello scaro per fare le carra per portare la figura che le pagasse al cavaleri adorno”. “Perseo Arratta venne allo scaro con la carroza (con li buoi) per portare la figura”. “Poherio de Poherio suona il tamburo con lo battaglione quando arriva la figura”. “Homini che acconciavano l’intrata et agiuttavano a portare la figura e quelli che vennero fino allo scaro”. “Dopo averla portata nella chiesa diedi un barile di vino e un panaro di ricotte salate”.

[xxiv] “Die ultimo de magio 1609 ho consignato all’aurefice in dinari sei docati et uno tari et certo argento rutto et altro argento si consigna … per fare la corona dela madonna. Die 2 giugno 1609 consignato di più all’aurefice per squagliarlo alla corona carlini quindici. Quale tutto argento rutto et denari fo onze 14. Adi 5 de giugno 1609 consignato all’aurefice in tutto del suo salario per la mastria dela corona ducati 2. In alia consignato al ditto aurefice nomine Aniballi Cifolli carlini 17 per comperare in catanzaro uno cicchino de oro per inaurare la corona”.

[xxv] “Die 27 de magio 1609 ho mandato a gio vin.o poherio a sancta severina per lo ingengneri dove se hara de assettare l’imagine per le contradizioni vi sonno per la cavalcatura”.

 

[xxvi] 13 luglio 1609 “ho consignato all’aurefice per fare l’incastre dele petre mancorno alla corona”. 22 luglio 1609 “all’aurefice per la mastria dela corona (1-2-10)”, 13 agosto 1609 “comperato da Gio. Maria Coco uno cicchino de oro per la corona”. “Die 24 agosto 1609 consegnato all’aurefice per fare li cordunetti alla corona due onze et una 4.a de argento”.

[xxvii] “Die 30 agusto 1609 pagato m.o aniballi cifolli per complimento dela mastria dela corona et una cocchiarella d’argento”.

[xxviii] “Grano fatto per la cerca del’aire tumula vinti sette et tumula otto fatto dal seminato delli procuratori passati in tutto sono tumula trenta cinque tt.a 35”.

[xxix] 8 luglio 1609 “comprato quattro rotola de carne de yenca per li mastri della seta (ricotte, pane, pira, vino). 19 luglio 1609 “si fecero le due concate de sita remaste et per fare la spesa alli mastri si compero mezo rotolo de carne de yenca, pane vino cipulle e citroli”. “Seta fatta per la cerca delli cuculli et elemosine libbre sette venduta a carlini vinti due e mezo d.ti 15.3.15”.

[xxx] 7 agosto si comperano “200 ceramedi più altri 50 per elemosina”.

[xxxi] “questa matina comperate ricotte et prancette et ova” ed il giorno dopo “il mastro leonardo coza compera roba per il mastro, un rotolo di carne di vacca”.

[xxxii] “de farlo con quattro colonne conforme lo disegno e la cautela la fece il mastrodatti Salvatore Grandello e si consignaro a gio. antonio et m.o leonardo d.ti 20”.

[xxxiii] “De più ho pagato gio. antonio nicoletta per la cavalcatura per cinque giorni vacati a ragione di tre carlini lo giorno (1-2-10)”.

[xxxiv] Il 3 novembre 1609 il notaio Gio.Thomasi Lo Freri, procuratore della SS.ma Annunziata si reca in Mesoraca e paga due tari “per fare liberare li mastri che tagliavano li cantoni nel territorio di misoraca fatto per elemosina nel Castello de misuraca”. Il 3 novembre 1609 si pagano in Mesoraca i baglivi per far liberare li mastri che fatigavano alla perrera che l’havea querelato in mesoraca speranza durante de incisione quercu e li ferri exequtoli deli baglivi. Il 3 novembre 1609 per recattare la copia dela cauthela fatta con li mastri per fare la cappella all’annunziata sanctissima pagato a salustio mas.o datte (0-0-10)”.

[xxxv] “Santo de Angilo, Gio. Battista Garcea, Colantonio Scarrillo, Jacopo lo Nobile, Antonello Salvato, Matteo Salinaro, Gio. Francesco d’Urso, Masi Carnelevare, Santo Rotella, Perseo Arratta, Aquino Sarlieto, Angilo Venuto, Petro Cosco”. 15 novembre 1609 “pagato a Pietro Ant.o Sarlieto per due giornate andò con le carroze la p.ma con li zappuni per conciare la via et l’altra ando che se portaro le colonne”.

[xxxvi] Il 21 novembre 1609 si paga con 12 ducati il mastro Linardo Coza “in conto di quello che hanno da avere li mastri”. 7 dicembre 1609 si dà un acconto di ducati 5 al mastro Gio. Antonio Nicoletta “als lo riczo”. “Die 20 de decembre1609 ho pagato a m.o Gio. Ant.o Nicoletta deli quali ha fatto la polissa de D.ti 88 (25-0-13 ½). “Li mastri dela cappella dali 18 de ottobre 1609 insino alli 20 de decembre passati li si donorno per mangiare t.a dece de grano a ragione de sei car.ni lo t.o (Duc. 6), “caso de pecora, vino, carne di porco, pane, brocculi, cauli, sparaci”.

[xxxvii] 23 dicembre 1609 “si fece la processione alla madonna delo carmino. Per uno quinterno de carta per fare lo libro deli confrati dela madonna delo carmino quale se incomintio a 26 di decembre 1609. Madonna SS.ma del Carmino cappella della nostra chiesa”.

[xxxviii] “Die 13 di gennaro 1610 ho pagato a gio. leonardo cavarretta corriero mandato per m.o Linardo Coza et petro francesco morello insino a rogliano che venissero li mastri a lavorare li cantoni (1-1-0)”. Dopo una pausa, il 15 gennaio 1610 il mastro Linardo Coza ed i mastri Stefano Arabia e Gio Domenico incominciarono a lavorare i cantoni. I manipoli per una giornata sono pagati a grana 12 e mezzo ciascuno.

[xxxix] 18 gennaio 1610 “ho fatto cardare le manne fatte dele cerche et assumato tutto foro cinque libre et meza l’ho dato a filare et se ne fara tela perl’eccl.a”. 22 gennaio 1610 “comperato quattro libre de bambace per far fare tila dele manne recolte.

[xl] 2 marzo 1610 “Comperato pice greca et colla de nervo serve per incollare li cantoni rotti”. 16 marzo 1610 “venne m.o gio. antonio con sette personi. Die 20 de marzo 1610 ho dato alli mastri per farsi pane tre t.a de grano (1-1-0). Adi 24 marzo 1610 ho consignato a m.o gio. antonio nicoletta in conto dela mastria dela cappella Dti 2 e tari 3”.

[xli] “A 25 luglio 1610 pagato ad Antonella Coco per lo allogliero de un matarazzo et uno spolveri che servettero alli mastri scarpellini che fatigorno alla Nontiata per due mesi. Spese e denari dati alli mastri dal 15 aprile al primo di agosto sono 71-4-13 et più adi 5 di Agosto per tanti contanti pagati à m.o Mutio di Matera d.ti diece tari due et grana sette per ordine di gio. antonio nicoletta”, per un totale di d. 82-2-0.

[xlii] “Il primo agosto si spese per magnare alli mastri Andrea Maggiore e mastro pietro barba lunga per tre giorni che servettero per estimare la cappella dell’annunziata per ordine di Mons.r Ill.mo”.

[xliii] Il 7 settembre 1610 si pagano ducati 51 a mastro Bartolo Gabriele procuratore di mastro Gio. Antonio Nicoletta “in parte della mastria della cappella”.

[xliv] “Adi 21 Xbre 1610 pagato a Petro Paulo Nicoletta procuratore di m.o Gio. Ant.o Nicoletta per complimento dela mastria della cappella della n.ra chiesa docati trenta sei et carlini sei et sono per finale pagamento”.

[xlv] Si dipinge la cupola: “comperato culori per pingere la cupola”, “per una cavalcatura in Catanzaro per tre giornate che si mandò a Vincenzo lo piture per comprar l’oro per l’imagine de la madonna”. “Quatro della ss.ma Annuntiata Pagato lo piture per la sudeta cupola che pingì d.ti 3-2-10 e poi pagato al pittore in parte de suo salario per lo ponere del oro alle figure D.ti 2”. Si comprano “sparaci e finocchi” e vino al “m.o che dava l’oro alla Madonna e Angelo”.

[xlvi] “Per dui homini che portarno la seggetta con Mons.r quando si benedisse”. Il vescovo va a benedire l’immagine benedetta. Un tari.

[xlvii] 30 marzo 1611 “per comprar sparaci, finochi e vino al m.o che dava l’oro alla Madonna et Angelo. 1 aprile 1611 pagato ducati 2 a M.o Vincenzo Mercuri per mastria de haver inaurato la mad.na e l’angelo”. Il 26 aprile si compra oro e argento per Il Dio Padre, Madonna e Angilo”: 100 foglietti d’oro e 25 d’argento.

[xlviii] 10 luglio 1611 “Si è fatta la seta dell’Annuntiata et delo Carmino tutta fo otto libre et meza et quella delo Carmino fo onze 17 se include a d.te. Die 4 de agusto 1611 tutta la seta fu mandata a vendere in Catanzaro et la porto Cap.n Vin.o famareda et fo pisata alla bilanza in Catanzaro libre nove et ontie quattro atteso per lo Camino et caldo manco due onze si vindette a Car.ni ventidui la libra (20-2-13)”.

[xlix] 30 gennaro 1612 “Per fare tessere la tila del Ecl.a per bambace sette libre a 12 grana la libra per fare filare detta Bambace a grana 5 la libra per fare la tessere che foro nove canne a cinque grana la canna per farla curare a due grana la canna quale tela si e fatta delle manne se sono racolte deli procuratori passati et s’è fatta d.ta tela per abiti e per benef.o del hospitale dove sara lo piu bisogno” (in tot. D. 1-3-17).

[l] 11 marzo 1612 si incarica Masi Cavalcante di comprare in Napoli sei candeleri indorati (duc. 10). 22 agosto 1612 “due calici a Napoli e uno paro di candileri”.

[li] 19 novembre 1612 “per fare gettare li astrachi alli spitali et magazeni per tenere lo gra.rio della eclesia si e speso a mastro vincenzo casizzone et tre manipuli per mangiare tutti tre giorni carlini sei et grana otto” (poi “pagato mastro e manipoli”).

[lii] 26 giugno 1612 “per fare conciare le campane per ferro e mastria Iacovo Rotella carlini dece sette”. 24 novembre 1612 “comprato sei tavule de russo per le andate che se havea de fabricare nello campanaro”.16 dicembre 1612 si pagano carlini 16 a mastro Gio. Domenico Coza “per caparro della mastria delli cantoni dello campanaro”. 25 dicembre 1612 si pagano “carlini 6 a mastro fabritio lico per mastria de due scale grande fatte alla chiesa”. 11 febbraio 1613 “appretio laratta 7 viaggi di cantoni per il campanaro”. 20 febbraio 1613 “a mastro gio. domenico Cola carlini sei in parte per la mastria per la fattura deli cantuni”.

[liii] 25 dicembre 1612 “pagato a Salvatore Grandello d.ti 20 e un carlino che se pigliorno della seta in parte per la campana ci ha fatto fare gio. battista urso in palermo”. 20 gennaio 1613 “si è venduto tumula quaranta cinque di grano della eclesia a carlini sei lo tumulo et un tumulo et mezzo ci fu di criscimugnio che in tutto se piglio d.ti correnti vinti sette et carlini nove. Alli 20 de gennaro 1613 pagato a Salvatore Grandello docati cinquanta cinque imparte per la campana ni ha fatto fare suo cog.to in palermo”. Il 10 febbraio altri ducati 11. Il 20 febbraio altri ducati 6 per “la campana”. Ducati 100 “per la campana”.

[liv] 12 marzo 1613 “è venuto Mons.r Ill.mo et Rev.mo Fulvio Tisavieri vescovo in questa Città et si spese per detta chiesa per mettela per fare li archi car.ni dui et uno carlino per culuri per far fare le arme et unaltro carlino per un carrico de pini della muntagnia”.

[lv] La confraternita per fare la campana si è indebitata di circa 50 ducati, però deve esigere denaro da 22 debitori che non hanno pagato i censi e gli affitti.

[lvi] 10 marzo 1613 “vincenzo casizzone per cinque giorni fa cantoni per lo campanaro”. Si continua a portare cantoni. 6.4.1613 “pagato a mastro Gio. Domenico Cozza in parte di carlini cinque ch’era creditore d’essa chiesa per haver fatto li cantoni insieme con mastro Vincenzo Casizone”.

[lvii] Nei lavori sono impegnati il mastro Paulo de Sena ed i manipoli Jacopo lo Nobile, Petro Gio. Carrotto, Ottavio di Marco Aloe, Horatio Arratta, Averpa Verrina, Ferrante Stripizzaro ed altri. A tutti si forniscono “cannate di vino”, “sparaci”, “finocchi” e “caso”.

[lviii] 20 luglio 1614. “… li giorni passati fatigava in detta chiesa Andrea Verrina senza lucro nesciuno ma per vera devotione che tenea in detta chiesa et per voluntà di idio l’è cascato un pezzo di muro di sop.a e fattolo morire di subito … vogliono farlo seppellire a spese della confraternita. Per quanto riguarda il salario giornaliero un mastro riceveva 1 tari ed un manipolo grana 10.

[lix] Spesa per la campana: “Da cesare Galvano rame” (2-3-0); da Gregorio Amoruso “una caldara” (4-0-0); da Marc’Antonio Pisano “uno caldarone” (0-1-0); da Francesco Antonio Galati “uno mortaro” (0-2-10); “Per tre giorni di agiuto al Caputo per fare la fornace dela detta campana” (0-2-15). Tot. Ducati 10-3-10.

[lx] “Pagato a m.ro Gio. Dom.co Cocza per fare la fornace per squagliar il metallo” (0-3-0). “Per azimatura da Francesco Puglise comprato 13 tt.e e meza di rame” (1-2-10). Altro rame da Pietro Francesco Morello e da Livia Blasco. Si compra rame anche a Cosenza (un Cantaro 40 ducati). Quaranta rotoli di “stagno di Fiandra” ducati 22-2-10. Giano Le Chiare aiuto due giorni per far carboni. Gio Curto due salme di legna. Iacopo la rotella “per la fattura di uno battuglio” e altri ferri.

[lxi] “Per la fattura e maestria a m. Iacovo Rotella delli ferri e battaglio per la campana grande”. “Per diece rotola di ferro mancò in detto servitio di campana et ni lo refuse iacovo rotella carlini 15”. “Fatto venire di Cropani r. 29 di ferro”. “Per la fattura a Mastro Iacono rotella delli ferri per battaglio per la campana grande per la mastria 2-2-10”. 16 novembre 1614 “comprato due corde per le campane”. 15 gennaio 1615 “Dato a Gio. Domenico Cozzo per assettare”.

[lxii] “Per tre giorni aiutò a fare la Campana piccola dato a Renso Brutto carlini tre”. 29 settembre 1614 “in Belcastro. M.o Gioani Gullo declara per questa havere receuto da marcello casicotto proc.re della confr. Della nuntiata docati trenta per lo metallo venduto di mastria della campana picola fatta nova”.

[lxiii] 5 aprile 1616 “donato uno tomolo di grano a mastro paolo de sena per due giornate che ha fatto cantoni per lo campanaro” (anche a Lupo Laratta). Si continuano a lavorare i cantoni per il campanaro. A due mastri di Cropani che lavorarono “li cantuni quattro giorni a carlini tre lo giorno per uno”.

[lxiv] “come piu anni sono è stata mossa lite et fatti atti nella vescoval corte di questa citta et nella corte di santa severina come nel processo si vede per l’herdita del q.m cap.n fabritio carpansano lasciata ad essa confraternita et perche le liti son dubi et l’ecclesia et confraternita devono quelli fugire al possibile et con lo bono procurare lo loro per l’odi et dispendi”.

[lxv] “Spese fatte questa settimana alla nuntiata. Marti matino Apretio che caryo pietre con la caroccia, Palumbo che lavoro cantuni, Gioseppe menò la calce, lo figlio dello Palumbo caryo rina con la bestia (ficato, broculi, caso). Mercuri iovi veneri sabato Pretio dui giorni portò pietra et dui giorni cantuni con dui para di boi. Allo Palumbo quattro giorni. A due mastri di Cropani che lavorarono cantuni a carlini tre lo giorno per uno Gioseppe menò la calce. Alli 8 de febraro si pagarono sei manipuli grana cinque per ciascuno perche chioppe et non se potette fatigare. Alli 10 de febraro mastro Vincenzo e mastro Paulo dui giorni fabricaro al campanaro assieme ai manipoli Vartolo Olivo, Girorno de Sena, Masi Tiriolo Vincenzo de Dattolo, Andrea Arratta, Gioseppe Ferraro, Ferrante Uvvarru, Ottavio Viviano Franco lo Preite”.

[lxvi] “Inprontato alla universita docati trenta tre che pagar il primo terso delli pagamenti fiscali che si obligarno di pagare il detto denaro francesco antonio sanmarco e francesco antonio dela bollita del qual denaro inprontato ne fecimo parlamento”.

[lxvii] 20 ottobre 1617 “pagato ad Ottavio Viviano uno carlino per fare annettare lo sterro della intempiatura”. 7 novembre 1617 “pagato a mastro iacovo rotella tredici carlini parte per la mastria di due catene per la campana come per lo ferro”. “Sette passi di corda per la campana”.

[lxviii] “Per la confratia” del mastro Vittorio, del q.m Paolizzi, della madre di Horatio Arretta, di Gio. Gerolimo di lo Freri, di sua figlia Aura, di Lucretia Rumia, di sua figlia Glorianda e di Prudentia delo Gallo, la confraternita non ha ricevuto niente.” Questi sono stati seppelliti per amor de Iddio per esser poverissimi che non hanno lasciato niente”.

[lxix] 12 agosto 1618 “comperato vintuna tavola per conciare la intempiatura della chiesa”. 25 settembre 1618 “comprato ventiquattro tavole per la intempiatura perché non furono di sufficientia quelle altre che comprai ut supra”. 10 ottobre 1618 “comprato 400 chiodi per l’intempiatura”. “Mastro Pandolfo concio l’intempiata”. In dicembre si comperano “ceramedi” per la chiesa.

[lxx] 21 ottobre 1618. Si paga il mastro Pandolfo Russo “per quattro giornate che conciò l’intempiatura et fece lo confessionario et altre cose conciò a carlini quattro il giorno”.

[lxxi] “Nota deli debitori che restano a detta chiesa. Mastro Vincenzo Casizzone docati undeci per residio del censo. Minichella d’Amato carlini vinti uno per il censo dela casa. Francesco Antonio Garcea carlini nove et mezo per il censo dela vigna della forestella. Pietro Ballatore docati tre li quali recupero in Napoli. Madamma Beatrice di Tacina docati tre li quali haveanno improntato li procuratori passati al qm gio gerolimo di lofreri il quale lascio che se diano alla predetta chiesa.Gio. domenico Nicoletta deve carlini dece otto per alogherio dela casa. Iacovo Rotella deve detta chiesia per la confratia di suo figlio et per vinti onze di cera bianca improntati. Fran.co Antonio Sanmarco et fran.co Ant.nio Bollita docati trenta tre quali valsero per l’universita. Marco Cimino censo carlini quindici, et per la gonnella car.ni dece”.

[lxxii] 29 ottobre 1619 “Comprato quaranta chiovi per fare la forma in detto campanaro”. A novembre “fabricato de novo al campanaro”. Continuano ancorai lavori al “campanaro” con pagamento di salari e vitto a mastri e manipoli.

 

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Alcune chiese scomparse di Policastro poste entro le mura

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Petilia Policastro (KR), icona votiva.

Il terremoto che interessò la Calabria centro-settentrionale a cominciare dal 27 marzo del 1638,[i] proseguendo fino alle scosse verificatesi nella notte tra i giorni 8 e 9 del mese di giugno dello stesso anno, distrusse l’abitato di Policastro “dalle fondamenta”,[ii] che risultò il centro più colpito tra quelli vicini, con 353 edifici rimasti abbattuti.[iii] A seguito di tali rovine, diverse chiese già afflitte dalla perdurante crisi economica avviata nella seconda metà del secolo precedente, scomparvero per sempre, mentre le loro rendite furono unite a quelle rimaste.

 

Sant’Angelo della Piazza

La chiesa di Sant’Angelo della Piazza di Policastro, compare nella copia compilata nel 1601, di un elenco riferibile alla metà del Cinquecento, relativo al pagamento della decima dovuta alla Santa Sede da parte dei membri del clero della diocesi di Santa Severina. In quella occasione, risulta che D. Martino Accetta di Policastro, pagò le decime relative alla chiesa di Santa Maria Maggiore ed a quella di “S.to Angelo de plateis”.[iv]

Essa però non risulta in occasione della visita arcivescovile ai luoghi pii di Policastro iniziata l’otto giugno del 1559,[v] né compare nelle annotazioni relative ai pagamenti dovuti all’arcivescovato in questo periodo.[vi] Sembra quindi che nella seconda metà del Cinquecento, il suo edificio che sorgeva nella parte medievale dell’abitato, fosse già in stato di abbandono. Da alcuni documenti successivi, apprendiamo infatti che la chiesa, definita ormai “deruta” nel 1635, confinava con alcune abitazioni poste in convicino della chiesa di San Nicola “de platea”, nelle vicinanze della “plateam publicam detta de l’astrachello” e del luogo detto “la ruga delli vitilli”.

21.09.1616. Mutio Campana vendeva a Joannes Paulo e Laurentio Caruso, padre e figlio, la domus palaziata “Cum Camera”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di San Nicola “de platea”, “iusta Ecc.m santi angeli ditti la ruga delli vitilli vinella mediante iusta plateam publicam detta de l’astrachello”, relativamente cui il detto Mutio asseriva di possedere “airum tantum a parte superiori ditte domus, et Camara”.[vii]

11.02.1635. Elena Scandale, vedova del quondam Fran.co Cepalis, madre e tutrice dei figli di detto quondam Fran.co, vendeva a Renzo Schipano, la domus palaziata con camera “Cioè l’ario di sopra tantum et non altro”, con la quale andava inclusa “la potica di vascio vicino la scala di detta Casa”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di San Nicola “de platea”, confine la “Ecclesiam Santi Angeli deruta”, vinella mediante, la via pubblica ed altri fini. Si pattuiva che detto Renzo potesse fare la porta della detta casa “affacciante alla ruga delli vitilli”.[viii]

Agli inizi del Settecento, l’esistenza passata della chiesa è ancora ricordata dal Mannarino, che la menziona tra le antiche parrocchiali di Policastro, riferendo che si trovava unita all’arcipretale di San Nicola della Piazza.[ix]

Petilia Policastro (KR), la piazza (dalla pagina fb I Ricordi dei Petilini Emigranti).

 

Sant’Angelo de lo Milillo

Oltre a questa chiesa posta nella piazza, dentro l’abitato di Policastro esisteva anche un’altra chiesa dedicata a Sant’Angelo. Quest’ultima detta “de lo milillo”, o “melillo”, sorgeva nelle vicinanze del luogo dove, nel passato, era esistito il castello e deteneva il titolo parrocchiale. Come la precedente, anch’essa compare per la prima volta attorno alla metà del Cinquecento, nel citato elenco relativo al pagamento della decima dovuta alla Santa Sede, quando, per “s(anc)to Angelo”, tale incombenza fu assolta da D. Paulo Alemanno.[x]

Quest’ultimo, assieme a D. Jo: Domenico Petralia, compare in questo periodo, anche relativamente ai pagamenti della quarta beneficiale dovuta annualmente all’arcivescovo di Santa Severina, come risulta documentato nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”, durante il quadriennio 1545-1548,[xi] mentre “don Salvo conte” risulta tra coloro che pagarono a questo titolo nel 1566, relativamente al beneficio di “s(an)cto agnilo dello milillo” di Policastro.[xii]

In questo periodo la chiesa fu visitata dal cantore di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo Giovanni Battista Ursini che, il 9 di giugno 1559, trovandosi impegnato nella visita dei luoghi pii della terra di Policastro, dopo aver visitato la chiesa di “s.ti Nicolai deli Cavaleri”, accedette alla chiesa parrocchiale sotto l’invocazione di “s.ti Angeli de lo mirillo” (sic), dove trovò un altare di fabbrica con sopra un altare portatile che possedeva: tre tovaglie, due “Coperim.tis” di tela, un vestimento sacerdotale di tela completo, un calice con “Coppa et patena” d’argento dorato, due candelabri “auri Calchi”, una “Conam in tela” ed un messale.

Alla destra dell’altare si trovava la “Imago Crucifixi in ligno”. In un’arca posta da questa parte dell’altare vi erano: una “Cortinam” di tela ed un’altra simile, undici tovaglie, una casula di tela, quattro “amictos”, cinque tovaglie piccole tra le quali alcuni “velamina”, un “lintheamem”, un “plumacium”, un messale vecchio, una casula di velluto di diversi colori lacera, due “stolas” e quattro “manipulos”. Per poter sedere, attorno all’altare erano poste alcune travi.

La chiesa aveva un campanile, nel quale si trovava un “Campanellus magnus” e si presentava tutta “intenplata” di tavole. Possedeva un “Thuribulum” di ottone che il vicario ordinò di rifare.

Era “Capp.nus” della chiesa D. Paolo Clasidonti. Dato che all’interno della chiesa penetrava la pioggia, il vicario ingiunse al cappellano di rifare il tetto con “tegulis”, ordinandogli di presentare la “plateam” della chiesa entro l’indomani.[xiii]

La chiesa di Sant’Angelo de lo Milillo continuò a rimanere un beneficio curato fino a verso la fine del Cinquecento, quando le parrocchiali della “terra Regia” di Policastro furono ridotte a quattro, come riferisce la relazione del 1589, prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani (1587-1623) per la Santa Sede,[xiv] e la sua parrocchia, assieme a quella di “Santo nicola delli Cavaleri”, fu unita alla vicina Santa Maria Magna.[xv]

Anche se ormai “diruta”, la chiesa continuò comunque a caratterizzare il luogo fino a verso la metà del Seicento, quando, a seguito del terremoto del 1638 il suo edificio venne meno, come riferiscono i documenti di questo periodo che menzionano l’esistenza del suo “convicino”.[xvi]

Tale vicinato, prossimo a quello di Santa Maria degli Angeli,[xvii] si estendeva alla “timpam seu rupam de fico”,[xviii] e limitava con la “ripam della difisa”.[xix] Da questa parte, “verso tramontana”, la casa di D. Gio: And.a Alemanno detta “del cortiglio”, affacciava dalla parte della chiesa,[xx] che confinava con la “domus terraneam” di Fran.co Cavarretta,[xxi] richiamata successivamente in parrocchia di Santa Maria Magna.[xxii]

In questo periodo risulta documentato ancora il pagamento della quarta beneficiale da parte del cappellano di “Sant’Angelo dello Milillo”, come figura dall’“Introito di danari essatti dal Rev.do D. Marco Clarà delle rendite della Mensa Arciv.le” (1630), e come ricorre ancora successivamente, relativamente alle annualità dei pagamenti degli anni 1654 e 1655.[xxiii]

 

San Nicola “deli Cavaleri”

Attraverso alcuni documenti medievali che testimoniano la presenza degli Ospitalieri nella Valle del Tacina,[xxiv] apprendiamo che, in quest’area, l’ordine militare possedeva le terre di “Sancti Nicolai qui dicitur de Hospitali”.[xxv]

L’antica esistenza nelle vicinanze del castello di Policastro, di possedimenti riferibili a quest’ordine, è testimoniata da alcuni documenti degli inizi del Seicento, che menzionano le terre dette “santo martino seu santa lucia fora la porta del Castello”,[xxvi] mentre il Mannarino, agli inizi del Settecento, individua qui l’esistenza di una chiesa appartenente all’ordine “de’ Cavalieri di San Nicolò” durante il periodo medievale, senza però il supporto di documenti autentici.[xxvii]

Più verosimili, invece, appaiono le testimonianze di questo autore, relativamente all’esistenza di questa chiesa nel periodo compreso tra la seconda metà del Quattrocento e gl’inizi del secolo successivo. Come quando ci riferisce dell’esistenza di “un’Inventario” fatto dal vicario generale dell’arcivescovo di Santa Severina, al tempo di re Alfonso I d’Aragona “il Magnanimo” (1442-1458), in cui la menzione di “Vasi Sacri” e di una giurisdizione regia, appaiono compatibili con le funzioni parrocchiali della chiesa e con il fatto che, con ogni probabilità, essa ricadeva ancora nell’ambito del castello, al tempo in cui Policastro era pervenuta in regio demanio a seguito della rivolta di Antonio Centelles.[xxviii]

Anche la testimonianza del Mannarino relativa all’esistenza nell’archivio dei frati osservanti della Santa Spina, di un atto del 1508 fatto dal suo “Rettore D. Consalvo Conte”, sembra attendibile, considerato che, “don Salvo conte” risulta tra coloro che pagarono la quarta beneficiale all’arcivescovo di Santa Severina nel 1566, relativamente al beneficio di “s(an)cto agnilo dello milillo”.[xxix]

Agli inizi del Cinquecento, comunque, la chiesa parrocchiale di “S. Nicolai de li Cavalieri” comincia a comparire nel documenti vaticani, quando il relativo beneficio curato fu provvisto ad un rettore, mentre le sue rendite, analogamente a quelle di altri benefici di Policastro, risultavano gravate da pensioni di cui godevano alcune dignità della cattedrale di Santa Severina.[xxx]

Alla metà del secolo, troviamo “s(anc)to Nicola de Milicanò al(ia)s Delli Cavatheri” (sic) in un elenco relativo al pagamento della decima dovuta alla Santa Sede, da parte dei membri del clero della diocesi di Santa Severina[xxxi] mentre, a quel tempo, il parroco di “s.to nicola de li cavaleri” D. Paolo Yacometta pagava annualmente all’arcivescovo di Santa Severina, 1 ducato ed 1 tari a titolo di quarta beneficiale, come appare documentato nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”, durante il quadriennio 1545-1548 e nel 1566.[xxxii]

Risale a questo periodo una descrizione della chiesa, che pone in risalto le condizioni di trascuratezza in cui versavano il suo edificio e le cose vecchie e vecchissime che vi erano riposte, tra cui troviamo elencata anche una veste bianca con la croce rossa.

Il 9 di giugno del 1559, il cantore della chiesa di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo Giovanni Battista Ursini, trovandosi impegnato nella visita dei luoghi pii della terra di Policastro, dopo aver visitato la chiesa diruta di Santa Maria la Nova, accedette alla chiesa parrocchiale sotto l’invocazione di “s.ti Nicolai deli Cavaleri” di cui era parroco D. Io: Paolo Iacometta, e dove si trovava anche il chierico Bestiano Blasco, cui fu ingiunto di presentare entro otto giorni, le bolle e le concessioni che comprovassero i loro diritti.

All’interno della chiesa fu rinvenuto un altare di fabbrica con una “Cona in tela” davanti ed una “pacem” vetusta. L’altare possedeva: tre tovaglie, un coperimento d’altare “Cum imagine s.ti Nic.ai”, un altare portatile, un messale vecchio e due candelabri vecchissimi di legno. Alla sinistra dell’altare vi era un “Crucifixus” di legno.

All’interno di un’arca furono rinvenuti: un calice con patena di peltro che il vicario ruppe, ordinando che fosse rifatto, due “plumacios”, sei tovaglie, un “lintheamen”, altre sei tovaglie, una tovaglia grande lacera per il crocefisso, una “Casulam telae albae Cum Cruce rubea” e due “linthetamina” vecchissimi. In un’altra arca si trovarono: un “lintheamen” vecchissimo, un vestimento sacerdotale di tela completo, un altro vestimento di tela completo, un messale vecchio in pergamena ed un coperimento d’altare rosso e di altri colori vetusto. L’altare era coperto con un “lintheamen” e, nelle sue vicinanze vi erano anche un campanello ed alcune “trabes Circum Circa”.

Il parroco fu ammonito da parte del vicario, e sotto la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, nonché dell’interdizione della chiesa, gli fu ordinato che, nei giorni a venire, presentasse le entrate della chiesa e provvedesse a far rifare la copertura dell’edificio, anche se il parroco replicava che per tale lavoro, aveva a disposizione solo “Certi parròcchianii”.[xxxiii]

La chiesa di San Nicola dei Cavalieri continuò a mantenere il suo titolo parrocchiale fino a verso la fine del Cinquecento, quando le parrocchiali della “terra Regia” di Policastro furono ridotte a quattro, come riferisce l’arcivescovo Alfonso Pisani (1587-1623) nel 1589,[xxxiv] e la chiesa, assieme a quella di “santo Angilo dello melillo”, fu unita a quella vicina di Santa Maria Magna.[xxxv]

Agli inizi del Seicento, la chiesa ormai diruta di “Santo Nicola delli Cavaleri”, confinava con un casalino che, assieme ad un “Casalino grande” esistente “accanto”, fu ceduto da Martino Vecchio a D. Joannes Jacobo de Aquila. Beni che il detto Martino aveva comprato da Fran.co Venturo de Oratio, e che si trovavano vicini alla porta della terra detta “del Castello” ed alla chiesa di Santa Maria degli Angeli.[xxxvi] Sui casalini esistenti in questo luogo, che continuerà ad essere individuato come il convicino della chiesa di San Nicola delli Cavaleri,[xxxvii] ovvero della chiesa diruta di San Nicola delli Cavaleri[xxxviii] fino ai tempi del terremoto del 1638, D. Joannes Jacobo de Aquila edificò in seguito il suo palazzo e, “contiqua” ad esso, la chiesa con l’ospedale sotto il titolo di San Giacomo Maggiore,[xxxix] eretta “pp.o nel loco dove si dice il Castello”, confine “lo suo Palazzo”.[xl]

Secondo il Mannarino, agli inizi del Settecento, esisteva ancora una “memoria” locale che ricordava i resti della chiesa “à canto al suo famoso Castello”, dove in passato “vedeansi alcune dirupate Reliquie d’un antichissimo Tempio detto di San Nicolò de’ Cavalieri”.[xli]

Petilia Policastro (KR), il luogo detto “il Castello”.

Santa Maria degli Angeli

Attraverso la visita arcivescovile alle chiese di Policastro del 1559, sappiamo che, nelle vicinanze di San Nicola delli Cavaleri, esisteva la chiesa di Santa Maria degli Angeli, la quale, a differenza della parrocchiale, era retta da un semplice beneficio di patronato della famiglia Venturo.

In questa occasione si riferisce infatti, che la chiesa sotto l’invocazione di “s.tae mariae de li ang(e)li” era “de sorore polisena de venturo”, mentre ne era cappellano D. Minico Venturo. Al suo interno si trovava un altare di fabbrica con tre tovaglie e con un “Coperim.to” di tela, due candelabri di ottone, una “Conam” di tela ed un campanello.

Sotto la la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, il vicario arcivescovile, ordinò che, entro il termine di due mesi, fosse rifatto il tetto della chiesa che lasciava passare la pioggia mentre, entro l’indomani, la detta “soror polisena” avrebbe dovuto esibire i documenti comprovanti i suoi titoli.

L’esistenza della chiesa di “santa Maria dell’angeli”, posta nelle vicinanze della “porta del Castello”, e della chiesa di “Santo Nicola delli Cavaleri”,[xlii] risulta ancora documentata durante la prima metà del Seicento, quando una porzione dell’abitato di Policastro risulta identificata “in Convicino s.tae Mariae angelorum”,[xliii] nelle vicinanze di quella pertinente alla chiesa di “santae mariae olivarum”.[xliv]

Successivamente, dopo il sisma del 1638, non abbiamo altre notizie, ma sappiamo dell’esistenza di un procuratore testamentario della “Ecclesia Sanctae Maria Angelorum” lasciato dall’olim Rev.s D. Horatio Piccolo (1645),[xlv] mentre un atto del 20.04.1654, menziona le terre della chiesa di S.ta Maria “dell’Angeli” poste in loco detto “l’insarco”, che erano appartenute al già D. Oratio Piccolo.[xlvi]

 

Santa Maria dell’Olivella

La chiesa compare già alla metà del Cinquecento, quando fu visitata dal vicario arcivescovile di Santa Severina[xlvii]. Quest’ultimo, dopo aver visitato la parrocchiale di Santa Maria Magna e dopo aver consumato il pranzo, proseguì la sua visita presso la “ecc.am” sotto l’invocazione di “S.tae Mariae de L’olivella” della quale era cappellano D. Nic.o Madeo. La chiesa aveva un altare di fabbrica con sopra un altare portatile, dove si trovava una “Cona in tela” raffigurante la “imago glo(rio)s.ae Virginis Mariae, et s.ti Io: bact.ae, et s.ti leonardi”.

L’altare possedeva: tre tovaglie, un vestimento di tela completo, un “Coperim.tum” “pictus”, una pianeta di raso violaceo figurata “Cum friso aurato”, un’altra pianeta di damasco bianca figurata con croce rossa, un calice di peltro con patena, due candelabri fittili e uno di ferro ed un messale.

In un’arca furono rinvenute le seguenti cose: un antealtare figurato vetusto, un altro simile, due “plumacios” di tela, un “Cammisum” di tela, una stola di seta nera, un’altra di tela, un’altra di raso di vari colori, una casula di tela bianca, diversi “amicti” riposti in un “Cuscino”, un “Cammisum” di tela, un’altra casula di tela, un’altra casula di tela, un altro “Cammisum” di tela, quindici tovaglie e quattro “amictos”.

Nel campanile vi erano due campane ed un campanello. In mezzo alla chiesa vi era la “imago salvatoris n(ost)ri in Cruce pendentis de relevo” con un “panno” nero davanti. Vi erano, ancora, due torcie votive di cera e sopra l’altare un cuscino di seta lacero.

Oltre l’altare maggiore, furono rinvenuti altri due altari: uno sotto l’invocazione di “s.ti ioanne” con una “Cona in tela” e, l’altro, sotto l’invocazione del “rosarii Cum rosario in tela de super”.

Il vicario ordinò al cappellano di conferire presso la sua residenza dalla quale, sotto pena della scomunica e del pagamento di 25 once, non si sarebbe dovuto allontanare senza espressa licenza e prima di aver fornito spiegazioni sulle cause del perché i detti altari si presentavano diruti e devastati.

La chiesa di Santa Maria “dell’olivella” o “l’olivella” risulta ancora menzionata negli atti dei notari di Policastro durante la prima metà del Seicento[xlviii], periodo durante il quale figura anche in maniera altrettanto ricorrente, come Santa Maria “olivarum”[xlix].

A quel tempo essa ricevette il lascito di alcune terre da parte di Joannes Dom.co Caccurio,[l] la cui abitazione si trovava nelle immediate vicinanze della chiesa, il “convicino” della quale limitava con quello della parrocchiale di San Nicola dei Greci,[li] e comprendeva “le timpe dello ringo”, mentre il suo edificio confinava, “intrada convicinale mediante”, con una continenza di case palaziate di Gio: Vittorio Caccurio, in cui abitava il regio capitano di Policastro, di cui alcune camere affacciavano “nell’istrada publica”, mentre altre “allo ringo”.[lii] Dirimpetto alla porta di “S. Maria dell’olivella”, separato dalla via pubblica, si trovava il “cortiglio” delle case palaziate di Berardina Rizza e di suo fratello Francesco, confinanti con il muro delle case del quondam Sebastiano Cerantonio ed And.a Rizza di Gio: Domenico.[liii]

In seguito la chiesa andò in abbandono, probabilmente a causa dei danni subiti in occasione del terremoto del 1638.

Il 13 ottobre 1660, in occasione della sua visita a Policastro, l’arcivescovo di Santa Severina visitò la “Ecc.m S. Mariae nuncupatam dell’olive”, che trovò spogliata di ogni ornamento necessario, con le pareti rovinate dal fumo fino al tetto, ridotta in abitazione e profanata dai delinquenti che vi avevano trovato rifugio, convertendola in “habitat.nem, et Coquinam”, dove erano tenute “Sellas, Cados per usu Aquae, Mortaciola per tendendis filiis Myrtorum, quoddam Vas ad conficiendum panem vulgo Maiilla” assieme ad altre cose indecenti.

Considerato tale stato ed il fatto che nella chiesa non si celebrava più da oltre un decennio, l’arcivescovo, supponendo che su di essa gravasse l’interdetto perpetuo e considerato che era stata profanata sia da uomini che da donne, decretò che il luogo non avrebbe più potuto godere dell’immunità ecclesiastica fino a quando non fosse stato ripristinato, provvedendolo di tutte le cose necessarie, rinnovando il tetto, imbiancando i muri e murando l’“ostium” esistente nella parte destra dell’edificio.

Egli dispose, inoltre, che riguardo all’onere di una ebdommada, le messe fossero celebrate nella chiesa parrocchiale di S.ta Maria Magna entro i cui confini era compresa la chiesa profanata.

A questo punto comparve davanti all’arcivescovo il notaro Fran.co Cerantonio che abitava vicino alla detta chiesa, offrendosi di ripararla raccogliendo le elemosine dei fedeli pii benefattori. Il notaro ricevette così dall’arcivescovo la “Licentiam quaestuandi, et reparandi” relativa alla detta chiesa, con l’obbligo di rendere annualmente conto delle offerte raccolte, nelle mani del vicario foraneo di Policastro.

L’arcivescovo dispose inoltre, che la “Icona antiqua et denigrata” posta nella parete, il pallio vetusto di colore violaceo e i due candelabri di legno vetusti, fossero tutti insieme conservati nella chiesa parrocchiale di S.ta Maria Magna.[liv]

Attraverso la testimonianza del Mannarino, sappiamo invece che, successivamente, le condizioni della chiesa non migliorarono, ed agli inizi del Settecento questa si trovava ridotta a stalla del palazzo posseduto da Lorenzo Pipino: “Alla parte poi più suprema, e Boreale principia la Chiesa Parocchiale di Santa Maria la Magna contradistinta da quella di Santa Maria piccola, di cui non si sa preciso il luogo, ma ben la credo aggregata a questa medesima, insieme con l’altra sua convicina di Santa Maria dell’oliva, dove io mi ricordo la messa ed ora Proh dolor! domus Dei stabulum est”.[lv]

Petilia Policastro (KR), icona votiva nel luogo in cui sorgeva la chiesa di Santa Maria dell’Olivella.

Note

[i] “… nell’anno trent’otto del caduto centinaio che successe la sua rovina per quel terribil Terrimoto di tutta la Calabria, accaduto à 27 Marzo nella Domenica delle palme à 21 ora.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[ii] “… la notte seguente, verso le cinque in sei ore, da più orribile terremoto furono abbatute alcune Città, Terre e Castelli (…) Policastro città fu abbattuta dalle fondamenta”. Boca G., Luoghi sismici di Calabria, 1981, p. 220.

[iii] “… che Policastro per essere d’alto sito, ed arenoso, fosse il più danneggiato nella Comarca in trecento cinquanta tre tra Templi, Palaggi, e Case atterrati, secondo il Conto di Luzio Orsi.” Mannarino F. A., cit.

[iv] “R.to da D. Mar.no Alljtto (sic, ma Accetta) da Pulicastro per s(an)ta Maria maggiore, et s(an)to Angelo de plateis per x.ma d. 1.4…”. AASS, 2A.

[v] AASS, 16B.

[vi] AASS, 3A.

[vii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 132-133.

[viii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 020-020v.

[ix] “Quattro son oggi le Chiese Parocchiali. La prima è l’Arcipretale di San Nicolò Maggiore delli Latini fra la Tramontana, e Levante, alla quale stanno unite le Parocchie contermini antiche di Sant’Angelo alla Piazza, e di Santa Maria delli Francesi;” (Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723).

[x] ““R.to da d: Paulo alemano per s(anc)to Angelo per x.a d. 0.2…” AASS, 2A.

[xi] “Denari de le carte” (1545): “De donno Jo: dom.co petralia per Santo ang(e)lo melillo d. 1.0.0”. “Conto de dinari de le quarte exacti in lo predicto anno 1546”: “Da donno Joandominico petralia per s.to angilo de lo milillo d. 1.0.0”. “Conto de quarte exacte per lo R.do quondam Don jacobo rippa como appare per suo manuale q.ale sta in potire de notari mactia cirigiorgi et sonno de lo anno 1547”: “Da donno paulo de ad mino (sic) de policastro per s.to Angilo de milillo d. 1.0.0”. “Dinari q.ali se haverano de exigere de le quarte de lo anno vi ind(iction)is 1548”: “Da donno Joandominico petralia per la quarta de s.to Angilo de lo milillo d. 1.0.0”. AASS, 3A.

[xii] “Denari delle quarte de tutti li benefitii della diocesa de s(a)ncta s(everi)na” (1566): “Da don Salvo conte per la quarta de s(an)cto agnilo dello milillo d. 1.0.0.” AASS, 3A.

[xiii] AASS, 16B.

[xiv] “Policastro è terra Regia, qual’essendo stata venduta dal Conte di S. Severina fù fatta di demanio con l’opra, e patrocinio del Cardinale di S. Severina, è habitata da tre milia anime incirca vi sono quattro chiese parocchiali, e nella matrice è l’Arciprete, e Cantore con venti altri preti, quali per il più vivono delloro patrimonio, et elemosine che ricevono dal servitio delle chiese, e confraternità, …”. ASV, Rel. Lim. 1589. “Policastro è terra Regia habitata da tre milia anime incirca. Vi sono quattro chiese Parocchiali, e nella Maggiore è l’Arciprete il Cantore e vinti altri Preti, quali p(er) il più vivono di loro patrimonio, et elemosine che ricevono dal serv.o delle chiese, e Confratie …”. AASS, 19B.

[xv] Il 12.11.1623, dietro l’istanza di Livio Zurlo, agente per parte di Mario Sarsale sindaco della città di Catanzaro, il notaro con il giudice ed i testi sottosctitti, si portava nella domus del presbitero Salvatore de Richetta, parroco e rettore della chiesa parrocchiale di Santa Maria “Magnae”. Qui, tra i “libros, et scripturas” spettanti alla detta parrocchia, fu rinvenuto il libro scritto dal quondam donno Minico Palatio, parroco predecessore “premortuum”, intitolato “libro delli matrimoni solemnizati per me d. dominico palazzo paroco et Curato delle venerabile chiese unite Santa maria la grande Santo nicola delli Cavaleri, et santo Angilo dello melillo della terra di poliCastro della Diocesi di Santa Severina fatto per ord.ne dell’Ill.mo, et R.mo Alfonso pisano arcivescovo di Santa Severina in visita Conminciato à di dece di ottobre 1592”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 117-118.

[xvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78 prot. 286, ff. 45-45v, 85v-87, 96v-97v, 217v-218; 222v-223, 228-228v, 228v-229v, 242v-242v; Busta 78 prot. 287, ff. 004v-005v, 040-040v, 060-060v, 067v-069v, 142-143; Busta 78 prot. 288 ff. 001-001v, 055-057; Busta 78 prot. 289, ff. 008-009, 037v-038, 039-039v; Busta 78 prot. 290, ff. 086v-087; Busta 78 prot. 291, ff. 014v-015, 130-130v; Busta 78 prot. 292, ff. 024-025; Busta 79 prot. 293, ff. 019-020; Busta 79 prot. 294, ff. 045v-046v, 066v-067v, 081-082v, 095-095v; Busta 79 prot. 295, ff. 031-032, ff. 100v-101v; Busta 79 prot. 296, ff. 111v-112v, 146v-147v, 151-151v; Busta 79 prot. 297, ff. 010-011, 019-020, 065-065v, 078-078v, 113-113v, 168v-169, 169-169v, 169v-170, 182-182v; Busta 79 prot. 298, ff. 029v-034v, 053-053v; Busta 79 prot. 299, ff. 007v-008, 039-040v; Busta 79 prot. 300, ff. 054-055v; Busta 80 prot. 301, ff. 032v-033v, 132v-133v, 134-135; Busta 80 prot. 302, ff. 109v-111; Busta 80 prot. 303, ff. 003v-004v; 122-123, 127v-128, 132v-133v; Busta 80 prot. 304, ff. 008-009. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 027-028; Busta 182 prot. 803, ff. 021-023.

In alcuni casi, forse per l’assonanza, troviamo menzionato un convicino di Sant’Angelo de Frigillo, in luogo di quello di Sant’Angelo di Milillo. 28.11.1634. “nel convicino di Santo Angilo Frigillo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 160v-162). 30.09.1635. Nel convicino della “venerabilis Ecc.e Santi Angeli fringilli” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 103-104).

[xvii] 12.09.1627. I fratelli D. Horatio, Berardino e Micaele Piccolo, o Picciolo, essendo debitori nei confronti della loro sorella Portia Piccola per residuo di dote, in relazione al suo matrimonio con Cola Faraco, gli assegnavano una casa palaziata con “Camara” e casalino contiguo, in cui vi erano 2 pedi di “Celsi”, posta nel convicino di S.to Angelo “lo melillo dico la chiesa di s.ta Maria delli angeli”, confine la casa di Andria de Mauro dalla parte di sotto, e dalla parte di sopra, confinante con “la casa nova” di detti di Piccolo “ditta dello Cortiglio”, e con la “Casa arsa”. Rimaneva pattuito che si assegnava solo la metà del detto casalino dove si trovavano “li Celsi”, confine la casa di Mase Zidattolo e di detto And.a de Mauro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 146v-147v).

[xviii] 17.04.1608. Isabella Mancaruso, vedova del quondam Natale de Martino, per la somma di ducati cinquanta, da pagarsi annualmente in aprile, attraverso un censo annuale di ducati quattro e mezzo, vendeva alcuni beni ad Auria Morana, baronessa di Cotronei e Carfizzi, procuratrice di D. Diana Sersalis, come da procura stipulata in Cosenza il 23.03.1608, tra cui la “Continentiam domorum palatiatam” posta nella terra di Policastro in convicino di “santi Angeli lo melillo”, confine l’orto del quondam Salvatore de Mauro, “et timpam seu rupam de fico”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 067v-069v).

[xix] 09.12.1614. Joannes Petro Ligname che, negli anni passati, aveva acquistato da Fran.co Russo con il patto di retrovendita, la “Continentiam domorum terraneas” posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “santi Angeli lo melillo”, confine la domus di Stefano Capozza “a parte inferiore”, la “ripam ditta della difisa”, la via pubblica e la domus di detto Joannes Petro, la retrovende al detto Fran.co (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 289, ff. 037v-038).

[xx] 11.11.1629. Julia Sarfi, vedova del quondam Joannes Petro Jerardo, vendeva ad Orlando Corticosa, la casa terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santi angeli”, confine la domus di Joannetto Tuscani, il “Cortilium” del presbitero Joannes Andrea Alemanno, Fran.co Antonio Romani, la via convicinale ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 065-065v).

18.01.1630. Su richiesta di Fabritio Alemanni, figlio del quondam Joannes Thoma Alemanni, per la stipula del suo testamento, il notaro si portava nella domus palaziata consistente in più membri, del presbitero D. Joannes And.a Alemanno “eius avuncoli”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Angelo “lo melillo”, confine la domus di Orlando Corticosa, la domus di Jacobo Faraco e la via pubblica da due lati (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 078-078v).

24.03.1631. I coniugi Vittorio Tuscano ed Isabella Virardo, autorizzati con decreto della Regia Curia di Policastro da parte del “Mag.m Capitaneum”, vendevano al presbitero D. Joannes And.a Alemanno, il casaleno posto dentro la terra di Policastro nel convicno di S.to Angelo “lo melillo”, “intus Cortilium” del detto presbitero, confine la domus di Orlando Corticosa, un’altra domus di detti coniugi e la domus di detto de Alemanno. Si pattuiva che i detti coniugi avrebbero dovuto chiudere la porta della loro casa che dava sul detto casaleno, così che detto D. Andrea avrebbe potuto “arribare” la nuova fabbrica fino alla casa di detto Orlando, alzandola a suo piacimento (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 029v-034v).

23.09.1636. Le sorelle Isabella e Berardina Faraco, figlie del quondam Lutio Faraco e di Faustina Curia, avevano venduto a Martino Vecchio, un ortale arborato con 2 “pedis sicomorum” e 3 “pedis ficis” che possedevano in comune ed indiviso, posto “intus predittam Civitatem”, “in Convicinio Ecc.e diruta Santi Angeli lo melillo”, confine il “trappitum” del presbitero Joannes Andrea Alemanno, la “ripam della difisa”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 127v-128).

18.01.1637. D. Gio: And.a Alemanno possedeva una casa definita come “la casa del cortiglio affacciante verso la chiesa di santo Angelo lo melillo verso tramontana” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 120-122v).

[xxi] 13.01.1607. Nicola de Villirillo e sua figlia Nuntia Legname, vendevano a Stefano Capozza, la “domum terraneam” posta dentro la terra di Policastro “in convicino s.ti Angeli lo melillo”, confine la domus di detto Stefano da due lati, la via pubblica ed altri fini. Contestualmente Fran.co Cavarretta dava a censo ai detti Nicola e Nuntia, la “domus terraneam” posta dentro la terra di Policastro “iusta Ecclesie santi Angeli lo melillo”, confine un’altra domus del detto Francesco, via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Gudacciaro, Busta 78 prot. 287, ff. 004v-005v).

[xxii] 12.05.1638. Alla dote Franceschina Cavarretta, figlia di Fran.co Cavarr.ta, apparteneva una casa palaziata posta nella terra di Policastro nella “parocchia” di S.ta Maria “la grande”, confine la casa di detto suo padre, la casa degli eredi del quondam Nardo Conmeriati, la via convicinale ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 047-048).

[xxiii] 1630: “Il Capellano di Sant’Angelo dello Milillo d. 1.0.0”; 1654: “Capell.o di S. Ang.o lo Milillo d. 1.” (al margine: “sol.t”); 1655: “Cap.o di S. Ang.o lo milillo d. 1.” (al margine: “sol.t”). AASS, 35A.

[xxiv] Rende P., Gli Ospitalieri, i Templari ed i casali di S. Martino e di S. Giovanni in territorio di Genicocastro, poi Belcastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[xxv] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, pp. 269-272.

[xxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 032v-035; Busta 79 prot. 295, ff. 007-007v.

[xxvii] Rende P., L’abbazia di Santa Domenica in territorio di Policastro, e Rende P., Il monastero dei Francescani Osservanti di Santa Maria della Spina di Policastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[xxviii] “E giacche mi ritrovo descrivendo il stato dell’antica, e moderna nobiltà di Policastro, stimo bene dare qui una brieve contezza d’un ordine di Cavalieri detti di San Nicolò che sino all’anno mille cinquecento cinquanta ancor trovavasi in essere.

Relazione dell’ordine de’ Cavalieri di San Nicolò

In questa Città, come una delle più illustri sin dà secoli trassandati, benchè scemata non poco dal suo vetusto splendore, pure vi si ritrovano à canto al suo famoso Castello, dal quale forze à preso quel suo nome più moderno di Policastro, o Paleocastro, vedeansi alcune dirupate Reliquie d’un antichissimo Tempio detto di San Nicolò de’ Cavalieri; perch’era un Colleggio, o pur ordine nobilissimo di Cavalieri Greci (…). (…) col tempo consacrarono il lor Tempio à San Nicolò e sotto l’orbita del suo Divin Patrocinio viveano Collegiali. Io non m’oppongo à questa erudizione rapportata dal P. Fiore in ordine all’Istituzione dell’ordine equestre fondato dà Romani, perché lui non la ricorda per tradizione, ma là ricavata dà molti antichi, e celebri scrittori. (…) Ma se mancano le statue in Policastro, vi è come dissi la bella memoria del Tempio de’ Cavalieri, di cui a tempo di Alfonzo primo ritrovasi un’Inventario di Vasi Sacri, che poteano ascendere à valitute Considerabile, mentre fù fatto dal General Vicario di Santa Severina d’ordine del medesimo Re, che perciò mostrava di avervi qualche sovranità e giurdizione, rimastagli forze dopo la caduta, di quel piccol ordine militare e del suo Maestro si fa menzione in due vecchi Istrumenti originali che serbansi nell’archivio de’ PP. Osservanti di d.a Città. L’uno dell’anno mille quatrocento trentatre nel nuovo ingresso, ed’atto Ressessorio dato à gl’istessi Padri di quel Caro Monastero, dal Metropolitano del luogo e l’altro assai prima; cioè dell’anno mille trecento cinquanta tre, in quel contratto che fa l’Abbadessa di Santa Domenica di Policastro; ove egli si sottoscrive così Ego Agatius Magister Equitum Sancti Nicolai con avanti il segno, e la forma della sua Croce (…). Tra gli altri monumenti più freschi d’essa Chiesa di San Nicolò degli Cavalieri, si à nel citato Archivio una Polizza dell’anno mille cinquecento, ed’otto, che fa il suo Rettore D. Consalvo Conte. (…) Ne pur mi è nascosto, che in una assai fumosa Imagine di un tal Padrizio, ò Cavaliere de’ Girifalchi detti oggi Tronca che à me sembra dopo il mille, e quatrocento, si ritrovi così dichiarato il suo Nome: Thomas Girifalcus Tronca de’ Civitate Policastri una ex duodecim Sancti Nicolai Equitum Familia (…). Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xxix] “Da don Salvo conte per la quarta de s(an)cto agnilo dello milillo d. 1.0.0.” AASS, 3A.

[xxx] 11 febbraio 1525. “Io. Collicia providetur de parochiali ecclesia S. Nicolai de li Cavalieri, loci de Policastro, S. Severinae dioc., vac. per ob. Fausti Campana, rectoris, ex R.C. def..” (Russo F., Regesto III, 16497). 25 novembre 1538. “D. Nicolaus Auriglanus (sic, ma Corigliano), de terra Policastri S. Severinae dioc., modernus rector parochialis ecclesiae S. Nicolai de Cavaleriis, terrae Policastri, dictae dioc., per d. Lancellotum Zancha, clericum de Brisighella, procuratorem suum, consensit assignationi annue pensionis scut. 5 in favorem D. Io. Leonardi Sacco, Primicerio ecclesie S. Severine, super fructibus prefate parochialis …” (Russo F., Regesto IV, 18016).

[xxxi] “R.to da D. Paulo Jacometti de Policastro per s(anc)to Nicola de Milicanò al(ia)s Delli Cavatheri per x.a d. 0.4…” AASS, 2A.

[xxxii] “Denari de le carte” (1545): “Da donno paulo yacometta per s.to nicola deli caudari d. 1.1.0”. “Conto de dinari de le quarte exacti in lo predicto anno 1546”: “Da donno Paulo Jacomecta per s.to nicola de li cavaleri d. 1.1.0”. “Conto de quarte exacte per lo R.do quondam Don jacobo rippa como appare per suo manuale q.ale sta in potire de notari mactia cirigiorgi et sonno de lo anno 1547”: “Da donno paulo jacomecta de policastro per s.to nicola de licavaleri d. 1.1.0”. “Dinari q.ali se haverano de exigere de le quarte de lo anno vi ind(iction)is 1548”: “Da donno paulo magomecta per la quarta de s.to nicola de li cavaleri d. 1.1.0”. “Denari delle quarte de tutti li benefitii della diocesa de s(a)ncta s(everi)na” (1566): “la ec.a de s(an)cta maria delli cavaleri pagha lo anno per quarta d. 1.1.0”. AASS, 3A.

[xxxiii] AASS, 16B.

[xxxiv] “Policastro è terra Regia, qual’essendo stata venduta dal Conte di S. Severina fù fatta di demanio con l’opra, e patrocinio del Cardinale di S. Severina, è habitata da tre milia anime incirca vi sono quattro chiese parocchiali, e nella matrice è l’Arciprete, e Cantore con venti altri preti, quali per il più vivono delloro patrimonio, et elemosine che ricevono dal servitio delle chiese, e confraternità, …”. ASV, Rel. Lim. 1589. “Policastro è terra Regia habitata da tre milia anime incirca. Vi sono quattro chiese Parocchiali, e nella Maggiore è l’Arciprete il Cantore e vinti altri Preti, quali p(er) il più vivono di loro patrimonio, et elemosine che ricevono dal serv.o delle chiese, e Confratie …”. AASS, 19B.

[xxxv] Il 12.11.1623, dietro l’istanza di Livio Zurlo, agente per parte di Mario Sarsale sindaco della città di Catanzaro, il notaro con il giudice ed i testi sottosctitti, si portava nella domus del presbitero Salvatore de Richetta, parroco e rettore della chiesa parrocchiale di Santa Maria “Magnae”. Qui, tra i “libros, et scripturas” spettanti alla detta parrocchia, fu rinvenuto il libro scritto dal quondam donno Minico Palatio, parroco predecessore “premortuum”, intitolato “libro delli matrimoni solemnizati per me d. dominico palazzo paroco et Curato delle venerabile chiese unite Santa maria la grande Santo nicola delli Cavaleri, et santo Angilo dello melillo della terra di poliCastro della Diocesi di Santa Severina fatto per ord.ne dell’Ill.mo, et R.mo Alfonso pisano arcivescovo di Santa Severina in visita Conminciato à di dece di ottobre 1592”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 117-118.

[xxxvi] 23.09.1633. Il presbitero D. Joannes Jacobo de Aquila, permutava una casa palaziata “con una parte di muro un poco scarropata seu Cascata dalla parte di sotto”, posta nel convicino di S.to Nicola “delli greci”, con un casalino di Martino Vecchio, “con parte delle mura un poco alti”, assieme allo largo “sotto parte detto Casalino per derittura della chiesa di santa Maria dell’angeli per derittura della Cantonera” della casa di Gio: Vincenzo Riccio, appartenuta al quondam Fran.co de Jacobo, “ferente all’istrata publica verso lo cortiglio” di Fran.co Grosso, “una con lo casalino accanto di detto Casalino grande ferente verso la porta del Castello, confine la chiesa di Santo Nicola delli Cavaleri”, via pubblica mediante, che detto Martino aveva comprato da Fran.co Venturo de Oratio. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 076v-078.

[xxxvii] 24.02.1606 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 155v-156). 16.07.1606 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 177-178). 17.03.1613 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 072v-073). 13.09.1617 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 042-042v). 29.10.1617 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 060-061v). 25.08.1620 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 057-057v). 07.04.1624 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 022-023). 05.10.1627 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 157-157v e 160). 12.08.1629 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 046v-047). 21.08.1629 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 047-047v). 11.11.1629 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 064-065). 05.09.1639 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 093-094).

[xxxviii] 12.11.1633. Gregorio Caria vendeva a Caterina Giordano, vedova del quondam Joannes Petro Aquila, la domus terranea posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della venerabile “Ecc.ae dirute ditte Santi nicolai delli Cavaleri”, confine la domus di Joannes Vincenzo Riccio, la domus di Joannes Baptista Hijerardo, dalla parte superiore, “justa domum Presbiteris seu Casaleni Jo(ann)is Jacobi de aquila”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 097v-098v). 30.11.1637. Joannes Tuscano vendeva ad Elena Scandale, madre e tutrice di Joannes Dom.co e Cecilia Cepale, l’annuo censo di carlini 26 per un capitale di ducati 26 infisso sopra alcuni beni, tra cui la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della “Venerabilis Ecc.e dirute ditte santi Nicolai delli Cavalerii”, confine la domus di Joannes Dom.co Tavernise, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 109v-111).

[xxxix] ll 14 ottobre 1647, l’arcivescovo di Santa Severina concedeva a D. Joannes Jacobo de Aquila, la facoltà di costruire la “Ecclesiam, et Hospitale, de quibus in suo p(raese)nti supplici libello”, con la riserva che la sua parete non dovesse essere comunicante con la casa del richiedente. AASS, 4D fasc. 3.

[xl] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 038v-039v e 043-047v. Rende P., La SS.ma Annunziata di Policastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[xli] Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723.

[xlii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 076v-078.

[xliii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78, prot. 286, ff. 22-22v, 51v-52, 102-103, 197v-198v, 200v-201v, 209v-211, 225-225v, 229v-230v; Busta 78 prot. 287, ff. 003-004, 163-163v, 140v-141, 149-151, 196v-197v; Busta 78 prot. 288, ff. 053-053v, 091v-092v; Busta 78 prot. 290, ff. 157-158v; Busta 78 prot. 291, ff. 056-057, 090v-091; Busta 78 prot. 292, ff. 002-003, 005v-007; Busta 79 prot. 293, ff. 034v-035; Busta 79 prot. 295, ff. 092-093; Busta 79 prot. 296, ff. 044v-045v, 119-120v, 146v-147v, 173v-174v; Busta 79 prot. 297, ff. 050v-051, 051-051v, 082v-083v, 089-090, 098v-099v, 164-165; Busta 79 prot. 298, ff. 035v-036v, 042-043v, 079-079v; Busta 79 prot. 299, ff. 077v-078; Busta 79 prot. 300, ff. 098v-099v; Busta 80 prot. 301, ff. 031v-032v, 039v-041, 051-052, 121-122, 135-136; Busta 80 prot. 302, ff. 037-038v, 130v e 141-141v; Busta 80 prot. 303, ff. 120v-121v; Busta 80 prot. 304, ff. 069-070; Busta 80 prot. 305, ff. 045v-047, 049-050; Busta 80 prot. 306, ff. 106-107.

[xliv] 02.01.1620. Nei mesi passati, Fran.co Lavigna aveva venduto a Fabritio Scoraci, la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino della venerabile chiesa di “sante marie olivarum dico angilorum” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 002-003).

[xlv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 109-111.

[xlvi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 043-044v.

[xlvii] AASS, 016B.

[xlviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78, prot. 286 ff. 234-234v; prot. 287 ff. 029-030 e ff. 213-213v; prot. 289 ff. 038-038v; prot. 290 ff. 023-025v e ff. 081-082v; prot. 292 ff. 078-079; Busta 79 prot. 294 ff. 087-088v e ff. 099-099v; prot. 295 ff. 012-013, ff. 093-093v e ff. 127-128v; prot. 298 ff. 063-063v; Busta 80 prot. 302 ff. 011v-012v; prot. 306 ff. 074-075v e ff. 073v-076v; Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 806, ff. 074v-078.

[xlix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78, prot. 286 ff. 160-160v; prot. 287 ff. 070v-071 e ff. 203-203v; prot. 288 ff. 064v-065; prot. 290 ff. 023-025v; prot. 291 ff. 017-018; Busta 79 prot. 293 ff. 069-070; prot. 294 ff. 006-006v e ff. 007-007v; prot. 295 ff. 076-076v; prot. 296 ff. 064v-065 e ff. 164-165v; prot. 297 ff. 095-096, ff. 161v-162v e ff. 178v-179; prot. 298 ff. 068-068v; Busta 80 prot. 301 ff. 147v-148v; prot. 303 ff. 065-066 e ff. 106-107v; prot. 304 ff. 031v-033v; prot. 305 ff. 108v-109.

In una sola occasione figura come Santa Maria “l’oliva” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciaro, Busta 182 prot. 803, ff. 013-015v) come la chiama il Mannarino (“dell’oliva”) agli inizi del Settecento (Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro 1721-23).

[l] 24.07.1623. Joannes Dom.co Caccurio lasciava una ebdommada in perpetuo nell’altare maggiore della chiesa di “Santa maria della olivella”, nominando cappellano D. Gegnacovo de Aquila, fintanto che il chierico Ferrante de Vito non si fosse fatto prete. Per tale ebdommada assegnava i seguenti beni: la possessione detta “la vignola”, confine i beni di Alfonso Caccuri “et due vie publiche” ed altri fini; la terza parte ascendente a 10 tomolate che gli spettava sopra le terre di “Zaccarella” che deteneva in comune con il Clerico Ferrante de Vito e Marco Ant.o Poerio, gravata dal solito peso al “feudo di paparone” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 099-099v).

[li] 25.11.1620. Alla dote Andriana Rizza, apparteneva la casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino della venerabile chiesa di “s.to nicola dico santa Maria della olivella” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 078-079).

[lii] 04.04.1623. Joannes Vittorio Caccurio cedeva a suo figlio Joannes Fran.co Caccurio una continenza di case palaziate “Con sala” e due “Camare” dove al presente abitava il regio capitano di Policastro, “con orto, et potichelle”, affacciante “nell’istrada publica”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria dell’Olivella, confine le case del quondam Gio: Thomaso Faraco, la via pubblica da due parti e “la chiesa di santa Maria l’olivella intrada convicinale mediante”. Restavano invece al detto Gio: Vittorio le 3 “Camare affaccianti allo ringo”, la cui entrata, sia “di adalto come di abascio”, sarebbe stata realizzata dal detto Gio: Vittorio “per lo Casalino verso Santa maria l’olivella”. Nelle vicinanze esisteva un’altra continenza di case palaziate con “camera, et Cammarozzo” già appartenuti al quondam Fabio Caccurio, dove al presente abitava detto Gio: Vittorio, posta nello stesso convicino, confine le case di Gio: Dom.co Caccurio e le case di Filippo Faraco (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 087-088v).

28.02.1624. Davanti al notaro comparivano Joannes Fran.co Caccurio e Joannes Vincenzo Riccio. In occasione del matrimonio contratto tra detto Joannes Vincenzo e Livia Caccuri, sorella di detto Gio: Fran.co, dovevano essere consegnati ducati 450, inclusi i ducati 300 promessi dopo la morte del quondam Fabio Caccurio. Al presente, arrivate le parti ad un accordo, il detto Gio: Fran.co cedeva al detto Joannes Vincenzo, le case palaziate poste dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta maria “della olivella”, confine le case appartenute al quondam Gio: Thomaso Faraco e “la timpa dello Ringo” da una parte e, dall’altra, le case di Gio: Dom.co Caccurio e la via pubblica, con “l’orticello” e con tutti i membri inferiori e superiori, conformemente a come le deteneva al presente il reg.o capitano di Policastro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 012-013).

08.01.1625. Joannes Fran.co Riccio donava al Cl.o Joannes Vincentio Riccio, suo figlio, panni, vini e tutti i beni mobili, che si trovavano dentro la casa di detto Cl.o Joannes Vincentio, nella quale abitava detto Gio: Fran.co, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.ta Maria “della olivella”, confine la casa del quondam Gio: Thomaso Faraco, la casa di Gio: Dom.co Caccurio, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 093-093v).

30.08.1631. Berardina Tropiana asseriva che, negli anni passati, aveva venduto a Filippo Faraco alcuni “Casalina”, posti dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “olivella”, confine le case di Gorio Capozza, “le timpe dello ringo”, la casa di detto quondam Filippo, la via convicinale, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 063-063v).

07.10.1634. Vittorie Richetta, moglie di Joannes Dom.co Caccuri, donava al R.do Fran.co Maria Dardano di Mesoraca, suo nipote, la continenza di case palaziate consistente in tre membri, “Salam, Cameram et loggettam”, con casaleni contigui detta loggetta, con “Cortilio, et gisterna”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.ta Maria “olivarum”, confine la domus di Marco Antonio Poerio, la domus di Joannes Vittorio Caccuri, le “ripas dittas lo ringo”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 147v-148v).

22.01.1635. Joannes Vittorio Caccurio, in relazione ai capitoli matrimoniali stipulati nel passato, assegnava ai coniugi Marco Ant.o Poerio e Claritia Caccuri, una casa palaziata “Con Cammarino di tavole con suo Catoijo”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Maria “l’olivella”, confine la casa di Gio: Dom.co Caccuri, le case degli eredi del quondam Filippo Faraco, “la timpa dello Ringo” ed altri fini. La porta e la scala di detta casa affacciavano verso Gio: Dom.co Fiorilla. Tale casa comunicava con il catoijo di detto Gio: Vittorio “tenuta per la comodita seu latrina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 011v-012v).

13.04.1637. Il R.do D. Lupo Antonio Coschienti, permuta “ad invicem” secondo la “consuetudine napolitana”, la propria domus palaziata consistene in 3 membri, di cui 2 “terraneas”, “cum Cortilio gisterna” e due casalenos contigui, pervenutagli dall’eredità del quondam Filippo Faraco suo cognato, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Maria “olivarum”, confine la domus di Antonio Fiorilla, la domus di Claritia Caccurio, le “ripas delo ringo”, la via convicinale ed altri fini, con la domus palaziata di Horatio Rizza, pervenutagli dalla dote di Lisabetta Bruna sua moglie (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 031v-033v).

[liii] 15.08.1647. Davanti al notaro comparivano Joannes Antonio de Pace e la vedova Berardina Rizza, figlia di Jo: Petro, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Appartenevano alla dote due case palaziate dotali di sua madre, cioè quelle “che le porte sono site et poste sop.a il Vignano, che stà dentro il Cortiglio” dove si trovava un “Celso”, confine il muro delle case del quondam Sebastiano Cerantonio ed And.a Rizza di Gio: Domenico. Si pattuiva che il “Cortiglio” sarebbe rimasto in comune tra la detta Bernardina e suo fratello chierico Francesco, mentre le altre case andavano a quest’ultimo a cui sarebbe stato lecito alzare le mura di dette case e fare dentro detto “Cortiglio” scala, vignano ed entrate, potendo costruire sopra le mura del detto “Cortiglio” una “logettina lata dieci palmi incirca” e lunga dal muro della casa al muro del detto “Cortiglio” corrispondente alla via pubblica e “dirimpetto alla porta di S. Maria dell’olivella” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 074v-078).

[liv] AASS, 037A.

[lv] “La Parocchia fu propriamente ove è fabricato il palazzo del fu D. Antonio Martino ora posseduto da Lorenzo Pipino ma il Martino la fe stalla” (Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723). “Convicina ad essa (Santa Maria Magna ndr) era la chiesa di S. Maria dell’Oliva e sorgeva dove ora è il palazzo Mancini: è ancora visibile l’arco del portale di fronte all’attuale fontana.” (Sisca D., Petilia Policastro, 1964 p. 202).

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La parrocchiale di Policastro intitolata a Santa Maria “Magna”, poi detta “Maggiore”, nel luogo detto “il Castello”

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Petilia Policastro (KR), in evidenza la chiesa di Santa Maria Maggiore (da www.diasporapetilina.it).

La prima testimonianza relativa alla esistenza della chiesa parrocchiale di Santa Maria “Magnae” risale al periodo angioino, quando risulta che, il 21 aprile 1418, il presbitero Spirito Brunecto fu provvito del beneficio corrispondente, vacante per la morte del precedente rettore Antonio Veca.[i]

Le notizie che si riferiscono alle provviste successive annotate nei regesti vaticani, evidenziano, come risulta anche per altre chiese del luogo, che la sua rendita fu spesso oggetto di scambio attraverso il passaggio di mano tra clerici compiacenti.

Nel maggio del 1517 il beneficio risultava conferito al clerico diocesano Ferdinando de Cola, essendo stato rassegnato dal suo predecessore Augustino Monaco,[ii] mentre, due anni e mezzo dopo, a seguito della morte di Iohannes Clasidonte, decano della cattedrale di Santa Severina, era assegnato al clerico beneventano Dominico de Rubeis, cui era conferito contestualmente anche il detto decanato.[iii]

Attraverso la provvista del 7 febbraio 1534, sappiamo che sulla rendita della chiesa di “S. Mariae de la Grande” di Policastro, commendata dal cardinale di S. Potentiana in favore del clerico diocesano Francisco Benincasa, gravava la pensione annua di tre ducati aurei dovuti al clerico cosentino Iohannes Calderocio.[iv]

In questo periodo la chiesa compare nell’elenco dei benefici della diocesi di Santa Severina, che dovevano pagare le decime alla Santa Sede,[v] e tra quelle di Policastro che dovevano corrispondere all’arcivescovo di Santa Severina la quarta beneficiale, come risulta documentato nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”, durante il quadriennio 1545-1548 e nel 1566.[vi]

Petilia Policastro (KR), in evidenza la chiesa di Santa Maria Maggiore.

La chiesa alla metà del Cinquecento

Risale a questo periodo una prima descrizione della chiesa quando, il 9 di giugno del 1559, il cantore della chiesa di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo di Santa Severina Giovanni Battista Ursini, visitò la chiesa parrocchiale di “s.ta Maria magna”, ovvero di “s.tae Mariae de la grande”, di cui era cappellano D. Martino Accetta, dopo essere passato da quella di Santa Maria degli Angeli e prima di giungere a Santa Maria dell’Olivella.

La parrocchiale aveva l’altare maggiore di fabbrica con tre tovaglie, un “Coperm.to” di tela dipinto “Cum imagine glo(rio)siss.ae virginis et duorum sanct.run Circum”, e due “mandilia” che nel mezzo, recavano la “imago beatiss.ae et glo(rio)siss.ae virginis Mariae” sopra una tela vecchissima.

Sotto la minaccia della scomunica e del pagamento di 25 once, il vicario ordinò al cappellano che, entro il termine di quattro mesi, venisse rifatta “de novo” l’immagine della Vergine. Il vicario rinvenne anche due candelabri di legno e la sacrisita “diruta et discoperta”. Egli, quindi, ingiunse al cappellano che, entro il termine della prossima visita, la facesse costruire in maniera completa.

In un’arca furono rinvenuti: tre vestimenti completi, di cui uno con una casula di seta di diversi colori vecchissima, un messale, un altro messale in pergamena, un calice con patena di argento dorato, una cappa di seta rossa vecchissima, tre “plumacios” di tela, quarantadue tovaglie nuove e diverse vecchie, tre “planetas” di tela, un “Coperim.tum” di altare vecchio, un “Cuscinum plenum ammictis”, stole e “manipolis” vecchi e laceri, un altro cuscino con sei “spalleriis” e due “lintheamina” di tela. In un’altra arca vecchia furono rinvenuti tre altri “spallerii” ed una “Crucem ligneam Cum pomo de rame”.

All’interno della chiesa fu trovato anche un “Confalonum” di tela colorata con figure dipinte vecchissime. “In medio ecc.ae” era posta una “imago Crucifixi de relevo” con intorno un “Coperim.to” nero, e vi erano alcuni “Scanna” per sedersi. Sotto il crocefisso si trovava appesa una “lampas” per l’altare maggiore.

La chiesa aveva due campane ed un campanello. Il fonte battesimale era vecchissimo e privo di acqua.

Proseguendo la propria visita, il vicario giunse quindi ad un altare “lapideum” con due colonne della famiglia Curto “que est in cap.a Cum arco à lamia” Dato che l’altare mancava dei vestimenti e di tutto il necessario, i patroni furono ammoniti e sotto la minaccia della scomunica e della privazione dell’altare, fu loro ingiunto di provvedere entro il termine di quattro mesi.

Quindi, il vicario giunse alla “cap.lam” sotto l’invocazione della “glo(rio)siss.ae virginis Mariae” della famiglia Caccuri di cui era cappellano D. Jo: Dominicus Baudino al quale fu ordinato che, entro il termine di quattro mesi, rifacesse tutto ciò che necessitava sotto la minaccia delle solite pene.

Successivamente il vicario giunse a visitare la “ecc.am et oratorium” sotto l’invocazione di “s.tae Mariae de p(raese)ntatione” di cui erano patroni quelli della famiglia Venturo e di cui era cappellano D. Dominico Venturo. Qui fu trovato un altare lapideo “Cum Columnis” e con la “imaginae glo(rio)siss.ae Virginis Mariae et aliorm s.torum in tela”. Mancando di tutto il necessario, il vicario ingiunse al cappellano di provvedere come sopra, affinchè potesse essere celebrata la messa.

A seguire, il vicario visitò l’“oratorium” sotto l’invocazione di “s.tae M.ae reginae Celi” dove fu trovato un altare di fabbrica con una “Cona” di tela con alcuni santi. L’altare apparteneva a quelli della famiglia Comeriati che furono ammoniti ed ingiunti come sopra.

Il vicario ordinò al cappellano di provvedere al tetto della chiesa per evitare che ci piovesse, e gli richiese il pagamento della pena per non aver provveduto a rifare l’immagine della Vergine, come gli era stato ordinato durante la visita precedente. Il vicario richiese, inoltre, che il cappellano gli esibisse l’elenco delle entrate della chiesa.[vii]

Petilia Policastro (KR), Santa Maria Maggiore.

Convicino e parrocchia

Alla fine del Cinquecento, a seguito della riduzione delle parrocchie ed in virtù della sua antichità, la chiesa di Santa Maria la Magna rimaneva una delle quattro parrocchiali esistenti nella “terra Regia” di Policastro, come ricaviamo dalla relazione del 1589, prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani per la Santa Sede.[viii]

In tale frangente, a seguito del generale impoverimento, ad essa furono unite le altre due parrocchiali più vicine, poste nei pressi della porta del circuito urbano detta “del Castello”: quella di “Santo nicola delli Cavaleri”[ix] e quella di “santo Angilo dello melillo”,[x] come risulta documentato già nell’ottobre del 1592, al tempo in cui ne era parroco e rettore D. Joannes Dominico Palatio.[xi]

A questi successe D. Salvatore de Arrichetta o Richetta di San Giovanni Monaco, che risulta cappellano e curato di “Santae Mariae Magne” già nel dicembre del 1622.[xii] A quel tempo, la chiesa di “santa maria della grande”, dove si trovava la cappella della famiglia Venturi dedicata alla Vergine sotto il titolo “della presentatione”,[xiii] ed in cui si segnalano poche deposizioni,[xiv] confinava con la domus terranea che era appartenuta a Rinaldo Carcelli che, a sua volta limitava con la domus di Antonina de Carcello ed un casaleno della chiesa.[xv]

Essa sorgeva sopra la “timpa” detta “de S.ta Maria la grande”[xvi] che, dalla parte extramoenia, “di sotto le mura di s.ta Maria della grande”, in loco detto “lo ringo”, era caratterizzata dalla presenza di appezzamenti coltivati a gelso.[xvii]

La parrocchiale aveva un proprio ambito nello spazio urbano, dove gli atti di compra-vendita stipulati dai notari del luogo, identificano le abitazioni esistenti nelle sue vicinanze “in convicino Ecclesie s.te Marie magne”, ovvero in convicino della chiesa di “santa maria della grande”.[xviii] Successivamente, invece, a cominciare dagli inizi del secolo,[xix] accanto a tale criterio d’identificazione, ne comincia a comparire anche uno per confini parrocchiali. Troviamo così che le abitazioni poste nelle vicinanze della chiesa, risultano in parrocchia di S.ta Maria “la grande” o “Magnae”,[xx] ovvero nella “Cappella di Santa Maria la grande”.[xxi]

Petilia Policastro (KR), Santa Maria Maggiore.

Al tempo della crisi

Dopo la morte di D. Salvatore Richetta, sopraggiunta nell’ottobre 1634, il beneficio vacante fu provvisto al dottore D. Lelio Scandale,[xxii] che detenne la carica di “Parocho di santa Maria la magna”[xxiii] fino all’otto agosto 1659, quando si dimise in favore di D. Dominico Cepale, avendo ottenuto l’arcipresbiterato della terra di Cutro.[xxiv]

Durante il periodo in cui rimase affidata alla cura di D. Lelio Scandale che, in ragione della sua posizione, troviamo agente nel dirimere controversie d’interesse tra i suoi parenti,[xxv] la chiesa subì il terremoto del 1638, che provocò danni ingenti a Policastro, anche se la parte dell’abitato maggiormente colpita sembra essere stata quella più bassa.[xxvi] Dopo questi fatti la chiesa fu riparata anche grazie ai lasciti dei fedeli, come testimoniano alcuni testamenti del periodo successivo a questo sisma.[xxvii]

A quel tempo, caratterizzato da una perdurante crisi, tra le sue entrate vi erano alcuni censi infissi su vignali[xxviii] e case,[xxix] mentre tra i pesi da sopportare, c’era il solito pagamento annuale della quarta beneficiale all’arcivescovo di Santa Severina, che risulta documentato il 16 ottobre 1630 dall’“Introito di danari essatti dal Rev.do D. Marco Clarà delle rendite della Mensa Arciv.le”, quando “Il Cappellano di S.ta Maria la grande” pagò i 2 ducati dovuti, e come troviamo successivamente, relativamente alle annualità dei pagamenti degli anni 1654 e 1655.[xxx]

Per la sua preminenza tra le chiese del luogo, comunque, essa rimaneva seconda solo nei confronti della Matrice, come testimonia un atto del 24 marzo 1655. Quel giorno, alla presenza del notaro, del giudice e dei testi sottoscritti, nonché del R. D. Paride Ganguzza, “Vic.m for.m” di Policastro, il R. D.r Lelio Scandale, parroco e rettore di S.ta Maria “Magnae”, faceva istanza protestando e minacciando di rivolgersi al Papa, perché alla detta chiesa non erano stati assegnati, come invece era stato solito nel passato, “Preiti e Clerici” in numero sufficiente per gli uffici della Settimana Santa e per fare “li sepolcri”, così come invece era in uso nella chiesa arcipretale. In questa occasione, il vicario foraneo rispondeva al parroco, che i preti ed i clerici avrebbero potuto officiare nella chiesa di S.ta Maria Magna, dopo averlo fatto in quella “Matrice” di San Nicola “della Piazza”.[xxxi]

Petilia Policastro (KR), Santa Maria Maggiore.

La visita dell’arcivescovo Falabella

Nell’ambito della visita agli “Oppidis, et Locis Suae Dioecesis”, il 5 ottobre 1660, l’arcivescovo di Santa Severina Francesco Falabella visitò la chiesa parrocchiale “vulgo detta la Magna” posta “in loco detto il Castello”, di cui era rettore D. Dom.co Cepale, che era anche il vicario foraneo di Policastro.

Ascoltata la messa, l’arcivescovo visitò l’altare maggiore posto nella parte orientale dell’edificio “à cospectu Portae Maioris”, al quale si accedeva salendo due gradini “cum bradella”, e lo trovò coperto da un pallio di seta bianca, con tre tovaglie, otto candelabri d’argento, “Carta Secretorum”, croce e “Lapide Sacrato separato à tabula lapidea”, che l’arcivescovo comandò che fosse infissa al suo posto entro il termine di un mese. Alla parete si trovava una “Icona depicta in tela” raffigurante la immagine della “B.V. in Coelum assumpae, et Sanctorum Apostolorum”.

L’arcivescovo comandò di “provideri de Tabella Evangelii S. Joannis”, mentre al parroco fu ingiunto di presentare le bolle comprovanti i suoi titoli, che quaest’ultimò presentò nella successiva “Visitat.e Personali”.

La chiesa aveva l’onere di celebrare alla domenica e nei giorni festivi, quando il popolo era tenuto ad ascoltare la messa. Il parroco aveva inoltre l’onere di celebrare trenta messe all’anno per la famiglia de Cola, altre venti per l’anima del quondam Joannes Andrea de Strongolo, un messa per ogni hebdommada per la famiglia de Venturi e dodici messe all’anno per l’anima di Floris Rosa Venturi. L’arcivescovo dispose che tali oneri fossero riportati in tabella e che questa venisse appesa in sacrestia.

Le rendite della parrocchiale ascendevano a circa trenta ducati all’anno che pagavano i “Colonos d.ae Parochiae” alla ragione di “modium unum Frum.ti pro singulis Jugis Bovum ultra incertos”.

Al lato destro della chiesa vi era un “Altare denudatum cum Statua lapidea antiqua S. Antonis Abbatis” di jurepatronato della famiglia Venturi. L’arcivescovo comandò che entro l’anno fosse ornato del necessario pena la privazione del patronato, vietando che vi si celebrasse pena l’interdizione.

Quindi l’arcivescovo passò alla visita del fonte battesimale che si trovava al lato sinistro della chiesa vicino la porta maggiore, rinvenendolo ben disposto. L’arcivescovo dispose che il “Sacrarium in quo proiicitur Aqua post Lavacrum Puerorum” fosse chiuso con “tabula et Clave” entro il termine di un mese affinchè altri non potessero “proijci”.

L’arcivescovo passò quindi a visitare la sacrestia posta alla sinistra dell’altare maggiore, che trovò “quastatam” a causa del terremoto e che comandò di riedificare “in meliori for.e” entro il termine di un anno. Visitò quindi le “supellectila” che erano conservate nella sacrestia: una pianeta di seta bianca, altre tre di diverso coloro vetuste, consunte e lacere, che l’arcivescovo dispose che non si usassero più e che fossero sostituite con altre di diverso colore entro tre mesi, tre “Albas”, un calice con la sua patena che l’arcivescovo ordinò di dorare entro un mese ed un messale che l’arcivescovo ordinò di riattare.

L’arcivescovo ordinò anche di imbiancare i muri vetusti e rovinati e di sistemare il pavimento in molte parti “effossum”. Considerato inoltre, che da due “finestris” poste su entrambi i lati dell’altare maggiore, passava il vento che disturbava il celebrante, con la possibilità di far volare l’ostia dall’altare durante la celebrazione, egli ordinò che alle dette finestre venisse posta della “tela linita cum cera”.

La chiesa possedeva tre campane di cui due si trovavano appese alla sua parete anteriore mentre, l’altra, si trovava gettata in terra. L’arcivescovo ordinò che quest’ultima fosse posta vicino alle altre.

In occasione della stessa visita che lo vedeva impegnato in Policastro, il 13 ottobre 1660, l’arcivescovo si portò presso la “Ecc.m S. Mariae nuncupatam dell’olive”, che trovò spogliata di ogni ornamento necessario, con le pareti rovinate dal fumo fino al tetto, ridotta in abitazione e profanata dai delinquenti che vi avevano trovato rifugio, disponendo che l’onere di una messa per ogni hebdommada fosse celebrata nella chiesa parrocchiale di S.ta Maria Magna entro i cui confini era compresa la chiesa profanata. L’arcivescovo dispose inoltre, che la “Icona antiqua et denigrata” posta nella parete, il pallio vetusto di colore violaceo e i due candelabri di legno vetusti, fossero tutti insieme conservati nella chiesa parrocchiale di S.ta Maria Magna.[xxxii]

Petilia Policastro (KR), Santa Maria Maggiore.

Un onere insostenibile

La difficile situazione della parrocchiale evidenziata in occasione di questa visita, continuò anche durante la seconda metà del secolo, quando il suo “Parochus” esercitava la cura delle anime nell’ambito della propria parrocchia.[xxxiii]

Considerata la difficoltà di reperire nuove risorse, nel 1681, similmente a quanto fecero le altre chiese del luogo, si cercò di porre rimedio a questo stato di sofferenza, inoltrando all’arcivescovo una richiesta per ridurre gli oneri delle messe. Dalla documentazione prodotta in questa occasione, per poter ottenere tale riduzione, sappiamo così che, al tempo, l’onere principale delle messe che si celebravano nella chiesa parrocchiale curata di “S.ta Maria la Magna”, era così composto: 40 messe per l’anima di Lucretia Bruno e Dom.co Venturi, che dovevano soddisfare gli eredi di Marcello Venturi sopra tutti i loro beni (1580); 200 messe per l’anima del quondam Gio: Andrea de Cola seniore, che dovevano soddisfare i possessori dei beni del detto Gio: Andrea (1596); 50 messe per l’anima del quondam Gio: Tomaso de Cola seniore, cui erano obbligati gli eredi di Marcello Venturi, possessori del loco detto “li Carisi” (1590 e 1591); 25 messe per l’anima di Fior di Rosa Venturi, cui era obbligata la mag.ca Maria Cerasari che possedeva il loco detto “li Jeni” (1636); 50 messe per l’anima del Reverendo D. Gio: Thomaso Caccuri seniore, che dovevano essere soddisfatte dagli eredi di Leonardo Caccuri e di suo fratello sopra tutte le loro robbe (1576).[xxxiv]

In questo periodo, secondo quanto riferisce il Sisca, la parrocchia aveva la cura di 712 anime,[xxxv] e dopo la morte di Dominico Cepale, avvenuta nel novembre 1685, passò ad essere amministrata da Iacobo Antonio La Rosa.[xxxvi] Dopo la morte di quest’ultimo, nell’ottobre 1693 la chiesa parrocchiale di “S. Mariae La Magna” fu provvista al presbitero D. Giuseppe Iannici.[xxxvii]

Petilia Policastro (KR), portale d’ingresso della chiesa di Santa Maria Maggiore.

La parrocchiale agli inizi del Settecento

Agli inizi del Settecento, la situazione della chiesa di “Santa Maria la Magna”, parrocchiale posta nella parte “più suprema, e Boreale” dell’abitato di Policastro, cui era stata unita “l’altra sua convicina di Santa Maria dell’oliva”,[xxxviii] è descritta nello “statu Parochialium Ecclesiarum loci Policastri” inviato dall’arciprete Jo: Paulo Grano alla Sacra Congregazione del Concilio il 20 settembre 1713.

Tale atto riferisce che “Policastrum”, contava al tempo 2534 anime, con quattro chiese parrocchiali divise tra loro da confini definiti, all’interno dei quali ogni parroco amministrava la cura delle anime dei suoi parrocchiani. Oltre alla riscossione delle decime ed a percepire i “parochialibus emolumentis”, le quattro parrocchie potevano contare su poche entrate che, per quanto riguarda “S.ta Maria la Magna”, sono elencate dal suo “Paroco” D. Giuseppe Jannici:

“… si trovasse da me infra(scri)tto Parocho di S.ta Maria la Magna di q.to luogo di Policastro nume / rate l’anime, esistentino in q.ta sud.ta Parocchia, ritrovo che vi siano viventi anime / novecento cinquantasette 957. / Il Paroco suole es.e da ogni paro di bovi un tt.o di grano o d’altra sorte di simigna che / li medes.i in quell’anno hanno seminato, attualm.e nella parocchia vi sono quindi / ci  para di bovi, e pagano tt.e quindici di grano tt.e 15. / Dalli bracciali che seminano sino la somma delle tre tt.e si sole pagare per ogni brac / ciale mezzo tt.o in q.to presente anno vi sono trenta bracciali dalli quali ne deve esige / re tt.e sette e mezzo di grano, ed altri tt.e sette e mezzo di germano si che essendo / il grano a carlini sette il tt.o ed il germano a carlini cinque fanno la somma / di doc.ti dicenove d. 19.2.10. / Decime personali in tutto d. 7. / Esige dal Convento della S.ta Spina og’anno car / lini cinque d. 0.2.10. / Da Cesare Greco sopra un Vignale detto il / Ringo carlini sette d. 0.3.10. / Dalla Cappella di S. Giacomo di Policastro car / lini tre d. 0.0.10. / Da Lonardo Jacometta sopra la sua casa / grana venticinque d. 0.1.5./ Dall’eredi di Cola Caruso sopra la loro casa / carlini sei d. 0.3.0. / Da un Vignale loco d.to la limina da fertile / ed infertile si ne percipeno carlini sei l’anno d. 0.3.0. / Da un Vignale d.to la valle si ne percipe un / carlino d. 0.0.10.  / D’alcune case e poteche rifatte da me infra(scri)tto / Paroco si ne può ricavare l’anno da doc.ti cinque d. 5. / Incerti tra fedi di Matrimonii e Jus Stolae d. 4. / In tutto la Parocchia d. 38.3.5. / Pesi che paga la Parocchia / Alla R.ma Mensa per quarta d. 3. / Contribuzioni al Seminario d. 0.3.0. / Per riparo della Chiesa, casa e Vestim.to d. 5. / Per salario al Sacristano d. 2.2.10. / Li Pesi importano d. 11.0.10. / Che dalla sud.ta somma delli d.ti trentaotto / et g.na sessantacinque levatine d.ti undeci e grana / diece ne restano netti doc.ti ventisette e g.na cinquantacinque d. 27.2.15 / D. Giuseppe Janniti Paroco.[xxxix]

Petilia Policastro (KR), chiave dell’arco del portale d’ingresso della chiesa di Santa Maria Maggiore (anno 1834).

Il beneficio di San’Antonio Abbate della famiglia Berardi

Il 9 marzo 1820, il notaro Francesco Antonio Nicotera del fu Saverio, domiciliante in Policastro, estraeva una copia su cui imprimeva il segno del suo “Tabellionato”, dal suo proprio originale esistente tra gli atti dal notaro Marcello Martino di Policastro, che si conservava presso il notaro Pietro Rossi.

Da questa copia apprendiamo che, il 7 aprile 1750, XIII.a indizione, in Policastro, si costituiva Silvestro Berardi che asseriva di voler fondare nella cappella di Sant’Antonio Abbate, costruita dentro la venerabile chiesa parrocchiale di S.ta Maria la Magna, un semplice beneficio di jus patronato laicale in onore del suo “speciale avvocato” Sant’Antonio Abbate, dotandolo con alcuni “corpi stabili” scelti tra i suoi beni posti nel territorio di Policastro. Questi risultavano essere: una continenza di terre di circa dieci tomolate, parte alberate di quercie e parte con giardino alberato di celsi neri, noci, fichi ed altri alberi fruttiferi, con casetta di fabbrica posta nel luogo detto “Vassarello”, confine le terre del Sig. D. Lorcoso, l’orto del Sig. D. Vitaliano Venturi e quello del Sig. D. Giandomenico de Martino, la via pubblica ed altri fini, che egli aveva acquistato dal mag.co Nicola Giordano, per atto del notaro Antonino Fanele, e sedici tomolate circa di terra aratoria e pascolativa, posta nel luogo detto “Le Limine”, comuni ed indivise con il Sig. Francesco Petrone, confine con le terre di Muzio de Martino, quelle del Sig. Ferrari, quelle della SS.ma Annunziata, quelle della Sig.a Petronia Cavarretta, ed altri fini, comprato dal quondam D. Carlo Tronca come per “istrumento” stipulato dal notaro Marcello Martino.

Tra i patti si specificava che il beneficio, con il peso di 10 messe all’anno in suffragio perpetuo della propria anima, apparteneva al detto Silvestro che ne era il fondatore, ma che, alla sua morte, sarebbe dovuto passare a suo figlio Giuseppe e quindi, ai suoi leggittimi discendenti maschi estromettendone le femmine. Questi, avrebbero dovuto presentare al beneficio gli ecclesiastici destinati a celebrare le messe previste, scegliendoli tra i loro parenti più prossimi ed in assenza di questi, tra quelli più remoti e poi tra gli estranei.[xl]

Troviamo successivamente che, nella chiesa parrocchiale di “S(an)ctae Mariae Lamagna, sive in Caelum Assumptae”, retta dal parroco D. Joannes Dominico Pace, esistevano due altari oltre quello maggiore,[xli] mentre nella cappella di Sant’Antonio Abbate della stessa chiesa, era eretto il beneficio appartenente alla “familia Berardi” intitolato allo stesso santo, retto dal diacono Brunone Berardi.[xlii]

Petilia Policastro (KR), Santa Maria Maggiore. Tela raffigurante Sant’Antonio Abbate (“D. MARIANNA BERARDI L’EREDE FE DIPINGERE PER SUA DIVOZIONE ANNO DEL SIGNORE 1844”).

Particolare della stessa immagine con l’arme della famiglia Berardi.

 

La congrua del parroco

Dopo la morte di D. Joannes Dominico de Pace, avvenuta del febbraio 1776, nel mese di luglio di quello stesso anno la chiesa parrocchiale di “S. Mariae Maioris, als la Magna” fu provvista al presbitero Petro Grano approvato “in concurso”.[xliii]

Al tempo in cui era retta da quest’ultimo che, il 22 febbraio 1780, compare in qualità di procuratore del monte frumentario del D.r Fisico Martino Curto,[xliv] la chiesa subì le scosse del terremoto del 1783, quando Policastro “fu in gran parte distrutta, e nel resto conquassata”, risultando “parte distrutto, e parte cadente”.[xlv]

Dopo l’abolizione della “Cassa Sacra”, creata dal governo borbonico per finanziare la ricostruzione, al fine di assicurare al parroco di Santa Maria “Maggiore” una rendita adeguata al suo sostentamento, e per la manutenzione della sua chiesa, gli fu assegnata una “congrua”, come risulta il 7 agosto 1796, nel “Piano de’ Luoghi Pii, e loro rendita, formato per ordine di Sua Ecc.a Sig.r Marchese di Fuscaldo dal Sig.r Archid.no D. Diodato Ganini Vicario Generale Capitolare di questa Diocesi di S.ta Severina”, quando la parrocchiale aveva la cura di 1251 anime, risultando così la parrocchia più popolosa tra le tre di Policastro, il “Paese più grande della Diocesi” con 3459 abitanti.

La congrua assegnata annualmente al curato di “S. M.a Magg.e”, comprendeva ducati d. 59:05 “in tanti cenzi” e d. 72.59 in “contanti”.[xlvi] A quel tempo, i beni che risultavano assegnati al parroco D. Pietro Grano “per congrua”, “In tanti pezzi di Terra, d’annui Censi, che possedeva la sudetta Parocchia”, erano così elencati:

“Quattro vignali “nell’olivaro” d. 3.92; un vignale nelle “Limine” d. 2.00; un vignale nel “Cersitello” d. 0.50; annuo censo sopra Rosario Carvello d. 1.08; Annuo censo sopra Mastro Domenico Guzzo d. 0.88; Annuo Censo sopra Bruno Mannarino d. 0.20; Annuo censo sopra il Beneficio di S. Giacomo d. 0.30; annuo censo sopra Domenico Cavarretta d. 0.35.” A questi, “in conto della congrua”, andavano a sommarsi i censi di altri enti ecclesiastici del luogo: sopra quelli della Chiesa Madre: D. Michelangelo Ferrari sopra “Serra” d. 4.00; Giovanni Curto sopra il castagneto d. 1.50; Antonio La Rosa sopra “il Canale” d. 1.00. Oratorio del SS.mo Rosario: Salvatore Anania per annuo canone sopra il vignale detto “Paterniso” d. 1.60; Vito Rizza sopra il vignale detto “la Grossi” d. 00.50; Andrea Catanzaro sopra il vignale detto “Paterniso” d. 3.00.[xlvii]

Per quanto riguarda invece i suoi obblighi, in una fede del 3 novembre 1798, prodotta dal cancelliere dell’università di Policastro Simone Mayda, si evidenzia che dal “Libro catastale” del corrente anno 1798, risultava che tra le voci che componevano la “partita della Mensa Arcivescovile di S. Severina”, vi era la quarta beneficiale di 3 ducati dovuta dal parroco di “S. M.a La Magna”.[xlviii]

Petila Policastro (KR), interno della chiesa di Santa Maria Maggiore.

Commendato dal re

Dopo la morte di D. Gio: Domenico Cavarretta, avvenuta il 23 agosto 1805, la parrocchia di “S. Maria Maggiore” che risultava quella di Policastro “più popolata di anime”, fu provvista al presbitero D. Vito Madia, esaminato dagli esaminatori sinodali in occasione dell’apposito concorso disposto dell’arcivescovo di Santa Severina Pietro Fedele Grisolia (1797-1809).[xlix]

Dalla corrispondenza intercorsa in tale occasione tra la curia arcivescovile di Santa Severina ed il Cappellano Maggiore del regno in Napoli, emerge che il Madia, “Predicatore Quaresimale, Panegirista, Confessore, m(aest)ro di belle lettere, lettore di logica, e Geometria; il quale è stato distributore delle bolle della Crociata, ed è di buona vita, e d’irreprensibili costumi”, “placidissimo”, “fù in p(ri)mo luogo approvato” dall’arcivescovo che, quindi,  rassegnò al “R. Trono” “l’esito del concorso tenuto per la provvista della Parocchia di S. Maria di Policastro”. In questa occasione, infatti, così si esprimeva l’arcivescovo Grisolia: “E poiché per la vacanza seguita in mese riservato la provista si appartiene alla S. Sede, lo propongo al R.l Trono di V. M. affinchè, stimandolo oportuno, si benigni ordinare che si spedisca la commendatizia”. Ed al v(ost)ro R.l Trono umilm.te prostrato, implorando dal cielo alla v(ost)ra R.l Persona, e famiglia tutte le maggiori benedizioni, mi glorio essere.”

L’otto febbraio 1806, “Essendosi degnato il Re di commendare alla S. Sede il sacerdote D. Vito Madia per la parrocchia di S. Maria Maggiore della Terra di Policastro”, “Nel R.l nome” si comunicava all’arcivescovo di darne “notizia al Commendato, affinchè faccia assistere in Roma per la spedizione delle Bolle a suo favore”.[l]

A tenore del real decreto dell’undici gennaio 1820, il primo febbraio 1831, il “Parroco” Vito Madia certificava di trovarsi ancora nel pacifico possesso della “Cura Spirituale” della chiesa parrocchiale di “S. Maria maggiore nel Comune di Policastro”.[li]

Petilia Policastro (KR), chiesa di Santa Maria Maggiore, crocifissione.

Verso l’attualità

Al tempo in cui era affidata alla cura di D. Vito Madia, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, esisteva ancora il beneficio di “S. Antonio Abbate”, fondato nella “Cappella di S. Ant.o Abbate” e posseduto dal Signor D. Giacomo Berardi, a cui appartenevano il “Giardino di Garrufi” (d. 26.22), il “Vignale Limini” (d. 15.10), “Iavoli” (d. 00.62) e “Grotte di Pipino” (d. 3.00).

Nella parrocchiale esistevano anche un legato perpetuo di annui ducati 30 di messe del fu Francesco Bernardello, posseduto dal Sig. D. Muzio Portiglia del fu D. Carmine, insieme con gli altri suoi fratelli e sorelle, cui apparteneva il castagneto detto “Trentademoni” venduto al Sig. Nicolò Giordano il 2 ottobre 1811, il cui censo fu trasferito dal fu Sig. D. Carmine Portiglia sopra tutti i suoi beni e specialmente sopra il fondo “Salinara”, e la cappellania laicale del fu D. Martino Curto fondata il 15 novembre 1766, cui appartenevano il vignale detto “S. Cesareo” (d. 12.74) ed il castagneto detto “li Marrazzi” (d. 14.03). Secondo le disposizioni del fu D. Martino Curto, dopo la morte dell’amministratore D. Pietro de Martino, la cappellania passò nelle mani dell’arciprete fino al settembre 1818 quando, morto l’arciprete D. Girolamo Carvelli, questa passò al parroco D. Vito Madia.[lii]

Agli inizi del Novecento, quando la chiesa era affidata a Francesco de Mercurio “Economo Curato di S.a M.a Maggiore”,[liii]  i suoi confini parrocchiali oltre all’abitato, si estendevano anche allo spazio extra-urbano:

“Confini delle Parrocchie di Petilia Policastro

S. Maria Maggiore

Dal ponte Gallina fino al ponte di Tacina presso Cotronei la parte / di sopra della rotabile, fino a S. Demetrio e di là, salendo, Pagliarelle, / Vaccarizzo, e poi Principe Cariglione. Partendo poi dalla parte del / paese, e propriamente, dal castello si estende al ponte della S. Spina / congiungendosi da questo con il punto detto Principe. Il fiume Soleo forma linea di divisione tra la su detta Parrocchia e quella della / SS. Annunziata, andando verso sopra, partendo dal ponte su detto della / S. Spina.

L’Arciprete Salvatore Venneri.[liv]

Attualmente la chiesa di Santa Maria Maggiore di Petilia Policastro detta “da Marenna” dai paesani, è distinta da questi ultimi come la parrocchia “du Castiaddru” (castello), rispetto all’altra della “ghiazza” (piazza) sotto il titolo di San Nicola Pontefice.

 

Note

[i] 21 aprile 1418. “Abbati monasterii S. Angeli de Frigillo, S. Severinae dioc., mandat ut Spiritui Brunecto, presbytero S. Severinae dioc., provideat de parochiali ecclesia S. Mariae Magnae de Policastro, eiusdem dioc., vac. per ob. Antonii Veca rectoris.” Russo F., Regesto II, 9420.

[ii] 1 maggio 1517. “Bernardino Albano, canonico Insulano. Ferdinando de Cola, clerico S. Severinae dioc., providetur de parochiali ecclesia S. Mariae Magnae, terrae Policastri, S. Severinae dioc., vac. per resignationem Augustini Monaci, per Bartholomaeum Raparum, clericum Lauden., procuratorem suum, factam et admissam.” Russo F., Regesto III, 15803.

[iii] 9 dicembre 1519. “Dominico de Rubeis providetur de parochiali ecclesia B. Mariae de la Grande (de Policastro), S. Severinae dioc., vac. per ob. Iohannis Clasidante, (sic) rectoris.” Russo F., Regesto III, 16103. 9 dicembre 1519. “Asculan. et Castren. Episcopis ac Vicario generali Archiep. S. Severinae, mandat ut Dominico de Rubeis, clerico Beneventan., provideant de Decanatu ecclesiae S. Severinae, vac. per ob. Iohannis Classidanti.” Russo F., Regesto III, 16104.

[iv] 1534. 7 febbraio 1534. “Rev.mus d.nus Vincentius, tt. S. Potentianae pbr Card.lis Neapolitan., cui als ecclesia S. Mariae de la Grande (terre Policastri), S. Severinae dioc., c.m. vac. commendata existit, commendam huiusmodi et omne ius in eandem, in favorem d.ni Francisci Benincasa, clerici S. Severinae dioc., cessit, reservatis pensione annua duc. trium auri Iohanni Calderocio, clerico Cusentin., et sibi regressu.” Russo F., Regesto III, 17274.

[v] “R.to da D. Mar.no Alljtto (sic, ma Accetta) da Pulicastro per S(an)ta Maria maggiore, et S(an)to Angelo de plateis per x.a ..d. 1.4. …”. AASS, 2 A.

[vi] “Denari de le carte” (1545): “Donno mar.no accetta per la 4.a de s.ta maria la grande d. 2.0.0”. “Conto de dinari de le quarte exacti in lo predicto anno 1546”: “Da donno martino accetta per s.ta m.a la grande d. 2.0.0”. “Conto de quarte exacte per lo R.do quondam Don Jacobo rippa como appare per suo manuale q.ale sta in potire de notari mactia cirigiorgi et sonno de lo anno 1547”: “Da donno martino acepta de policastro per s.ta m.a la magna d. 2.0.0”. “Dinari q.ali se haverano de exigere de le quarte de lo anno vj jnd(iction)is 1548”: “Da donno martino acepta per la quarta de s.ta maria la grande d. 2.0.0”. “Denari delle quarte de tutti li benefitii della diocesa de s(an)cta s(everi)na” (1566): “S(an)cta Maria la grande pagha de quarta ogne anno d. 2.0.0.”. AASS, 3A.

[vii] AASS, 16B.

[viii] “Policastro è terra Regia, qual’essendo stata venduta dal Conte di S. Severina fù fatta di demanio con l’opra, e patrocinio del Cardinale di S. Severina, è habitata da tre milia anime incirca vi sono quattro chiese parocchiali, e nella matrice è l’Arciprete, e Cantore con venti altri preti, quali per il più vivono delloro patrimonio, et elemosine che ricevono dal servitio delle chiese, e confraternità, …”. ASV, Rel. Lim. 1589. “Policastro è terra Regia habitata da tre milia anime incirca. Vi sono quattro chiese Parocchiali, e nella Maggiore è l’Arciprete il Cantore e vinti altri Preti, quali p(er) il più vivono di loro patrimonio, et elemosine che ricevono dal serv.o delle chiese, e Confratie …”. AASS, 19B.

[ix] A riguardo di tale unione, troviamo in seguito che Santa Maria la Magna, esigeva ancora un censo perpetuo relativo ad un suolo posto in convicino della parrocchiale soppressa di San Nicola delli Cavaleri. 12.11.1633. Gregorio Caria vendeva a Caterina Giordano, vedova del quondam Joannes Petro Aquila, la domus terranea posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della venerabile “Ecc.ae dirute ditte Santi nicolai delli Cavaleri”, confine la domus di Joannes Vincenzo Riccio, la domus di Joannes Baptista Hijerardo, dalla parte superiore, “justa domum Presbiteris seu Casaleni Jo(ann)is Jacobi de aquila”, la via pubblica ed altri fini, gravata dall’onere perpetuo di annui carlini 3 alla chiesa di S.ta Maria “Magne” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 097v-098v).

[x] 14.09.1634. Relativamente alla casa che Sanzone Salerno e Gorio Caira avevano venduto a Caterina Giordano, vedova del quondam Gio: Petro Aquila, si riferisce che questa era gravata dal peso di annui carlini 3 nei confronti della chiesa di S.to Angelo “lo melillo”, che però, al presente, esigeva quella di S.ta Maria “la grande” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 139v-140v).

[xi] 12.11.1623. Dietro l’istanza di Livio Zurlo, agente per parte di Mario Sarsalis, sindaco della città di Catanzaro, il notaro con il giudice ed i testi sottoscritti, si portava nella domus del presbitero Salvatore de Richetta, parroco e rettore della chiesa parrocchiale di S.ta Maria “Magnae”. Qui, tra i “libros, et scripturas spettantes ad dittam parochia”, fu rinvenuto il libro scritto dal quondam D. Minico Palatio, parroco predecessore “premortuum”, intitolato “libro delli matrimoni solemnizati per me d. dominico palazzo paroco et Curato delle venerabile chiese unite Santa maria la grande Santo nicola delli Cavaleri, et santo Angilo dello melillo della terra di poliCastro della Diocesi di santa severina fatto per ord.ne dell’Ill.mo et R.mo Alfonso pisano arcivescovo di santa severina in visita Conminciato à di dece di ottobre 1592” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 117-118;). 09.12.1612. Il presbitero Joannes Dominico Palatio, cappellano e curato della venerabile chiesa di “sante marie magne”, dichiarava che, il 06.11.1611, aveva celebrato il matrimonio tra Joannes Dom.co Mannarino e Joanna Piccolo, figlia di Lucretie Scalise, come appariva dal libro in cui erano annotati simili atti (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 053v-054). 17.03.1613. Il presbiter Dom.co Palatio cappellano e curato della venerabile chiesa di “sante Marie magne”, dichiarava che il 11.01.1609 aveva celebrato il matrimonio tra Vincenso Romano e Caterina Vecchio (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 072-072v).

[xii] 27.12.1622. Il presbitero D. Salvatore de Arrichetta o Richetta di San Joanne Monaco, ma abitante in Policastro, cappellano e curato di “Santae Mariae Magne”, il 04.07.1620 aveva fatto testamento stipulato per atto pubblico dal not.o Jacinto Richetta di Policastro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 062v). 18.09.1630. Don Salvatore Richetta “Curato, et Cappellano”, o “paraco” di S.ta Maria Magna dichiarava che il 21.09.1628 giorno di San Matteo, aveva unito in matrimonio Joannes o Gianni de Franco ed Isabella Faraco (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 163-163v). 07.01.1631. Davanti al notaro, tra gli altri,  compare D. Salvatore de Arrichetta “incola” in Policastro e parroco di S.ta Maria Magna (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 002-002v).

[xiii] 15.08.1609. I beni promessi dal presbitero D. Vincenso de Fiore, a Dominica Massa che andava sposa a Joannes Dom.co Argise, erano gravati dal peso di carlini dodici e mezzo per “una meza edomada nella Cappella della presentatione della madonna Capp.lla delli venturi nella chiesa di santa maria della grande” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 149-151).

[xiv] Pochi sono i testamenti contenuti nei protocolli dei notari di Policastro della prima metà del Seicento, che documentano di sepolture nella chiesa. 23.02.1605. Nel suo testamento, Francischina Lamanno, abitante dentro la terra di Policastro “in convicino Ecclesie santi Angeli”, disponeva di essere seppellita nella chiesa di “santa maria della grande” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 228v-229v). 06.09.1645. Joannes Dom.co Cavarretta de Petro, disponeva di essere seppellito nella chiesa della S.ta Maria “la grande” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 076v-078). 13.02.1654. Nel suo testamento, Luca de Pace disponeva di essere seppelito nella chiesa di S.ta Maria “la grande sua Parocchia” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 010v-011). 18.03.1654. Nel suo testamento, la vedova Vittoria Richetta,  disponeva di essere seppellita nella chiesa di S.ta Maria “la grande” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 029-030). 10.04.1654. Nel suo testamento, Minicella Converiati disponeva di essere seppellita nella chiesa di S.ta Maria “la grande” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 042-043). 12.11.1654. Nel suo testamento, Francisco Arcuri, disponeva di essere seppellito nella chiesa di S.ta Maria “la grande” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 153-153v).

[xv] 20.09.1605. La domus “terranam” delle sorelle Antonina e Betta de Carcello, che era appartenuta al quondam Rinaldo Carcelli loro padre, era posta nella terra di Policastro “justa ecclesiam sante Marie magne”, confine la domus della detta Ant.na, la via pubblica da due lati, “et parte posteriori justa casalenum ditte Ecclesie” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78 prot. 286, ff. 134-134v).

[xvi] 21.02.1654. Davanti al notaro comparivano la vedova Cornelia Scoraci, madre di Dominica Poerio, “Virginis in Capillo”, e Fran.co Cervino, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detta Dom.ca e detto Fran.co. Appartenevano alla dote “uno filo de Celsi” posti dentro il territorio di Policastro, nel loco detto “Sop.a la timpa de S.ta Maria la grande”, confine “li Celsi” di Pietro Faraco ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 013-015).

[xvii] 29.02.1613. Joannes Faraco, nel suo testamento, lasciava erede il figlio Gio: Thomaso dei suoi beni, tra cui: i gelsi posti nel loco detto “lo ringo”, confine i gelsi di Pagano ed il gelso di S.ta Dominica e “le porghe di sotto le mura di s.ta Maria della grande” e i gelsi del q.m Fran.co Ant.o Leusi e la via pubblica ed altri fini; le case poste in “loco ditto in nansi s.ta maria della grande” tanto la casa palaziata “di sopra”, come l’altra casa palaziata “di sotto”, confine la casa di Serafino Cavarretta e la casa di Gio: Paulo Maurello, vinella mediante, e la via pubblica da due lati; un’altra casa con un casalino e parte di un orto, sita similmente in detto loco “sancta Maria della grande”, confine la casa del quondam Petro Cavarretta e Faustina Bruna e la via pubblica (ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 37-40). 21.07.1605. Il notaro Horatio Scandale di Policastro, per riscattare un “ortale arboratum sicomis” pignorato, posto nel territorio di Policastro loco detto “lo ringho iusta domos ipsius not.ii Horatii justa sicomos Notarii Fran.ci accetta justa bona Cesaris Rizzia et bona q.m Fran.ci Ant.o Leusi et alios fines”, detenuto al presente da Cesare Curto, prendeva in prestito da Joannes Baptista Rocca, procuratore della venerabile chiesa di S.ta Caterina, la somma di ducati quaranta, impegnandosi a pagare il censo annuo di ducati quattro ogni anno alla metà di agosto ad iniziare dal prossimo anno 1606 ed obbligando i suoi beni (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Busta 78, prot. 286 ff. 116-117v). 16.02.1609. In occasione del matrimonio tra Leonardo Jacometta e Caterina Rizza “virginis in capillo”, faceva parte della dote un ortale di gelsi posto nel territorio di Policastro loco detto “lo ringo”, confine i gelsi del quondam Fran.co Ant.o Leusi dalla parte di sopra, i gelsi del notaro Fran.co Accetta “dello lato” e la via pubblica (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 130v-132). 15.11.1616. Davanti al notaro comparivano Vespesiano Blasco, tutore ed “avus Maternus” di Andriana Leusi, figlia del quondam Fran.co Antonio Leusi, e Joannes Dominico Pantisano della città di Crotone, padre di Peleo Pantisano, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Peleo e la detta Andriana. Apparteneva alla dote la “continentia di celsi” posta nel territorio di Policastro loco detto “lo ringo”, “iusta le mura della citta” e i gelsi del notaro Fran.co Accetta, la via pubblica ed altri fini, stimata del valore di ducati 550 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 146v-155v).

[xviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 236-237;  Busta 78 prot. 287 ff. 091v-092v e 203; Busta 78 prot. 288, ff. 028v-029v, 064v-065, 079-079v, 084v-085v, 102v-103; Busta 78 prot. 290, ff. 009-009v, 036-036v, 062-062v, 090v-092, 119-120v, 143-143v, 143v-144v, 155v-157; Busta 78 prot. 291, ff. 045-046, 055-056, 094v-095, 124-125; Busta 79 prot. 293, ff. 016v-017v, 020v-021v; Busta 79 prot. 294, ff. 107-107v, 114-115v, 117-118; Busta 79 prot. 295, ff. 005-005v; Busta 79 prot. 296, ff. 025v-026v, 027v-029, 041v-042v, 059v-060v, 073v-074v, 109v-110v, 148v-150; Busta 79 prot. 297, ff. 007-008, 034-034v, 083v-084, 087-088, 110-111, 127-129, 158v-159, 159-159v; Busta 79 prot. 298, ff. 069v-075; Busta 79 prot. 299, ff. 014-015, 025-026v, 026v-028, 056v; Busta 80 prot. 301, ff. 022v-025, 027v-028v; Busta 80 prot. 302, ff. 019-019v, 112v-113; Busta 80 prot. 303, ff. 010-011, 029-030v; Busta 80 prot. 304, ff. 055-057, 071v-072v; Busta 80 prot. 305, ff. 025v-027, 029-030v, 071-072, 072-073; Busta 80 prot. 306, ff. 022v-023v, 043v-045, 110v-111; Busta 80 prot. 307, ff. 006v-007v, 038v-040, 043-044v, 045-046v, 052-053, 054v-055v, 059-060v, 064-064v, 064v-065v, 067-067v, 069-070, 070v-071, 071v-072v, 074-075v, 076v-078, 078-079, 082-082v, 088v-089, 093-094v, 100v-101v. ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 37-40. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 048v-049v; Busta 182 prot. 802, ff. 039v-040, 054-055; Busta 182 prot. 803, ff. 006-008v, 046-047, 103-104, 104-105v, 126v-127v; Busta 182 prot. 804, ff. 007v-009, 019-020, 075-077v, 098v-101, 105-107v, 134-136, 143v-144, 150-152, 165-167; Busta 182 prot. 805, ff. 007v-009; Busta 182 prot. 806, ff. 059v-061v. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 016-019v, 044v-046, 068-069v, 071-072v, 107-108v; Busta 196 prot. 875, ff. 011-012v, 016-018, 055-061, 101v-107, 107-108v, 109-109v; Busta 196 prot. 876, ff. 005v-006v, 010v-011, 021v-023, 044v-045v, 048v-050, 070-071, 076v-077; Busta 196 prot. 877, ff. 007-008, 043v-045; Busta 196 prot. 878, ff. 017-019, 040v-041v, 056v-057, 060v-061, 062v-063, 065-065v, 067-067v, 069-070, 073v-074, 085-086v; Busta 196 prot. 879, ff. 005-007, 010v-011, 011-013, 013-015, 029-030, 036v-038, 040v-042, 042-043, 055v-056v, 058v-060v, 077v-079, 085v-089, 089-090, 090-091, 111-112v, 116v-118, 118-119v, 121-122, 123-124, 127-128, 141-142v, 151v-152v, 153-153v, 156-157; prot. 880, ff. 010-011, 012v-014v, 022-023, 023-024, 027-028, 056-057, 057-058, 060-061, 069v-070, 088v-089v, 092-093, 102v-103, 103-104, 111v-113, 116v-118, 118v-119, 123-124, 138-142, 158-159, 167-168, 193v-195v.

[xix] Come apprendiamo da una platea dell’abbazia di Sant’Angelo de Frigillo redatta nel 1603, tra i censi posseduti ancora a quel tempo dalla detta abbazia in Policastro, che risultavano comprovati da una “platea veteri”, figurava quello che spettava pagare a “Matteo Cavarretta per una Casa palatiata dentro detta Terra alla Par.a di S.ta Maria, iuxta la Casa di Cesare Mauro, paga grana 6 ut supra” AASS, 124B. Negli atti dei notari di Policastro della prima metà del Seicento, l’identificazione di una abitazione in parrocchia di Santa Maria Magna, ricorre per la prima volta il 20.01.1623. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 067v-069.

[xx] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 161v-162; Busta 79 prot. 297, ff. 028v-029, 056v-057v, 116-117, 117-118, 155-156; Busta 79 prot. 298, ff. 016-017v; Busta 79 prot. 299, ff. 033v-034v, 047-048, 048-049; Busta 79 prot. 300, ff. 019-020, 079-080; Busta 80 prot. 303, ff. 036-037, 139-140; Busta 80 prot. 304, ff. 080-081; Busta 80 prot. 305, ff. 047-048. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 009-010; Busta 196 prot. 876, ff. 006v-007v, 045v-048v; Busta 196 prot. 879, ff. 029-030.

[xxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 059v-061.

[xxii] 23 dicembre 1634. “Laelio Scandael (sic) providetur de parochiali ecclesia S. Mariae de Prandis, (sic) terrae Policastri, S. Severinae dioc., vac. per ob. Salvatoris Arrichetta, de mense Octobris ex. Ro. Cu. def..” (Russo F., Regesto VI, 31799).

[xxiii] 06.01.1644. Il Rev.s D.r D. Lelio Scandale, “Parocho” della chiesa di S.ta Maria “la Magna”, attesta che “nell’ibro Battismale” della sua parrocchia alla data del 01.18.1643, era annotato il battesimo di Giulia nata il 27.07.1643, figlia di Gio: Battista Jerardo e Catherina Caira, i cui “Patrini” erano stati Carlo di Cola e Minica Spinello (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 006). 01.09.1645. Il D.r D. Lelio Scandale “Parocho di santa Maria la magna” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 109-111). 15.08.1647. Il Rev.s dottore Lelio Scandale parroco di S.ta Maria Magna (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 074v-078).

[xxiv] 8 agosto 1659. “Vicario generali archiep.i S. Severinae mandat ut Dominico Cappano (sic, ma Cepale), pbro, provideat de parochiali ecclesia S. Mariae la Magna, civ. Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc., vac. per dimissionem Lelii Scandale, qui Archipresbyteratum S. Iuliani, terrae Cutri, assecutus est.” (Russo F., Regesto VII, 38736).

[xxv] 14.10.1645. Antonio Jordano, anche per parte di sua figlia “pupillae” Catharinella Jordano, donava alla “suam Parochialem Ecc.m” sotto il titolo di S.ta Maria “Magnae”, e per essa al “Reverendo Doctore” Lelio Scandale, rettore e parroco della detta chiesa, la somma di sei ducati che gli doveva Joannes de Franco, a complemento di ducati 31 con gl’interessi decorsi fino a quel momento, riferiti alla vendita di una “Domus et largo” fatta da Fiorella Scandale “socera” di detto donatore (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 148v-150).

[xxvi] Rende P., La chiesa “Matrice” di san Nicola “de Policastro” nel luogo detto “la Piazza”, in www.archiviostoricocrotone.it

[xxvii] 11.02.1644. Elisabeth Cavarretta moglie di Leonardo de Renda, lasciava per testamento ducati 5 alla chiesa di S.ta Maria “la grande”, per comprare “tanti ceramidi per coprirsi d.a Chiesia”, denaro che si sarebbe dovuto prelevare da quello che le spettava dal Monte di Gorio Bruno al tempo che sarebbe stato ottenuto. Lasciava anche ducati 3 al D.r Lelio Scandale, cappellano della detta chiesa, per celebrare tante messe per la sua anima, da pagare con il denaro del detto Monte (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 045-046v). 19.04.1645. La vedova Livia Caccurio, lasciava per testamento ducati 20 alla chiesa di S.ta Maria “della grande”, di cui ducati 10 al R. D. Lelio Scandale, “Parocho d’essa”, per la celebrazione di tante messe per la sua anima, e ducati 10 “per reparat.ne di d.ta Chiesia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 064v-065v). 06.07.1645. Francisco Mannarino lasciava per testamento carlini 20 a S.ta Maria “della grande” “per riparat.ne della Chiesia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 069-070). 06.09.1645. Joannes Dom.co Cavarretta de Petro, lasciava per testamento annui carlini 25 in perpetuo per la celebrazione di tante messe per l’anima sua e quella dei suoi “ante pass.ti”, nella chiesa di S.ta Maria “la grande”, da pagarsi con le entrate della sua possessione della “Conicella” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 076v-078). Dietro richiesta del testatore, lo stesso giorno il notaro ritornava nella sua casa per modificare il testamento fatto precedentemente. Cassato il legato con il quale si lasciavano carlini 25 in perpetuo alla chiesa di S.ta Maria “la grande”, il testatore disponeva di dare ducati 5 di messe alla stessa chiesa ed altri ducati 5 alla detta chiesa “per reparat.ne d’essa per la fabrica, e vestim.to” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 078-079).

[xxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 020-021; Busta 80 prot. 301, ff. 073v-074v.

[xxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 143v-144v; Busta 80 prot. 302, ff. 101v-103. Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 046-047. Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 080v-082.

[xxx] AASS, 035A.

[xxxi] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 063-064.

[xxxii] AASS, 37A.

[xxxiii] “In Civitate Policastri”, “Est alia Ecc.a Parochialis Curata sub Invocat.ne S. Mariae Magnae, Curam Animarum exercet Parochus.” (ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1675).

[xxxiv] AASS, 029A.

[xxxv] “Nel 1687 questa parrocchia comprendeva 712 filiani dei quali 75 non toccanti il settennio.” (Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 202).

[xxxvi] Gennaio 1686. “De parochiali ecclesia S. Mariae La Magna, oppidi Policastro, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc. vac. per ob. Dominici Cepala, de mense novembris praeteriti def., providetur Iacobo Ant. De Rosis pbro oriundo, approbato in concursu.” (Russo F., Regesto IX, 45387).

[xxxvii] Ottobre 1693. “De parochiali ecclesia S. Mariae La Magna, loci Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus 50 duc., vac. per ob. Iacobi Ant. La Rosa, de mense Augusti def., providetur Iosepho Ianniti, pbro oriundo approbato in concursu.” (Russo F., Regesto IX, 46862).

[xxxviii] “Alla parte poi più suprema, e Boreale principia la Chiesa Parocchiale di Santa Maria la Magna contradistinta da quella di Santa Maria piccola, di cui non si sa preciso il luogo, ma ben la credo aggregata a questa medesima, insieme con l’altra sua convicina di Santa Maria dell’oliva, dove io mi ricordo la messa ed ora Proh dolor! domus Dei stabulum est”. “La Parocchia fu propriamente ove è fabricato il palazzo del fu D. Antonio Martino ora posseduto da Lorenzo Pipino ma il Martino la fe stalla” (Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723). “Convicina ad essa (Santa Maria Magna ndr) era la chiesa di S. Maria dell’Oliva e sorgeva dove ora è il palazzo Mancini: è ancora visibile l’arco del portale di fronte all’attuale fontana.” (Sisca D., Petilia Policastro, 1964 p. 202).

[xxxix] AASS, 24B, fasc. 1.

[xl] AASS, 24B, fasc. 1.

[xli] “Parochialis Ecclesia S(an)ctae Mariae Lamagna, sive in Caelum Assumptae regitur per eius Parochum Curatum R(everen)dum D. Joannem Dominicum Pace; habet suum tabernaculum pro Sacris Speciebus asservandis, fontem Baptismalem cum Sacris Oleis, et duo Altaria praeter majus.” (ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765).

[xlii] “Beneficium Sancti Antonii Abbatis de familia Berardi erectum in Capella eiusdem Sancti sita in Paroeciali Ecclesia Sanctae Mariae La magna, regitur per eius Beneficiatum Diaconum Brunonem Berardi.” (ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765).

[xliii] Luglio 1776. “De parochiali S. Mariae Maioris, als la Magna, oppidi Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc., vac. per ob. Dominici Pace, de mense Februarii def., providetur Petro Grani, pbro, in concurso approbato.” (Russo F., Regesto XII, 66972). In precedenza, dopo essere appartenuta a D. Giuseppe Iannici, la chiesa fu concessa al presbitero Prospero Mandarino. 17 febbraio 1724. “Carolo Cerro, U.S. ref. et antiquiori canonico ecclesiae S. Severinae, ac Vicario Generali archiep.i S. Severinae, mandat ut Prospero Mannarino, pbro dictae dioc., provideant de ecclesia S. Mariae, terrae Policastri dictae dioc.” (Russo F., Regesto X, 55017).

[xliv] AASS, 24B fasc. 3.

[xlv] Vivenzio G., Istoria e Teoria de Tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli 1783, p. 326. “Policastro, che fu in gran parte distrutta dal temuoto del dì 28 e il restante fu fracassato, ma non morì alcun cittadino”. De Leone A., Giornale e Notizie dè Tremuoti accaduti l’anno 1783 nella provincia di Catanzaro, 1783.

[xlvi] AASS, 86A.

[xlvii] AASS, 24B fasc. 3.

[xlviii] “Dal Paroco di S. M.a La Magna d. 003.00” AASS, 24B fasc. 3.

[xlix] Febbraio 1806. “De parochiali S. Mariae Maioris, oppidi Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc. vac. per ob. Ioannis Dominici Cavarretta, de mense Augusti def., providetur Vito Madia, pbro oriundo 26 an., concionatori, in cura animarum versato, in praesenti concursu approbato et ab archiepiscopo commendato.” (Russo F., Regesto XIII, 69781). Il 23 agosto 1805, moriva il parroco di “S. maria magiore” di Policastro D. Gio: Domenico Cavarretta (AASS, 24B fasc. 2).

[l] AASS, 24B fasc. 2.

[li] AASS, 053A.

[lii] AASS, 24B fasc. 2.

[liii] AASS, 034B.

[liv] AASS, 034B.

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Dalla “terra” medievale alla “città” moderna: lo sviluppo urbano di Policastro (sec. XII-XVII)

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Petilia Policastro (KR), da www.funghiitaliani.it.

Allungato tra il massiccio del monte Gariglione e la valle del fiume Tacina, unico, tra quelli vicini, ad addentrarsi profondamente nella Sila, il territorio di Policastro conserva ancora oggi alcuni tratti caratteristici, che ci permettono di apprezzare alcune delle sue antiche peculiarità.

Una lettura che è possibile condurre anche studiando le caratteristiche dell’insediamento realizzato dai suoi abitanti che, nel periodo compreso tra alto e basso Medioevo, lo colonizzarono a più riprese,[i] attraverso una forma sparsa caratterizzata dalla residenza in “casali”,[ii] comune a tutta l’area collinare interna della Calabria centrale posta a ridosso del massiccio silano (Cosenza, Taverna), adatta e funzionale alla economia pastorale che caratterizzò la socialità di quelle antiche genti fin dalla loro originaria organizzazione politica.[iii]

Panoramica della vallata del Tacina visibile da Petilia Policastro (KR).

 

Un abitato antico

Anche se la documentazione disponibile a riguardo risulta particolarmente esigua e controversa, l’esistenza della diocesi di ὁ τοῦ Пαλαιοϰάστρου (“Palaeocastri”) sembra riferibile ad epoca anteriore al Mille.[iv]

In relazione agli avvenimenti che interessarono i luoghi appartenenti all’arcidiocesi di Santa Severina durante questo periodo, possiamo avanzare l’ipotesi che questo toponimo, qualificando Policastro come un abitato fortificato di antica fondazione,[v] potrebbe aver trovato la sua genesi in tempi precedenti alla fase di “Incastellamento” (sec. IX-X), e successivi all’arrivo dei Longobardi nella parte settentrionale della regione (VII-VIII sec.), quando i territori di “Calabria” appartenenti all’arcidiocesi di Santa Severina e adiacenti alla Sila, mantenuti nel dominio dei Bizantini lungo tale confine, furono oggetto di aspre lotte, che trovarono coinvolti anche gli Arabi durante la seconda metà del sec. IX.[vi]

Il luogo compare nel suo stato arroccato e munito ancora agli inizi del dominio normanno, quando il Malaterra riferisce che, durante la spedizione che portò il duca Roberto e suo fratello Ruggero ad espugnare alcuni “castra Calabriae”, nell’anno 1065 il “castrum” di Policastro fu distrutto e tutti i suoi abitanti furono condotti dal duca “apud Nicotrum, quod ipso anno fundaverat”.[vii]

La distruzione del kastron/castrum, preludio alla costituzione della χώρας (“terra”) di Policastro (Παλαιοκάστρου),[viii] come risulta documentato dalla metà del sec. XII, lascerà segni evidenti nella sua struttura urbana dove, con l’avvento dell’età feudale, si rileva l’esistenza di un abitato strutturato in due nuclei ben distinti: il castello (castellum), luogo del potere signorile, eretto dai nuovi feudatari normanni in alto, sul posto verosimilmente occupato dalla precedente fortificazione bizantina distrutta (kastron), e la “terra” sottostante o “asti” (άστεως χώρας),[ix] soggetta al loro dominio.

Petilia Policastro (KR), topografia della località (particolare della sez. 1:10000 del F. 237 della Carta d’Italia dell’IGM).

 

La forma urbis medievale

I due nuclei, che riassumono l’assetto urbano del luogo a seguito dell’introduzione del Feudalesimo, risultano evidenti all’indagine aerofotografica, che ci consente di circoscriverli con una certa precisione: il castello posto “in capite terrae praedictae versus occidentem”,[x] nel luogo più favorevole per sbarrare la via che, discendendo dalla Sila, si dirigeva verso i due principali attraversamenti del fiume Tacina, (quello presso Roccabernarda e quello presso San Pietro di Niffi), e la terra, dove era concentrato il principale popolamento del luogo, caratterizzata da un circuito murario di forma regolare ed ellittica, che racchiudeva l’area attorno all’antica chiesa di San Nicola “de Policastro”,[xi] dove convergevano e s’incrociavano le due vie principali che attraversavano il territorio.

Analogamente ad altri casi che possiamo riscontrare nel Crotonese (Crotone, Strongoli, Santa Severina, ecc.), fuori da questo circuito ed a ridosso di uno degli accessi, possiamo individuare la “Judeca”, dove risiedeva la comunità ebraica.

Assetto urbano di Policastro agli inizi del periodo basso medievale: Castello (A), Terra (B), Judeca (C).

Direttrici viarie incentrate su Policastro e principali collegamenti.

 

Un nuovo assetto

Rispetto a questa organizzazione dello spazio urbano durante il periodo medievale (sec. XI-XV), quando rimase una netta distinzione tra la terra ed il castello, rileviamo in seguito un riassetto che possiamo far risalire agli inizi del sec. XVI, al tempo del conte Andrea Carrafa che, analogamente ai casi di altri luoghi sottoposti con la forza al suo dominio (Cirò, Santa Severina), condusse all’accorpamento di questi due nuclei, coinvolgendo ambiti caratterizzati precedentemente, da una giurisdizione autonoma.

Conferme in questa direzione ci provengono dall’antico castello di Policastro, relativamente cui si conserva un atto del 14 agosto 1386 che testimonia l’esistenza del “cast.m” della “Terram Policastri”,[xii] e dalla vicina chiesa di Santa Maria “vulgo detta la Magna” di presentazione regia,[xiii] che risulta richiamata “in loco detto il Castello”,[xiv] e che compare per la prima volta in qualità di parrocchiale nel 1418.[xv] Al tempo di re Alfonso I d’Aragona (1442-1458), risalgono invece le prime notizie relative alla parrocchiale di San Nicola “deli Cavaleri”, che sorgeva nelle vicinanze della porta cittadina detta del Castello,[xvi] e dell’altra parrocchiale di Sant’Angelo de lo Milillo.

Petilia Policastro (KR), località Rione Castello.

Successivamente, invece, lo spazio occupato anticamente dal “castellum”, dove il potere signorile aveva costituito un insediamento autonomo e distinto rispetto a quello della “terra”, passò ad essere compreso entro il circuito murario ed i confini urbani di quest’ultima. Ciò avvenne come conseguenza della rivolta che seguì alla perdita della condizione demaniale da parte dei cittadini di Policastro che, il 14 ottobre 1496, assieme ad altre terre, re Federico vendette ad Andrea Carrafa con il titolo di conte.

In questa occasione, quale simbolo del potere feudale, il castello fu distrutto dai ribelli per non essere mai più ricostruito. Nel 1520, in occasione della reintegra dei beni feudali della “Terrae Policastri” appartenenti al conte di Santa Severina, compare infatti “In primis Castrum dirutum”, del quale sopravvivevano comunque, chiare evidenze delle antiche vestigia dei suoi edifici e dei fossi che lo avevano precedentemente limitato rispetto alla campagna ed all’abitato (“cum apparentia, et evidentia fossi dicti Castri, ac Vestigiorum, et edificiorum ipsius in capite terrae praedictae”).[xvii]

Tali resti particolarmente consistenti permarranno a lungo. La documentazione notarile precedente al terremoto del 1638, evidenzia infatti che, fino a quel tempo, i ruderi del castello rimanevano ancora a testimoniare chiaramente il luogo in cui la fortificazione era esistita nel passato. É del 12 giugno 1630 un atto rogato dal notaro G. B. Guidacciro nel “castro deruto” di Policastro.[xviii]

Resti di murature scarpate in località Rione Castello di Petilia Policastro (KR)

A quel tempo, il luogo “ubi dicitur lo castello” posto “intus praedittam Civitatem”, nelle vicinanze delle rupi dette le “ripas della difesa”, dove esisteva ancora un “muro” chiamato “lo castellum”,[xix] oltre alla presenza di alcune abitazioni con i loro orti appartenenti a privati cittadini, come ad esempio quelle dei Tuscano,[xx] era caratterizzato dalla presenza di un ampio spazio aperto chiamato “lo largo di d.tto Castello”, dove si trovava la chiesa eretta dal presbitero D. Jacobo de Aquila sotto il titolo di San Giacomo Maggiore contigua con il suo palazzo.[xxi]

Attualmente il toponimo “Castello” trova riscontro nella toponomastica cittadina, dove troviamo: “Via Salita Castello”, “Vico Castello” e “Rione Castello”.

La parte dell’abitato di Petilia Policastro identificato ancora oggi come “il Castello”, in un vecchio panorama visto da nord-ovest (foto Mimmo Rizzuti).

 

La “città” regia

Dopo essere appartenuto ai conti di Santa Severina, nel 1564 il feudo di Policastro fu acquistato dal barone di Sellia, Giovan Battista Sersale. A seguito di ciò l’università ricorse al vicerè, chiedendo di essere immessa in regio demanio, ed attraverso l’interessamento dell’arcivescovo di Santa Severina Giulio Antonio Santoro, la richiesta fu ottenuta nel 1568, quando Policastro comprò la condizione demaniale pagando al Sersale la cifra di 22.000 ducati, che questi aveva sborsato per l’acquisto del feudo.

Nella realtà però, non possedendo questa somma, l’università fu costretta ad indebitarsi senza rimedio vendendo le proprie entrate feudali, che furono acquistate dalla duchessa di Castrovillari pagando la somma di 16.000 ducati. Tale vendita escludeva naturalmente “la giurisdizione et dominio dei vassalli”, che rimaneva alla regia Corte.[xxii] Successivamente, dopo essere state incamerate dal re, le entrate feudali di Policastro furono vendute al policastrese Gaspare Venturi dal quale, ancora una volta, ritornarono alla regia Corte, per essere infine acquistate nel giugno del 1625, per 12.000 scudi, da Aurea Morano baronessa di Cotronei, a cui successe il duca di Belcastro.[xxiii]

Petilia Policastro (KR), veduta del versante nord-ovest.

Agli inizi del Seicento l’abitato di Policastro che si estendeva dal luogo detto “il Castello” alla “timpa dell’ogliastro”, prossima alla chiesa di Santa Maria “delli fransisi”, che sorgeva nel luogo in cui oggi esiste quella di San Francesco di Paola, era protetto da mura poste a sbarrare l’accesso all’abitato.

Nella sua parte più alta, dove esisteva la “Porta del Castello” e permanevano resti delle fortificazioni più antiche, le mura poste vicino al luogo detto “la timpa della serpe et Turretta”, sovrastavano la via pubblica che discendeva “in molendino de cerratullo”, passando “di sotto le mura della citta”,[xxiv] e seguendo “una inselciata” ricavata riempendo il vecchio fossato posto a protezione della cortina, come riferisce il Mannarino successivamente.[xxv]

Dal lato opposto, le “mura della citta” giungevano alle prossimità della chiesa di Santa Maria Magna e munivano la parte nord-orientale dell’abitato, sfruttando le rupi poste lungo lo strapiombo detto “lo ringo”, sotto cui era diffusa la coltivazione del gelso.[xxvi] Da questa parte esisteva una porta di soccorso. Le terre “dello ringo seu porticella” compaiono già verso la fine del Cinquecento, “estramenia ditte Civitatis”.[xxvii]

Resti di murature scarpate sovrastanti la via Arringa di Petilia Policastro (KR).

Le “ripas seu menia dictae Civitatis” munivano anche l’area d’accesso alla “Portam nuncupatam della Piazza”,[xxviii] fuori dalla quale si trovava la chiesa “dell’Annunziata detta di Fuora”,[xxix] giungendo fino alla “porta nova”,[xxx] posta nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria “delli fransisi”, e del luogo extramoenia detto “Januam Nove seu timpam oleastri”, “ubi dicitur fore la porta nova de detta Citta”,[xxxi] dove esisteva la “ripam oleastri”,[xxxii] ovvero la “rupam oleastri”[xxxiii] o “timpa dell’ogliastro”.[xxxiv]

Da questa parte, le mura erano protette da un fossato che giungeva fino al luogo in cui, prima del terremoto del 1638, era esistita la chiesa di Santa Caterina ed in cui si trovava la porta omonima. La presenza delle mura nelle vicinanze della chiesa di Santa Caterina, comincia ad essere documentata già nei primi anni del Seicento,[xxxv] quando quest’ultima risulta richiamata nel luogo detto “la vasilea” o “la basilea”.

Petilia Policastro (KR), la parte dell’abitato prossima alla chiesa di San Francesco.

Un atto del 9 agosto 1613, testimonia infatti, che le case di Francisco Commeriati, poste dentro la terra di Policastro, confinavano con la chiesa di Santa Caterina, l’orto di Fran.co Paudari ed i “sicomos” di Petro Paulo Serra “ubi dicitur la vasilea”,[xxxvi] toponimo correlato all’esistenza in questo luogo del vallone “dittus la vasilea”,[xxxvii] ed alle “mura della Citta ditte similm.te la vasilea”,[xxxviii] come ricorda anche il Mannarino agli inizi del Settecento.[xxxix] Tale prossimità è testimoniata anche da altri documenti degli inizi del Seicento,[xl] che evidenziano qui l’esistenza dell’orto della chiesa, costituito dai “Celsi della vasilea”, ovvero “li celsi” detti “la vasilea”,[xli] posti nelle vicinanze delle rupi, dei valloni e dei fossi che proteggevano questo settore della cinta muraria.[xlii]

Le rupi proteggevano anche la vicina porta “della Judeca”,[xliii] accesso sovrastante la località detta “cimicicchio”,[xliv] realizzato in maniera tale da includere entro le mura, l’area dell’antica “Judeca”.

Petilia Policastro (KR), via Giudaica (dalla pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

 

Valloni e fossati

Importanti informazioni sull’assetto urbano medievale di Policastro, ci provengono dalla documentazione notarile seicentesca, attraverso cui è stato possibile ricostruire il percorso dei valloni adibiti alla canalizzazione principale delle acque meteoriche e di quelle correnti, che attraversavano l’abitato, sfruttando la presenza dei fossati realizzati anticamente per la protezione delle mura. Caratteristica questa, che ci permette di trovare preziose conferme alle indicazioni forniteci dalla fotografia aerea, circa il percorso della cinta muraria medievale.

Il sistema di raccolta e smaltimento delle acque bianche, in cui confluiva, comunque, anche lo scolo delle “bucerie” della piazza, era costituito dal “vallone” chiamato “la vasilea”, detto anche “della Turana” in quella porzione più prossima alle case appartenute alla quondam Lucretia Turana,[xlv] che si univa con il vallone “della Città” sotto le rupi dette “le catarrata”, precipitando così a valle.

Questo “vallonem Civitatis” che incanalava l’acqua (“vallonem Correntem”), originandosi “à Fumerello”,[xlvi] confinava con la domus palaziata di Minico Cavarretta,[xlvii] passando nelle vicinanze della casa di Gio: Paulo Jannici,[xlviii] e di quella di Fabio Amerato.[xlix] Discendendo verso valle, esso rimaneva sotteso alla piazza, passando nelle vicinanze della chiesa di “santi dimitri”,[l] delle case di Alfontio Caccuri,[li] e di quelle di Joannes Caccuri e di Francesco Comberiati.[lii]

Petila Policastro (KR), il luogo detto Fumarello (da www.diasporapetilina.it).

Detto anche “de Pantisano”,[liii] nella porzione prossima alla casa di Vespasiano Pantisano, posta in convicino della chiesa di Santo Dimitri e confinante con la domus di Alfonso Caccuri,[liv] questo vallone si univa con il “vallonum dittum della piazza seu bucerie” nell’area sottostante la “publicam Plateam”, dove esistevano la casa di Joannes Thoma Lamanno e quella degli eredi di Vincenso Coco e, dal territorio parrocchiale di San Nicola “de platea”, si passava a quello della parrocchia di San Pietro, in convicino della chiesa di Santa Maria delle Grazie.[lv]

Qui “lo Vallone della Città”,[lvi] passando nel luogo in cui era esistita la “Judeca”, dove assumeva l’appellativo di “valonnem magnum dittum la iudeca”,[lvii] giungeva alle “ripas dittas le catarrata”, per cui era anche comunemente detto “Le Catarrata”.[lviii] In questo luogo esistevano la casa di Caterina Popaianni e quella di Blasio Ritia detta del “Vallone”, che confinava, vinella mediante, con la chiesa di Santa Maria delle Grazie e si trovava in prossimità delle rupi dette “delle Catarrate”,[lix] dove erano convogliate tutte le acque e gli scoli che discendevano dall’abitato.

I valloni che attraversavano l’abitato di Policastro agli inizi del Seicento, in rapporto all’impianto urbano medievale della terra (A): il “vallonem Civitatis” (1), il vallone “della piazza seu bucerie” (2), il “valonnem magnum dittum la iudeca” detto anche “Le Catarrata” (3) ed il vallone detto “la vasilea” (4).

 

La viabilità seicentesca

Agli inizi del Seicento, nel luogo detto “fora la Porta del Castello”, passava la “via publica che si va a santa lucia”, o “santo martino”, ovvero la via pubblica “quod vaditur in montanea”, per la quale giungeva a Policastro la processione della Santa Spina,[lx] proveniente dal monastero degli Osservanti.

Da questa via che transitava per la porta “del Castello”, “per cui si esce in piano”,[lxi] si diramava quella che “discinditur in molendino de cerratullo” che, a differenza della precedente, procedeva invece un poco in pendenza.[lxii]

Entro le mura, invece, vicino alla porta della terra detta “del Castello”, dove si trovavano la chiesa ormai diruta di “Santo Nicola delli Cavaleri”, e quella di Santa Maria degli Angeli,[lxiii] la via detta “la via publica del Castello”[lxiv] discendeva lungo l’abitato, passando nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria La Magna, che si trovava “in loco detto il Castello”,[lxv] e giungeva nelle prossimità della chiesa di Santa Maria dell’Olivella, luogo affacciante verso “lo ringo”,[lxvi] dove si diramava in due.

Un primo tratto si dirigeva alla porta detta “della Judeca”, per la quale transitava la via che conduceva a Mesoraca, dove giungevano anche “la istrada che scende dalla santiss.a nuntiata”[lxvii] e quella che proveniva dalle vicinanze della chiesa di Santa Maria delle Grazie.[lxviii]

Nel “loco ubi dicitur la Crocevia di S.to Nicolò delli Greci” (1641),[lxix] presso la detta chiesa parrocchiale, questa via incrociava la “viam publicam dittam delurmo”,[lxx] che percorreva la piazza, dirigendosi alla “porta della piazza”,[lxxi] posta sulle rupi vicino a luogo detto “la ruga delli Vitilli”,[lxxii]  per la quale transitava la via che portava all’attraversamento del Tacina presso Roccabernarda. A questa via si congiungeva la “Strata nova”, ovvero la “viam quod escitur foris dittam terram”,[lxxiii] dopo essere transitata per “la porta nova”.[lxxiv]

Petilia Policastro (KR), la vecchia via che giungeva alla porta della piazza (dalla pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

L’altro tratto, costituito dalla  via pubblica “ditta delo ringo”,[lxxv] similmente al tracciato dell’attuale corso Roma, raggiungeva la porta della piazza percorrendo le timpe sovrastanti il “ringo”, che con i loro precipizi, munivano la parte settentrionale dell’abitato. Superata la piazza e continuando a seguire il tracciato dell’attuale corso Roma, questa via giungeva alla porta detta “di Santa Caterina”, da cui principiava la via che si dirigeva a Cutro, passando il fiume Tacina all’attraversamento posto presso l’abbazia e l’abitato di San Pietro di Niffi.

Petilia Policastro (KR), vista di corso Roma dalla piazza (dalla pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

La viabilità urbana di Policastro agli inizi del Seicento afferente alle sue cinque porte: la “Porta del Castello” (A),  la porta “della Piazza” (B), la “porta nova” (C), la porta “di Santa Caterina” (D), e la porta “della Judeca” (E). 1) San Nicola della Piazza (chiesa Matrice, arcipresbiterato), 2) SS.ma Annunziata detta “de Fora”, 3) Santa Maria delli Francesi, 4) Santa Caterina (esistente fino al terremoto del 1638), 5) San Pietro Apostolo (dopo il terremoto del 1638 detta di Santa Caterina), 6) Santa Maria delle Grazie, 7) Santa Maria la Nova, poi detta la SS.ma Annunziata Nova, 8) Santo Dimitri, 9) San Nicola dei Greci, 10)  Sant’Angelo della Piazza, 11) Santa Maria dell’Olivella, 12) Santa Maria Magna, 13) Santa Maria degli Angeli, 14) San Nicola deli Cavaleri, 15) San’Angelo de lo Milillo.

 

La piazza

L’esistenza di un “akroterio pubblico” (άκρωτήριον τώ διμωσιακών), luogo sommitale della “terra” di Policastro esistente presso la chiesa “Matrice” di San Nicola,[lxxvi] dove convergevano e s’incrociavano le due vie principali che attraversavano il territorio, risulta documentata già verso la fine del sec. XII,[lxxvii] continuando ad evidenziarsi verso la fine del periodo medievale, quando questa parrocchiale compare con il titolo di “S. Nicolai de Plateis”.[lxxviii]

I documenti della seconda metà del Cinquecento, c’informano che nel luogo detto la “piazza”, posto nelle vicinanze della “porta della piazza”, dove era stato fabricato “lo mezarulo”[lxxix] per misurare la quantità di cereali, legumi ed altre granaglie vendute in quest’area mercantile, si trovavano le botteghe,[lxxx] come continuano a documentare gli atti della prima metà del secolo successivo, riguardanti il convicino della chiesa Matrice,[lxxxi] che menzionano la “spetiariam” di Hijeronimo Poerio confinante con la “potecam” della confraternita del SS.mo Sacramento,[lxxxii] e le due “potighe” di Sansone Salerno, che confinavano con quella di Salvatore Traijna.[lxxxiii]

Il “Mercato della Domenica” nella piazza di Petilia Policastro (da www.diasporapetilina.it).

Una di queste botteghe di Sansone Salerno, ossia quella confinante con la “potica” appartenente al monastero di Santa Maria della Spina, passò in seguito a Jacinto Misiano.[lxxxiv]

La bottega di Jacinto Misiano, quella di Gio: Dom.co Campana, e quella di Petro Ant.o Scandale che andò a suo genero Gio: Petro Levato,[lxxxv] assieme a quelle di Scipione Romano e Giulio Berricello, si trovavano nel luogo detto più precisamente, “l’astrachello della piazza”, posto in convicino della chiesa Matrice e nelle vicinanze della chiesa di Sant’Angelo della Piazza e della “ruga delli vitilli”, che confinava con una domus “Cum Camera” che Mutio Campana vendette a Joannes Paulo e Laurentio Caruso.[lxxxvi]

Petilia Policastro (KR), la piazza (dalla pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

Il detto luogo confinava anche con il “palazzettum” di Jacinto de Cola che, nella parte inferiore, era costituito dalle “potiche” di Petro Ant.o Scandale, Gio: Dom.co Campana, Scipione Romano e Giulio Berricello mentre, nella parte superiore, vi era un “Cammarozzum” che, assieme a “l’aria di sopra di dette potiche”, il detto Jacinto vendette al clerico Joannes Fran.co Cepale.[lxxxvii] Agli inizi del Seicento “l’astrachello”, ovvero la “platea publica quod dicitur dell’astrachello”, era uno dei luoghi pubblici consueti di Policastro, dove avvenivano i bandi pubblici e gl’incanti dei beni dei debitori che erano posti all’asta per ordine della Curia.[lxxxviii]

Petilia Policastro (KR). In evidenza l’area in cui sorgeva la piazza pubblica detta “dell’astrachello”.

 

Lo spazio ed il tempo

Oltre a rappresentare il luogo in cui avveniva l’attività di scambio, la “platea publica” o “Piazza publica”, era il luogo solito e consueto dove, per tre giorni continui, il servente della Corte di Policastro, “Conforme il Costume della Città p(rede)tta”, provvedeva a bandire pubblicamente la compilazione degl’inventari e la vendita dei beni dei debitori, e dove si accendeva la candela in occasione degl’incanti.[lxxxix]

Più in generale, la piazza pubblica era il luogo destinato a tutte le pubbliche congregazioni, come avveniva in occasione delle elezioni e delle altre deliberazioni assunte comunitariamente dall’università dei cittadini quando, preceduti da “bannis, et pulsata Campana more solito pro conmitiis generalibus”, il sindaco, il mastrogiurato, gli eletti ed i cittadini, si congregavano nelle case o “sala” della Corte di Policastro[xc] posta nella piazza, alla presenza del capitano o governatore regio.[xci]

Petilia Policastro (KR), la piazza (dalla pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

Dovendo assolvere a queste funzioni pubbliche nei confronti della cittadinanza, fornendo a tutti la misura del tempo legalmente riconosciuta, questa campana o orologio pubblico, doveva essere mantenuta a spese dell’università, che doveva contribuire anche alla riparazione del suo campanile, come ribadiva l’arcivescovo di Santa Severina già alla metà del Cinquecento,[xcii] avendo comunque l’onere di provvedere alle spese relative al suo funzionamento, come  riferiscono i conti universali del 1647, attraverso i quali sappiamo che l’università di Policastro, spendeva annualmente 7 ducati per la “manutenzione dell’orologio”,[xciii] anche se, qualche anno dopo, risultava che questo si trovava fermo e non suonava.[xciv]

Esso era stato realizzato nelle immediate vicinanze della chiesa Matrice di San Nicola che, dalla parte delle “Rupes dictae Civitatis”, confinava, via mediante, con le case di Ippolita Zurlo che, a sua volta, confinavano anche con la casa degli eredi del quondam Marco Antonio Fanele ed i casaleni dell’olim Agostino Cavarretta.[xcv] Dalla parte opposta, “la detta chiesa” confinava con una “continentia di case con orto contiguo” appartenenti alla dote di Julia Rizza, che si trovava “circondata di quattro parti di vie publiche” e confinava con la casa di Gregorio Bruno e la casa del chierico Gio: Gregorio Rizza.[xcvi]

Da questa parte si trovava la “Campanacciam publicam”. Sappiamo infatti che la casa di Gregorio Bruno, posta in parrocchia della chiesa matrice, confinava con la casa degli eredi del quondam Joseph Caputo, vinella mediante,[xcvii] e quest’ultima confinava con la casa di Ferdinando Cappa e la casa di Fragostina Campana[xcviii] o Fragostina Ferraro “alias Campanacciam publicam”.[xcix]

Petilia Policastro (KR), campanile della chiesa Matrice.

 

L’ulmo vecchio e l’ulmo novo

Rispetto a questa situazione che traeva origine dall’assetto dato al luogo fin dall’età medievale, a seguito della ricomposizione urbana dell’abitato, l’estensione della “plateam” definita dal Mannarino “la Piazza Maggiore”,[c] fu mutata, come ci segnala l’apparire dei toponimi “l’ulmo vecchio” nella seconda metà del Cinquecento,[ci] e “l’ulmo novo”, documentato durante la prima metà del Seicento,[cii] periodo in cui compare anche il toponimo la “sala nova”.[ciii]

La presenza di un olmo nella piazza degli antichi abitati, dove gli affari e le adunanze pubbliche potevano svogersi al riparo del rigoglioso fogliame della sua chioma, risulta documentato in genere già nel Medioevo,[civ] come risulta anche nel Crotonese attraverso documenti posteriori.[cv]

Olmo campestre, Ulmus minor Mill.

Agli inizi del Seicento, il luogo di Policastro destinato all’ufficialità contraddistinto dalla presenza di quest’albero, dall’area antistante la chiesa Matrice e la chiesa di Sant’Angelo della Piazza, era stato traferito in un luogo più centrale, dove sorgevano le chiese di San Nicola dei Greci e di Santo Dimitri, e dove giungevano i confini della parrocchia di San Pietro.[cvi]

Qui, dove passava la “viam publicam dell’ulmo”,[cvii] si trovavano la domus palaziata posta “accanto l’ulmo”, che Ottavio de Pace donò a suo figlio Santo,[cviii] e la “sala” o “palatium”,[cix] dove risiedeva il capitano o governatore di Policastro.[cx] In relazione a ciò, il luogo era anche detto “dell’ulmo della Sala”,[cxi] e la via pubblica era anche chiamata la “viam publicam dittam la sala seu piazza”.[cxii]

In ragione della formazione di questo nuovo baricentro urbano, troviamo qui un’altra parte della struttura commerciale di Policastro che, integrandosi a quella esistente nelle prossimità della Matrice, aveva diramazione lungo l’asse stradale principale che discendeva dalla porta del castello.

In convicino di San Nicola dei Greci vi erano “la potica” di Betta Mazzuca[cxiii] e quella di Dominico Amannato,[cxiv] mentre, la “Potecam” del “publico mercante” Francesco Curto, esistente nelle case di Pietro Curto, era posta verso il confine parrocchiale con la chiesa Matrice.[cxv]

In quest’area centrale dell’abitato, altre botteghe si trovavano in convicino della SS.ma Annunziata nova,[cxvi] chiesa posta entro i limiti parrocchiali di San Nicola dei Greci, tra cui quella di Joannes Thoma Richetta posta “in loco ubi dicitur lo fumarello”[cxvii] che, successivamente passò a Joannes Carvello[cxviii] mentre, nelle vicinanze della chiesa di Santo Dimitri, esistevano “la potica” di Gio: Baptista Natale,[cxix] e quella di Vespesiano Pantisano.[cxx]

Petilia Policastro (KR), panoramica della piazza.

Le forge

Nei pressi esistevano anche le forge. La forgia del magister Francesco Conmeriati era posta in una casa terranea sita nelle vicinanze della chiesa di Santo Dimitri,[cxxi] e di quella di San Nicola dei Greci,[cxxii] nei pressi della piazza, nel luogo dove giungevano i limiti convicinali della Matrice,[cxxiii] e dell’altra parrocchiale di San Pietro. Dopo la morte del detto mastro, quando sappiamo che Joannes Dom.co Cavarretta de Nardo cercava di avviarsi a questa attività,[cxxiv] la sua vedova Andriana Rizza e suo figlio chierico Joannes Conmeriati, vendettero questa forgia al magister Petro Ercole della terra di Giffoni ma abitante in Policastro, avendo sposato Rosa Ceraldo.[cxxv] Quest’ultimo però, dopo averla migliorata sopraelevandola, in seguito dovette lasciarla, quando il detto chierico Joannes e sua madre, trovarono un nuovo accordo con il notaro Gio: Leonardo de Pace.[cxxvi] Successivamente, quest’ultimo la cedette a Stefano Apa.[cxxvii]

Nel frattempo aveva già avviato la sua attività di mastro forgiaro, Francesco Conmeriati de Silvestro, che possedeva una “forgia” in parrocchia di San Nicola dei Greci.[cxxviii] Dopo la sua morte l’attività della sua forgia fu dismessa.[cxxix]

In questo periodo ed in quest’area, abbiamo notizia di un’altra “forggia” esistente nelle vicinanze della chiesa di S.to Nicola “Grecorum”, appartenuta al quondam Baptista Mazzuca,[cxxx] (il quale esercitava quest’arte, come si dimostra nell’occasione in cui compare come apprezzatore dei miglioramenti fatti dal “mastro” Petro Ercole nella sua forgia),[cxxxi] e di un’altra in convicino della SS.ma Annunziata, posta nel basso della casa palaziata di Nardo Spinello.[cxxxii]

Un’altra forgia si trovava nella parte alta dell’abitato, in convicino della chiesa di Santa Maria degli Angeli,[cxxxiii] mentre, in convicino di Santa Maria la Grande, esisteva la bottega di Petro Carvello che passò a Santo Misiano,[cxxxiv] il quale la diede in dote a sua figlia Joannella.[cxxxv] Nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria dell’Olivella, risulta documentata l’esistenza della bottega di Joannes Vittorio Caccurio che passò a suo figlio Joannes Fran.co,[cxxxvi] e quella di Joannes Vincenzo Rizza.[cxxxvii]

Petilia Policastro (KR), la ferratura di un mulo (dalla pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

Una struttura antropomorfa

Conferma la situazione che possiamo ricavare dalla documentazione seicentesca, la descrizione fornitaci dal padre Mannarino agli inizi del Settecento, il quale assimilava la Policastro di quel tempo alla figura umana, le cui “membra” gli sembrava facessero capo alle cinque porte esistenti nelle mura della sua “Città”:

“La Città poi tiene cinque Porte, quasi che in altretante membra principali si divida il suo Corpo, e par che faccia Capo dalla prima Porta detta del Castello ad occidente per cui scendendo giù, viene primieramente à far quasi due braccia. Il destro si stende pendendo sino al Ghetto, ch’era anticamente delli Giudei; ov’è la Porta chiamata apposta della Giudea nella parte Australe, e nell’Aquilone risponde l’altro braccio alla terza Porta di rimpetto la Piazza maggiore. Altretanto poi come in due Piedi termina il resto dell’Aquilone nella nuova Porta de’ Francesi, ov’era il Quartiero di quella Nazione, dall’Austro nella quinta Porta di Santa Caterina, che più ferisce all’oriente, lungo le Mura di quel vecchio Tempio ad’essa Santa Vergine, e Martire consagrato; in cui dal misero avanzo dell’archi, latitudine, longitudine, sepolcri, sito, è di tutta la circonferenza, s’argomenta la di lui grandezza”.[cxxxviii]

 

Note

[i] Rende P., Vicende Feudali della “terra” di Policastro (sec. XI-XV), in www.archiviostoricocrotone.it

[ii] Il presente lavoro confuta le principali conclusioni di un mio scritto precedente (La Provincia KR, 25/2003) riguardante l’urbanistica di Petilia Policastro basato, analogamente ad altri riguardanti diversi centri del Crotonese che ho pubblicato in quel periodo, sull’interpretazione della fotografia aerea. In quella occasione, al fine di testare la metodologia adottata basata sulla fotointerpretazione, non mi sono avvalso di documenti storici, ma solo di qualche notizia già edita.

[iii] Rende P., La formazione del territorio Crotonese: dalla “chora” dei Brettii ribelli fino alle “terre” del “Marchesato” (sec. I-XIV), in wwwarchiviostoricocrotone.it

[iv] Parthey G., Hieroclis Synecdemus et Notitiae Graecae Episcopatuum, 1866, p. 126. Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi, C.A.M., Napoli 1957, pp. 43 e sgg.

[v] Russo F., La Metropolia di S. Severina, in Scritti Storici Calabresi, C.A.M., Napoli 1957, pp. 52-54.

[vi] Rende P., La formazione del territorio Crotonese: dalla “chora” dei Brettii ribelli fino alle “terre” del “Marchesato” (sec. I-XIV), in www.archiviostoricocrotone.it

[vii] Goffredo Malaterra, De Rebus Gestis Rogerii Comitis, in Muratori L. A., Rerum Italicarum Scriptores, Zanichelli N. Bologna s.d., tomo V parte I, p. 47.

[viii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 51-53; 60-62; 63-65; 66-70. Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Biblioteca Apostolica Vaticana 1958, pp. 348-350; 354-356. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 146-147; 152-154.

[ix] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, p. 66-70.

[x] “Che di quel gran Castello si à sicura memoria, ò ch’egli dilatato si fosse in Città, ò che la Città ristretta in lui, egli è ben vero dà due cento anni trecento anni avanti, di trovarsi menzione di lui e del suo Castellano, specialmente nell’Istrumento del Posesso, che dona la Città alli Padri osservanti del loro Convento oggi detto della SS.ma Spina, dove sono firmati oltre a dodici Parochi della Città, il Magistrato, e più particolari Patrizii, come oltresi Il Capellano, e Castellano del d.o Castello, qual Istrumento si conserva nel Archivio registrato da me, ed è in Carta Pergamena col Sigillo pendente di mano quasi Gotica. Ed ultimamente in un Inventario fatto sub l’anno mille cinquecento venti d’ordine di Carlo Quinto Imperadore à pro del Conte di Santa Severina Andrea Caraffa; sta posto il Castello per Capo, non sò se unito, o diviso dà tutto il Corpo cossi: Ista sunt bona Demanialia Curiae, et feudi, Terrae Policastri inventa, et reperta in dicto Castro, et eius pertinentiis videlicet In primis Castrum dirutum cum pertinentiis suis, cum apparentia, et evidentia fossi dicti Castri, ac Vestigiorum, et edificiorum ipsius in capite terrae praedictae versus occidentem.” “La forma della Città è due parti lunga e una larga, quasi in figura di Cilindro, ma distorto alquanto e fuorche nella parte occidentale, ove era già il famoso e superbo Castello, …” (Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723).

[xi] Rende P., La chiesa “Matrice” di San Nicola “de Policastro” nel luogo detto “la Piazza”, in www.archiviostoricocrotone.it

[xii] www.archiviodistato.firenze.it

[xiii] Rende P., La parrocchiale di Policastro intitolata a Santa Maria “Magnae”, poi detta “Maggiore”, nel luogo detto “il Castello”, in www.archiviostoricocrotone.it

[xiv] 27.07.1649. Giovanni Carvello vendeva al D.r Lutio Venturi, l’annuo censo di carlini 30 per un capitale di ducati 30 sopra i frutti dei suoi beni, tra cui una “Casa Palatiata cum Camera terranea contiqua”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.ta Maria la grande nel loco dove si dice lo Castello”, confine le case degli eredi di Antonino Polla, le case di Gio: Dom.co Grano, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 048v-050). 05.10.1660. In occasione della sua visita ai luoghi pii di Policastro, l’arcivescovo Francesco Falabella visitò la chiesa parrocchiale “vulgo detta la Magna” posta “in loco detto il Castello” (AASS, 37 A).

[xv] 21 aprile 1418. “Abbati monasterii S. Angeli de Frigillo, S. Severinae dioc., mandat ut Spiritui Brunecto, presbytero S. Severinae dioc., provideat de parochiali ecclesia S. Mariae Magnae de Policastro, eiusdem dioc., vac. per ob. Antonii Veca rectoris.” (Russo F., Regesto II, 9420).

[xvi] Rende P., Alcune chiese scomparse di Policastro poste entro le mura, in www.archiviostoricocrotone.it

[xvii] Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723.

[xviii] 12.06.1630. Atto rogato in Policastro “et prop.e in castro deruto ditte Ci”. Il notaro si porta “in castro sup(radi)tto” per la stipula del testamento di Marco Antonio Guarano U.J.D. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 115-116).

[xix] 23.09.1636. Isabella e Berardina Faraco, figlie del quondam Lutio Faraco, assieme a Faustina Coria, vendevano a Martino Vecchio, un ortale arborato con due “pedis sicomorum” e tre “pedis ficis”, posto “intus praedittam Civitatem ubi dicitur lo castello”, confine il “trappitum” del presbitero Joannes Andrea Alemanno, le “ripas della difesa muro Coniuntum dittum lo castellum”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 126v-127v). 06.08.1643. Nel suo testamento, Martino Vecchio lasciava a suo figlio Fausto Vecchio, l’orto posto nel loco “dove si dice il castello”, confine “lo tappito” del R. D. Gio: Andrea Alemanno, “le ripe della difesa”, la via pubblica, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 036-037v). 17.03.1645. Martino Vecchio prendeva in prestito dal pio Monte dei Morti eretto dentro la chiesa parrocchiale di San Nicola “Grecorum”, 50 ducati di liquidità provenienti dalle elemosine, impegnandosi a pagare un censo del 10 % con potestà affrancandi e redimendi. Il detto Martino garantiva il prestito ricevuto con tutti i suoi beni, tra cui l’ortale “arboratum sicomorum” posto dentro la terra di Policastro loco detto “lo Castello”, confine il “Tapetum” del Rev.s D. Jo: Andrea Alemanno, le “Rupas dictas Civitatis” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 038v-043v).

[xx] 29.10.1617. Joannes, Gerolimo e Vittorio Tuscano, quali eredi testamentari di Nardo Tuscano loro padre, si accordavano tra loro per spartirsi l’eredità paterna. Appartenevano a questa eredità: “lo casalino novamente fabricato inansi la morte di detto q.m loro padre”, posto dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.to Nicola “delli Cavaleri”, confine l’altra casa ereditaria contigua, “et la via publica del Castello”, “muro coniunto alla Cammera di Vittorio”; “la casa dove al presente habita detto gerolimo contigua in detto loco della parte di sotto con la scala fabricatizza per la quale hanno l’intrata detti Giovanni, et Vittorio”; “l’ortali posti inansi detta casa sotto parte la via publica” con il peso annuo che si pagava al dottor Horatio Venturij, confine la casa di Fran.co Spinello, la casa che era appartenuta al quondam Gio: Laurenzo Venuto e che, al presente, possedeva Petro Frontera, confine la casa di Gianni Poerio ed altri fini; “lo casalino” che era appartenuto al quondam Mattio Vecchio che era stato acquistato dal detto Gianni con denaro comune (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 060-061v). 25.08.1620. Vittorio Tuscano vendeva a Joannes Battista Cavarretta, la domus palaziata con casalino contiguo, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.to Nicola “delli Cavaleri”, confine la domus di Joannes Tuscano, la domus di Hijeronimo Tuscano, il “largum dittum delo Castello”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 057-057v).

[xxi] 04.06.1653. Nel proprio testamento, il presbitero D. Jacobo de Aquila disponeva che “nella sua Chiesia” eretta sotto il titolo di “S. Jacomo”, posta dentro la terra di Policastro e “pp.o nel loco dove si dice il Castello”, potessero servire li RR. del Clero di Policastro tra cui il D.re Fran.co Rizzuto della terra di Mesoraca (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 038v-039v). 02.08.1653. Il R. D. Gio: Jacomo Aquila asseriva di aver edificato, mediante licenza ottenuta dalla Corte arcivescovile di Santa Severina, una “Chiesia” sotto il titolo di “S. Giacomo Maggiore” posta dentro la terra di Policastro nel loco dove si dice “il Castello”, ovvero “nel Castello”, “contiqua” alle case di detto  D. Gio: Jacomo, confine “lo largo di d.tto Castello” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 043-047v).

“Hor in questa Chiesa della SS.ma Annunziata, ch’è così ammirabile per lavoro, riguardevole per ricchezza, ed’inarrabile per designo, vi è a lato sinistro la Capella dell’apostolo San Giacomo assai ricca lavorata in oro, assai ricca, perché D. Giacomo Aquila che la fondò con Chiesa a parte innanti il largo del diruto Castello, contigua al suo nobil Palazzo, da dove fù qui poi trasportata;” Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723.

[xxii] Pesavento A., Il feudo di Rivioti, in www.archiviostoricocrotone.it

[xxiii] Pellicano Castagna M., Storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, IV, p. 147.

[xxiv] 19.02.1620. Nella “platea pub.ca” di Policastro. Joannes Dom.co Cappa, servente ordinario della regia curia di Policastro, dietro l’istanza dell’università ed in base agli ordini del duca di Nocera, poneva all’incanto i seguenti beni di Gio: Alfonso Cerasaro: “lo Vignale di detto Cerasaro posto loco ditto fora la Porta del Castello fù del q.m Gratiano Golia la timpa della serpe et Turretta et la possessione di paternise fù di Fran.co Ant.o fanele” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 032-032v). 31.05.1620. Tra i beni che erano stati incantati nella pubblica piazza a Gio: Alfonso Cerasaro, in relazione ai suoi debiti nei confronti dell’università di Policastro, troviamo un vignale” detto il “vignale del Castello” della capacità di una tomolata circa, con un “pede di fico”, sito nel territorio di Policastro, loco detto “fora la porta del Castello”, confine “la timpa della serpe, et la via publica che si va a santa lucia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292 ff. 028v-039v; foto 549-559). 22.09.1620. In ragione del decreto del 18.09.1620 della Curia di Policastro, che dichiarava nulle le esecuzioni e le vendite di alcuni possedimenti di Joannes Alfonso Cerasari, perché effettuate “ultra Creditum” vantato nei confronti di detto debitore, alla data odierna, quest’ultimo era reimmesso nel pieno dei beni che erano stati oggetto dell’esecuzione, tra cui il “vinealis estramenia, et porta del Castello” di 1 tomolata e mezza alberato “cum uno pede ficis” posto nel territorio di Policastro, loco detto “fora la porta del Castello” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 062v-063). 20.12.1620. Fran.co Ant.o Fanele, nel passato, essendo venuto in accordo con Fabritio Scoraci, aveva acquistato all’incanto, con denaro comune, un vignale posto nel territorio di Policastro “fora la porta del Castello di detta Citta”, alberato con “un pede di fico”, confine “la via publica che si va a santa lucia confine la difisa esecuta contra Gio: Alfonso Cerasaro” dall’università di Policastro. Successivamente il bene, era stato venduto a D. Gegnacovo de Aquila ed il ricavato era andato in beneficio comune della “sotieta” costituita tra il detto Fran.co Ant.o ed il detto Fabritio. All’attualità il detto Fran.co Antonio cedeva la sua metà al detto Fabritio (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 086v-087). 22.06.1622. Antonio Fanelis è immesso nel possesso dei beni già appartenuti a Joannes Alfonso Cerasari, tra cui il vignale posto nel territorio di Policastro, loco detto “fora la porta del Castello”, confine la “timpam della serpe”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 031-032). 16.07.1622. Le terre dette “petra dello trono timpa della serpe, et santo martino seu santa lucia fora la porta del Castello” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 032v-033v). 16.07.1622. Loco detto “la timpa della serpe terre dello trono, et santa lucia”. I pezzi di terra detti “la serpe, petra dello trono, et Sansanta lucia”, confine la via pubblica “quod vaditur in montanea”, la via che “dicinditur in molendino de cerratullo”, la “difensam” di Joannes Alfonso Cerasari, il vignale del presbitero Joannes Jacobo de Aquila ed altri fini. Le terre dette “petra dello trono timpa della serpe, et santo martino seu santa lucia fora la porta del Castello” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 033v-035). 17.01.1624. Le terre dette di “Santo Martino, Petra dello trono, et timpa della Serpe tutto in uno medesimo loco”, confine “santa lucia”, Gori Mazzuca, “le terre della difisa” di detto Alfonso Cerasaro ed altri confini. Il “cugnale fora la porta del Castello di detta Citta”, confine “la timpa della Serpe”, “la via publica che si va in santa lucia et la via di sotto le mura della citta”. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 007-007v). 02.05.1624. Dietro la richiesta di Fran.co Antonio Fanelis, Laurentio Ceraldo, ordinario servente della regia Curia di Policastro, in vigore delle provvisioni contro Joannes Alfonso Cerasaro, alla presenza del notaro, provvede ad immettere il richiedente nel possesso dei beni del detto Joannes Alfonso, tra cui il vignale posto nel territorio di Policastro “in loco ubi dicitur fora la porta del Castello”, confine “la timpa della difisa et la via publica che si va verso santa lucia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 027-027v). 05.09.1639. Dietro l’istanza dei Cl.ci Scipione e Marcello Tronga, figli ed eredi del quondam Gio: Thomaso Tronga, il notaro si porta nel loco detto “fora la porta del Castello di detta Città di Policastro” dove, i detti de Tronga, dando seguito alla volontà testamentarie del loro padre, consegnano al reverendo fra Bartolo “di longo vucco”, “guardiano” del venerabile “monasterio di nostra donna delle manche” dei Riformati, 28 “Jovenchi” di anni 3 in 4, ed altri 8 di anni 2 in 3 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 094-094v). 30.11.1653. Il presbitero Joannes Jacobo de Aquila vendeva ad Aloisio Vicinanso, il “Vineale” della capacità di circa 1 tomolata e ½ posto nel territorio di Policastro loco detto “fora la porta del Castello”, confine le terre degli eredi del quondam Jo: Alfonso Cerasaro, le terre dette “la difesa”, le terre di Romolo Ettore, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878 ff. 081v-083).

[xxv] “La forma della Città è due parti lunga e una larga, quasi in figura di Cilindro, ma distorto alquanto e fuorche nella parte occidentale, ove era già il famoso e superbo Castello, per cui si esce in piano, pendendo un poco per una inselciata, come che pieni i fossi delle dirupate muraglie, ci si trova immediatamente il Fiume con due Case di molino;” In relazione all’orto posseduto dalla corte di Policastro, il Mannarino afferma: “Tra tutti si singolarizza quello dell’Eccellentissima Corte ch’è il Capo nel più vicino e meglior immediato luogo alla Città, per detta Porta per cui come dissi s’esce in piano.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xxvi] 29.02.1613. Nel proprio testamento, Joannes Faraco lasciava erede il proprio figlio D. Gio: Thomaso, dei gelsi posti nel loco detto “lo ringo”, confine i gelsi di Pagano, il gelso di S.ta Dominica, le “porghe di sotto le mura di s.ta Maria della grande”, i gelsi del quondam Fran.co Ant.o Leusi, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio Ignoto di Policastro, Busta 81 ff. 37-40). 15.11.1616. Davanti al notaro comparivano Vespesiano Blasco, tutore ed “avus Maternus” di Andriana Leusi, figlia del quondam Fran.co Antonio Leusi, e Joannes Dominico Pantisano della città di Crotone, padre di Peleo Pantisano, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Peleo e la detta Andriana. Apparteneva alla dote la “continentia di celsi” posta nel territorio di Policastro loco detto “lo ringo”, “iusta le mura della citta”, i gelsi del notaro Fran.co Accetta, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 146v-155v). 15.08.1643. Nell’elenco dei beni appartenenti alla dote di Laura Blasco che, nei mesi passati, aveva sposato Horatio Ferrari della città di Catanzaro, figurava una “continentia di Celsi” loco detto “lo ringo”, “posta à canto le mura di detta Città” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 070-071). 24.07.1644. Francisco Greco che ne possiede una metà, ed i coniugi C. Juliano Zagaria ed Elisabeth Greco, che ne possiedono l’altra metà come “robba dotale”, vendevano a Bernardino Lomoijo di Policastro, la “continentia di Celsi” posta nel loco detto “lo ringo”, confine i gelsi di Masi Ammerato, i gelsi di Gio: Berardino Accetta, “le mura di questa Città” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 072v-074v).

[xxvii] 13.07.1606. Si riportano i capitoli matrimoniali relativi al matrimonio tra Hijeronimo Carise e Livia Zupo stipulati il 05.01.1596 per atto del notaro Joannes Berardino Campana. Nella dote della sposa risultavano le terre “dello ringo seu porticella”, alberate con gelsi ed olive, confine i beni di messer Ant.no Cepale e del quondam Laurenzo Bruna, i beni di S.ta Dominica ed altri confini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 173-176). 25.09.1632. Davanti al notaro comparivano Andrea Jerardo e Joannes Thoma Scandale, marito di Portia Blasco, assieme ad Antonino Gatto. Nei giorni passati, detto Antonino aveva venduto a detto Andrea, “la possessione della porticella” posta nel territorio di Policastro, confine i beni di Alfonso Campitello, “la via publica che si va in santa dominica” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 079-080). 18.06.1635. Negli anni passati, Anna Cavarretta e suo marito Antonino Gatto, oppressi dai creditori e per potersi alimentare, avevano venduto ad Andria Jerardo, previo regio assenso, la loro possessione arborata con più e diversi alberi, posta nel territorio di Policastro dove si dice “la porticella”, confine i beni di Horatio Rocca, i beni di Alfonso Campitello, le terre di Santa Dominica, i beni di Pauli de Albo e la via per la quale “itur ad fontem ditte sante dominice” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 054-056v). 18.06.1635. Ratifica della vendita fatta nei confronti di Andria Jerardo, della possessione appartenuta ad Antonino Gatto, posta “estramenia ditte Civitatis” loco detto “la porticella” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 056v-058).

[xxviii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 011v-016.

[xxix] “È questa chiesa appunto situata dentro il Circulo della stessa Parocchia immediatamente Posta à mezzo giorno, à differenza dell’altra chiesa dell’Annunziata detta di Fuora, che diroccatasi l’anni passati proprio nel fine del caduto secolo con tutte le sue pertinenze per ordini di Monsig.r Berlingieri è stata mutata di sito, e dà sotto le mura della Città in bocca alla Porta della Città è stata trasportata nell’antica di Santa Maria delli Francesi, che smantellata tutta la vecchia, con nuovo è più bel modello refabricatasi da fondamenti, apparisce più vasta.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xxx] La porta compare in alcuni atti notarili della prima metà del Seicento. 16.09.1613. Il chierico Joannes Fran.co Arcomanno e Joannes Vincenso Callea, in qualità di eredi del quondam Michele Arcomanno, possedevano in comune ed indiviso alcuni beni, tra cui: il “petium terrae arboratum sicomorum situm, et positum ante Januam Nove seu timpa oleastri viam publicam ex duobus lateribus et vinealem quod fuit q.m laure coco”, ovvero “lo vignalicchio arborato di Celsi posto loco ditto porta nova” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 098-099v). 13.09.1633. Davanti al notaro comparivano il Cl.o Micaele Callea ed il presbitero D. Joannes Andrea Romano. Il quondam Joanness Vincenso Callea, padre del detto Cl.o Micaele, aveva pignorato al detto D. Joannes Andrea un “ortalem arboribus sicomorum arboratum”, posto nel tenimento di Policastro, “ubi dicitur fora la porta nova di detta Citta”, confine i beni di Joannes Matteo Guidacciro, la “ripam oleastri”, le vie pubbliche da due lati ed altri fini. Al presente detto Micaele, venuto ad un accordo, lo vendeva a detto D. Joannes Andrea (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 063v-064v). 16.03.1638. Joannes Dom.co Campana vendeva al Cl.co Hyeronimo Mendolara, il “Casalino scoverto” posto dentro la terra di Policastro, nel convicno della chiesa di S.ta Maria “delli fransisi”, confine la domus di detto Hyeronimo, un altro casaleno di detto Joannes Dom.co, dalla parte superiore, e la via pubblica, “et pp.o lo casalino che vie la porta al p(rese)nte” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 031-031v). 20.08.1646. In occasione della stipula del proprio testamento, il R. presbitero Jo: And.a Romano disponeva che, maritandosi Maria Guidacciaro, sua nipote e figlia di detta erede, le toccasse il vignale arborato di “Celsi” posto dove si dice “Porta nova, seu la Conicella”, sito nel distretto di Policastro. Lasciava il frutto del vignale di “Porta nova”, che era appartenuto a Gio: Vincenso Callea, a Veronica e Ber.na Grandinetto per due anni continui ciascuna (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 096v-098v).

[xxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78 prot. 288 ff. 098-099v.

[xxxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 79 prot. 300 ff. 063v-064v.

[xxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 78, prot. 286 ff. 161v-162v e ff. 208-208v.

[xxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, Busta 80 prot. 305 ff. 031v-033; Busta 78 prot. 290 ff. 010-010v.

[xxxv] 04.08.1604. Testamento di Minica o Minicella Scavino, abitante nella casa di Laura Scavino “intus p(raedi)ttam terram in Convicino s.tae Catarinae iusta domum fran.ci paudari viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 26-27). 12.08.1604. Testamento di Vittoria Palatio, abitante “intus p(raedi)ttam terram in Convicino s.tae Caterinae iusta domum D. Dom.cii Palatii justa domum Lupii pecori et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 40-41). 12.11.1604. Testamento di Andriana de Conte, abitante “in convicino Ecclesie sante Caterine”, confine la domus di Vergilio Catanzaro, via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 220-220v). 27.11.1604. Testamento di Diana Caccurio della terra di Mesoraca, moglie di And.a Caruso, abitante in Policastro “in Convicino sante Caterine”, confine la domus della venerabile chiesa di S.ta Caterina, il casaleno del presbitero Joannes Dom.co Catanzaro, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 223v-224). 21.02.1605. Joannes Palatio dona al Cl.o Joannes Francesco Palatio suo figlio, alcuni beni, tra cui una casa palaziata posta nella terra di Policastro “in Convicino ecclesie s.te Caterine iusta domum Pr. Donni Dom.ci palatii cioè la casa de fora” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 91-92). 21.03.1605. Testamento di Gregorio Ammerato, abitante dentro la terra di Policastro “in Convicino Ecclesie sante Caterini”, confine la domus di Marco Inbriaco, il casaleno di D. Joannes Dom.co Catanzaro, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 232-232v). 25.09.1605. Davanti al notaro si costituiscono Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto” e Marco Imbriaco, per il matrimonio tra il detto Marco e Lucretia de Maijda, figlia del detto Hijeronimo. Gioanna de Maijda “alias la mantuta”, zia della sposa, le donava una “casa terrana” posta nella terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina confine la casa di Gioallupo Pecoro e Masi Luchetta, la via pubblica ed altri confini. Nel medesimo loco della casa promessa, si trovava anche la casa di detta Giovanna, cioè la casa di S.ta Caterina (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 136-137v). 30.10.1605. Joannes Fran.co Corigliano vende a Cesare Truscia, un “casalenum” posto dentro la terra di Policastro “in convicino ecclesie venerabilis s.te Caterine justa ortum Franci Paudari, et Jo(ann)is petri bonacci, et viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro Policastro, Busta 78, prot. 286 ff. 143-143v; parte seconda foto 144-145). 23.04.1606. Caterina Ardano vedova del quondam Matteo Fortini, vende a Vergilio Catanzaro un “Casalenum” posto nella terra di Policastro “in Convicino Ecclesie s.te Caterine iusta ortum ipsius Vergilii, et ortum Jo(ann)is Marie prantedi, et domum ditte Caterine venditricis, viam publicam et alios fines (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78, prot. 286, ff. 164v-165v). 25.08.1606. Salvatore Levati vende al presbitero D. Dominico Palatio, il casaleno posto nella terra di Policastro “in convicinio Ecclesie s.te Caterine”, confine la domus di detto Salvatore, la domus del detto presbitero D. Domenico, il casaleno di Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 191v). 10.09.1606. Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto”, Gioanna de Maijda sua sorella e Marco Inbriaco suo genero, in solidum, vendono a D. Dom.co Palatio un “casalenum” posto dentro la terra di Policastro “in Convicinio ecclesie s.te Caterine”, confine il casaleno e la casa del detto D. Domenico, la domus di Masi Luchetta, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 199v-200v). 17.07.1607. Hijeronimo Lamanno vende a Vergilio Catanzaro, la “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro, “in Convicinio Ecc.e sante Caterine”, confine un’altra domus del detto Vergilio, il casalenum di Joannes Palatio, l’orto di Fran.co Paudari ed altri fini, insieme al “casalenum” posto nel loco predetto “ante ianua domus p(raedi)tta” e la via pubblica (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 028-029). 10.09.1608. Relativamente alla vendita effettuata da Hijeronimo Lamanno nei confronti di Vergilio Catanzario di una “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detto Vergilio, l’orto di Fran.co Paudari, ed altri confini, il detto Vergilio completa il pagamento del prezzo di vendita (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 101-102). 10.09.1608. Joannes Fran.co Russo vende a Hijeronimo Lamanno, la “domum terraneam” posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detta chiesa, la domus di Agostino Romani “vinella mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 102-103). 04.01.1609. Testamento di Cornelia Pecoro, abitante nella “domum terraneam” posta nella terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus del presbitero Dom.co Palatio, la domus di Joanna Mantuta, la via pubblica ed altri fini. Lascia a Gio: Lamantuta, carlini venticinque sopra l’orto contiguo alla sua casa (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159-159v). 11.01.1609. Testamento di Laura Taranto, abitante nella domus posta nella terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di Caterine Dardano, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159v-160). 03.01.1618. Prospero Carrozza vende a Hijeronimo Lamanno, la domus palaziata con un “catoijo” dove si teneva paglia, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine l’orto di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, le domos della quondam Lucretia Turana, la via pubblica ed altri fini. La detta domus era stata acquistata dal detto Prospero dal quondam Joannes Battista Favari (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 076v-077v). 04.02.1618. Davanti al notaro si costituiscono i coniugi Salvatore Levato e Laura Cancello, assieme a Fran.co de Miglio, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Fran.co e Caterina Levato figlia dei detti coniugi. Appartenevano alla dote i beni lasciati dalla quondam Minichella Scavino, zia della futura sposa, tra cui una casa terranea posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la casa di Fran.co Paudari e la via pubblica da due parti (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 078v-081v). 04.05.1618. Il presbiter D. Dominico Palatio vende al servente Paulo Luchetta, la “domum terraneam” posta nella terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detto Paolo “a parte inferiore”, il casalenum appartenuto al quondam Andrea Grispini, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 093v-094v). 15.09.1625. Il presbitero D. Joannes Baptista Favari, circa 12 anni prima, aveva venduto a Prospero Carrozza, una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina. Il detto Prospero però non aveva pagato né era in condizione di farlo. Al presente, il detto presbitero vendeva detta casa a Fiore Palmeri, insieme con la metà dell’orto contiguo incluso “lo celso” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 142v-144). 18.09.1630. Il notaro si porta nella domus palaziata di Fiore Palmeri, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus del presbitero Joannes Baptista Favari “dittam la turana”, l’orto di Petro Paulo Serra, la via convicinale ed altri fini, per stipulare il suo testamento (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 162v-163). 21.01.1631. Leonardo Caccurio vende a Paulo Venturo, la domus palaziata con orto contiguo dove era un “pede magno sicomi”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus che era appartenuta alla quondam Lucretia Turana, confine l’orto di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 004-005). 13.07.1637. Claritia Paudari figlia del quondam Fran.co Paudari, vende a Joannes Laurentio de Pace, il casaleno posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di Santa Catherina, confine la “domum seu ortum” del presbitero D. Parise Ganguzza, il casaleno di detto Joannes Laurentio, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 050-050v). 03.11.1637. Nei mesi passati, i coniugi Nicolao Grosso ed Elisabetta Palazzo, avevano venduto a Laurentio de Pace, il casaleno posto dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus di detto Laurentio, la via pubblica ed altri fini. Al presente i detti coniugi ricevevano il denaro pattuito (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 101-101v). 21.02.1638. Hyeronimo Salerno vende ad Andrea Cavarretta, la “Continentiam domorum” costituita da 3 camere, con “Cortilem inferioribus, et superioribus”, cui andava incluso un “orticellum Contiguum”, posta dento la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Sante Caterine”, confine la domus di Laurentio de Pace, i “sicomos” di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 023-024). 21.02.1638. Davanti al notaro si costituiscono Isabella Marrazzo, vedova del quondam Valentio Jordano, e Hyeronimo Salerno. Negli anni passati, detto Gerolimo aveva venduto a detto Valente, due case poste dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “santa Caterina”, confine “li Celsi” di Petro Paulo Serra, “vallone mediante”, e le case di Laurenzo de Pace che erano appartenute al quondam Virgilio Catanzaro, “della parte di sotto il Cortiglio”, per il prezzo di ducati 18, relativamente al quale si era impegnato a pagare l’annuo censo di carlini 12. All’attualità la detta Isabella, non avendo il denaro per continuare a pagare il censo, retrocedeva le case a detto Gerolimo per il medesimo prezzo (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 024-025). 28.02.1638. Davanti al notaro compaiono D. Aloisia de Angelis, vedova ed erede del quondam Justuliano Cirisani, e Hyeronimo Poerio. La detta Aloisia asseriva che suo marito aveva comprato dal Cl.co Lutio Venturi, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, un “ortale” arborato di “Celsi” posto dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santa Caterina”, confine l’orto di detta chiesa, l’orto e casalino di Gio: Thomaso Scandale, la via pubblica ed altri fini, impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 15. All’attualità la detta Aloisia retocedeva il bene al detto Gerolimo che s’impegnava a pagare lo stesso censo al monastero (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305 ff. 025-025v).

[xxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 091v-092v. 20.08.1607. Davanti al notaro comparivano Julia Niele, vedova del quondam Joannes Petro Bonanni, e Thomaso Autimari del casale di Cellara, pertinenza di Cosenza, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Tra i beni della dote figurava anche “la vasilea harborata di celsi confine le mura della terra, et l’orto di Fran.co paudari, et Geronimo et Filippo carise” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287 ff. 032v-033v). 28.05.1617. Joannes Laurenzo Corigliano dichiarava che Joannes Fran.co Corigliano suo padre, aveva venduto a Cesare Truscia il “casalenum” posto dentro la terra di Policastro loco detto “la vasilea”, confine l’orto di Fran.co Paudari, “et murii ditte Civitatis”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 025v-026).

[xxxvii] 02.11.1634. Petro de Mauro vende a Hijeronimo Salerno, la “Continentiam domorum cum Cortiles, et orto” consistente in 6 membri palaziati posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine l’orto di D. Parise Ganguzza, il casaleno di Nicolao Grosso, i “sicomos” di Petro Paulo Serra “vallone mediante dittus la vasilea”, le vie pubbliche ed altri confini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 152-153v).

[xxxviii] 27.08.1631. Davanti al notaro comparivano Ippolita Catanzaro, vedova del quondam Joannes Dom.co Vonazzi e Petro de Mauro, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Petro e Catherina Bonaccio, figlia del detto quondam Joannes Dom.co e di detta Ippolita. La detta Ippolita, assieme al presbitero D. Lucas Bonaccio del castro di San Mauro, tutore di dette Catherina, le promettevano una continenza di case poste dentro la terra di Policastro, nel convicino di Santa Caterina, dove si dice “la vasilea”, confine l’orto che era appartenuto al quondam Fran.co Paudari, “le mura della Citta ditte similm.te la vasilea”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 061-062v).

[xxxix] “Nell’anno 1520 si ritrovò sotto la muraglia a canto il tempio antico di S.ta Caterina un Idoletto Piccolo d’Ercole alto un buon Palmo, qual’era di Bronzo con in mano la Clava …”. Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[xl] 20.08.1607. Nella dote di Julia Niele che andava sposa a Thomaso Autimari del casale di Cellare, pertinenza di Cosenza, figura “la vasilea harborata di celsi confine le mura della terra, et l’orto di Fran.co paudari” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 032v-033v). 28.05.1617. Joannes Laurenzo Corigliano dichiarava che suo padre Joannes Fran.co, aveva venduto a Cesare Truscia il “casalenum” posto dentro la terra di Policastro loco detto “la vasilea”, confine l’orto di Fran.ci Paudari “et murii ditte Civitatis”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 025v-026). 25.11.1623. Alla dote di Beatrice Bonanno che andava sposa a Joannes Baptista Lanzo, apparteneva “la vasilea” che era stata del quondam Fran.co Bonanno suo padre, confine l’orto di Fran.co Paudari, l’orto di Filippo Carise, “li celsi” di Petro Paulo Serra ed altri fini. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 115v-119). 27.08.1631. Alla dote di Catherina Bonaccio che andava sposa a Petro de Mauro, apparteneva una continenza di case poste dentro la terra di Policastro, nel convicino di Santa Caterina dove si dice “la vasilea”, confine l’orto che era appartenuto al quondam Fran.co Paudari e “le mura della Citta ditte similm.te la vasilea”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 061-062v).

[xli] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 170-172v.

[xlii] 24.10.1620. Il chierico Scipione Popaianni vendeva ad Andrea de Pace, la “Continentiam domorum palatiatorum”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Santi petri”, confine la “logettam domorum” del quondam Marco Antonio Coco, l’orto e il “palazzettum” di quest’ultimo ed altri fini; nonché l’orto “arboratum sicomorum” posto nello stesso loco, confine la detta continenza di case palaziate, l’orto della venerabile chiesa di Santa Caterina, l’orto del detto quondam Marco Antonio ed altri fini; nonché un altro “orticellum”, confine il detto orto, “et ripas dittas le catarrata et vallone ditto le Catarrata”, confine i “sicomium et Casalenos” del quondam Julio Jannino ed altri fini, con il patto che rimanesse al detto Scipione, la “Camera” confinante con la via pubblica ed i detti orti, dove al presente abitava Isabella Spolvera (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 068-069). 16 agosto 1621. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, Andrea de Pace donava al clerico Joannes Thoma suo figlio, i seguenti beni: la “continentia domorum” con orto contiguo arborato “sicomis”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santi Petri”, confine la domus degli eredi del quondam Marco Antonio Coco, il “vallonem dittum le catarrata”, l’orto di Santa Caterina ed altri fini, che detto Andrea aveva comprato dal Cl.o Scipione Popaianni (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 049-049v). L’ultimo di febbraio 1638, Donna Aluise o Aloisia de Angelis, vedova ed erede del quondam Justuliano Cirisano, asseriva che suo marito aveva comprato dal Cl.co Lutio Venturi, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, un “ortale” arborato di “Celsi” posto dentro la terra di Policastro “nel Convicinio di santa Caterina”, confine “l’orto di detta chiesa”, l’orto e casalino di Gio: Thomaso Scandale, la via pubblica ed altri fini, impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 15. All’attualità la detta Aloisia retocedeva il bene a Hyeronimo Poerio che s’impegnava a pagare lo stesso censo al monastero (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 025-025v). 22.02.1643. I coniugi Lupo de Florio e Laura Faraco vendevano a Joseph Giordano un “Ortale sicomorum” dotale posto dentro la terra di Policastro loco detto “la basilea”, confine la domus e l’orto del quondam Hijeronimo Poeri, un altro ortale ed il casaleno del quondam Tiberio Grigoraci, le “Rupas dictae Civitatis” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 040v-042). 15.08.1655. Alla dote di Vittoria Ritia che andava sposa a Petro de Franco, apparteneva “un pede di Celso” posto dentro la terra di Policastro nel loco detto “la Vasilea”, confine l’orto del quondam Petro Paulo Serra, “vallone” mediante (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 111v-113).

[xliii] La porta della Judeca risulta anche dopo il terremoto del 1638. Nell’ambito della visita agli “Oppidis, et Locis Suae Dioecesis”, l’arcivescovo di Santa Severina Francesco Falabella giunse a Policastro la domenica del tre ottobre 1660. Annunciato otto giorni prima per iscritto, proveniente da Mesoraca, egli giunse “extra oppidi Portam” accompagnato dal suo seguito dove, al suono delle campane, fu accolto dal popolo e dal clero con la croce. AASS, 37A. Se ne fa menzione ancora agli inizi del Novecento, in occasione della descrizione dei confini della chiesa Martice. “Dalla parte di nord-est a partir dalla porta Giudaica, la parte di sinistra scendendo su la rotabile che va Cutro fino al ponte di Tacina. Anche comprende la parte di sinistra seguendo la strada rotabile che mena a Mesoraca, fino a contrada Santo Francesco inclusive. Dal ponte di Tacina della strada rotabile (estremo limite) risalendo verso Nord, giunge all’altro ponte del detto fiume Tacina presso Cotronei. Di là, ritornando verso il paese, comprende tutte le contrade chiuse nei su detti limiti avvertendo che appartengono alla Chiesa matrice tutte quelle che si trovano dalla parte sinistra della rotabile fino al Ponte Gallina dove l’una e l’altra parte appartiene alla Chiesa Matrice.” AASS, 034B.

[xliv] 25.02.1620. La località “cimicicchio” risultava individuata “sotto la rupe di s.ta Caterina, et porta della Judeca” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 011-013v). 01.06.1646. “il luoco, et possessione detto Cimicicchio”, esistente nel “distretto” di Policastro “et pp.o sotto le timpe della porta della Giudeca la via publica che si cala nelle molina dell’acquaro” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 046-053).

[xlv] 23.04.1605. Capitoli matrimoniali relativi al matrimonio tra Polisena Carcello e Giallupo Pecuro. Il futuro sposo prometteva alla sposa una casa e la metà di un piede di “celso”, che deteneva in comune con Minicella Azzarito, beni posti dentro la terra di Policastro loco detto “lo vallone della turana”, confine “l’orto di Gio: maria prantedi ingresso med.e” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 98v-99v). 03.01.1618. Prospero Carrozza vendeva a Hijeronimo Lamanno, la domus palaziata con un “catoijo” dove teneva la paglia, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine l’orto di Petro Paulo Serra, “vallone mediante”, le domus della quondam Lucretia Turana, la via pubblica ed altri fini. La detta domus era stata acquistata da Prospero Carrozza dal quondam Joannes Battista Favari (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 076v-077v). 18.09.1630. Il notaro si porta nella domus palaziata di Fiore Palmeri, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus del presbitero Joannes Baptista Favari “dittam la turana”, l’orto di Petro Paulo Serra, la via convicinale ed altri fini, per stipulare il suo testamento (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 162v-163). 21.01.1631. Leonardo Caccurio vende a Paulo Venturo, la domus palaziata con orto contiguo dove era un “pede magno sicomi”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus che era appartenuta alla quondam Lucretia Turana, confine l’orto di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 004-005).

[xlvi] 01.04.1634. Davanti al notaro comparivano Innocentia Mannarino, vedova del quondam Joannes Thoma Curto, ed il Cl.o Fran.co Curto suo figlio, assieme a Scipione Spinello, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Scipione e Lisabetta Curto, figlia di detta Innocentia e sorella del detto Cl.o Fran.co. Apparteneva alla dote la casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, confine la casa di detta Innocentia, la casa di D. Gio: Battista Favari “vallone mediante” ed altri confini, cioè si prometteva “la casa nova di abascio con il trappito” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 052v-054). 09.08.1636. Innocentia Mannarino vedova del quondam Joannes Thoma Curto, vendeva al R.do D. Joannes Baptista Favaro, la domus terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, confine la domus di Scipione Spinello, la domus degli eredi del quondam Marcello Lice, la domus di Hijeronimo Santella, il “vallonem Civitatis quod discendit à Fumerello” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 087v-092v).

[xlvii] 04.10.1608. Pompeo Tabernense, ordinario servente, su istanza di Joannes Furesta, procuratore di Fabritio Oliverio di Cutro, incanta a Scipione Misiano la “domum palatiatam” “in pluribus et diversis membris Consistentibus” di Minico Cavarretta, posta dentro la terra di Policastro confine il “vallonem Correntem” e la via pubblica (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 107-107v).

[xlviii] 27.12.1608. Davanti al notaro comparivano Francischina Maurello “virgine in capillo” e Laurentio Pipino, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Nella dote della sposa compare una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, confine la casa di Gio: Paulo Jannici, la casa di Minico Cavarretta, vinella mediante, la via pubblica ed altri confini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 123v-124v). 22.03.1609. Scipio Misiano, che aveva incantato nella “platea publica” la domus o “continentiam domorum” di Minico Cavarretta, “in pluribus et diversis membris consistentem”, posta nella terra di Policastro, le vende e retrocede al detto Minico (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 137v-138). 22.07.1620. Marco Ant.o Cavarretta, giunto ad un accordo con Joannes Battista Cavarretta suo fratello, in merito ai lasciti del quondam Minico Cavarretta loro padre, legati nel suo ultimo testamento, acquistava dal detto Joannes Battista la “domum palatiatam cum Camera contigua”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.to Nicola “de grecis”, confine la domus di Rentio Pipino “vinella mediante”, il casaleno di Minico de Pace de Santo “a parte superiore”, la via convicinale ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 052-052v). 25.07.1621. Davanti al notaro comparivano Marco Antonio Cavarretta, figlio del quondam Minico Cavarretta, ed i coniugi Matteo Cavarretta e Cornelia Cavarretta. Alla dote promessa dal detto Marco Ant.o alla detta Cornelia sua figlia, apparteneva una casa palaziata con camera contigua posta dentro la terra di Policastro nel convicino della “paroccia” di S.to Nicola “delli greci”, confine la casa di Renzo Pipino vinella mediante, la casa di Minico de Pace “alias panfutio” e la via pubblica da due parti, gravata dal peso di annui grana tre al “feudo di paparone” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 046-047v). 06.01.1654. Didaco, Anastasia e Andrea Cavarretta “in solidum”, vendevano al presbitero Joannes Baptista Pollaci, la casa palaziata con “Camera contiqua” che possedevano in comune ed indiviso con Cornelia Cavarretta, loro madre e zia rispettivamente, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “Grecorum”, confine la domus di Berardino Pipino, la domus di Anello Fontana Rosa, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 001v-003).

[xlix] 06.05.1626. Julia de Pace, vedova del quondam Joannes Paulo Jannici, cedeva ai coniugi Joseffo Pollaci e Caterina Jannici, in conto della dote loro promessa, una “Casa scoverta” posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, confine l’orto di Nardo Caccurio di Cella, la casa di Vittorio Tronga, la casa di Fabio Amerato, e Gio: Dom.co Rizza de Mundo, vinella mediante, la casa del quondam Laurenzo Russo, via mediante, e “lo vallone”, assieme “con lo casalino di sopra unito con detta Casa con tutta la ligname, et ciaramidi che vi sono hoggi di dentro”. Si pattuiva che se Alfonso Campitello avesse comprato la casa di Fabio Amerato, quella di Gio: Dom.co Rizza o quella di Vittorio Tronga, avrebbe avuto la possibilità di “arribare tanto le mura come la ligname”, nel muro di detta casa scoverta e casalino, “et possa levare la vinella” alzando le mura di detta “Casa facienda”, “di paro” con il muro di detti coniugi (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 036v-037).

[l] 26.09.1604. Testamento di Lucretia Rocca, abitante “intus p(raedi)ttam terram in convicino santi dimitri justa domum Fran.ci Cervini iusta domum Laurensi tavernise vallone mediante viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 55-56). 13.07.1618. Feliciana Cavarretta vendeva a Santoro Sagace due “Casalenos” che il quondam Nicolao Joannes La Medaglia, suo marito, aveva acquistato da Ottavio de Pace. I due casaleni confinavano con il casaleno di Joannes Battista de Albo de Cola, con la “viam publicam dell’ulmo”, la domus di Polinitia Costantino, “vallone mediante” ed altri fini. Attraverso i miglioramenti apportati dal detto quondam Nicolao, i due casaleni erano stati uniti, ed all’attualità erano divenuti un casaleno coperto, ovvero una “domum coverta cum casaleno” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 098v-099v). 31.08.1625. Ottavio de Pace vendeva a Fran.co Turtorella ed alla sua consorte Berardina Spano, la domus palaziata con camera contigua similmente palaziata, con “gisterna”, “et largo di essa ferente della Cantonera di detta Casa al vallone preter lo largo q.m Santori Sagaci”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de grecis”, “justa salam Contiguam dittae domus derutam”, confine il casaleno di Joannes Baptista de Albo de Cola, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 135v-137). 06.05.1607. Joannes Laurentio Cimino “alias fegatale”, vendeva a Jacobo Recitano la “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro “iusta Ecclesie santi dimitri iusta domum d. Polinitia, et vallonem ab alia parte” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 018v-019v). 06.10.1624. Davanti al notaro comparivano Joannes Laurentio Cimino “alias fegatale” e Joannes Thoma Madeo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Joannes Thoma e Lucretia Cimino, figlia di detto Laurentio. Apparteneva alla dote una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro “confine et muro Coniunta di santo dimitri”, e confine la casa di Marco Valente, “quale Casa se intenda verso vascio cioe verso lo vallone” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 081-081v). 30.10.1633. Davanti al notaro comparivano Spetio Vivacqua della terra di Mesoraca, ma “habitante” in Policastro, e Fran.co de Stilo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Fran.co e Caterina Vivacqua, figlia di detto Spetio. Apparteneva alla dote una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, nella parrocchia di “Santo Petro”, confine la casa di Gianni Grano, “la chiesa deruta di Santo dimitri”, la via pubblica ed altri fini, unitamente con il casalino contiguo a detta casa, confine “lo vallone” ed altri fini. Detti beni erano precedentemente appartenuti al quondam Gio: Laurenzo Fegatale (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 094v-096).

[li] 21.09.1614. Davanti al notaro comparivano Alfontio Caccurio e Petro Piluso della “serra santi stefani Boschi”, ma al presente abitante in Policastro da più anni, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Petro ed Auleria Caccurio, figlia del detto Alfontio. Alla dote apparteneva una casa terranea, confine la casa di Vespesiano Pantisano “muro Coniunto”, la casa di Gianni Polla “della parte di sopra”, “la via publica seu vallone” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 289, ff. 024v-025v; foto 282-284). 29.04.1615. Davanti al notaro ed al parroco, si costituivano Alfontio Caccurio e Matteo de Dattolo del casale di Pedace, pertinenza di Cosenza, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Matteo e Berardina Caccurio, figlia del detto Alfontio. Alla dote apparteneva una casa palaziata “con alto, et abascio”, che detto Alfontio aveva comprato dal notaro Horatio Scandale, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di “santo demitri”, confine la casa di Gio: Fran.co Callea, “della parte di sopra et di sotto confine l’altra Casa terrana di detto Alfonso”, l’orto che era appartenuto al quondam Andria Campitello, la via pubblica ed altri fini. Alla dote apparteneva anche un “orto arborato di Celsi” che era appartenuto al quondam Andria Campitello, posto dentro la terra di Policastro, confine la sopradetta casa promessa, la casa di Gio: Fran.co Callea, l’altra casa palaziata di detto Alfonso, il “vallone affacciante verso la casa de fabio ammerato” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 020-021). 18.03.1634. Davanti al notaro comparivano Angilella Caccuri, vedova del quondam Paulo Mazzuca, e Diegho o Didaco Ventorino, figlio di Joannes Ventorino, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Apparteneva alla dote una casa terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santo dimitri”, confine la casa di Berardina Caccuri, la casa di Alfonso Cappa, la via pubblica ed altri confini. Apparteneva alla dote anche un ortale “di celsi”, posto dentro la terra di Policastro, confine la casa degli eredi del quondam Vitaliano Pullaci, la casa di detta Berardina, la “stalla” di Alfonso Campitello “et lo vallone vallone” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 034-035).

[lii] 25.03.1613. Fran.co Commeriati vendeva a Joannes Dom.co de Strongulo, le “domos terraneas” che gli aveva promesso in dote Joannes Thoma Richetta, a cui erano state vendute da Caterina Scandale e da suo figlio, poste dentro la terra di Policastro, nel convicino della venerabile chiesa della “santiss.me Nuntiate dittae terre”, confine la domus di Joannes Caccuri “a parte superiori” e vinella mediante, confine l’orto che era appartenuto al quondam Joannes Andria Briatico che al presente possedeva Alfontio Caccurio, il “Vallonem” ed altri confini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 074-075). 05.05.1622. Davanti al notaro comparivano il magister Fran.co Commeriati e Antonio Faraco, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Antonio e Julia Conmeriati, figlia del detto Fran.co. Apparteneva alla dote la casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santo dimitri”, confine la casa di Santoro Sagaci, muro congiunto, l’altra casa di detto m.o Fran.co, “lo vallone della terra” ed altri fini. Rimaneva stabilito che l’entrata della detta casa era “per la scala di detto m.o fran.co lo ponte ponte seu vignano”, mentre “l’intrata dello Catoijo” era “per l’orto di detto fran.co” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 019v-021). 07.07.1635. Joannes Conmeriati, figlio ed erede del quondam Fran.co Conmeriati, vendeva a Fran.co Lamanno la “domum palatiatam sive palazzettum” “cum introito, et exito per partem gisterna ditta lo barone, et cum ditta domo vadit largum con lo largo spettante a detta Casa”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di  “santi dimitri diruta”, confine la domus di Berardino Lomoijo, la “domum magnam” di detto Joannes, l’orto del quondam Joannes Jacobo Torres, “vallone mediante”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 064v-065v). 06.04.1643. Salvatore Punteri di Carpansano ma, al presente, “habbitante cun Domo, et familia” in Policastro, vendeva a Joannes Caccurio la metà di un casalino che il detto Salvatore aveva comprato da Jo: Domenico Schipano, posto dentro la terra di Policastro nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, confine la casa di detto Giovanni via mediante, la casa di detto Salvatore “via, et vallone mediante” ed altri fini. La casa di Antonio Curto si trovava dirimpetto alle case di detto Giovanni, (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 052-053).

[liii] 26.05.1645. Il notaro Joannes Leonardo de Pace possedeva la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro in parrocchia di “Sancti Petri iuxta publicam Plateam à parte superiori”, la domus di Joannes Thoma de Pace, il “vallonem dictum de Pantisano”, la domus di Thoma Lamanno, la domus di Joannes Hyeronimo Blasco ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 077v-081). 17.03.1647. Stefano Apa di Policastro vende a Dianora de Torres di Policastro una casa terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.to Pietro”, confine le case del quondam notaro Leonardo de Pace, “lo Vallone” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 027-028).

[liv] 06.12.1605. Hijeronimo Cavarretta vendeva ad Alfonso Caccurio, una “domum terraneam” posta dentro la terra di Policastro “in Convicino ecclesie s.ti diMitri”, confine la domus della quondam Betta de Guarino “et Vespasiani Pantisani”, la domus di detto Alfonso, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 150v-151v). 19.09.1607. La domus “terraneam” venduta da Hijeronimo Cavarretta ad Alfonso Caccurio era posta dentro la terra di Policastro “in convicinio Ecclesie santi dimitri”, confine la domus di Vespesiani Pantisani, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 040v-041). 21.09.1614. Alla dote di Auleria Caccurio, figlia di Alfontio Caccurio, apparteneva una casa terranea, confine la casa di Vespesiano Pantisano “muro Coniunto”, la casa di Gianni Polla “della parte di sopra”, “la via publica seu vallone” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 289, ff. 024v-025v). 28.09.1621. Vespesiano Pantisano possedeva una domus palaziata in diversi membri “et pergula”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de grecis”, confine la domus di Joannes Dom.co Cappa, vinella mediante, la domus di Alfonso Caccuri, la via pubblica ed altri fini. Posedeva anche una “poteca” confinante con la domus predetta, vinella mediante (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 061v-069). 14.03.1623. Hijeronimo Salerno della terra di Mesoraca ma, al presente “habitator” in Policastro da molti anni, donava a Petro Paulo Serra suo cognato, alcuni beni, tra cui una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro loco detto “la piazza” nella parrocchia di S.to Nicola “delli greci”, confine la casa di Gio: Dom.co Cappa e la casa di Gio: Alfonso Caccuri (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 082v-083v).

[lv] 28.02.1632. Il presbitero D. Santo de Pace vendeva a Joannes Thoma Lamanno, 2 “Casalenos” di cui uno terraneo e l’altro palaziato senza catoio, “et per sotto passa lo vallone ditto delle bucceria”, posti dentro la terra di Policastro in parrocchia di S.to Nicola “de platea”, confine la domus degli eredi di Vincenso Coco, la casa di esso Gio: Thomaso, la via convicinale ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 031v-032v). 22.09.1641. Francisco Giannino vendeva a Joannes Thoma Lamanno, il “Casalenum” posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Santae Mariae Gratiae”, confine la domus di detto Thoma, la domus di Leonardo Crocco, via mediante, “iuxta vallonem” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 036-036v). 25.02.1631. Auleria Cavarretta vedova del quondam Joannes Vincenso Coco, garantiva una permuta sopra la domus che era appartenuta a suo marito defunto, confine la domus del notaro Jacinto Richetta, “et vallonum dittum della piazza seu bucerie” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 023-024v). 24.11.1638. Davanti al notaro compaiono Auleria Cavarretta vedova del quondam Vincenso Coco e Jacobo de Vona, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Apparteneva alla dote, la casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Maria “la gratia”, confine le case del quondam notaro Jacinto Richetta ed altri fini  (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 105v-106v). 27.09.1639. Su richiesta del Cl.o Carolo Leonardo Richetta, il notaro si porta nella sua domus palaziata posta dentro la terra di Policastro nel “Convicinio seu Cappella santi petri”, confine la domus di Auleria Cavarretta, la via pubblica ed altri fini, per la compilazione dell’inventario dei beni del quondam notaro Jacinto Richetta suo padre. Tra questi figurava una continenza di case che, secondo detto Carlo, gli appartenevano per donazione del quondam Gio: Thomaso Richetta suo “avo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 107v-108v).

[lvi] 08.10.1630. Per procedere alla stipula del suo testamento, il notaro si porta nella domus palaziata di Cornelia Rotella moglie di Antonio Ligname, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “Gratiarum”, confine la domus di Marcello Cocciolo, la domus degli eredi del quondam Joseffo Ligname, la via pubblica “seu vallonem” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 175-175v). 24.04.1635. Per consentirgli di accedere agli ordini sacerdotali, Joannes Gregorio Cerasaro, “proCuratoris mundualdi” di sua sorella Laura Cerasaro, assieme a detta sua sorella, donavano al Cl.co Joannes Battista Cerasaro, loro fratello, la casa palaziata con 2 camere e “cortiglio” posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “la gr(ati)a”, confine le case di Santo Faraco, la casa di Caterina Popaijanni, “Vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini, mentre la camera “di abascio” dentro il “cortiglio”, rimaneva ad essi donatori per poterci abitare in vita (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 034v-036). 08.06.1652. Santo Misiano vendeva al Cl.co Gio: Battista Cerasari, la casa terranea che aveva comprato da Santo Faraco l’anno passato, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.to Pietro”, confine le case di detto Cl.co Gio: Battista, “lo Vallone della Città” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 033v-034v).

[lvii] 11.08.1624. Agostino Curia vendeva al presbitero D. Horatio Piccolo, la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santi Petri”, confine la domus di Julia Ferraro “via mediante vallonem dittum della Judeca”, la via pubblica dalla parte superiore ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 059-060). 15.09.1630. Antonino Gatto vendeva a Francisco Marchise la “Cameram palatiatam” muro congiunto con un’altra domus “magna” di detto Antonino, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “gratiarum”, confine i “Casalenos” appartenuti al quondam Joannes Dom.co Sacco “et valonnem magnum dittum la iudeca” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 160-161). 25.05.1634. Antonino Gatto vendeva a Joannes Cepale, “lo largo seu ortale”, ovvero “lo largo de sopra la timpa”, vicino la casa di Renzo Jerardo e la casa di Giulio Doratio che era appartenuta al quondam Gio: Dom.co Sacco, confine “lo vallone vallone et la istrada che scende dalla santiss.a nuntiata alla porta della terra detta la Judeca” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 098v-099v).

[lviii] 24.10.1620. Il chierico Scipione Popaianni vendeva ad Andrea de Pace, la “Continentiam domorum palatiatorum”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Santi petri”, confine la “logettam domorum”, l’orto ed il “palazzettum” del quondam Marco Antonio Coco, ed altri suoi fini, nonché l’orto “arboratum sicomorum” posto nello stesso loco, confine la detta continenza di case palaziate, l’orto della venerabile chiesa di S.ta Caterina, l’orto di detto quondam Marco Antonio ed altri fini; nonché un altro “orticellum”, confine il detto orto, “et ripas dittas le catarrata et vallone ditto le Catarrata”, confine “sicomium et Casalenos” del quondam Julio Jannino ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 068-069). 16.08.1621. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, Andrea de Pace donava al clerico Joannes Thoma de Pace suo figlio, i seguenti beni: la “continentia domorum” con orto contiguo arborato “sicomis” posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santi Petri”, confine la domus degli eredi del quondam Marco Antonio Coco, il “vallonem dittum le catarrata”, l’orto di S.ta Caterina ed altri fini, che detto Andrea aveva comprato dal Cl.o Scipione Popaianni (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 049-049v).

[lix] 14.11.1604. Alla presenza del notaro e del parroco, si costituivano Fabio de Mauro, tutore istituito dalla Curia di Policastro per parte di Caterinha Popaianni, figlia del quondam Franceschello Popaianni, e Joannes Thomas Cavarretta, figlio del quondam Gregorio Cavarretta, per il matrimonio tra i detti Joannes Thomas e Caterinha. Apparteneva alla dote della sposa la metà di una casa con “trappito”, confinante con Fran.co de Albo (ASCZ, Notaio Guidacciro G. B., Busta 78, prot. 286, f. 67bis). 08.10.1623. Davanti al notaro comparivano Caterina Popaianni, vedova del quondam Vespesiano Pantisano, assieme a Joannes Fran.co Callea, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Appartenevano alla dote una casa palaziata con casalino contiguo, posta dentro la terra di Policastro nella parrocchia di “santo Petro”, confine i casalini del quondam Ferrante Cerasaro, la via pubblica ed altri fini, assieme alla metà del “trapito” che essa deteneva in comune con suo fratello Vespesiano Popaianni, posto dentro la terra di Policastro confine Blasio Rizza ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 110-111). 26.05.1634. Davanti al notaro comparivano Caterina Popaijanni vedova del quondam Fran.co Callea, e Nardo Arenda, figlio di Joannes Simone Arenda, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Leonardo e Joannella Callea, figlia di detta Caterina. Appartenevano alla dote: la casa palaziata con casalino contiguo dalla parte di sopra, posta dentro la terra di Policastro, confine la casa di Pordentia Federico, via mediante, “lo vallone ditto le catarrata” ed altri confini. La meta della “Casa, et trappito” posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “santo petro”, confine la casa di Blasio Rizza, Gerolimo Amannito ed altri fini, mentre l’altra metà di detto “trappito” rimaneva ai figli del quondam Vespesiano Popaijanni (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 078v-080v). 02.01.1637. Davanti al notaro comparivano il Cl.co Leonardo Arenda, marito di Joannella Callea, assieme a Caterina Popaijanni. Negli anni passati, detta Caterina, madre di detta Joannella, aveva promesso in dote ai detti coniugi diversi beni. All’attualità, adempiando alla sua promessa, consegnava loro, tra l’altro, la metà di una casa terranea “con trappito”, di cui l’altra metà rimaneva ai figli ed eredi del quondam Vespesiano Popaijanni, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “santo Petro”, confine la casa di Blasio Rizza, le “[rip]e ditte delle Catarrate” e la via convicinale (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 001-002). 06.03.1646. Su richiesta di Blasio Ritia, il notaro si porta nella sua casa posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.ti Petri”, “iusta Ecc.am S.tae Mariae de gratiae”, vinella mediante, la via pubblica ed altri fini, per stipulare il suo testamento. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 084v-087. 25.11.1647. Davanti al notaro comparivano Gio: Dom.co Lomoio, con il consenso di suo padre Andrea Lomoio, assieme a Paulo e Laura de Maijda, padre e figlia, anche per parte di Gio: Dom.co Scandale, marito di detta Laura. I detti Paulo e Laura asserivano che, negli anni passati, Santo Lomoio, fratello di detto Gio: Dom.co e figlio di detto Andrea, aveva donato a detta Laura la metà di una casa posta dentro la terra di Policastro, nella parrocchia di “S.to Pietro”, confine la casa di Blasio Rizza, “muro coniuncto”, la casa di Antonio Caputo, via pubblica mediante, la casa di S.ta Maria “la gratia”, “dalla parte di sop.a”, vinella mediante, la via pubblica, “dalla parte di sop.a” ed altri fini, assieme ad altri beni. Tali beni spettavano a Santo Faraco, come figlio ed erede della quondam Dianora de Maijda, mentre il detto Andrea Lomoio ne aveva l’usufrutto vita natural durante. La situazione aveva generato lite tra le parti che, all’attualità erano giunte ad un accordo. La detta Laura ed il detto Paulo, cedevano in feneficio di detto Gio: Dom.co la detta donazione dei detti beni, mentre il detto Gio: Dom.co s’impegnava a pagare ducati 13 e ½ al detto Paulo (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 103-106v). 06.09.1655. Testamento di Agostina Jerardo, moglie di Blasio Ritia, rogato nella sua domus posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.ti Petri” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 131v-132v).

[lx] In merito all’obbligo riguardante l’università di Policastro, circa la processione della Santa Spina che giungeva dal monastero per attraversare le vie dell’abitato di Policastro, il Mannarino afferma: “La quale in tal caso sta in obligo di corrispondere sopra l’altre spese à quella della luminiera; che primieramente non era men che di cinquecento libre di Cera lavorata, e la riceve convenuta innanza con tre solenni, e giurati Istrumenti. Il primo nella soglia di quella sua Chiesa. Il secondo nel Ponte, ed’il terzo nella Porta del Castello, o sia l’istesso strumento, che si legge in questi tre luoghi; e si stipulano tre atti consinentino di renderla il secondo giorno à Frati.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxi] “La forma della Città è due parti lunga e una larga, quasi in figura di Cilindro, ma distorto alquanto e fuorche nella parte occidentale, ove era già il famoso e superbo Castello, per cui si esce in piano, pendendo un poco per una inselciata, come che pieni i fossi delle dirupate muraglie, ci si trova immediatamente il Fiume con due Case di molino;” In relazione all’orto posseduto dalla corte di Policastro, il Mannarino afferma: “Tra tutti si singolarizza quello dell’Eccellentissima Corte ch’è il Capo nel più vicino e meglior immediato luogo alla Città, per detta Porta per cui come dissi s’esce in piano.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxiii] 23.09.1633. Il presbitero D. Joannes Jacobo de Aquila, permutava una casa palaziata “con una parte di muro un poco scarropata seu Cascata dalla parte di sotto”, posta nel convicino di S.to Nicola “delli greci”, con un casalino di Martino Vecchio, “con parte delle mura un poco alti”, assieme allo largo “sotto parte detto Casalino per derittura della chiesa di santa Maria dell’angeli per derittura della Cantonera” della casa di Gio: Vincenzo Riccio, appartenuta al quondam Fran.co de Jacobo, “ferente all’istrata publica verso lo cortiglio” di Fran.co Grosso, “una con lo casalino accanto di detto Casalino grande ferente verso la porta del Castello, confine la chiesa di Santo Nicola delli Cavaleri”, via pubblica mediante, che detto Martino aveva comprato da Fran.co Venturo de Oratio. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 076v-078.

[lxiv] 29.10.1617. Il “casalino novamente fabricato” appartenente all’eredità di Nardo Tuscano, era posto dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.to Nicola “delli Cavaleri”, confine l’altra casa ereditaria contigua, “et la via publica del Castello” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 060-061v).

[lxv] AASS, 37A.

[lxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 087-088v.

[lxvii] 25.05.1634. Antonino Gatto vendeva a Joannes Cepale, “lo largo seu ortale” posto “de sopra la timpa”, vicino la casa di Renzo Jerardo e la casa di Giulio Doratio appartenuta al quondam Gio: Dom.co Sacco, confine “lo vallone vallone et la istrada che scende dalla santiss.a nuntiata alla porta della terra detta la Judeca” ed altri fini. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 098v-099v).

[lxviii] 21.07.1631. Anna Cavarretta asseriva che, l’anno passato, suo marito Antonino Gatto, aveva venduto a Fran.co Marchese, una “Camera” palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.ta Maria “la gratia”, confine la casa “grande” di detto Antonino, “le casalina” appartenute al quondam Gio: Dom.co Sacco, “la istrata che si scende alla porta della terra ditta la giodeca”, ed altri fini.  La detta camera era stata comprata dal detto Fran.co, in maniera che servisse a Caterina Marchese, sua sorella, ed al marito di questa Fran.co Popaianni. Il detto Fran.co però non aveva pagato, ed il detto Antonino si era dovuto indebitare anche per “la malannata, che questo inverno e stata”, finendo in carcere per debiti. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 052-053). 01.12.1653. Gio: Andrea Sacco di Policastro, ma al presente “habitante” nella terra di Mesuraca,  vendeva a Gianne Jerardo, padre di Lucretia e nipote del detto Gio: Andrea, “due Casalena dirute cum uno horticello”, posti dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Maria “la gratia”, confine le case di detta chiesa, le case di Fran.co Papaianni, “la via che si và alla Porta della Giudeca” ed altri fini, mentre l’orto confinava con la casa di Andrea Rocciolillo, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 084v-085).

[lxix] 10.10.1641: Dietro la richiesta di Antonio de Strongolo, il notaro si portava in “loco ubi dicitur la Crocevia di S.to Nicolò delli Greci, iusta predictam Ecc.am viam bublicam et alios fines”, per stipulare il suo testamento. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 017-018v.

[lxx] ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 077v-079.

[lxxi] L’esistenza di questa porta è documentata da una platea del 1576, dove risulta che la Mensa Arcivescovile di Santa Severina, possedeva in Policastro “una bottega dentro detta Terra alla piazza, iuxta le case di m.co Matteo Campana, e la porta della piazza, la via pubblica, et altri confini della quale paga annuatim ut s.a grana dieci d. 0.0.10” AASS, 1A.

[lxxii] 07.05.1645. Il chierico Joannes Andrea de Cola e suo fratello Joanne Thoma, figli ed eredi dell’olim Jacintho de Cola, possedevano in comune ed indiviso, la “Casa Nova, et Casalino” posto nella terra di Policastro “vicino la Porta della Piazza” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 066-069v). 20.01.1647. La vedova Delia Callea, Laura Guarano e Joannes Bernardino Accetta, in solido, prendevano a censo dal R.do D. Jo: Jacobo Aquila, la somma di ducati 80 impegnandosi a pagare l’annuo censo di ducati 8. Tra i beni stabili posti a garanzia dal detto Joannes Bernardino in questa occasione, troviamo la “Continentiam Domorum” “cum Orto Conticuo”, costituita in più membri e posta dentro la terra di Policastro nella parrocchia di S.to Nicola “de Platea”, confine la via pubbblica, “et propem Portam nuncupatam della Piazza”, la domus del R.do D. Salvatore Maijda “à parte superiori, et pp.o ubi dicitur la ruga delli Vitilli, et ripas seù menia dictae Civitatis” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 011v-016).

[lxxiii] 27.03.1606. Isabella Misiano, vedova del quondam Joannes Dom.co Prioli, insieme con i figli Horatio e Joannes Baptista Priolo, vendeva ad Angilo Cropanese, una “domum terraneam” posta “intus p(raedi)ttam terram in Convicinio Ecclesie s.te Marie de Fragisi iusta rupas oleastri, et viam quod escitur foris dittam terram iusta domum ipsorum de priolo, et viam publicam” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 161v-162v).

[lxxiv] Agli inizi del Seicento, una “platea veteri” dell’abbazia di Sant’Angelo de Frigillo, documenta che Gio: Vittorio Monaco possedeva un ortale “in loco d.o Strata nova, iuxta la porta nova di d.a Terra”, per il quale pagava il censo alla detta abbazia. AASS, 124B.

[lxxv] 10.07.1606. Fran.co Antonio Scandale permutava la “camera unam sive domum palatiatam”, posta nella terra di Policastro “in convicinio ecclesie santi nicola de grecis”, nonché un “casalenum” con una “gisterna”, confine la domus del notaro Horatio Scandale, suo fratello, la via pubblica “ditta delo ringo”, la domus “frantam” di Thoma Ceraudo, appartenuta ad Antonina Scandale, con il “casalenum” del detto notaro Horatio posto nello stesso loco, confine il casaleno di detto Fran.co Antonio, l’entrata della sua domus, la domus di Minico Faraco e “vinella seu introitum” del detto Francesco Antonio (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 168v-169v).

[lxxvi] Rende P., La chiesa “Matrice” di San Nicola “de Policastro” nel luogo detto “la Piazza”, in www.archiviostoricocrotone.it

[lxxvii] Guillou A., Les Actes Grecs des Fonds Aldobrandini et Miraglia XI-XIII s., Biblioteca Apostolica Vaticana 2009, pp. 66-70.

[lxxviii] Russo F., Regesto II, 11377, 11380.

[lxxix] 22.02.1608. La “platea publica ubi dicitur lo mezarulo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 061v-062).

[lxxx] AASS, 1A.

[lxxxi] 25.10.1611. Nell’inventario delle robbe appartenute al quondam Gio: Baptista Larosa, figurava “uno palazzotto loco ditto la piazza confine le casalina di Mutio Campana posto nel convicino di s.to nicola della piazza quale casa fu fabricata per il q.m Gio: Bapt(ist)a larosa” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 209-212v). 20.09.1621. Scipio Misiano acquistava da Gio: Battista de Laratta, la casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.to Nicola “de platea”, confine l’altra casa di detto Scipione posta nella “piazza” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 053-056).

[lxxxii] 15.10.1604. Testamento di Vespesiano Zupo che si trovava infermo nella “spetiariam Hijeronimi Poeri sitam in Convicino santiss.mi sacram.ti justa domum Agostini Cavarretta justa potecam s.mi sacram.ti viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Busta 78, prot. 286 ff. 59v-60v). 19.10.1610. Testamento di Horatio Cavarretta, figlio di Joannes Agostino Cavarretta, abitante nella “domum palatiatam” appartenuta a suo padre, posta nella terra di Policastro, nel convicino della chiesa matrice di S.to Nicola “de platea”, confine l’orto di Carolo Spinelli, l’ “apotecas S.mi Corporis Cristi”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 167v-168).

[lxxxiii] 18.08.1606. Isabella Rocca donava al chierico Joannes Fran.co Rocca, figlio di Joannes Baptista Rocca suo “avunculum”, la “forge” promessa dal quondam Ant.o Rocca suo “avunculo”, al quondam Sebastiano Rocca suo figlio, padre di detta Isabella (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 190v-191). 03.10.1610. Joannes Baptista Rocca vendeva a Sansone Salerno la “domum palatiatam cum Camera Contigua”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.to Nicola “de platea”, “iusta potegam et alias domos circondatas ipsius Jo(ann)is Bapt(ist)e” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 201-201v). 17.09.1614 Sanzone Salerno, erede e possessore dei beni del notaro Serafino Rizza e di Isabella Rizza, possedeva due “potighe poste nella piazza di ditta terra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 289, ff. 023v-024v). 23.09.1618. Ferdinando Coco che, negli anni passati aveva acquistato dalla quondam Sabella Rizza la “poticam” posta dentro la terra di Policastro e proprio “in platea publica”, confine la “poticam” di Salvatore Traijna, la domus di Joannes Fran.co Rocca, “aliam poticam” del detto Sanzone, la via pubblica ed altri fini, considerato che la detta bottega “de die in die vadit deteriorando” e non avendo i mezzi per intervenire, la retrocede a Sanzone Salerno erede della detta Isabella “eius avuncule” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 119-119v). 27.07.1620. Il diacono Joannes Fran.co Rocca possedeva l’annuo censo infisso sopra la casa palaziata composta da due membri di Sanzone Salerno, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa matrice di S.to Nicola “della piazza”, confine le altre case di detto Rocca, la “potiga” di detto Sanzone e la via pubblica. Tale censo era stato ceduto al quondam Gio: Battista Rocca, padre di detto diacono, da Scipione Oliverio, primo compratore dell’annuo censo enfiteuitico. Alla data odierna, il detto diacono cedeva al detto Sansone il detto censo che, a sua volta, rinunciava in favore del primo, all’entrata della detta casa dalla parte del “Cortiglio”, come era stato nel passato. Per tale privazione il detto diacono cedeva al detto Sanzone la “potica della parte di sopra” dove al presente abitavano Micco Santella e Laura Lamanno, confine la “camera dello furno” del detto diacono, in maniera tale che, in “detta parte di potica et largo de inansi” spettante a detta bottega, potesse essere fatta una nuova entrata (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 053v-054).

[lxxxiv] 07.01.1633. Nel passato, Sansone Salerno aveva venduto a Jacinto Misiano il “Casalino seu potica deruta”, ovvero “una sua potica deruta loco ditto la piazza di questa Città”, confine la “potica deruta di Santa Maria la spina” e la casa del vicario D. Gio: Fran.co Rocca (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 002-002v). 13.07.1637. Il Cl.o Lutio Venturi, procuratore del monastero della “divae mariae spinis”, vende a Jacinto Misiano, il casaleno posto dentro la terra di Policastro “in platea publica” nel convicino della chiesa di S.to Nicola “de platea”, confine la “potecam” del detto Jacinto, la domus e l’orto di Joannes Antonio Costantio, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304 ff. 050v-052). 11.05.1638. Davanti al notaro compaiono Caterina Rocca, con il consenso di Joannes Vittorio Fanele suo marito, e Anastasia Rocca, con il consenso del marito Joannes Antonio Costantio, assieme a Jacinto Salerno che, essendo eredi del quondam D. Gio: Fran.co Rocca loro fratello, nonchè zio di detto Jacinto, detenevano in comune ed indiviso la continenza di case palaziate con “gisterna, Cortiglio et orto”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa matrice di S.to Nicola “della piazza”, confine le case di detta Anastasia, le case di Gio: Vittorio Fanele, “la potica” di Jacinto Misiano, il casalino di Stefano Capozza, la via pubblica da due parti ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 043v-045v). 06.12.1639. Considerato che per alcuni suoi “negoti”, Jacinto Misiano si apprestava a conferire nella città di Napoli, dove riteneva di “far lunga dimora”, lasciava a Rosa Romano i suoi beni tra cui la sua “potega” posta dentro la terra di Policastro “loco ditto la piazza” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 135-135v). 27.07.1642. I coniugi Joannes Antonio Costantio e Anastasia Rocca, quali successori dell’eredità del quondam D. Gio: Fran.co Rocca, vendevano ai coniugi Dieco Cepale e Claritia Paudari, la casa palaziata consistente in tre membri di cui, uno “coverto” ed altri due “scoverti, et diruti per Causa di terrimoti”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “della Piazza”, confine la “potegha” di Jacinto Misiano, il casalino di Stefano Capozza appartenuto al quondam Salvatore Traijna, le case di Caterina Rocca sorella di detta Anastasia, “muro coniunto” e le case di detti venditori “della parte di sop.a”, “muro coniunto” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 100-101v).

[lxxxv] 07.08.1618. Petro Ant.o Scandale, a titolo di dote, dona ai coniugi Andrea Campana e Lucretia Scandale, la “poticam” posta “intus plateam p(raedi)ttae Civitatis”, confine la “potecam” di Scipione Romano “a parte superiore”, “et apocam aliam ipsius Petri antoni, et domum a parte superiori Mutii Campane”, la via pubblica ed altri fini, con il patto che il detto Andrea avrebbe potuto fare a sue spese un muro “in mezo luna, et l’altra potica” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291 secondo ff. 101-102; foto 016-017). 18.02.1623. Antonella Campana vedova del quondam Fran.co de Cola, vendeva al Cl.o Joannes Ber.no Accetta suo nipote, il “palazzettum cum Camera super potecas Petri Antoni Scandalis Joannis Dom.ci Campana et Scipionis Romano”, posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa matrice di S.to Nicola “de platea” confine la via pubblica da tre lati, l’orto del notaro Fran.co Accetta, via mediante, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 071-072). 31.07.1626. In ragione della dote promessa, Petro Ant.o Scandale cedeva a sua figlia Vittoria Scandale ed a Gio: Petro Levato suo genero, “la potica della piazza di detta Citta sotto parte le case di Jacinto de cola”, che erano appartenute a D. Gerolimo Campana, confine “la via publica che si va alla ruga delli vitilli”, “la potica” di Gio : Dom.co Campana, “la via publica della piazza” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 055v-056v). 13.07.1637. Il Cl.o Lutio Venturi, procuratore del monastero della “dive marie spinis”, vendeva a Jacinto Misiano, il casaleno posto dentro la terra di Policastro “in platea publica”, nel convicino della chiesa di S.to Nicola “de platea”, confine la “potecam” di detto Jacinto, la domus e l’orto di Joannes Antonio Costantio, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 050v-052). 29.01.1638. Giunte le parti ad un accordo, il Cl.co Joannes Dom.co de Cola e la “sorore” Caterina de Cola, cedevano ai loro fratelli minori: Carolo, Bartolo, Leonardo, Joseff e Maria de Cola, ossia al loro curatore Marcello Leusi, alcuni beni appartenuti al quondam Fran.co Antonio de Cola loro padre, ed alla quondam Isabella Consiglio loro madre, tra cui la casa palaziata con “gisterna” consistente in 3 membri, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa “matrice” di S.to Nicola “della piazza”, confine le case di Jacinto de Cola, “la piazza publica” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 009-011). 15.02.1638. Dietro istanza di Anastasia e Caterina Rocca, sorelle del quondam D. Gio: Fran.co Rocca, e di Jacinto Salerno, eredi del detto quondam D. Gio: Fran.co, il notaro con il giudice ed i testimoni, ed alla presenza del sig.r D. Dieco de Castelli, reg.o cap.o di Policastro, si portava nella casa dell’ “Alfiero” Gio: Antonio Costantio, tutore testamentario di detto quondam D. Gio: Fran.co, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di S.to Nicola “della piazza”, confine le case di detto quondam D. Gio: Fran.co Rocca, “la piazza publica”, la via pubblica ed altri fini. Come tutore testamentario, il detto alfiere aveva provveduto ad inventariare le robbe del detto quondam D. Gio: Fran.co, tra cui risultava “uno Casalino di fabrica novo nella piazza di detta terra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 017v-020). 11.05.1638. Davanti al notaro comparivano Caterina Rocca, con il consenso di Joannes Vittorio Fanelis suo marito, assieme ad Anastasia Rocca, con il consenso di suo marito Joannes Antonio Costantio ed a Jacinto Salerno che, in qualità di eredi del quondam D. Gio: Fran.co Rocca, loro fratello, nonchè zio di detto Jacinto, detenevano in comune ed indiviso, la continenza di case palaziate con “gisterna, Cortiglio et orto”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa matrice di S.to Nicola “della piazza”, confine le case di detta Anastasia, le case di Gio: Vittorio Fanele, “la potica” di Jacinto Misiano, il casalino di Stefano Capozza, la via pubblica da due parti ed altri fini. Nella divisione dei beni appartenuti al quondam D. Gio: Fran.co Rocca, al detto Jacinto spettarono la casa, o camera, affacciante verso la casa di C. Gio: Dom.co de Cola. Apparteneva invece alla detta Anastasia il “palazzo di finire”, posto dentro la terra di Policastro loco detto “la piazza”, confine l’orto di Giangerolimo Blasco e la via pubblica da due parti, con il quale andava incluso il casalino “di sotto seu largo”, sotto parte di detto palazzo, confine il “muro” di detto di Blasco, Fran.co Giannino e la via pubblica. Apparteneva alla detta Anastasia anche il “largo” posto avanti detto palazzo, sopra parte delle case di detta Anastasia, confine la “potica” di Jacinto Misiano, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 043v-045v). 12.02.1647. Catharina Cavarretta comprava da Bartholo de Cola suo cognato, la “portione” posseduta da quest’ultimo di 3 “Camere, una potegha di sotto con gisterna intrada et scala”, che il detto Bartholo deteneva in comune ed indiviso con i suoi fratelli Carlo, Leonardo e Giuseppe di Cola. Il bene era posto dentro la terra di Policastro nella parrocchia di S.to Nicola della Piazza, confine “muro cogniunto”, l’altra casa dotale di detta Catherina appartenuta alla quondam “soro” Catherina de Cola, le case degli eredi dell’olim Gio: Vittorio Fanele via mediante, “la via publica che si và nella Piazza” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 021-023). 18.01.1654. Carulo de Cola vendeva al presbytero Joannes Antonio Leuci, la “continentia de Case consistentino in cinque Camere coverte, et una scoverta cum gisterna di dentro et poctega, ch’esce nella strada publica cum l’airi d’adalto, et abasso”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “della Piazza”, confine le case di Fran.co de Cola, la via pubblica ed altri fini, gravata del peso di annui carlini 10 sopra la detta “Pottega” alla chiesa di “S.to Pietro” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 003-005).

[lxxxvi] 21.09.1616. Mutio Campana vendeva a Joannes Paulo e Laurentio Caruso, padre e figlio, la domus palaziata “Cum Camera” posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.to Nicola “de platea”, “iusta Ecc.m santi angeli ditti la ruga delli vitilli vinella mediante iusta plateam publicam detta de l’astrachello” la via pubblica ed altri fini. Il detto Mutio asseriva di possedere “aiurum tantum a parte superiori ditte domus, et Camara”. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 132-133).

[lxxxvii] 09.08.1626. Jacinto de Cola vendeva al clerico Joannes Fran.co Cepale, il “palazzettum” con il “Cammarozzum a parte superiore”, posto dentro la terra di Policastro, nel convicino della Matrice di S.to Nicola, confine l’orto del notaro Joannes Fran.co Accetta, via pubblica mediante, “l’astrachello della piazza” ed altri fini. Considerato che, dalla parte di sotto di detto palazzetto, vi erano “le potiche” di Petro Ant.o Scandale, Gio: Dom.co Campana, Scipione Romano e Giulio Berricello, la vendita “se intenda l’aria di sopra di dette potiche con lo cammarozzo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 058-059). 11.02.1635. Elena Scandale, vedova del quondam Fran.co Cepalis, madre e tutrice dei figli di detto quondam Fran.co, vendeva a Renzo Schipano, la domus palaziata con camera “Cioè l’ario di sopra tantum et non altro”, con la quale andava inclusa “la potica di vascio vicino la scala di detta Casa”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino di San Nicola “de platea”, confine la “Ecclesiam Santi Angeli deruta”, vinella mediante, la via pubblica ed altri fini. Si pattuiva che detto Renzo potesse fare la porta della detta casa “affacciante alla ruga delli vitilli” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 020-020v).

[lxxxviii] 10.12.1617. “Acensito nel luco dove se dice l’astrachello loco publico, et solito ad incantarsi robbe eseq.te contra debitori” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 068-073). 20.09.1618. Si procede all’incanto nella “platea publica quod dicitur dell’astrachello ubi alia buona fieri solent” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291 ff. 108v-114v). 15.02.1621. Si procede all’incanto nella “publica platea”, “ad locum ubi dicitur l’astrachello in quo solitum est subastari bona quae vendantur de ordine Curie” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293 ff. 001v-004).

[lxxxix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78 prot. 286, ff. 117v-119v, 119v-120v, 144v-145v, 155v-156, 158-158v, 189-190v; Busta 78 prot. 287, ff. 019v-020, 027-028, 031v-032v, 034v-035, 063-063v, 085-086v, 093-094v, 104v-105, 106-107, 107-107v, 108-108v, 176-178; Busta 78 prot. 288, ff. 009-011v, 087v-088, 097v-098, 103v-104, 104-105; Busta 78 prot. 289, ff. 002v-002(bis)v, sciolti s.n., ff. 027v-028; Busta 78 prot. 290, ff. 023-025v, 029-030, 102v-103, 120v-121v, 135v-136v; Busta 78 prot. 291, ff. 064-065, 068-073, 092-093, 093-093v, 097v-098; Busta 78 prot. 292, ff. 032-032v, 063-064, 064-064v; Busta 79 prot. 293, ff. 004-006v, 021v-022v; Busta 79 prot. 294, ff. 017v-018, 019-019v; Busta 79 prot. 295, ff. 013v-014v, 040v-054, 058v-059, 167v-168; Busta 79 prot. 296, ff. 017v-018v; Busta 79 prot. 297, ff. 012v-013v, 029-032; Busta 79 prot. 299, ff. 010-011, 011-011v, 044v-045v; Busta 79 prot. 300, ff. 010v-011, 048-049; Busta 80 prot. 302, ff. 041v-043, 044-045; Busta 80 prot. 303, ff. 037v-042, 042v-048; Busta 80 prot. 305, ff. 077-078, 107v-108v; Busta 80 prot. 306, ff. 084-085, 119v-124v. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 023-032v, 044-045, 052-053v, 125v-128v; Busta 182 prot. 802, ff. 029v-031; Busta 182 prot. 803, ff. 065-066v; Busta 182 prot. 804, ff. 175v-179. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 009-011v, 046-047, 051-052, 059-060v, 085v-086v; Busta 196 prot. 875, ff. 043-045; Busta 196 prot. 876, ff. 019v-020v, 080-081.

[xc] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 550/4154 ff. 121-123v.

[xci] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 171-17.

[xcii] AASS, 16B.

[xciii] “per manutenzione dell’orologio D.i 7.” Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 137.

[xciv] Ibidem, p. 138.

[xcv] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 088v-089v e 108-109v. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 048-050.

[xcvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 042v-043.

[xcvii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 078v-084.

[xcviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 008-008v.

[xcix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 143v-144.

[c] Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723.

[ci] 13.05.1578. Joannes Maria Calcagno, “ser. or.s” della terra di Cutro, nonché “Com.s deputatus per mag.m Cur.e Vic.e”, dietro l’istanza del m.co Horatio de Modio della terra di Simeri ed in forza di una obbligazione della detta “mag.a Cur.e”, attraverso tre bandi consecutivi effettuati nei “loca pu.ca solita et Consueta p.te t(er)rae policastrii”, ovvero “in t(er)ra policastri et prop.e in platea pu.ca dicte T(er)rae dictam l’ulmo vecchio”, incantava al m.co Nic.o Fran.co Miniardo del casale di “Rullani”, i beni di Joannes Dom.co Priolo e degli eredi del quondam Fran.llo Cortisio della terra di Policastro, relativamente ad un credito di 350 ducati vantato dal detto Horatio, quale residuo di una somma maggiore (ASCZ, Notaio Santoro M., vol. VII, ff.  68-73v). 28.10.1603. Alla presenza di Gio: Battista Oliverio, luogotenete del regio tesoriere di Monteleone, del notaro Joannes Fran.co Accetta e del regio capitano, il servente Francisco Gallo provvedeva a incantare “lo feudo di Andriuli orrico et mangiacardone”, nel luogo detto “alla piazza publica dell’ulmo vecchio” (ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 558/4162, ff. 131). 12.10.1615. Nella “publica platea ubi dicitur lulmo vecchio dittae Civitatis loco solito et consueto”, Paulo Luchetta, ordinario servente della regia Corte di Policastro, procedeva “more solito”, mediante unico incanto, alla vendita dei beni di Stefano Capozza, moroso nei confronti del fisco per la somma di 50 once (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 050v-052).

[cii] 05.09.1623. Nella “platea publica, et proprio dove se dice l’ulmo novo”, dietro l’istanza di Hijeronimo e Petritia Salerno, cessionari del quondam Fran.co Ant.o Salerno, Joannes Dom.co Cappa, ordinario serviente della regia Curia di Policastro, aveva provveduto ad incantare a Joannes Thoma Tronga, la  possessione di Joannes Thoma Cepale carcerato per debito (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 104v-106v). Il 30.06.1625. Nella piazza pubblica “et proprio dove se dice l’ulmo novo”, Laurentio Ceraldo “publicus serviens Reg.a Curia Civitatis Policastri”, dietro l’istanza del chierico Ottavio Vitetta, procuratore del monastero di S.ta Maria detta “le manche”, provvedeva all’incanto delle terre appartenute al quondam Mattio Vecchio lasciate al detto monastero (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 130v-133). 04.03.1626. “dove si dice l’ulmo novo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 022v-025). 28.08.1627. In platea pubblica “ubi dicitur l’ulmo novo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 138-142v). 18.06.1629. “in platea publica ubi dicitur l’ulmo novo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 052-053v). 09.11.1632. “in platea publica ubi dicitur l’ulmo novo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 102-105).

[ciii] Nell’agosto del 1599, si procedeva all’affitto delle entrate baronali, attraverso tre bandi successivi in “plateam publicam et alia loca solita et consueta” della terra di Policastro. In tale occasione, si evidenziava che gl’interessati a prendere in affitto i beni della Corte, sarebbero dovuti comparire “in anti lo palazzo dela sala nova di d(it)ta Reg.a Corte” (ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 550/4154 ff. 121-123v).

[civ] 21.07.1240. “in Aquis sub ulmo majoris ecclesie” Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1859, Tomo V pars II, p. 1019.

[cv] Alla fine del Seicento, nella descrizione della chiesa del SS. Salvatore di Santa Severina, si riferisce: “In detta chiesa vi sono due campane, e avanti di essa vi è un piede d’olmo e Piazza” (Apprezzo della Città di Santa Severina, in Scalise G. B. (a cura di), Siberene, cit., p. 98).

[cvi] 23.08.1636. Il not.o Joannes Leonardo de Pace vendeva a Joannes Simone Arenda, la domus palaziata “cum logetta, et orto Cortiglio cum uno pede di celso”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de grecis”, confine la domus di Elisabetta Conm.ti, vedova del quondam Santori Sagaci, un’altra domus di detto notaro dalla parte superiore e l’altra “Canmera” di detto notaro “affacciante à santo dimitri”, confine la casa di Donno Santo de Pace gravata dal peso di ducati 6 da pagarsi a D. Gio: Battista Favari. Si menziona “lo largo di avanti donno santo et stefano apa”. Il detto notaro dava a detto Joannes Simone “la strata seu intrata per andare in detta Casa ut sup.a venduta per la piazza dove si ha da sbarrare l’orto per intrare in detta Casa” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 104v-106). 26.05.1645. Il notaro Joannes Leonardo de Pace possedeva la domus palaziata posta dentro la terra di Policastro in parrocchia di “Sancti Petri iuxta publicam Plateam à parte superiori”, la domus di Joannes Thoma de Pace, il “vallonem dictum de Pantisano”, la domus di Thoma Lamanno, la domus di Joannes Hyeronimo Blasco ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 077v-081). 06.08.1645. Il notaro Joannes Leonardo de Pace vendeva al Rev.s D. Prospero Meo di San Mauro, la “Domum cum Camera” posta nel convicino della chiesa parrocchiale di “Sancti Petri”, confine la “publicam Plateam”, la domus di Joannes Thoma de Pace, “muro coniuncto”, un’altra domus del detto notaro, “muro coniuncto”, la domus del Rev.s D. Sancto de Pace, “muro coniuncto” ed altri fini. Si pattuiva che il detto D. Prospero avrebbe avuto l’entrata e l’uscita della detta casa “per lo Cortiglio et Vallone di esso Notario” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 096-098v). 12.10.1653. Gio: Tomaso de Pace, asseriva di possedere numerosi beni stabili e mobili, tra cui la “Continentia de Case” consitenti in più “membri”, “cum Cortiglio, e Gisterna” ed, in particolare, “due Camere d’edalto”. Il detto Gio: Tomaso de Pace, per consentirgli di studiare ed ascendere agli ordini sacerdotali, donava al Cl.co Antonino de Pace, suo figlio, le due “Camere d’adalto, che affacciano alla Piazza cum le gelusie” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 077-078).

[cvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 077v-079;  Busta 78 prot. 291, ff. 098v-099v.

[cviii] 08.04.1607. Davanti al notaro ed al cospetto del parroco, si costituivano Ottavio de Pace e sua moglie Isabella Apa da una parte e, dall’altra, Joannes Caccurio,  per stipulare i capitoli relativi al matrimonio tra il detto Joannes e Lisabetta de Pace, figlia dei detti Ottavio e Isabella. Apparteneva alla dote un “casalino nella piazza cioè all’ulmo per far una potega” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 013v-015). 28.10.1612. Per permettergli di accedere all’ordine sacerdotale, Ottavio de Pace, donava al chierico Santo de Pace suo figlio, la “domum palatiatam in duobus membris consistentem cum scala vignano, et gisterna sotto di detto vignano cum solito int.o et exito”, posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di S.to Nicola “de grecis”, confine la via pubblica dalla parte superiore “accanto l’ulmo”, confine un’altra “domum magnam” di detto Ottavio ed altri fini, gravata dall’onere annuo di dieci carlini da pagare alla baronessa di Cotronei e Corigliano (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 047v-048).

[cix] 11.08.1604. Testamento di Lucretia Carcello stipulato nella domus di Vergilio Caccuri, posta “intus p(raedi)ttam terram in convicino Ecclesie santi dimitri”, confine la domus di detta Lucretia la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 39-39v). 09.01.1614. Al fine di permettergli di potere accedere agli ordini sacerdotali, Lucretia Carcello, ava del chierico Joannes Fran.co Caccuri suo nipote, gli donava una domus posta dentro la terra di Policastro “in Convicinio domus ditta la sala”, confine la domus di Vergilio Caccuri (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 289, ff. 002-002v). 31.08.1625. Ottavio de Pace vendeva a Fran.co Turtorella ed a sua moglie Berardina Spano, la domus palaziata con camera contigua similmente palaziata con “gisterna”, “et largo di essa ferente della Cantonera di detta Casa al vallone preter lo largo q.m Santori Sagaci”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de grecis”, “justa salam Contiguam dittae domum derutam”, confine il casaleno di Joannes Baptista de Albo de Cola, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 135v-137). 15.11.1627. I fratelli Petro Curto e Cl.o Matteo Curto, detenevano in comune ed indiviso per successione paterna, la domus palaziata composta in più e diversi membri superiori ed inferiori, consistente in una “sala” e due “Canmare con li vasci” con orto e “gisterna” contigui, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de grecis”, nelle vicinanze di quello di San Nicola della Piazza, confine la domus del dottore Mutio Giordano dalla parte superiore, il “palatium dittum lasala” vinella mediante, il casaleno che era appartenuto al quondam Matteo Palazzo, la via convicinale ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 170-172). 20.05.1638. In forza della Bolla data in Roma il 05.01.1637, il R.do presbitero Joannes Andrea Romano, era immesso nel possesso della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “grecorum”, posta in convicino delle case del presbitero Leonardo Marchese “et ab altero latere domum ditta la sala” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305 ff. 051v-052v).

[cx] 02.03.1643. Nella “Platea publica ubi dicitur l’ulmo, iuxta Palatium ubi habitat dictus U.J.D.r Vitalianus, iuxta Parocchialem Ecclesiam Sancti Nicolai Grecorum” ed altri fini, Jacintho de Cola di Policastro, alla presenza dei magnifici Joannes Gregorio Cerasaro e Jacintho Misiano sindaci nel presente anno e degli eletti, si querelava contro Vitaliano Fabiano, “olim” regio capitano di Policastro, “pro admnistrat.ne officii eius Capitaneatus” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 047-049v).

[cxi] 20.02.1621. Laurentio Ceraldo, ordinario servente della regia Curia di Policastro, provvede all’incanto “in platea p(raedi)tta ubi dicitur dell’ulmo della Sala” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 011-012v).

[cxii] 29.06.1636. Donno Santo de Pace vendeva a Joannes Hijeronimo Blasco, un “ortalem seu Solum terrae”, posto dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de grecis”, confine la domus di detto Joannes Hijeronimo, la domus di Feliciana Lansetta, i “Casalenos” di D. Joanne Fran.co Rocca, l’orto arborato “sicomorum” di detto D. Santo e la “viam publicam dittam la sala seu piazza”, ovvero la “istrata publica della piazza publica” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303 ff. 071-072v).

[cxiii] 02.02.1636. Alla dote di Vittoria Curto figlia di Caterina Mazzuca, vedova del quondam Paulo Curto, che andava sposa ad Antonio de Vona, apparteneva una casa palaziata “con la casetta Contigua del furno”, posta dentro la terra di Policastro nella parrocchia di S.to Nicola “delli greci”, confine “la potica” di Betta Mazzuca, la casa di Polita Tavernise, l’orto di Scipione Gardo la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 011-012v).

[cxiv] 07.05.1639. In occasione del matrimonio di Feliciana Mazzuca con Joseffo Amannato di Mesoraca, Dominico Amannato, marito di Lucretia Lanzo, madre di detta Feliciana e “parrastro” di detta futura sposa, pattuiva che, volendo quest’ultima la “potica” confine Caterina Mazzuca ed il casalino di Narciso Rizza, doveva pagaglierli, avendoci egli investito del denaro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 054-055).

[cxv] 15.02.1646. Marco Antonio Mannarino vendeva al Rev.s presbitero Jo: Paulo Mannarino i seguenti beni: la “Continentiam Domorum” posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “Grecorum”, confine la domus di Stephano Capotia “muro coniuncto à parte superiore”, la via pubblica da due lati ed altri fini; due “Casalena” posti dentro la terra di Policastro, nel convicino della stessa chiesa parrocchiale, uno confinante con la “Potecam” di Francisco Curto “à parte inferiori”, ed “à parte superiori” con detta “continentiam Domorum”, l’altro confinante con la domus di Mattheo Cancelli  “muro coniuncto”, la via pubblica convicinale ed altri fini. Sia la “Continentiam Domorum” che i due casaleni, erano appartenuti “olim de dominio et possessione” del Rev.s Joannes Andrea Capotia (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 020-022). 01.10.1649. Fran.co Curto “publico mercante”, vendeva per il prezzo di ducati 3046 a Michele Curto, i “panni mobili di mercantia cum le sottoscritte merci” esistenti dentro la sua “Pottega sita nelle Case di Pietro Curto” e posta dentro la terra di Policastro nella parrocchia di S.to Nicola “della Piazza” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 071-073v). 27.08.1652. Alla presenza di Michele Curto, Gio: Dom.co Maccarrone asseriva che, tre anni prima, assieme a questi, aveva comprato dal “mercante” Fran.co Curto, una “potega di panni nobili cum mercie” per la somma di ducati 3000, come appariva per atto del notaro Gio: Matteo Guidacciaro del 17.03.1650. Il detto Gio: Dom.co dichiarava però che in quell’atto, egli era stato solo un prestanome e che il denaro pagato era stato tutto del detto Michele che quindi, era il vero padrone (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 052v-053).

[cxvi] 02.09.1607. Joannes Petro de Aquila e suo figlio Joannes And.a de Aquila, vendevano a Joannes Alfontio Cerasaro, una “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro “consistente in pluribus e diversis membris, et potica in convicinio Ecclesie santae Mariae la nova”, confine la domus del presbitero Joannes Leotta, Marco Antonio de Aquila, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 037v-039). 28.11.1626. Dietro richiesta di Diana Castelliti, vedova del quondam Marco Antonio de Aquila, il notaro si portava nella domus palaziata consistente in 4 membri “et vasci”, con “Cortiglio, et gisterna”, oltre un’altra “casetta palatiata” che si dice “lo magazeno”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, “in loco ubi dicitur lo fumerello”, confine la domus del presbitero D. Joannes Jacobo de Aquila dalla parte superiore e, dalla parte inferiore, la domus di Joannes Antonio Jannici ed altri fini, per fare l’inventario dei beni del detto quondam Marco Antonio. Tra questi si menzionano due membri terranei “sotto parte la logetta di dette Case uno delli quali si domanda la potighella et l’altra la miseria dove si conserva paglia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 093-100).

[cxvii] 31.05.1621. Joannes Thoma Richetta donava al Cl.o Joannes Fran.co Cerasaro, la “potecam” posta dentro la terra di Policastro nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, confine la domus di Minico Carvelli dalla parte superiore e Giulia Caira, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 032-033).

[cxviii] 28.02.1622. Minico Carvello e suo figlio Gianni Carvello, donavano a Thomaso Giordano della città di Napoli, assente, i loro diritti sulla “poteca” che, al presente, possedeva Joannes Thoma Richetta, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, confine la domus palaziata di detti Minico e Joannes e le vie pubbliche da tre lati (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 014-014v). 02.06.1629. Paulo Luchetta, ordinario serviente della reg.a Curia di Policastro, dietro l’istanza di Joannes Carvello, procuratore di Paulo Carvello al presente commorante in Napoli, cessionario di Thoma Jordano, contro il quondam Thoma Richetta ed i suoi eredi, immetteva il detto Paolo nel possesso della “apoteca” posta in Policastro nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, “in loco ubi dicitur lo fumarello”, confine la domus di suo fratello de Carvello, la domus di Julia Caria e la via pubblica da due lati (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 022v-024). 04.06.1630. Il notaro si portava nella “potecam Consalvi steriti dittam Joannis Carvelli ubi dicitur lo fumerello”, confine la domus di detto Joannes Carvelli, per stipulare il testamento di Alfonso Campitello (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 113v-115). 14.08.1631. Per consentirgli di ascendere agli ordini sacerdotali, Elisabetta Corigliano, vedova del quondam Joannes Thoma Richetta, donava al Cl.o Carolo Leonardo Richetta suo nipote, la “apotegam” posta dentro la terra di Policastro loco detto “lo fumarello et proprio subtos domus Jo(ann)is Carvello, la via pubblica ed altri fini” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 054v-057). 01.06.1634. Micael Parente, ordinario serviente della regia Curia di Policastro, in vigore della provvisione della Magna Curia della Vicaria, spedita da Fran.co Spinello marchese di Fuscaldo, dietro l’istanza di Paulo Carvello contro i coniugi Joannes Thoma Richetta e Lisabetta Corigliano, immetteva Joannes Carvello, procuratore del detto Paulo, nel possesso della “apotecam” posta “in loco ubi dicitur lo fumarello”, nel convicino della SS.ma Annunziata “nova”, confine la domus di Joannes Carvello, fratello del detto Paulo, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 102v-105).

[cxix] 10.04.1613. Alla dote di Polita Cimino, figlia di Joannes Laurentio Cimino “alias fegatale”, che andava sposa a Marcello Crocco della terra di Cutro, apparteneva una “casa seu Cammera” della casa dove al presente abitava detto Gio: Laurentio, confine “la casa di polinitia, et santo dimitri, quale Cammera sta affacciante inansi la potica di Gio: Baptista Natale” e la via pubblica (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 076v-077v).

[cxx] 04.07.1616. Volendo entrare come monaco nel monastero della Santa Spina, Vespesiano Pantisano, donava al detto monastero i suoi beni, tra cui: una casa palaziata consistente in “una sala con due Cammare”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “santo dimitri”, confine la casa di Alfonso Caccuri “della parte di sopra”, il casalino “seu casa” del quondam Salusto Luchetta, “et una potiga contigua”, vinella mediante, con “cortiglio, et logetta”. La detta “potiga” era gravata dal peso di annui carlini 16 che si pagavano alla baronessa di Cotronei (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 109-111v). 28.09.1621. Dietro l’istanza di Petro Paulo Serra, marito di Auriae Salerno, e di Fran.co Ant.o e Gerolimo Salerno contro Vespesiano Pantisano, debitore nei loro confronti, il serviente della corte provede ad incantare i beni del detto Vespesiano che rimasero aggiudicati al dottore Mutio Giordano per ducati 350. Tra questi, la domus palaziata con diversi membri “et pergula”, posta dentro la terra di Policastro nel convicno di S.to Nicola “de grecis”, confine la domus di Joannes Dom.co Cappa vinella mediante, la domus di Alfonso Caccurio la via pubblica ed altri fini, nonchè la “poteca” posta dentro la terra di Policastro, confine la domus predetta vinella mediante, gravata da un peso (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 061v-069).

[cxxi] 04.11.1612. Alla dote di Cornelia Rocca che andava sposa a Salvatore di Marco, apparteneva la metà della casa e casalino dove al  presente abitava la futura sposa, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “santo dimitri”, confine la casa di Minico Carise, la casa di Tomaso Taranto, “la forgia di mastro Fran.co Comm.ti”, la via convicinale ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 049-050v).

[cxxii] 13.05.1604. Testamento di Laura Carise abitante “iusta Ecclesiam s.ti Nicolai de grecis justa domum Thoma Taranti iusta domum Dominici Rocce viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 6-6v).

[cxxiii] 16.02.1621. Joannes Dom.co Falcune, procuratore della cappella del SS.mo Sacramento, provvede a mettere all’incanto la domus palaziata del quondam Thomaso Taranto che l’aveva lasciata a detta cappella. La detta domus era posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de platea”, confine la domus di Santo Ventorino, la domus degli eredi del quondam Joannes Dom.co Rocca, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 006v-008).

[cxxiv] 26.02.1625. Davanti al notaro comparivano Andrea Jerardo e Joannes Dom.co Cavarretta de Nardo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Joannes Dom.co e Vittoria Jerardo, figlia di detto Andrea. Si pattuiva che il futuro sposo, avrebbe dovuto investire una parte del denaro della dote sopra “la forgia”, comprando “Una casa, ò potica dove possa ponere la forgia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 105-107).

[cxxv] 16.09.1625. Davanti al notaro comparivano Rinaldo Ceraldo della terra di Mesoraca, ma al presente “habitante” in Policastro, e Petro Ercole “de terra ijfonis”, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Petro e Rosa Ceraldo, sorella di detto Rinaldo. Appartenevano alla dote: “una forgia” con tutti stigli che sarebbero divenuti del futuro sposo (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 145v-146v). 17.05.1627. Andriana Rizza vedova del quondam magister Fran.co Conm.ti, assieme al C. Joannes Conm.ti, suo figlio maggiorenne, vendevano al magister Petro Ercole della terra di “ijfune” al presente “habitante” in Policastro, la domus terranea “et scala” detta “la forgia”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de platea”, confine la domus di Joannes Thoma Lamanno, la domus di Joannes Hijeronimo Blasco, vinella mediante, la via convicinale ed altri fini, assieme con “lo largo di sopra parte detta potica Cioe ferente dalla Cantonera di detto Gio: Gerolimo per derittura la cantonera di detta forgia dove sono li tannuni”, e dalla parte di “detro detta Cantonera di Tannuni”, confine il casaleno di detto Gio: Thomaso Lamanno, “nel quale muro” detto “m.o” Petro avrebbe potuto farci “la porta, et fare le scale di detto loco della petra grande verso detta Cantonera di Tannuni che sara di cinque palmi di largo per detta scala” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 126-127v).

[cxxvi] 22.08.1634. Davanti al notaro comparivano Joannes Conmeriati figlio ed erede del quondam magister Fran.co Conmeriati e sua madre Andriana Rizza, assieme a Petro Ercole di Policastro. Negli anni passati, la detta Andriana e detto Gianni avevano venduto a detto Petro una casa terranea detta “la forggia”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della matrice di S.to Nicola “della piazza”, confine la casa di Gio: Thomaso Lamanno, Giangerolimo Blasco ed altri fini per la somma di ducati 27, relativamente ai quali detto Petro si era impegnato a pagare l’annuo censo di carlini 27, come per atto dello stesso notaro del 17.05.1627. Al presente, essendo venuti di comune accordo alla decisione di vendere detta casa al notaro Gio: Leonardo de Pace per ducati 37, considerando il di più di 10 ducati relativi ai miglioramenti fatti da detto “mastro” Petro, ed apprezzati da Battista Mazzuca e dal “mastro” Fran.co Abrozzise, la casa veniva ceduta a detto notaro Gio: Leonardo che, avendo già pagato i detti 10 ducati, s’impegnava a pagare i restanti 27 attraverso lo stesso censo di carlini 27 che pagava il detto mastro Petro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301 ff. 129-130).

[cxxvii] 25.07.1635. Il not.o J. Leonardo de Pace vendeva a Stefano Apa, la domus palaziata “cum vascio” “dittam la forgia”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.to Nicola “de grecis” confine la domus ed il casaleno di Joannes Thoma Lamanno, ed il casaleno di detto notaro “muro Coniunto” con la detta domus palaziata. Si pattuiva che se detto notaro avesse voluto serrare la porta del “Catoijo” di detta casa, avrebbe dovuto farlo a sue spese, facendo l’entrata di detto catoio “sotto le scale di detta Casa”, mentre il “largo” che era tra detta casa e la casa di Gio: Gerolimo Blasco, restava per detto notaro. Considerato che in detta casa venduta vi era una finestra che affacciava verso il casalino di detto notaro, si pattuiva che questi avrebbe potuto serrarla a proprie spese mentre, la finestra affacciante verso il catoio, doveva essere lasciata nella maniera in cui si ritrovava. Il detto notaro avrebbe avuto la facoltà di “alzare” il casalino “quanto” ad esso sarebbe piaciuto (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302 ff. 068v-070).

[cxxviii] 05.09.1630. Davanti al notaro comparivano Caterina Caccuri, vedova del quondam Fabritio Priamo, e Fran.co Conmeriati, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Fran.co ed Angilella Priamo, figlia di detta Caterina e del detto quondam Fabritio. Il detto Fran.co prometteva di adornare la futura sposa, obligando tutte le sue robbe ed in particolare “la forggia” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 151v-153). 03.01.1635. Ottavio Accetta donava al Cl.o Antonino Accetta suo figlio, la casa palaziata consistente in un membro, posta dentro la terra di Policastro nella “parocchia” di S.to Nicola “delli greci”, confine “la casa della forgia che e delli heredi del q.m fabritio lo priamo”, la casa della quondam Isabella di Florio e la via pubblica da due parti (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 004v-005v).

[cxxix] 12.05.1647. Davanti al notaro comparivano Angila Priamo, vedova dell’olim magister Francisco Commeriati, e Petro Faragò, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Apparteneva alla dote: la “Potegha dove è stata la forgia” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 056-057v). 15.06.1647. Lupo Campana otteneva dalla chiesa di S.to Nicola “delli Greci” e per essa, dal R. D. Gio: Antonio Leuci, “Vice Parocho” della detta chiesa, un capitale di ducati 35 impegnandosi a pagare l’annuo censo di carlini 35. Tale denaro era quello pervenuto alla detta chiesa, dalla vendita “delli stigli della forgia” lasciati dal quondam “Mastro” Fran.co Converiati, per la celebrazione di tante messe quanto avrebbero permesso l’entrate del detto capitale (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 052-054). 06.10.1647. Davanti al notaro comparivano Joannes Thoma Caccurio, zio di Catharina Caccurio, e Lupo Campana, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra la detta Catharina e detto Lupo. In relazione alla costituzione della dote della sposa, il detto Gio: Tomaso s’impegnava a pagare ai RR. Comuneri del clero di Policastro, l’annuo censo di carlini 35 dovuto dal detto Lupo, in relazione al denaro da questi ricevuto in prestito, a seguito della vendita della “forgia” lasciata dal quondam “Mastro” Fran.co Converiati (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 082-084). 05.11.1647. Laura Blasco deteneva l’usufrutto lasciatogli dal quondam Vespesiano Blasco, relativo all’annuo censo di ducati 4 per un capitale di ducati 40, percepito da Ottavio Accetta, per la vendita di una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, nella parrocchia di S.to Nicola “delli greci”, confine “le Case della forgia” del quondam Fran.co Converiati, le case che al presente possedeva Fran.co Castagnino, le vie pubbliche ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 090-091). 02.08.1652. Il R. D. Gio: Antonio Leuci vendeva a Fran.co Naturile la casa palaziata posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “delli Greci”, confine “le Case della forgia” che erano state di Fran.co Converiati de Silvestro, le case di Fran.co Castagnino, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 046-047v).

[cxxx] 02.05.1646. Feliciana Mazzuca, figlia ed erede dell’olim Baptista Mazzuca, assieme a suo marito Joseph Ammannato, vendeva a Horatio Rocciolillo, il “largum seu locum” dove anticamente era stata edificata la domus appartenuta all’olim Castiglia de Vona, moglie del quondam Dominico Mazzuca, padre di detto quondam Baptista, dove, in una sua parte, si trovava fabbricata la domus terranea “dicta della forggia”. Tale largo era posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “Grecorum”, confine la domus degli eredi dell’olim Antonio Lanzo, la domus degli eredi del quondam Benigno Rocciolillo, la domus appartenuta al dominio del R. presbitero Vincentio de Flore, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 042-044).

[cxxxi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301 ff. 129-130.

[cxxxii] 21.08.1625. Nardo Spinello donava alla chiesa della SS.ma Annunziata “nova”, la domus palaziata “dittam la forgia”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della detta chiesa, confine un’altra domus di detto Nardo, la domus di Laurentio Monteleone, la via pubblica ed altri fini, (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295 ff. 135-135v).

 

[cxxxiii] 01.09.1634. Il subdiacono Fran.co Venturi e suo fratello Marcello Venturi, vendevano a Mattio Scalise, la domus terranea detta “la forgia” che possedevano in comune, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria “Angelorum”, confine un’altra domus palaziata di detti Venturi, il loro orto dalla parte superiore, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 135-136).

[cxxxiv] 17.09.1627. Il giorno precedente, per ordine della Gran Corte della Vicaria, Laurentio Ceraldo, ordinario serviente della reg.a Curia di Policastro, aveva incantato nella “piazza publica di detta Citta”, dietro l’istanza del dottor Horatio Venturi in qualità di creditore del quondam Petro Carvello, “le case, Casalino et potica” di quest’ultimo, poste nel convicino di S.ta Maria “la grande”, confine le case del quondam Serafino Cavarretta dalla parte di sopra, le case di Gio: Thomaso Cepale, vinella mediante, la via pubblica da due parti ed altri fini. L’incanto era stato aggiudicato a Martino Vecchio e Santo Misiano in solido (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 148v-150). 17.09.1627. Martino Vecchio e Santo Misiano si spartivano i beni acquistati all’incanto il giorno precedente. Detto Martino si prendeva “la casa et Camera” con i confini già descritti, mentre detto Santo si prendeva “la potica” e “lo casaleno scoverto accanto di detta potica”, confine dalla parte di sopra le case toccate a detto Martino. Il detto Martino avrebbe dovuto serrare la porta che affacciava a detto casalino, mentre detto Santo avrebbe potuto fabbricare le mura del casalino e della bottega (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 150-150v).

[cxxxv] 20.01.1635. Davanti al notaro compaiono Martino Vecchio ed il magister Laurenzo Caruso, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Laurenzo e Joannella Vecchio, figlia del detto Martino. Appartenevano alla dote la casa palaziata con “una potica” esistente nello stesso loco, posta dentro la terra di Policastro, confine la casa di Alfonso Mazzuca e Gio: Thomaso Cepale vinella mediante (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 009-010v). 24.07.1654. La “Poteca de m(ast)ro Masi Cepale” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 068-071v).

[cxxxvi] 04.04.1623. Joannes Vittorio Caccurio cedeva al figlio Joannes Fran.co una continenza di case palaziate “Con sala” e due “Camare” dove al presente abitava il regio capitano di Policastro, “con orto, et potichella”, affacciante “nell’istrada publica”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Maria dell’Olivella, confine le case del quondam Gio: Thomaso Faraco, la via pubblica da due parti e “la chiesa di santa Maria l’olivella intrada convicinale mediante” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 087-088v).

[cxxxvii] 17.10.1630. Il notaro si porta nella “Potecam” di Joannes Vincenzo Rizza, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Maria “olivarum”, la via pubblica ed altri fini, per stipulare il testamento del magister Fran.co Caloijero del “Casalis Fossati” pertinenza di Taverna (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 178v-179).

[cxxxviii] Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723.

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La fondazione dei due casali di Cuturella e Cerva in territorio di Belcastro

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Cuturella, Cerva ed i luoghi vicini. Particolare della tavola n. 29 (1789) dell’Atlante Geografico di Rizzi Zannoni.

Dopo la fondazione del casale di Andali, avvenuta nella seconda metà del Cinquecento, seguì dapprima quello di Cuturella, nei primi decenni del Seicento, ed un secolo dopo quello di Cerva. Tutti e tre i casali furono fondati per opera dei feudatari di Belcastro. Il primo fu popolato con gente albanese, gli altri due con popolazione proveniente da terre e luoghi vicini. I casali appartenevano al feudatario, che ne era stato il fondatore ed aveva concesso a censo ai nuovi abitanti parte delle sue tenute per coltivare, pascolare e costruire le abitazioni.

Per quanto riguardava lo spirituale essi erano situati in diocesi di Belcastro e quindi sotto la giurisdizione di quel vescovo.[i] Tutti e tre i casali erano situati lungo la riva sinistra della vallata del Crocchio; sulla trazza della transumanza tra i pascoli della marina e quelli della Sila che incrociava la via che unisce Belcastro con Sersale. La loro origine anche se avvenuta in tempi diversi, fu determinata dalla necessità da parte del feudatario, di popolare il suo feudo con braccianti e pastori, per aprire parte delle sue estese difese alla semina ed al pascolo.

Processione con la statua di San Michele Arcangelo a Cuturella frazione di Cropani (CZ) da www.belcastroweb.

La formazione del nuovo casale di Santo Angelo detto Cuturella

Il casale di Sant’Angelo sorse in località “Coturella”, un luogo in territorio di Belcastro dove già esistevano delle masserie, come evidenzia una platea dei primi anni del Seicento della confraternita della SS.ma Annunziata di Belcastro. In essa si legge che nel 1607, al tempo del raccolto, i confrati pagarono un uomo per andare alla “Coturella” e Marcedusa per fare la cerca del grano.[ii] Allora era un villaggio rurale o casale composto da pochi pagliai, abitato da famiglie di braccianti poveri, sempre pronte a disfare le loro abitazioni ed ad abbandonare il luogo quando lo sfruttamento del feudatario diveniva non più sopportabile e soprattutto per sfuggire al fisco regio. Gli abitanti pertanto divenivano invisibili al tempo della numerazione dei fuochi e della tassazione, in quanto si allontanavano per altre città e terre vicine, facendo perdere le loro tracce e poi passato il pericolo a volte ritornavano.

I confrati dell’Annunziata di Belcastro annotano che l’annata del 1618/1619 fu scarsa ed il grano raccolto con la cerca per le aie fu solo di tomoli 23 e fu venduto a carlini 12 il tomolo. I conti dell’amministrazione della confraternita si chiusero con tanti debitori. Il vescovo di Belcastro Girolamo Ricciulli (1616-1626) nel 1619 scriveva che il casale che era stato abitato da circa 150 abitanti, a causa delle vessazioni degli ufficiali del feudatario e per sfuggire al fisco regio, nel mese di settembre di quell’anno era stato abbandonato. Evidentemente gli abitanti, nullatenenti, indebitati e oppressi dalla povertà, trovando troppo esosi i canoni di affitto delle terre del feudatario ed insopportabile il peso fiscale, prima della semina avevano deciso di disfare i loro pagliai e di abbandonare il casale per coltivare in altri luoghi vicini. “Incolae … Casalis Cuturellae”, “quia maxima parte paupertate praemebantur promptaque eis erat migratio, ob nonnullas vexationes officialium laicorum et ob gravia onera fiscalia ipsorum posse exsuperantia, ad alias civitates, terra set oppida proximo praeterito mense septembris migrarunt, ita ut ad praesens nullus in praedicto Casali habitat. Casale ipsum quindecim focularia et 150 circiter animas continebat, ex quibus 90 sacram communionem percipebant”.[iii]

Lo stesso vescovo nelle relazioni successive del primo giugno 1620 e del 7 aprile 1625 affermava che nella sua diocesi era rimasto un solo casale ed era abitato da Greci (Andali).[iv]

In seguito tra il 1625 ed il 1627 in diocesi di Belcastro compare il casale di Sant’Angelo, come evidenziano le relazioni dei vescovi. Il consolidarsi del nuovo casale è strettamente legato a condizioni economiche migliori offerte dal nuovo feudatario di Belcastro e forse anche ad un evento disastroso, che interessò i paesi vicini. Nei primi giorni di aprile del 1626 un gravissimo terremoto scosse il territorio catanzarese così come si legge in una relazione del nunzio di Napoli: “S’ha avviso da Catanzaro d’un grandissimo danno fatto dal terremoto nelli castelli convicini, alcuni de’ quali siano in gran parte stati inghiottiti dalle voragini della terra con sterminio degl’habitatori”.[v]

Due anni dopo il nuovo vescovo Antonio Ricciullo ci informa che ad Andali si è aggiunto il nuovo casale di Sant’Angelo, abitato da circa 50 famiglie di rito latino.[vi] Da quanto detto l’origine del casale è da situarsi tra il 1625 ed il 1627 per opera del barone Orazio Sersale (1624-1653), fondatore anche della vicina Sersale. Il casale all’inizio prese il nome di Sant’Angelo in onore della chiesa preesistente intitolata a Santo Michele arcangelo, attorno alla quale furono edificate le abitazioni. Negli anni seguenti fu a volte chiamato casale di Cuturella o Sant’Angelo di Cuturella, poi assunse definitivamente il nome della difesa feudale.

La popolazione, che andò ad abitarvi, proveniva dai luoghi vicini, specie dalla terra di Cropani, che pochi anni prima nel 1615 il barone Antonino Sersale aveva venduto ad Ettore Ravaschieri. É evidente quindi la relazione che lega il passaggio della terra di Cropani al nuovo feudatario e la nascita del nuovo casale nelle terre del feudatario di Belcastro.

Sigillo dell’università di Cuturella.

Un atto notarile del notaio di Belcastro Francesco Mazzaccaro rogato pochi anni dopo la formazione del casale, oltre a fornirci i nomi dei primi abitanti, ci informa della lite che oppose da subito la nuova università con quella di Cropani per la questione del pagamento dei fiscali. L’università di Cropani esigeva il pagamento delle tasse da coloro che se ne erano andati nel nuovo casale, in quanto il fisco regio le esigeva dalla terra di Cropani.

Il 15 giugno 1631, “il sindaco Francesco Conido del casale di Santo Angelo, pertinenza della città di Belcastro, in presenza del notaio Francesco Mazzaccaro e a nome e parte dell’università di Santo Angelo e dei suoi cittadini, asserisce di avere liti in Regia Udienza di questa provincia con l’università della terra di Cropani per il pagamento delle funzioni fiscali, che l’università di Cropani pretende come da atti.

Poiché dall’università della terra di Cropani nei giorni passati furono citati sia i cittadini che l’università del casale, i cittadini si congregarono in pubblico regimento. Essi ora presentano al notaio il seguente documento.

Il giorno 13 giugno nella terra di Santo Angelo in presenza di me D. Giacomo Gerobasio Cappellano presenti i seguenti abitanti dell’università di detta terra che si facessi parlamento e farsi procura al notaio Francesco Mandile che si possa costituire nella Regia Udienza di Calabria Ultra che possa allegare li ragioni pertinenti et spettanti per qualsivoglia lite contraria di essi sottoscritti e per l’infrascritti cittadini si dona potestà al sindaco di detta terra che possa constituire procuratore del modo infrascritto dandoli con questa potestà al sindaco che facci procura et ognialtra cosa necessaria: Cap.no Thomasi di Pace, Francesco Mandile, Francesco Gagriele, Gio. Battista Leto eletto, Pietro Russo mastro giurato, Scipio Petrozza, Mutio Pallucci, Fabritio Pallucci, Gioanni Pagano, Francesco Imperaci, Francesco Altomare, Pietro Gambino, Mariano Caruso, Francesco Pagano, Minico Pagano, Bartolo Crifea, Thomasi Puglise, Cola Gabriele, Gio. Battista Lia, Giuseppe Garraffa, Gioanni Lia, Fabio Lia, Gio. Dom.co Lia, Fran.co Russo, Fran.co Cassano, Alfonso Bonfiglio, Gioanni Russo, Sancto Russo, Horatio Castantino, Francesco Caruso, Minico Chirico. Tutti costituiscono procuratore dell’università Francesco Mandile. Ego D. Jacobus Girobasius Capp.s scripsi et subscripsi manu prop.a”.[vii]

Dopo il terremoto del 1638 il casale fu popolato da gente proveniente da Serrastretta, Girifalco, Carpanzano, ecc. Le condizioni degli abitanti non mutarono nel tempo. Alla metà del Seicento il casale è abitato da circa 250 abitanti e tassato per 49 fuochi. Il vescovo Francesco de Napoli nella sua relazione del primo dicembre 1645, descrive gli abitanti talmente poveri da non poter sopportare alcuna controversia riguardante questioni economiche. Non avendo alcuna proprietà da difendere, se non il loro lavoro di braccianti, essi pertanto erano pronti, come nel passato, ad abbandonare il casale per altri luoghi.

“Est et insuper Terrula seu Villa, videlicet communiter nuncupata Coturella, seu Santo Angelo ducentorum quinquag.ta animarum incirca, cuius Jncolae maxima paupertate praestuntur ita ut nulla in viribus patrimonialibus controversia suboriri possit. Protaque est uniquique eorum migratio. Habet Ecclesia fructuum paucorum tumulorum frumenti, vix ad victus Cappellani substentatione sufficientium; Quorum omnium ratio adhuc in Parochialem perpetuam erigi nullo pacto patitur. Eam tamen in perpetuam parochiam erigam quamprimum ratio upportunitatis expostulaverit. Consistit in parietibus praeter eius dimidiam partem quae aperta est ad opportuniorem conservationem Sanct.mi Eucharestiae sacram.ti quod asservatur in quadam parvula Custodia pro loci ratione; Adestque ibidem fontis baptismalis. titulus eiusdem Ecclesiae est Sancti Michaelis Archangeli. Fuit erectum in ea Jus quodam patronatus sub invocatione Sanctae Mariae cum erectione Cappellae doteque sufficienti ac onus unius missae in qualibet hebdomada et ornamentum superlectilium altaris de meo consensu, est illud de familia Cambiatorum.”[viii]

Cuturella, Cerva ed i luoghi vicini in una carta del Rizzi Zannoni (1788).

Il casale di Santa Croce detto La Cerva

Il casale “della Cerva seu Santa Croce” fu il terzo casale fondato in età moderna in territorio di Belcastro. Esso è situato all’incrocio della via, che dalla marina per i casali di Cuturella ed Andali si dirige lungo la vallata del fiume Crocchio verso la Sila, e quella che dalla città di Belcastro va a Sersale. Il nuovo casale fu fondato in una tenuta feudale del barone Alfonso Poerio “à Civitate Tabernarum”, il quale nel 1715 aveva comprato il feudo dal duca di Belcastro Carlo Caracciolo.

Secondo le relazioni dei vescovi di Belcastro ebbe origine negli ultimi anni del vescovato di Giovanni Emblaviti tra la fine del 1718 ed il 1719, anni segnati da una gravissima carestia. Da quanto scrive nella sua ultima relazione il vescovo di Belcastro Emblaviti in data Belcastro “Calendis Agusti” 1718, sotto la sua giurisdizione vi erano ancora solo tre luoghi: la città di Belcastro ed i due casali di Sant’Angelo di Cuturella e di Andali.

Il vescovo Michele Gentile (1722-1729),[ix] successore dell’Emblaviti, morto il 2 aprile 1722,[x] nella relazione del 1726 nomina per la prima volta il casale detto Santa Croce, che era il terzo per età di fondazione della sua diocesi, contava 243 abitanti, vi era un semplice cappellano ed una piccola chiesa “quasi cappella”.[xi] Anche in questo caso il vescovo diede il nome Santa Croce dal titolo della chiesa al nuovo casale.

L’anno dopo il vescovo ci fornisce ulteriori informazione sulla formazione del casale. Questo fu popolato di braccianti e pastori, cioè di “hominum rusticorum” profughi da vari luoghi montani (Magisano, Taverna, Marzi, ecc.) ai quali il barone Alfonso Poerio concesse una sua tenuta feudale detta volgarmente “la Cerva”, dalla quale il casale prese poi il nome. Il vescovo Emblaviti nei suoi ultimi anni di vita assegnò un sacerdote, il quale doveva celebrare la messa nella domenica e nei giorni festivi ed il feudatario promise al vescovo di mantenerlo.[xii]

Dieci anni dopo il casale, governato da quattro deputati per essere parte della università di Belcastro, non era ancora consolidato, in quanto la popolazione non era stabile e spesso migrava. Gli abitanti abitavano in pagliai, tuguri e piccole case e l’unica chiesa di Santa Croce era rurale e non ancora parrocchiale; essa non aveva una dotazione adeguata. Vi era solamente un cappellano non stabile per amministrare i sacramenti, per il cui sostentamento il vescovo di Belcastro aveva assegnato le rendite di alcune messe, in quanto il barone, che all’atto della erezione aveva promesso uno stipendio, non l’aveva poi mantenuto. Per venire incontro alle necessità della chiesa il vescovo Giovan Battista Capuano aggiunse le decime personali degli abitanti, che essi dovevano alla sua mensa.[xiii]

La situazione di precarietà alla metà del Settecento non era mutata. Secondo il vescovo Tommaso Fabiani, il casale era stato fondato da pochi rustici provenienti da luoghi vicini. Gli abitanti abitavano in poche piccole case e in pagliai e la chiesa non era ancora stata eretta in parrocchia in quanto non aveva una rendita decente né per mantenere il parroco né per la chiesa.[xiv]

Il catasto onciario di Belcastro del 1743 documenta la povertà degli abitanti. Dal censimento di 170 abitanti risulta che la maggior parte della popolazione è di età inferiore ai 40 anni (80%). I minori di venti anni, cioè i nati dopo la fondazione del casale, rappresentano oltre la metà di tutta la popolazione (55%). Vi sono 22 gruppi familiari e ogni gruppo è composto da una o più famiglie e ha in media 8 persone. Predomina la presenza dei D’Elia con sei capifamiglia su 22 famiglie; i D’Elia sono poi imparentati con i Moraca; altra famiglia importante con 4 capifamiglia. I D’Elia ed i Moraca rappresentano quasi la metà delle famiglie del casale. Altre famiglie che hanno una certa rilevanza sono i Gentile ed i Giuliano con tre capifamiglia. Su 22 capifamiglia censiti la metà dichiara di essere “bracciale”, 7 massaro e 4 custode d’armenti. La maggior parte di coloro che possiedono terreni pagano sopra le terre o sopra tutte le loro “robbe” un annuo censo alla corte baronale di Belcastro, che di solito è di carlini 34 e grana 4 (3 – 44). La popolazione attiva si dedica principalmente al lavoro nei campi ed è composta quasi totalmente da bracciali (80%) e da pochi massari (13%). E’ presente ed è particolarmente importante la pastorizia; questa attività è condotta oltre che dai custodi di pecore e capre, anche dai figli dei bracciali. Su 22 gruppi familiari ben 14 (64%) praticano la pastorizia. Quattro capifamiglia sono custodi di armenti (Domenico Marchio, Diego Giuliano, Filippo Moraca e Gerolamo d’Elia) e hanno in affitto o hanno a mezzo frutto, le pecore e le capre di possidenti. Gli altri capifamiglia fanno custodire le pecore e le capre dai figli. Complessivamente vi sono 1231 ovini in custodia (dei quali 1000 appartengono a Giuseppe Poerio di Catanzaro) e 506 in proprietà. Ogni famiglia che possiede pecore e capre ne ha in media 50. Undici famiglie possiedono i 30 buoi aratori, la maggior parte ne possiede un paio, solo 3 ne hanno 5. Le famiglie D’Elia e Gentile risultano tra le più povere; i loro componenti sono per lo più bracciali e pastori.

Tranne pochissime case composte da alto e basso, quasi tutto il casale della Cerva è composto da case terranee e da pagliai. A volte le case sono composte da due membri o camere e sono gravate da un annuo censo di carlini tre (grana 30) dovuti alla cappella o chiesa del casale. Spesso contiguo alla casa c’è un orticello “per uso di casa”. In ogni casa abitano quasi sempre più nuclei della stessa famiglia. Esisteva ancora tra gli abitanti una controversia tra coloro che ritenevano che il casale si chiamasse Santa Croce dalla intitolazione della chiesa e coloro che invece facevano riferimento al nome della difesa sul quale era situato il casale. Nelle dichiarazioni delle rivele 13 capifuoco dichiaravano di abitare nel casale di Santa Croce, 6 in quello della Cerva, 1 nel casale di S. Croce nella Cerva e 2 nel casale della Cerva seu Santa Croce.

Paesaggio della Valle del Crocchio.

I custodi d’armenti

Quattro capofamiglia dichiarano di essere custodi di armenti. Essi prendono in affitto o a mezzo frutto pecore e capre di possidenti di Belcastro e di Catanzaro che le fanno gestire da pastori al loro servizio.

Un posto preminente ha Girolamo d’Elia di anni 55. Egli ha in affitto 1000 pecore del nobile Giuseppe Poerio di Catanzaro. Ai custodi degli animali egli dà “soldi e spese di cibarie” e per dette pecore procura il pascolo tanto nelle marine quanto nelle montagne. Sposato con Anna Moraca, abita in casa propria consistente in due membri assieme ai suoi cinque figli, uno dei quali sposato con figlio. Possiede una continenza di terre nobili di venti tomolate alberate con pochi piantoni di castagne, dentro la quale ha una vigna con alcuni alberi da frutto. Oltre alle terre, che sono gravate da un annuo censo dovuto alla camera baronale, ha cinque bovi aratori, due vacche stirpe, una giovenca, una mula “per comodo di casa”, una giomenta figliata campestre, una giomenta di D. Salvadore Talarico di Sersale in guadagno, tre troie e dieci porcelli.

Segue per importanza economica Diego Giuliano di anni 38. Egli custodisce “a mezzo frutto” numerose pecore e capre tra piccole e grandi: 114 appartengono al dottore fisico Francesco Galati, 44 al D. Bruno Nicoletta e 47 al sacerdote Leonardo Militi. Sposato con Caterina Gautieri, abita in una casa matta propria con orto, gravato di un annuo censo dovuto alla chiesa del casale. Fanno parte della famiglia due figli, un fratello sposato, la sorella e la madre. Possiede solo una somara. Filippo Moraca di anni 50, sposato con Anna D’Elia, possiede 20 pecore ed a mezzo frutto 80 pecore e capre di Antonio Lapoleo ed altre 69 tra capre e pecore del nobile di Belcastro Gio. Battista Gentile. Abita in casa propria matta ed ha una vigna e 7 figli. Domenico Marchio di anni 65 ha in affitto 50 capre che appartengono al m.co D. Domenico Anania e altre 80 tra pecore e capre piccole e grosse del nobile vivente Michele de Diano di Belcastro. Sposato con Cecilia Iuliano abita in una casa matta con i suoi 11 figli e possiede una continenza di terre di tomolate 12, un paio di buoi ed una troia.

Capre al pascolo (foto di Francesco Cosco).

I massari

Il ceto dei massari è formato da sette capofamiglia: Domenico Augello, Francesco d’Elia, Giovanbattista Muraca, Giacomo Scalzo, Giacinto d’Elia, Salvatore Muraca, Salvatore Cua. Primeggiano per possesso di terre e di animali i D’Elia ed il Muraca. I massari possiedono continenze di terre nella difesa, quasi sempre dell’estensione di dieci tomolate, delle vigne e degli orticelli, sui quali pagano un censo annuo alla camera baronale. Le terre, parte incolte e parte aratorie, sono alberate con piante di gelsi mori, castagni e fichi. Per svolgere la loro attività inoltre, possiedono quasi tutto il bestiame presente nel casale (20 buoi, 10 vacche, 15 giovenchi, 5 somari, 270 tra capre e pecore, 8 troie).

 

Bracciali e pastori

Il ceto dei bracciali è composto da undici capofamiglia: Angelo D’Elia, Domenico Fabbiano, Francesco Antonio Borrelli, Giacomo Scalzi, Giacomo D’Elia, Giuseppe Gentile, Giuseppe d’Elia, Giuseppe La Macchia, Marc’Antonio Moraca, Nicola Gentile, Santo Gentile e Vitaliano Sacco. Accomunate dalla stessa situazione sociale segnata dalla povertà, le famiglie dove spesso convivono bracciali, pastori e garzoni, possiedono quasi sempre dei piccoli appezzamenti di terra con vigna all’interno della difesa. Essi hanno delle pecore e delle capre che fanno pascolare dai figli, alcuni bovini, dei suini, un somaro ecc. A volte essi prendono in affitto dai massari e dai proprietari laici ed ecclesiastici a metà frutto le vacche per un anno dal primo di settembre all’ultimo di agosto ed i buoi con pagamento in grano. Tra questi c’è Salvatore Grastello “alias Sargente” del casale di Marzi ma abitante nel casale di Cerva, il quale ha in affitto per ducati trenta a Mulerà la mandria appartenente alla chiesa della Sanità di Belcastro composta da “bacche figliate numero diece, stirpe n. nove, giovenche stirpe n. sei, vitellacci n. tre, vitellazze n. due con un toro”(f. 471). Molti figli lavorano come “garzoni” alle dipendenze dei nobili di Belcastro.

Cascata del Campanaro presso Zagarise (CZ).

Il territorio

Il territorio della difesa della Cerva situato “nella montagna” è formato per la maggior parte da “terre scoscese, alpestri ed inseminabili” e “macchiose”, solcate da valloni e dal fiume Crocchia. La difesa confina con “la difisella” della mensa vescovile di Belcastro, con il territorio detto Vayna e con il castagneto detto Filara. Coperto per la maggior parte dal castagneto e dal bosco, sono presenti anche piccoli terreni con vigneto e alberi di gelso moro. Vi sono anche “nelle circonferenze di detto casale alcuni terreni ignobili, con un fornello di tegole, cioè nello quale si cuoceno le tegole, attenenti alla commenda di S. Giovanni Jerosolimitano”[xv] ed un mulino.

 

§§§§§

 

Capifuoco di Cerva nel Catasto Onciario di Belcastro del 1743.

Angelo d’Elia di anni 60 (bracciale) sposato con Laura Gabriele di anni 40.

Domenico Aucello di a. 40 (massaro) e Diana Taverna di a. 35.

Domenico Marchio di a. 65 (custode di armenti) e Cecilia Iuliano di a. 41.

Diego Giuliano di a. 38 (custode di armenti) e Caterina Gantieri di a. 20.

Domenico Fabbiano di a. 37 (bracciale) e Giovanna Parrotta di a. 27.

Filippo Moraca di a. 50 (custode di armenti) e Anna d’Elia di a. 40.

Francesco Antonio Borrelli di a. 40 (bracciale) e Caterina Giuliano di a. 40.

Francesco d’Elia di a. 27 (massaro) e Caterina Moniaci di a. 20.

Gio. Battista Moraca di a. 63 (massaro) vedovo

Giacomo Scalzi di a. 35 (bracciale) e Girolama Parrotta di a. 25.

Giacomo d’Elia di a. 30 (bracciale) e Caterina Sacco di a. 28.

Giuseppe Gentile di a. 70 (bracciale) e Maria Gentile di a. 68.

Giuseppe d’Elia di a. 45 (bracciale) e Giulia Fabbiano di a. 35.

Giacinto d’Elia di a. 50 (massaro) e Anna Leone di a. 40.

Girolamo d’Elia di a. 55 (custode di armenti) e Anna Moraca di a. 50.

Giuseppe la Macchia di a. 32 (bracciale) e Maria Elia di a. 30.

Marc’Antonio Moraca di a. 50 (bracciale) e Elisabetta Gantieri di a. 40.

Nicola Gentile di a. 30 (bracciale) e Serafina Colosima di a. 25.

Santo Gentile di a. 25 (bracciale) e Caterina Parrotta di a. 16.

Salvadore Moraca di a. 70 (massaro) e Cecilia Talarico di a. 67.

Salvatore Cua di a. 40 (massaro) e Anastasia Moraca di a. 30.

Vitaliano Sacco di a. 60 (bracciale) e Giovanna Talarico di a. 40.

 

Note

[i] Il vescovo di Belcastro aveva il jus di esigere nella terra di Andali per decima una gallina per casa, nel casale di Cuturella da ogni defunto dodici carlini e nel casale di Santa Croce un tomolo di grano “per ciascheduno paricchio prediale per decima ogn’anno”, ASN, RCS Catasto onciario Belcastro B. 6328, ff. 441v-442r.

[ii] “Per andare alla Coturella et marcidusa per fare la cerca del grano con uno homo per spese de magnare 0 – 1 – 0”. Esito fatto per lo sudetto Gio. Batt.a pisano proc.re nel p.tto anno (1607 e 1608), f. 108.

[iii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1619.

[iv] “Diocesis tota sola Civitate, et altero vili pago 40 foculorium vel circa”, (Hieronymus, 1 giugno 1620); “Diocesis sola Civitate eaq. fere diruta, et aeris inclementia laborante ( uniq….) quodam pago grecorum concluditur, qui greci latino ritu vivunt, ac a Presbitero Latino reguntur” (Hieronymus, 7 aprile 1625).

[v] ASV, Nunz. Nap. 25, f. 118.

[vi] “Diocesis in sola Civitate et vili quodam Graecorum pago ante tertium annum concludebatur; nunc vero alter similis adiectus est pagus, sub vocabulo S.ti Angeli quinquaginta focularia non accedens … In pago vero S.ti Angeli per parrochum similiter perpetuum Latino ritu servientem” (Antonius 3/12/1627).

[vii] ASCz, Not. Francesco Mazzaccaro C. 161, a. 1631, ff. 4v- 6r.

[viii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1645.

[ix] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1718.

[x] Russo F., Regesto, 54533.

[xi] “Tertium tandem Sanctae Crucis dictum, Animarum tantum 243, cum simplici cappellano sacerdote confessario, alterius dioecesis, sive parocho, sine parochia, et cum sola parva eccl.a, quasi cappella, et cura animarum per dictum cappellanum exercetur”. ASV, Rel.- Lim. Bellicastren., MichelAngelo Gentile 1726.

[xii] “A’ septem circiter annis aedificari coepit quidam alter Pagus intus Territorium Bellicastri, parumque ab Andali distans, ex nova recollectione Hominum rusticorum è variis regionibus profugorum quibus Baro Bellicastri quamdam feudalem Tenutam concessit, dictam vulgariter La Cerva a qua praedictus Pagus nomen accepit, et meus Praedecessor eis de Sacerdote providit, qui missas celebraret diebus Dominicis, et festivis, prout de praesenti celebrat cum facultate etiam sibi à me tributa administrandi eisdem Sacramenta quamvis pro fonte Baptismali incolae praedicti, qui modo ad numerum 240 circiter ascendunt, subiiciantur Parocho Andalis, donec Ecclesia inibi sita in Parochialem, prout speratur, servatis servandis erigatur tamque Civitas, quam praefati tres Pagi subsunt in temporalibus D. Alphonso Poerio sub titulo Baronis, Civitatis Tabernae, Dioecesis Cathacensis. “ ASV, Rel. Lim. Bellicastren. Michelangelo Gentile 1727.

[xiii] “Tertius vero tribus stadiis dissitus a praefata Civitate, sexdecim ab hinc annis constructus, ex domunculis, et thuguriis, adhuc tam imperfectus, et ex ducentis et quadraginta animabus est compositum”… Pagus S. Crucis, sive Cervae de novo constructum in territorio Belicastris, et compositus ex quadam coacervatione hominum rusticorum ex variis regionibus montanis collectorum, sed adhuc imperfectum et in statu migrandi, in aliquibus thuguriis, et domunculis consistens, eccl.am habet ruralem, non dum in parochialem erectam, cum non fueris adhuc constituta competens dos, nec pro eccl.a, nec pro paroco, et in ea deputatur item cappellanum adnutum amovibilis pro sacramentis administrandis, pro cuius substentatione aliquas missas assignarunt, cum baro bellicastrensis recusasset praestaree stipendium, tempore erectionis promissum, et usque ad annum proxime elapsum solutum, nec non per modum provisionis, et ad beneplacitum meum ego assignavi decimas personales illorum incolarum, mensae ep.ali debitas, et eccl.a haec ruralis pauperem habet suppellectilem”. ASV, Rel.- Lim. Bellicastren., Giovan Battista Capuano 1735.

[xiv] “Tertius, cuius fundationis Aera ab anno 16. Currentis salutis reparatae saeculi ortum duxit, vulgari modo nuncupatur La Cerva, cuius cives, qui 340 sunt, paucis domunculis, atque tuguriis ex cespitibus congestis semper inhabitarunt…. In Pago S. Crucis vulgo La Cerva, novissimè à paucis rusticis è locis propinguis in hac Bellicastrensi Dioecesi, condito, adest Ecclesia ruralis, non adhuc in Parochiam erecta, quum dotem decentem, tam pro Ecclesia, quam pro Parocho, non sit qui sufficiat: idoneum tamen cappellanum ad nutum amovibilem, ut mei praedecessores consuevere, pro sacramentorum administratione, eligo. Habet cappellanus hic ad sui sustentationem nonnullas missarum eleemosynas, huic ecclesiae addictarum, et decimas personales illorum incolarum quas ad modum pensionis, antecessores mei illi assignarunt, quum revera huic episcopali mensae pertinere, certum fuerit; Baro enim Bellicastri, ut in huiusce ecclesiae fundatione conventum fuit, cappellano stipendium praestare non vult”. ASV, Rel.- Lim. Bellicastren., Tommaso Fabiani, 1758.

[xv] ASCz, Cassa Sacra, Belcastro, Zagarise ecc., f. 39.

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Villa Aragona detto volgarmente Andali. Un casale “albanese” tra il Cinquecento ed il Seicento

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Andali e Belcastro (CZ).

L’origine dell’abitato di Villa Aragona è da situarsi tra il 1542 ed il 1574, anni in cui furono fondati, o ripopolati, anche i vicini casali di Marcedusa e di Troiani. Allora il feudo di Belcastro apparteneva agli Aragona, duchi di Montalto, (Ferrante (1542), Pietro (1549-1552) e Antonio (1553-1574)[i]. Secondo il vescovo di Belcastro Giovanni Emblaviti, Villa Aragona fu abitata da Albanesi: “Ex Epiro fugati à Turcis” che non contraggono matrimoni con gli Italiani e “sunt veluti una Domus”[ii]. Nel Conto del regio tesoriero di Calabria Ultra Turino Ravaschiero relativo all’anno 1564-65, nell’ “Introito deli carlini quindeci et gr.i uno a foco” non troviamo elencati i fuochi del casale di Andali.[iii]

Anche nelle tassazioni precedenti non si accenna al casale.[iv] Si presume quindi che il casale sia stato fondato dal duca di Montalto Antonio d’Aragona, feudatario di Belcastro dal 1553 al 1574 e che spetta a lui il nome che all’origine fu dato al casale, sorto nei pressi di un antico abitato del quale esistevano ancora i ruderi.

 

Primi documenti

Le prime notizie sul casale le troviamo nei conti dei regi tesorieri di Calabria Ultra. Nelle imposizioni per il pagamento dei caporali e guardiani delle torri di Calabria Ultra nel “Conto del R.o Thesoriero di Cal.a Ultra dell’anno 1579-1580” è citata “Vill’Aragonie di la Cerda”. Nell’ “Introyto per li fochi Albanesi che pagano per mita la dett’impositione”, il casale è tassato per 12 fuochi. Nel documento sono annotate le terze, ognuna delle quali dell’importo di 2 tari e grana due e mezzo, che l’università è costretta a pagare dall’ottobre 1579 al settembre 1580. Sono incaricati del versamento Giovanni Creva, o Cresta, e Marco San Marco.[v]

Il vescovo di Belcastro Orazio Schipano nella sua relazione del 1592, riprendendo quanto scritto dal suo procuratore, il canonico Galieno Pigneri (“quodam pago vulgo dicto di Alvanisi”), affermava che nella sua diocesi, oltre alla città di Belcastro vi era un solo “casale d’Albanesi”.[vi] Cinque anni dopo, al tempo del vescovo Alessandro Papatodaro, vi era “quodam pago dicto Aragona” e “in castro Aragonae Archipraesbiter illius castri est Parochus curam habens animarum”.[vii] All’inizio del Seicento gli Albanesi che abitano nella Villa Aragona sono circa duecento, ai quali un arciprete, che ha anche la funzione di parroco, amministra i sacramenti. Secondo quanto scrive il vescovo, vivono “more latino ipsi namq. Albanenses latino more vivunt”.[viii] Sempre in questi anni, come risulta dal “Cedulario deli fochi or.rii dela Prov.a de Calabria Ultra” del gennaio 1604, il casale di “Agnone seu Andali” è tassato per 39 fuochi.[ix] Sempre dai conti dei regi tesorieri sappiamo che il 25 gennaio 1608, Diomede Maczuccari versava per Villa Aragonica ducati 8 tari 4 e grana 19.[x] Il casale sarà tassato per gli stessi fuochi anche nella numerazione del 1669.[xi]

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Andali (CZ), topografia della località.

La perdita del rito greco

All’inizio del Seicento il casale è abitato da circa quaranta fuochi,[xii] e a causa della povertà degli abitanti, vi è un solo sacerdote per celebrare la messa ed amministrare i sacramenti.[xiii]

Sembra tuttavia che nonostante i vescovi di Belcastro continuino ad affermare che gli abitanti seguono il rito latino, in verità il rito greco è ancora presente. Il vescovo Antonio Ricciulli (1626-1629) così si esprime: “In pago Andali nuncupato per Parrochum perpetuum graeco ritu ministrantem. In pago vero S.ti Angeli per parrochum similiter perpetuum Latino ritu servientem.”.[xiv] I vescovi di Belcastro, quasi sempre lontani dalla diocesi, nelle loro relazioni seicentesche, cercheranno di non evidenziare e di nascondere la presenza di elementi del rito greco nel casale.

Il vescovo Giovanni Emblaviti nella sua relazione del 28 luglio 1692, ci informa sulla sottrazione del messale e del breviario pertinenti al rito greco (forse un codice evangelario miniato), che erano stati portati via dal casale e si trovavano ora nella Biblioteca Barberina di Roma. Così egli descrive il fatto: “In hac Jurisd.e duo adsunt Rura , unum nationis Albanentium, nuncupatum Andali sive Aragona, ex hoc Rure Em.mi Domini fuit asportatum Romae ad Bibliotecam Barberinam Missale et Breviarium eiusdem idiomatis, ut mihi retulerunt certi de veritate, et modo et à quo; constat ex nongentis et novem animabus”.[xv]

Secondo il vescovo, il messale ed il breviario furono portati via dalla chiesa del casale al tempo di Urbano VIII, Maffeo Barberini, (1623-1644): “Unum Nationis Grecorum vulgo nuncuscantur Albanisi, quorum idioma non est greci sermonis comunis, sed generis Epiri, licet in multis coincidant vocabula, qui tamen more latinorum vivunt, et ex traditione accepi eorum Missale et Breviarium transmissum fuisse ad ipsam Almam Urbem tempore Urbani Octavi fel. Mem.”.[xvi] Lo stesso vescovo ci informa che nel casale vivevano 466 Albanesi che praticavano il rito latino, i quali tuttavia “plures habebant abusus ab Epiro adductos”.[xvii]

Durante il papato di Urbano VIII, i vescovi di Belcastro furono: Antonio Ricciulli (1626-1629), Filippo Crino (1629-1631), Bartolomeo Gipsio (1633-1639) e Francesco di Napoli (1639-1651). A quest’ultimo seguì Carlo Sgombrino: “L’anno 1653 all’ultimo di marzo in Belcastro venne il vescovo D. Carlo Sgombrini, successore a Mons.r Fran.co Napoli di Palermo, e il d.o vescovo Sgombrini dell’Oriola, e venne il giorno di luni al trado”.[xviii]

Tra questi va ricercato colui che portò via il messale ed il breviario e li donò al Papa. Tra i più sospettati sono i vescovi Bartolomeo Gipsio (1633-1639) e Francesco di Napoli (1639-1651). Il primo ebbe il 20 luglio 1633 dal Papa la possibilità di utilizzare per due anni i proventi delle pene della sua curia per le cose necessarie alla cattedrale,[xix] e di potersi assentare dalla sede di Belcastro per sfuggire alla malaria ed alle epidemie invernali.[xx] Nel 1639 ottenne di lasciare il vescovato di Belcastro per quello di Volturara. Più sospetti si addensano su Francesco di Napoli, che introdusse “observantiam Ceremonialis Romani, et precipue Castaldi tam pro missis, quae leguntur, quam pro missis quae cantantur pro pontificalibus et quovis alio servitio … Libris quoque hoc est Antiphonarii, Gradualis ac Psalterii, quibus chorus canebat propspexi, cum notulis et forma cantus, quorum inopia informiter canebatur, magnis et ex ultima impressione Iunti, innosque novos iuxta Bullam felic. Rec. Urbani 8i obtinui …”, ed aggiunge che, nonostante gli abitanti del casale di Villa Aragona siano Greci, ossia Albanesi, “modumque loquendi conservant, tamen iuxta ritum latinum, omnis dogmatis ceremoniaeque greciae oblita, Christiane vivunt”. A quel tempo la chiesa del casale era fornita di ogni cosa necessaria e poteva contare sulle elemosine degli abitanti tra le quali una dote di 120 capre.[xxi]

 

Un palazzo del vescovo di Belcastro (?)

Alla metà del Seicento la popolazione è composta da circa 350 abitanti, dei quali 200 “animas communicabiles” e 150 non “communicantes”.[xxii]

Il vescovo palermitano Francesco di Napoli, pochi anni prima della metà del Seicento, per sfuggire dalla malaria, che infesta nei mesi estivi la città di Belcastro, decide di costruire una sua residenza in un luogo della sua diocesi più salubre, per ristorarsi piacevolmente. Per l’opera egli spese circa settecento ducati: “Meque eiusdem oblectationis causa concitavit incommodum Praelatorum ut noviter Palatium erigerem in quadam Villa meae Cathedrali subdita et ab hac Civitate tribus milliaribus distante, quem locum omnes salubriorem extimant, omnesque mansiones feci desuper terram, quae commode inhabitantur cum accessus occurit et in eas ducatos septingentos hactenque erogavi”.[xxiii]

In questo palazzo sembra che si sia rifugiato il vescovo Giovan Battista Capuano (1729-1748 ?), il quale se ne stette quasi sempre lontano dalla diocesi. Egli entrò in contrasto con i laici, tanto che fu minacciato con la pistola e fu accusato di molti abusi. In una lettera del 4 settembre 1731 diretta dal nunzio di Napoli al Card. Segretario di Stato, il vescovo informava che malgrado l’ordine di carcerazione dei due fratelli Iazzolini, per l’attentato alla sua persona, si sono tutti e due dati alla fuga; uno di essi è poi ritornato in patria più baldanzoso di prima, spalleggiato dal barone del luogo. Perciò per non esporsi a nuovi pericoli, egli ha pensato bene di trasferirsi ad Andali, luogo della sua diocesi.[xxiv]

 

La chiesa di Andali

Il vescovo Carlo Sgombrino così descrive la situazione ecclesiastica del casale nella sua relazione del 1665: Gli abitanti sono di origine albanese e conservano la lingua ma vivono cristianamente secondo il rito latino. In tutto gli abitanti sono 294, dei quali 203 sono di comunione. La chiesa arcipretale è sotto il titolo della SS.ma Annunciazione ed è adeguata al popolo. Essa non ha bisogno di ripari ed è fornita di ogni cosa necessaria al culto. Ha fonte battesimale, conserva gli oli sacri ed è fornita di campana per convocare il popolo. L’arciprete abita in una casa appartenente alla chiesa, che è ad essa unita. Non ha altre rendite se non quelle provenienti dalle decime e dai diritti sui morti. Il tutto ascende a circa 40 ducati annui.

Nella chiesa vi è un solo beneficio semplice di iuspatronato laicale, con la dote di ducati 7 con l’onere di due messe ogni anno al primo possessore, 5 messe al secondo e 60 messe al terzo ed altri possessori. Le messe annue ammontano a 450, unite le messe che sono celebrate dall’arciprete ogni domenica e nei giorni di precetto. Nel casale vi è solo un sacerdote oltre all’arciprete. Non vi sono chierici ma solo due diaconi selvatici per servizio della chiesa, che godono l’immunità e sono esenti da ogni giurisdizione laicale, reale e personale. La chiesa gode di una rendita piccola di non oltre 15 ducati ed è aiutata dalle elemosine degli abitanti per quanto riguarda l’acquisto di cera, olio ed altre cose necessarie.[xxv]

Abitato da circa 300 Albanesi, che conservano solo il nome e la lingua, vi risiede un parroco perpetuo col titolo di arciprete, la cui rendita appena ascende a circa 25 scudi ed inoltre vi sono altri quattro chierici.[xxvi] Dopo la grave carestia ed epidemia del biennio 1671-1672, nel marzo 1677 la popolazione si è ridotta a circa 150 anime.[xxvii]

andali_ssannunziata

La SS.ma Annunziata di Andali (da www. diocesidicrotonesantaseverina.it).

Gli arcipreti

7.4.1643. Presbiter Andali Giovanni Bartolo Nicoletta di Belcastro.[xxviii]

9.10.1651. Il rettore della chiesa arcipretale della SS.ma Annunziata è Gio. Battista Scarito, mentre Paolo Peta è beneficiato dell’altare della B. M. de Monte Carmelo di iuspatronato laicale.[xxix]

18.11.1666. Ioanni Stanizzi di 29 anni, provvede alla chiesa parrocchiale di S.ta Maria Annunziata di Andali vacante per cessione di Paolo Peta.[xxx]

Aprile 1709. La chiesa vacante per privazione di Giovanni Battista Stanizzi, “qui a pluribus annis non residet”, è affidata ad Andrea Stanizzi.[xxxi]

Dicembre 1763. De parochiali archipresbyteratu nuncupato, Annuntiationis B.M.V. terrae Andali, Bellicastren. dioc., cuius fructus 24 duc. vac. per ob. Io. Andreae Fragala, de mense Iulii def., providetur Iosepho Stianizzi, pbro oriundo, in concurso approbato.[xxxii]

Seguì Giuseppe Stanizzi e alla sua morte avvenuta nel 1780, nell’agosto dell’anno dopo segue Giosafat Gentile, che era anche economo curato della stessa chiesa parrocchiale arcipretale di Santa Maria Annunziata.[xxxiii]

Morto l’arciprete Giosafat Gentile nel 1788, succede nel settembre 1793 Giuseppe Stanizzi, prete di anni 43.[xxxiv]

21.11.1848. Stefano Trocino di 31 anni provvede alla chiesa parrocchiale, arcipretale di B.M.V. della terra di Andali, per dimissione di Lecterio Cuccinetto, che è promosso alla collegiata di Cutro.[xxxv]

 

Gli abitanti del casale

Tra gli atti notarili stipulati dal notaio della città di Belcastro Francesco Mazzaccaro tra il 1631 ed il 1648,[xxxvi] alcuni sono rogati, o riguardano, il casale di Andali. Essi ci permettono di descrivere alcuni aspetti della vita dell’abitato nella prima metà del Seicento.

firma notaio Mazzacaro Belcastro

Firma e sigillo del notaio Francesco Mazzaccaro di Belcastro.

Anni particolarmente segnati dal terremoto del 1638 e dal succedersi di “male annate” dovute alla siccità. Particolarmente critico fu il biennio 1647-1648, come annota il notaio: “Napoli fe tumulto l’anno 1647 à 22 di giugno per lo quale tumulto fu in questa Città di Belcastro carestia che si pesò un pane onze sei et ottanta che lo grano valeva à car.ni dudici lo tu.lo. L’anno seg.te 1648 lo grano all’aera si vendi a car.ni sidici e dicesette lo tumulo”. “Nella Città di Belcastro l’anno 1648 del mese di Xbre che lo grano si vendiva a car.ni dudici il tumulo per insino al mese di Maggio si alterò il prezzo a car.ni decedotto, ma si patì molto, non per mancamento di grano che non fossi stato nella Città, quanto perche li Cittattini che teneano detto grano piu presto secretamente lo vendevano a forastieri che a Cittattini”.

Alla carestia del biennio 1647/1648 seguì pochi anni dopo quella del 1655/56 alla quale si aggiunse la peste.

“L’anno 1655 e 56 in Belcastro fu carestia al principio della raccolta lo grano si vendi a car.ni 18, e dopo al mese di Marzo, Aprile e Maggio fu grandiss.ma penuria, e si bene il grano si vendiva a tt.lo diecesette lo pane a pena era onze sei il tutto per il mal governo.

In detto anno 1656 fu la peste nella Città di Napoli, e fu di grandiss.mo danno nel Regno e principio del mese di Marzo, et alli 24 di Giugno stava nella più forza d.a peste per il che molto si dubitava”.

A causa del fallimento dei raccolti molti abitanti “trovandosi in grande necessità”, per potersi alimentare sono costretti o a svendere le proprietà o a ricorrere al prestito, gravando con annui censi le abitazioni e le vigne. Di questa situazione ne traggono profitto soprattutto i conventi francescano e domenicano, la confraternita dell’Annunziata ed i prelati di Belcastro. Sempre in questi anni di grande difficoltà economica, in Belcastro sono erette due confraternite con numerosi “fratelli”. “Nell’anno 1653 in Belcastro furono erette due Confr.te l’una nella Chiesa della Pietà, e l’altra alla Chiesa dell’Ann.ta nelle quali vi erano di fratelli di ricetto settanta per ciascheduna”.[xxxvii]

Essendo il casale costruito su un territorio appartenente al feudo di Belcastro, gli abitanti dovevano pagare al feudatario lo “jus soli” di tre carlini annui per ogni casa. Ogni casa infatti era gravata “ab onere carelorum trium anno quolibet solvendorum Ducali Curiae huius Civitatis iusta solitum”. Nel periodo di tempo considerato era feudatario di Belcastro Orazio Sersale (1624-1653), dal 1644 primo duca di Belcastro.

I documenti del periodo ci tramandano i nomi di alcuni abitanti del casale. Essi sono: Paolo Tantillo e Francesca Tantillo, vedova di Andrea Cacossa, Giorgio Peta, Giorgio, Antonio e Tommaso Colistra, Antonio Petruzzo, Caterina Spata, Minica Masci, Giovanni Cacossa, Domenico Ciaccio.

Particolarmente importante per il ruolo economico, svolto anche fuori del casale e della città di Belcastro, è la famiglia dei Peta, presente anche a Papanice.[xxxviii]

 

La città scomparsa

“… in queste campagne appaiono alcuni vestigii d’antiche mura d’una città distrutta chiamata anticamente Carcinio, della quale poco si ragiona nell’antiche scritture”.[xxxix] La città era situata su un colle e secondo il vescovo di Belcastro Giovanni Emblaviti, si chiamava Andali e fu forse distrutta dai Saraceni. Essa era posseduta dai Templari, ai quali seguirono i Cavalieri di Malta, i quali si impossessarono anche della rendita valutata in circa 400 ducati annui: “Andali ab antiquo Episcopatu, quod superius cum Civitate huius nominis existebat à Mauris iam diruta cuius redditus adhaeserunt Templaris, quibus successit Religio Hierosolimitana”. “Iuxta hanc villam antiquis temporibus Civitas Andali nuncupata à Mauris forsan diruta cuius redditus Quadrigentorum ducatorum huius monetae ascendebat quondam Templariorum quibus successit Religio fratrum S. Joannis Hioerosolomitani Melite”.[xl]

I ruderi erano ancora visibili alla fine del Settecento. Il “Colle di Andali” è tra le terre della Cappella del SS.mo Sacramento, eretta dentro la chiesa parrocchiale di Andali, e dentro il vignale “vi esistono molti segni di fabriche antiche”.[xli] Anche nel vicino vignale detto “San Cataldo”, “vi stanno alcuni segni o siano pedamenti di fabriche antiche volgarm(en)te d(et)te li casaleni di San Cataldo”[xlii] e “macerie” sono anche segnalate nella vicina località “Scavigna”.

Da quanto detto si può ipotizzare l’esistenza presso l’attuale abitato di Andali di un antico casale, poi andato distrutto, appartenente alla grangia della “domus” o chiesa di San Giovanni Battista di Belcastro dei templari. I ruderi della chiesa di San Giovanni in Belcastro in località “Santa Maria” saranno ancora visibili all’inizio del Seicento.[xliii] La grangia di Belcastro dei Templari composta dalla chiesa di San Giovanni Battista, da possedimenti, rendite e dal casale di Andali è ampiamente documentata nei documenti e nella toponomastica del luogo.[xliv]

sigillo andali

Sigillo dell’università di Andali.

Il casale di Andali di pertinenza della città di Belcastro

L’insediamento di una nuova comunità in un ambiente boscoso e selvatico in un pianoro vicino ad una sorgente (nel luogo detto “dietro la Chiesa” vi era “viam per quam itur allo lavaturo, et via sursum qua confinat cum funtanella”, cioè la “publica via che conduce alla fontanella, poco distante da questo abitato di Andali”), determinò in breve tempo una ristrutturazione del paesaggio. I nuovi abitanti con i loro animali, cominciarono ad adattare l’ambiente alle loro necessità abitative ed esitenziali. Essi disboscarono alcune parti di territorio avute in enfiteusi o in affitto, le dissodarono, formando orti, vigne, terre a semina ed a pascolo. Vicino alla chiesa ed alla piazza e lungo le vie, che si incrociano ed attraversano il casale, furono costruite le abitazioni. Accanto l’incolto lasciò spazio agli orti, alle vigne ed agli alberi da frutto. Con il passare del tempo e per la quotidiana opera, tutto il territorio circostante assunse una nuova identità in funzione ed in riferimento alle esigenze vitali della nuova popolazione. Se l’ambiente attorno al casale subì un radicale mutamento, dall’altra il feudatario ed i proprietari delle terre, trovarono nella nuova forza lavoro a buon prezzo l’occasione per espandere le terre a semina, in ogni luogo dove era possibile, per aumentare la produzione del grano e la sua esportazione verso il proficuo mercato napoletano. All’inizio del Seicento il casale ed il territorio circostante hanno già assunto un nuovo aspetto.

Esso è governato da un sindaco, un eletto ed un mastro giurato. L’abitato si presenta formato da un insieme di piccole case terranee, spesso isolate tra loro da vie e con accanto dei piccoli orti. Esso si snoda lungo le vie che l’attraversavano e che confluivano nella piazza centrale, dove c’è l’unica chiesa arcipretale, dedicata alla SS. Annunziata. I documenti dell’epoca ricordano la casa di Paolo Tantillo e Francesca Tantillo, vedova di Andrea Cacossa, che era situata sopra la chiesa, mentre una via la separava dalla casa di Domenico Ciancio.[xlv] La famiglia dei Peta (Todaro, il figlio chierico Paolo, Giorgio, Francesco e Minica Masci, vedova di Petro), occupavano tutto un rione con una “continenza” di case “cum orto contiguo”.[xlvi] Il chierico Francesco Buba e la madre Nescia Stanizzi, vedova di Antonio Buba, abitavano una casa confinante via mediante con quella di Aloisio Carullo e sempre via mediante, con quella della vedova di Paolo Masci.[xlvii] Vi era poi una continenza di case che apparteneva a Ioanne Pennola. Essa confinava via mediante, con la casa della vedova di Petro Dara e la casa della vedova di Antonio Petruzzo.[xlviii]

La toponomastica del casale ricorda anche il campanile, il luogo detto la Cona ai confini dell’abitato ed il rione Celzo.[xlix]

 

Il paesaggio

Il “distretto” del casale si estende nella fascia presilana tra il fiume Crocchio ed il suo affluente Nasari. Il territorio di natura collinare è caratterizzato da valloni e timponi. Vi sono pochi terreni adatti alla semina. Predominano le terre inseminabili e boschive. Spesso il terreno è scosceso, pietroso, scivoloso e sterile e non manca, specie nella parte verso la marina, di essere “oliso, e cotraco, val quanto a dire in cui non si produce nemmeno erba”.[l] Verso monte è boscoso, adatto al solo uso di pascolo.[li] Non mancano alcune piccole sorgenti, dei laghetti e dei pantani. Verso la marina e nella parte mediana, vi sono numerose vigne alberate con gelsi, ulivi e alberi da frutto ed estesi querceti, mentre più a monte predomina il castagneto. A sinistra del fiume Crocchio ci sono le terre dette “Comuni” dell’università di Belcastro, Andali e Cuturella.

Attorno all’abitato vi sono gli orti con gli alberi da frutto. Nella parte mediana il paesaggio è caratterizzato dai numerosi alberi da frutto dove spiccano “citrangoli”, “sorbi”, “arangi”, “mali aurei”, “pomi”, “pruni”, “nuci”, “mendoli”, “peri”, “cerasi”, “fici”, ecc.. Particolarmente numerosi e presenti su tutto il territorio sono gli alberi di gelso (“sicomis”) nero e bianco, che indicano una estesa bachicoltura (“sirico”) ed una fiorente lavorazione della seta. “Bovi”, “belvae sumerinae”, “vacche”, “crape”, “porcastri”, “pollitra”, “frisinga”, “scrufa”, “porci”, “pecore”, “pollitra cavallina”, ecc. sono gli animali, che aiutano ed alimentano gli abitanti. Particolarmente numerose sono le capre, le pecore ed i maiali. “Cipulline”, “agli”, “olive”, fave, ceci, castagne, grano, orzo, “ripuli”, “caso pecorino”, “germanella”, “prisutti”, olio, “vino”, “sayme” e “lardo” sono i prodotti principali con i quali si nutrono gli abitanti.

Andali

Paesaggio nei dintorni di Andali (CZ).

Gli orti

Alcuni orti sono situati accanto alle case dell’abitato. Altri appena fuori dalla parte di sotto del casale.[lii]

 

Le vigne di Cuda

La località Cuda era situata nel distretto del casale di Andali e confinava con il “vallone di Andali”. La località, particolarmente importante per la vita economica del casale, era parte coltivata a vigne e parte coperta di castagni.

In questo luogo si estendono i vigneti di molti abitanti del casale. I vigneti sono spesso gravati da un censo annuo dovuto al feudatario (“francam, salvo tamen ab onere annui reditus ab hodie in antea q.n.s si esset cui de jure”), al quale spesso si aggiungono quelli dovuti ad enti ecclesiastici di Belcastro. Le vigne sono spesso alberate con alberi da frutta ( fichi, querce, “sicomis seu celsi”, ecc) . Qui ci sono le vigne di Paolo Tantillo (“diversis arboribus arboratam et vitibus vitata), di Matteo Strati, di Matteo Pinnola, di Ioannella Mazza, vedova di Antonio Strati, (“vitibus vitatam et diversis arboribus arborata), di Tommaso Priamo, di Marco Pignerio, di Marcello lo Preite di Belcastro, del reverendo Petro Mazza, di Caterina Spata, vedova di Nicola Sciumbata, (“vineam de vitibus vitatam et diversis arboribus arboratam cum ficis quercis sicomis et aliis arboribus et cum terreno circum circa vinie p.tte”), di Matteo Forino, di Francesco Strata, di Todaro Peta (una vigna di viti vitata, et diversi arberi arborata), di Antonio e Francesco Peta, di Ioanne Cacossa, di Petro Dara, di Antonio Vadulato, di Jacobo Schipano, di Gioanni Garcea, di Salvatore Cacossa, di Ioannes Stanizzi (vigna e gelsi), di Andrea Spata, ecc.[liii]

 

Il seminativo

Dove è stato possibile disboscare sono stati ricavati piccoli appezzamenti di terreno adatti ad essere seminati. Alla semina spesso seguono scarsi raccolti dovuti alla poca resa dei terreni ed alla siccità. “Orgio”, lino, grano, maiorca, fave, “ciceri” sono i principali prodotti, che si possono raccogliere su parte delle possessioni e dei vignali di “Scavigna”, “Sgarrillo”, “Colle di Andali”, ”San Cataldo”, ecc.

 

Il castagneto di San Giovanni

Un posto importante per l’economia del casale è rappresentato dal castagneto. Il castagneto si estende soprattutto nei luoghi detti “sopra Andali” e San Giovanni Battista e nelle località Cuda e San Cataldo. Tra i proprietari troviamo la Religione di Malta, Tommaso Priamo, Angelo e Cesare Yrovasi, Maria Ratta e Aurelia Salvati, Fragostina Caputa, Paolo e Francesca Tantillo, Mario Rota, Giovanni Peta, il chierico Giovanni Giacomo Morelli, Marco Steriti (continentia di terre arborate di castagne, e cerze in loco ditto Cuda confine le castagne dell’heredi del q.m Minico Borrello, confine le castagne di Masi Cimino).

La Religione di Malta possiede “San Giovanni”, una vasta estensione alberata di castagni, situata “in loco ubi dicitur sop.a Andali”, che è stata suddivisa e data a censo agli abitanti del casale e di Belcastro. Così è descritta in una platea dell’inizio del Seicento: “Item detta Balial Corte tiene ancora un altro pezzo di t.ra dissutile con certe castagne, e dui pedi di celsi. Dove se dice Andali alla montagna di questa banda detta la fiumara de nasari iux.a di parte di sotto la via publica, di l’altra parte la serra del Vescovado di Belcastro e tira alla colla delo nocito e tira alla serra delo Iurvo nominato Petro de Sarvato, alias de greco ad Andali e và lo vallone appendino siccagno, che descende alle fate, e corre a petra maiure e tira allo passo delo vallone sotto le castagne del sig.r Alonso Morello e và la via via insino alle t.re e castagne de t.ho Lerro per la Nuce del Vescovado d’Andali e la via via delo passo delo scaccaro, e la via via per lo vallone siccagno in su sin allo terreno dele castagne, che furo del q.m Ant.o de Pedutella dall’à và à tirare alla colla deli pira, e la costa appendino, e cala all’acqua che nasce sotto lo timpuni nominata l’acqua dela pina, e la serra serra seù cinte và a ferire la via via in detta Macchia di Nasari et in detto terreno di santo Gioanne vi sono dentro molte terre donate à censo, e castagne che rendono all’ecc.a dentro li sopradetti confini deli quali tu. Restanti per l’ecc.a, se ne suole havere una salma di grano l’anno, le quale tu., censi et castagne sele godeno et usufruttano li Cappellani, che servano l’ecc.a di santo Gio.e.”.[liv]

Tra coloro che all’inizio del Seicento, pagano censi in denaro spettanti alla Grancia di Belcastro e provenienti dal castagneto di Andali, troviamo: Vincentio Coco, figlio di Indici, Fiorentino Pignieri, Cesare Caivano, Virginia de Massaris, Pietro Francesco e Gio. Vincetio Morelli, il Rev.do Donno Horatio Maurice, Vin.tio San Marco, Bartolo e Antonio Pirayna, Andrea Zupa. Altri censi provengono alla Balliar Corte dalle vigne di San Giovanni, che possiedono Antonio e Luca Salinaro, Mastro Francesco Caluzzune, Gio. Batt.a, Giulio e Gio. Vicentio Cimini.

Il numero delle successioni nel passaggio delle proprietà e dei censi, evidenzia che la censuazione del castagneto e delle vigne di San Giovanni di Andali, come anche degli altri territori, è da collocarsi poco dopo la metà del Cinquecento, anni in cui avvenne anche la formazione del nuovo casale di Andali con l’arrivo dei nuovi coloni “albanesi”.[lv] Le terre di San Giovanni dove era situato l’antico abitato, erano situate “nel timpone di questa terra di Andali”, poco distante e sopra il nuovo abitato.[lvi]

Esse confinavano con la continenza di terre dette Sgarrillo[lvii] e con il vignale detto Colle di Andali.

Andali castagneti

Castagneti in località “Colle di Andali”.

I vignali

In località “Ascavigna” vi erano i vignali di Domenico e Tommaso Altomare, di Lupo Ratta, degli eredi di Michele, e della SS.ma Annunciazione di Belcastro. Sempre in località “Ascavigna” vicino al vallone, o corso d’acqua, che esce “dallo pantano”, vi erano i vignali del fu di Scipione de Vono, degli Altomare e quello del Reverendo Giovanni Tommaso Casizzone. Parte dei vignali erano coltivati a grano.

 

Le possessioni

Le “possessioni” erano estensioni di terreni in parte seminabili, in parte sterili ed in parte alberate con ulivi, querce, gelsi, sorbi, fichi, “arangi” ed altri alberi “domiti et indomiti” (“arboratam olivis, quercis, sicomis et aliis arboribus una cum terris nobilibus et et ignobilibus cum d.a possess.e existentibus”). Esse si estendevano lontano dall’abitato soprattutto lungo la via che dal casale andava alla marina e nelle località “Vallone de Cipulla”, “Cuda” e “Ascavigna”.

I maggiori proprietari erano soprattutto benestanti del casale e della città di Belcastro: il chierico Aloisio de Cummisso, D. Cesare Galati, Maso Pignero, Pietro Cosco, Dianora Schipano, Domenico Altomare, Giorgio Colistra, Giovanni Petruzzo, Giovanni Stanizzi, i coniugi Francesco Casizzone e Angilella Pignerio, Dianora Schipano, ecc.

Andali

Oliveti presso Andali (CZ).

 

Viabilità

La località di Andali rappresentò fin dal Medioevo un nodo viario ed un incrocio importante. Una via collegava il casale, attraversando il vallone dove scorre il fiume Nasari, alla città di Belcastro: “Villa Aragonia, vulgo Andali, uno, sed pessimo, ac praecipitoso stadio distans a Civitate”.[lviii] La via che da Belcastro andava al casale attraversava il fiume vicino a dove c’erano i mulini della città.[lix] Una via andava verso la montagna passando per il vignale “Colle di Andali”.[lx]

Una “antica via” passando per la località San Cataldo lo collegava con l’abitato di Sersale. Sempre dal casale partiva la “viam per quam itur ad marinam”. “La via che si cala alla marina”, attraversava “lo vallone de Cipulla” e la località detta “li cruci”, o Croce di Andali.[lxi]

andali1882

La viabilità di Andali in una carta della fine dell’Ottocento.

APPENDICE

Documenti estratti dall’Archivio di Stato di Catanzaro

Ripartimento di Zagarise. 1784

Andali.

Inventario dell’averi, e rendite della Ven. Cappella del SS.mo Sagramento di questa Terra di Andali incorporate alla Cassa Sacra

Cappella del SS.mo Sacramento

Inventario degli averi e delle rendite della Ven. Cappella del SS.mo Sacramento eretta dentro la chiesa Parrocchiale della terra di Andali, devoluti ed incorporati alla Cassa Sacra: *“Colle di Andali, vignale ignobile, volgarm.te d.o Vignale della Chiesa sito, e posto dentro il Territorio di Belcastro della Capacità, ed estensione tumulate undeci dentro il quale vi esistono molti segni di fabriche antiche, dei quali tt.a undeci, sole tumulate cinque circa, non continuate, ma respettivamente spezzoni spezzoni, dentro esso comprensorio, sono seminabili, confina colle Terre di D. Pietro Paolo Fragale dalla parte di Tramontana, ed il termine divisorio tra di loro è un vallone secco, dall’altre parti confina colle Terre di S. Giovanni ò sia del Fra Cappellanato di Malta, esso vignale tira sino al luogo, volgarm.te d.o La fontana delli jungi, esce alla crista, e crista a basso piglia il vacante sino alle Castagne che sono da quella parte immediatam.te del vallone corr.te il quale divide questo vignale da d.e terre di S. Giovanni, tira la Confinazione p(er) esso vallone Corr.te abasso, esce alle Castagne dell’eredi di Marcantonio Lia in cui vi è un termine divisorio ò sia un sentiero di terreno, che ne indica La Confinazione, finita questa Confinazione tira della parte di sotto altro termine ò sia sentiero di terreno tra esso vignale , e l’accennate terre di S. Giovanni, e và a finire a d.o vallone secco, tra il med.o e le terre del pred.o Sig.re Fragale. V’arbustato con tre piedi di Castagne, due delle quali sono vecchie..” A margine “Questo vignale viene diviso nel mezzo da una publica strada p(er) cui si và alla montagna”.

San Cataldo altro vignale di terre ignobili, sito e posto nel med.o territorio, e dell’estensione e capacità tumulate cinque incirca, dentro il med.o vi stanno alcuni segno o siano pedamenti di fabriche antiche volgarm.te d.te li casaleni di San Cataldo, epperciò delle cinque tumulate di estensione, ne rimangono solo tt.e quattro seminabili perche l’altra tumulata viene occupata da d.e casaleni, confina dalla parte di sotto con le terre d.e Mazolfo del dominio di D. Pietro Paolo Fragale di questa terra, le quali vengono divise da esso vignale per mezzo di un grosso sentiero di terreno, che va a terminare al primo casaleno che s’incontra dalla sud.a parte di sotto, et indi dall’antica via che s’andava a Sersale, dalla parte di tramontana per mezzo la crista di una collinetta, colle terre del fu Arciprete D. Gio. Batt.a Stanizzi oggi per causa di doti possedute da m.ro Antonio Donato di q.a terra, dalla parte soprana, col vignale dell’abolito conventino domenicani di Belcastro, devoluto alla Sacra Cassa, e dal ponente vien terminato da un vallone, che lo divide dalle terre, che erano di pertinenza dell’abolita confraternità, sotto il titolo di S. Anna di q.a sud.a terra.

Scavigna vignale di terre nobili, composte dal pezzotto, anni sono cambiato col fu Arciprete Fragale, a cui essa ven.le cappella diede il pezzotto volgarmente d.o Cuda, e dall’altro vignale pervenuto alla cappella med.a dalla cappella del Purgatorio di Belcastro, tra li quali pezzotto, e vignale per essersi fatta una sola continenza, non vi è segno ora di divisione, sta situato e posto in d.o territorio ed è dell’estensione, e capacità tumulate otto circa, quattro dei quali sono seminabili, ed altre tumulate quattro, consistentino in un timpone pietroso, e boscoso sono inseminabili, potendo servire per solo uso di pascolo. Le terre di queto vignale per causa dell’alluvioni accadute nel passato inverno, e dai trascorsi tremuoti si sono riconosciute in buona parte aperte perche rutolorono , ed ondolorono, verso la parte di sotto per il cui motivo formorono vari stagnetti di acqua. Confinano da d.a parte di sotto colle terre di D. Nicola Talarico di Belcastro, e per il sud.o ondolamento dell’espressate terre di Scavigna si vennero a coprire, e distruggere i termini divisori, ne vi si possono apponere, per esservi un continuato stagno di acqua in d.a confinazione, dalla parte tra levante e greco confina con un vignale di Tomaso Fragale di d.a Terra per mezzo di un termine grosso o sia sentiero di terreno,, continuando verso greco, confina con un vignale di Antonio Gualtieri alias Esopo di Belcastro per mezzo di una macerie di pietre, che per causa dell’alluvioni pred.te alquanto si profondo, e con un vignale dell’abolito conventino dei domenicani incorporato alla cassa sacra, e dalla parte di tramontana colle terre d.e il Pagano dei S.ri Gimigliano di essa città per mezzo di un termine divisorio porzione formato di macerie di pietre, e porzione di un vallone, e tirando in su si esce sopra d.o timpone e finalm.te dalla parte di sopra, tirando verso ponente confina per mezzo di una rupe formata di un abbasso di terreno, che va a terminare in un cristone colle terre ignobili di d.a ven.le cappella, volgarm.te chiamate Iannicani da detto cristone tirandosi a deritto verso levante al termine grosso che divide d.e terre da quelle sopra descritte di Tomaso Fragale e questa linea puol servire per ora di termine, tra esso vignale e le terre di D. Nicola Talarico. V’arbustato di trenta piedi di quercie, cioè dodeci grandi molte annose e con pochi rami, e dieciotto piccole…

Iannicani vignale di terreno corso, ed ignobile sito, e posto nel territorio med.o e dell’estensione, e la capacità tt.e nove circa otto dei quali sono seminabili, ed una infertile perche di terreno volgarm.te d.o oliso, e cotraco, val quanto a dire in cui non si produce nemmeno erba. Confina con una pietra grande sita nel termine della publica via per cui si va alla Cuturella, che divide da esse terre quelle di D. Gio. Iazzolino di Belcastro, scende nel vallone corrente d.o Iannicani, lo quale è dalla parte di ponente, e vallone vallone, lasciando questo sale in su, e si unisce al sopra descritto vignale di terreni nobili di essa ven. cappella, che lo circonda dalla parte di tramontana, e tirando si unisce a d.a pietra grande; va arbustato di tre piedi quercie…

Piede di celso moro nel luogo d.o La Fontanella, possiede inoltre esso piede di celso moro sotto l’orto del q.m Gius.e Stanizzi e m.ro Tomaso Gentile sito nella publica via che conduce alla fontanella, poco distante da questo abitato di Andali, sotto la quale via vi sono li celzi di D. Pietro Paolo Fragale, che un tempo furono di m.ro Pietro Stanizzi…

 

Cappella sotto il titolo dell’Immacolata Concezione eretta dentro la parrocchiale chiesa di questa Terra di Andali

Sgarrillo. Continenza di terre corse nel luogo volgarm.te detto Sgarrillo, sita e posta in questo territorio, e propriamente nel timpone di questa terra di Andali poco distante da questo abbitato, e nella parte che riguarda il settentrione. Dalla parte di occidente confina colle terre di S. Giovanni, osia del Fra’ cappellanato di Malta, per mezzo di un grosso sentiero di terreno che ne indica la confinazione inalterabile, il quale va a terminare verso la parte di maestro in un vallone, che dalla parte di sopra la divide dalle terre degli eredi di Fran.co Peta, dalla parte di tramontana confina col vallone d’acqua corrente detto il fiume Lavandaro, e dalla parte di sotto colle terre dell’eredi di Ferrante Cacossa, tra le quali vi è una vallottella che dimostra pure la confinazione. Va arbustata di sessanta piedi di castagne … Questa continenza è dell’estensione e capacità di tumulate undeci circa, cioè sei seminabili e sono propriamente quelle terre che confinano con quelle di S. Giovanni, o sia del Fra’ cappellanato di Malta, e l’altre cinque inseminabili per essere scoscese lavate dalle piogge, e sterilissime

 

Confraternita sotto il titolo di S. Anna e del Rosario di questa Terra di Andali

San Cataldo comprensorio di terre corse, ed ignobili site e poste nel territorio di Belcastro, nel luogo detto S. Cataldo e dell’estensione e capacità tumulate ventiquattro circa, dodeci dei quali sono seminabili, ed altre dodeci sterili, ed infruttuose a motivo di esser scoscese, e pietrose confinano dalla parte di sopra per mezzo un grosso sentiero di terreno, colle terre demaniali vuolgarm.te d.e comuni di q.a uni.tà di Andali, e propriam.te con quelle, che oggi tiene occupate Fedele Talarico, dall’altra parte confina con un amasso di pietre native, e di là va a ferire ad un altro ammasso di pietre grandi, quindi cala un poco in giù per mezzo di altre pietre più piccole, e va a terminare in un ammasso di pietre di mezzana grandezza, e dall’altra parte confina con il tenimento d.o Vajna del dominio di D. Pietro Paolo Fragale di questa terra e dell’abolito conventino dei domenicani di Belcastro, per la terza parte, indi va a ferire in un vallone, che divide queste terre da quelle, che era di pertinenza della cappella del SS.mo Sagramento di questa predetta terra, e vallone vallone in su, ch’è dalla parte di tramontana, va ad unirsi al pred.o termine, o sia sentiero grosso, che lo divi de dalli comuni di detta terra..

 

Cappella sotto il titolo del Purgatorio eretta dentro la parrocchiale chiesa di Andali

Scavigna, terreno corso, ed ignobile della capacità, ed estensione tumulate sette circa sito, e posto in territorio di Belcastro, sei de quali sono seminabili ed uno inseminabile perché ridotto a pantanoso per lo terreno, che l’anno caduto rotolò a causa dell’alluvioni, e tremuoti, confina dalla parte di mezzo giorno con un vallone di acqua corrente chiamato scavigna, dalla parte di scirocco per mezzo di un termine, o sia sentiero di terreno, colle terre dell’abolita chiesa della sanità della città di Belcastro, dalla parte di tramontana con un vignale Le Pera del r.do Capitolo di essa Città,, e dalla parte di ponente, e lebeccio con il vignale di Tomaso Fragale di Andali per mezzo di un altro termine o rialto di terreno, che tirando in giù va a finire nel sud.o vallone di Scavigna.

Scavigna altro pezzotto di terreno ignobile e corso nella sud.a continenza di Scavigna, della capacità, ed estensione quarti tre di tumulo, confinante da un lato col sud.o vignale volgarm.te d.o Le Pera dello Capitolo di Belcastro, dall’altro lato colle terre di Dom. Grande di Andali, e dalla parte di ponente e mezzo giorno colle terre o sia vignale di Tomaso Fragale. Questo terreno si è riconosciuto per esser in un .. in cui percolano tutte le acque del pendio, terreni che lo circondano, senza averne uscita molto pantanoso…

(ASCZ, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, ff. 1 e sgg.).

Andali

Documenti estratti dai protocolli del Notaio Francesco Mazzaccaro di Belcastro (ASCz)

23.5.1631. Nella terra di Cropani. Joannes Baptista de Urso della città di Belcastro deve avere da Paulo Tantillo del casale di Andali, ducati 31 per obbligo stipulato per mano di Silvestro Vellino, ordinario attuario della terra di Cropani (f. 21).

7.12.1631. Nella città di Belcastro. Il chierico Francesco Scarrillo della città di Belcastro, figlio di Colantonio Scarrillo, da una parte e dall’altra Paulo Tantillo e la figlia Francesca Tantillo, vedova di Andrea Cacossa del casale di Andali, pertinentia di questa città di Belcastro. Paolo Tantillo possiede una vigna in località Cuda confine la vigna di Matteo Strati, la vigna di Matteo Pinnola. La vigna del Tantillo, su richiesta dello Scarrillo che avanza 22 ducati dal Tantillo, fu messa all’asta pubblica nella piazza di Belcastro e comprata dal chierico Iacinto Marsano per ducati 18 con il peso dell’annuo censo di carlini annui 25 dovuti alla cappella del SS.mo Sacramento di Belcastro. La vigna fu poi venduta dal Marsano allo Scarrillo per lo stesso prezzo. Lo Scarrillo la ridiede al Tantillo con le stesse condizioni (ff.32-33r).

24.2.1632. Nella città di Belcastro. Ioannella Mazza, vedova di Antonio Strata, con il consenso dell’arcidiacono Ioanne Battista Lazzaro, da una parte e dall’altra Antonio Pignerio di Belcastro. La Mazza possiede una vigna “vitibus vitatam et diversis arboribus arborata in località Cuda “iuxta vineam et castanetum Thomae Priamo, vineam Marci Pignerio (francam / salvo tamen ab onere annui reditus ab hodie in antea q.n.s si esset cui de jure). La Mazza la vende al Pignerio per ducati 24 (f. 56).

28.6.1633. Sposalizio tra Tommaso Priamo, della città di Belcastro, e la vedova Ippolita Galati. Tra le doti vi è “una possessione arborata di celzi, et altri arbori, et con terreno contiguo a d.a possess.e confine la possess.e di D. Cesare Galati, la possess.e di Masi Pignieri et altri fini posta detta possess.e nel territorio di d. a città in loco d.o ascavigna (f. 28).

19.10.1633. Nella città di Belcastro. Pater Frater Thomas Ciaccio Bellicastren. Ordinis Praedicatorum procuratore di Ioanne Battista de Urso da una parte e dall’altra Paolo Tantillo e Francesca Tantillo vedova di Andrea Cacossa del casale di Andali di pertinenza della città di Belcastro. I Tantillo sono gravati di un annuo censo di ducati cinque per il capitale di ducati 50 per la celebrazione di una messa settimanale nella chiesa o cappella di Santa Maria della Pietà per le anime del purgatorio. I Tantillo possiedono una vigna “diversis arboribus arboratam et vitibus vitata in loco ubi dicitur Cuda iuxta vineam mattei strata della città di Belcastro vineam marcelli lo preite … Duo castaneta unum positum intus castanetum S.ti Joannis et alterum in loco ubi dicitur S.to Cataudo iuxta terras fran.ci caputi castaneas marii rota … domum sitam et positam intus casalem Andali positam supter eccl.am ipsius casalis iuxta domum dominici Ciancio via mediante et alios fines … Franca salvo tamen ab onere annui reditus cui de jure”. Il Ciaccio compra una parte del capitale che grava sui beni dei Tantillo (ff.71-72).

11.1.1634. Nella città di Belcastro. Angelus Yrovasi di Belcastro da una parte e dall’altra Cesare Yrovasi. Angelo possiede in comune e indiviso con cesare, Maria Ratta e Aurelia Salvati un castagneto in località Cuda “iusta castanetum fragostinae Caputae, possessionem Angeli Venuti al presente del chierico Aloisio de Cummisso (f. 12).

6.9.1636. Aurelia e Tommaso Cosco, figli ed eredi di Pietro Cosco, possiedono “uno vignale di terre arborato con cerze, uno sorbo, uno celso, et altri alberi loco detto ascavigna, confine la possessione di Dianora Schipano e la possessione di Domenico Altomare (f. 20).

20.1.1638 nel casale di Marcedusa. Contratto tra Thomas e Ioannis Stanizzi del casale di Marcedusa e Gorigus (Giorgio) Peta del Casale di Andali. Gli Stanizzi possiedono nel distretto del casale di Andali, territorio della città di Belcastro, nel luogo detto “lo vallone de Cipulla” una possessione confine la possessione di Giorgio Colistra del predetto casale di Andali, “viam per quam itur ad marinam viam publicam et alios fines”. La vendono al Peta per 60 ducati (ff. 46v-47). La possessione degli Stanizzi era “arborata di cerza celsi et altri alberi”.

20.2.1638. Nel casale di Marcedusa. Caterina Petruzzo del casale di Marcedusa, col consenso del marito Giorgio Toccio, da una parte e dall’altra Tommaso Stanizzi dello stesso casale. La Petruzzo possiede la terza parte di una possessione “et proprie illam ex parte inferiori que fuit Jonnis Petruzzo sitam et positam in districtu casalis Andali territorium civitatis Belcastri iuxta possessionem Giorgi Colistra casalis Andali viam per quam itur ad marinam. “francam / salvo tamen ab onere annui reditus spettantis super p.tta parte possessionis ab hodie in antea cui de jure/”. La vende allo Stanizzi per 20 ducati (f. 46).

3.5.1638. Nella città di Belcastro. Contratto di matrimonio tra Detio Visciglia ed Elisabetta Schipano, figlia del fu Jacobo Schipano. Tra le doti una vigna in località Cuda confine la vigna di Gioanne Garcea e la vigna di Salvatore Cacossa del casale di Andali. (f. 58).

5.6.1638. Nella città di Belcastro. I coniugi Francesco Casizzone e Angilella Pignerio possiedono una possessione in località ascavigna “arboratam olivis, quercis sicomis et aliis arboribus una cum terris nobilibus et et ignobilibus cum d.a possess.e existentibus iuxta possessionem dittam de Spinello, possessionem Dianorae Schipano et alios fines” (f. 60).

30.8.1638. Nella città di Belcastro, Il Chierico Luca Antonio La Rocca, procuratore della cappella del SS.mo Corpo di Cristo situata dentro la cattedrale da una parte e dall’altra Ioannes Stanizzi del casale di Andali. Lo Stanizzi possiede una vigna e celsi in località cuda confine la vigna di marcello lo preite di belcastro e la vigna di Andrea Spata di Andali (f. 67).

6.10.1638. Nella città di Belcastro. Julia Caputa, vedova di Angelo Morello, possiede “ hortalem sicomorum in loco ubi dicitur nasari, iuxta sicomorum heredum q.m Joannis Laurenti, et Horatii Carpansano viam publicam per quam itur ad casalem Andali” (f. 75).

7.11.1638. Nella città di Belcastro. Tra le doti tra Giovanni Battista Corea e Caterina Ratta vi una vigna in località Cuda confine la vigna di Giovanni Garcea (f. 84).

27.11.1638. Nella città di Belcastro. Il chierico Joannes Jacobus Morelli possiede “quendam petium terreni arboratum quercis et castaneis situm et positum in loco ubi dicitur sop.a Andali iuxta castaneas, et terras Sancti Joannis Baptistae Religionis Maltae, iuxta castaneas heredum q.m Joannis Peta (f. 83).

10.12.1638. Nel casale di Marcidusa. Tommaso Stanizzi del casale di Marcedusa da una parte e dall’altra Giorgio Peta del casale di Andali. Lo Stanizzi vendette una possessione a Giorgio Peta posta nel territorio della città di Belcastro seu destritto del casale di Andali in loco dove si dice lo vallone di Cipulla arborata detta possessione di cerze celsi et altri alberi confine la possessione di Giorgio Colistra, la via che si cala alla marina et altri confini” (f. 86).

15.1.1639. Nella città di Belcastro. Domenico e Tommaso Altomare possiedono “quendam vinialem in loco ubi dicitur ascavigna, iuxta vinialem lupi ratta, iuxta vinialem heredum q.m Micahelis Amoruso, iuxta possessionem ipsorum de Altomare, iuxta vinialem SS.mae Annunciationis dittae Civitatis …. Alium vinialem, que fuit q.m Scipionis de Vono positum in su.dicto loco iuxta vinialem R.di D. Joannis Thomae Casizzone, vallonem seu cursum aquae que exit dallo pantano” (f. 92).

10.3.1639. Nella città di Belcastro. Domenico e Tommaso Altomare possiedono “una possessione arborata di celzi, olive, cersi, fico et altri arbori domiti et indomiti, con una vigna arborata con diversi alberi” in località asca vigna confine la possessione di Dianora Scipano, i vignali di D. Rev. Gio. Tommaso Casizzone, la vigna di Masi Pigniero (f. 98).

10.4.1639. Nella città di Belcastro. Contratto tra Antonio Petruzzo del casale di Andali della pertinenza della città di Belcastro ed il reverendo Petro Mazza della città di Belcastro. Il Petruzzo ha un censo di Carlini 8 per ducati 8 di capitale sopra la “vinea” del reverendo Mazza posta in territorio di Belcastro in località Cuda “iuxta vineam Pauli Tantillo p.tti Casalis, vineam Mattei Strata, et alios fines”. Poiché il Petruzzo è in debito con Il SS.mo Sacramento del casale di Andali per ducati 8 per l’affitto di alcune capre (duc. 4 per quest’anno e duc. 4 per l’anno venturo), cede l’annuo censo per ducati 8 di capitale al Santissimo Sacramento (f. 103).

3.10.1639. Nella città di Belcastro. I fratelli Horatius e Antonius Pignerius, figli ed eredi di Adoritio, dichiarano che il loro padre vendette al fu Salvatore Cacossa del casale di Andali una vigna in località Cuda confine la vigna di Antonino Vadulato, lo vignale delli heredi del q.m Mario Rota (f. 118).

28.8.1641. Il rev. Giovanni Tommaso Gargano acquista all’asta “quendam costam seu vinialem vulg.r dittam de trumbetta iuxta flumen dittum de nasari vallonem dittum de cipulla, terras nominatas li cruci thomae Priamo, et vallonem vallonem rursum qui dividit costam p.ttam cum costam de girormilla” (f. 141).

14.10.1641. Nella città di Belcastro. Contratto tra Caterina Spata del casale Andali, vedova di Nicola Sciumbata, e il Mag. Antonio Pignerio della città di Belcastro. La Spata possiede “vineam de vitibus vitatam et diversis arboribus arboratam cum ficis quercis sicomis et aliis arboribus et cum terreno circum circa vinie p.tte” “in loco ubi dicitur Cuda iuxta vineam Thomae Priamo, iuxta vineam Mattei Forino, vineam Fran.ci Strata iuxta vallonem quem dividit terrenum Giorgi Peta Casalis Andali et vallonem rursum, confinat cum possessione heredum q.m Angeli Venuto. Lo vande per 52 ducati (f. 113).

20.7.1642. Nella città di Belcastro. Todaro Peta ed il figlio il chierico Paolo Peta da una parte e dall’altra i RR. Frati Antonio di Rossano, guardiano del monastero di S. Francesco d’Assisi di Belcastro, frate Francesco de Cotroni, sacerdote e procuratore del monastero, frate Thomas Buffone di S.ta Sofia, frater Dominicus Milo de Rossano laico. I Peta possiedono una vigna di viti vitata, et diversi arberi arborata sita nel distretto del casale di Andali in località Cuda, confine la vigna di Antonio e Francesco Peta, lo vallone di Andali e altri confini e una continenza di case poste dentro il casale di Andali confine la casa di Giorgi Peta e la casa di Francesco Peta. Trovandosi in grande necessità, prendono in prestito dai frati ducati 20 al tasso del 10% sui loro beni (censo di carlini 20 annui) (f. 189).

1.8.1642. Nella città di Belcastro. Minica Masci del casale di Andali, pertinenza della città di Belcastro, vedova di Petro Peta, monaca domestica dell’ordine di S. Domenico, ed il figlio Georgio Peta dello stesso casale da una parte e il R.do frate Antonio de Rossano, guardiano del monastero di S. Francesco d’Assisi, che attualmente si trova solo nel monastero. I Peta possiedono una continenza di terre “ingnobilium” nel territorio della città in località Campia ed un’altra possessione “diversis Arboribus arboratam” … sotto il casale in località “lo vallone de Cipulla iusta viniam Georgi Colistra del predetto casale e la via pubblica ed un certo orto “sicomorum” similmente sotto detto casale iusta terrenum Ioannis Peta Thomae Priamo ed una continenza di case dentro il casale confine la casa di Todaro e Francesco Peta ed un’altra continenza di case “cum orto contiguo” posta dentro il casale. Tali beni sono franchi “salvo tamen ab onere redituum qns” e solo gravati di un annuo censo di ducati 7 per un capitale di ducati 70 dovuti alla chiesa della SS. Annunziata della città di Belcastro. Trovandosi in grande necessità la Masci ed il figlio prendono in prestito dai frati ducati 70 al 10% (ff. 186-187).

12.8.1642. Nella città di Belcastro. Andrea Forino di Belcastro da una parte e dall’altra i RR. Padri Domenico di Belcastro, priore del monastero di S. Domenico, Tommaso Ciaccio, Antonino da Belcastro, Jo. Battista de Aia, procuratore del monastero, Tommaso di Mesoraca e Tommaso da Bisignano, lettore. Il Forino possiede una casa in Belcastro ed una vigna in località Cuda confinante con la vigna di Tommaso Priamo e con la vigna del mastro Antonio Pignerio. Trovandosi in grande necessità sottomette i suoi beni ad un annuo censo prendendo in prestito dai frati ducati 19 al 10% (f. 190).

2.9.1642. Nella città di Belcastro. Nicola Sulla del casale di Carraffa e Minica Colistra del casale di Andali, attualmente abitante nel casale di Carraffa, vedova di Angelo Sulla da una parte e dall’altra Francesco Peta del casale di Andali pertinenza della città di Belcastro. Il Sulla e la Colistra possiedono una casa nel casale di Andali confinante con la casa del q.m Joannis Colistra e la casa del q.m Petro Colistra. La vendono al Peta per ducati 15 (ff. 192v-193r).

22.10. 1642. Nella città di Belcastro. Paolo Apa del casale di Andali attualmente abitante nel casale di Zingarie da una parte e dall’altra Petro Dara del casale di Andali. L’Apa possiede nelle circonferenze (“in circumferentiis”) del casale di Andali nel luogo detto “dietro la Chiesa” una vinea confine “ortum magistri Michaelis, viam per quam itur allo lavaturo, et via sursum quae confinat cum funtanella. La vende per ducati 12 al Dara (ff. 196-197r).

3.11.1642. Nella città di Belcastro. Vincenza Coco, vedova di Nicola Scarillo, possiede un annuo censo sulla vigna di Matteo Strata situata in località Cuda “iuxta possessionem Marcelli lo Preite e un’altra vigna dello Strata (f. 198).

15.1.1643. Nella città di Belcastro. Anna Lazzaro, vedova di Iacobo Invida, possiede “quendam continentiam domorum sitam et positam intus p.ttam civitatem in loco ubi dicitur sancta maria iuxta ecc.am dirutam sancti Joannis domus Cl. Lucae Antonii Pitera Civitatis Catanzarii …” (f. 205).

7.4.1643. Nella città di Belcastro. Da una parte i coniugi Vittoria Vaccara e Joannes Paulus Gargano, dall’altra il Rev.do Joannes Bartolus Nicoletta Civ.tis eiusdem et Presbiter Casalis Andali. I coniugi vendono al Nicoletta una “costam arboratam prunis pede uno quercae et aliis arboris” in località “lo vallone delli canali” (f. 210v-211r).

9.4.1647. Nel casale di Andali. Georgio Peta del casale di Andali, pertinenza della città di Belcastro da una parte e dall’altra Joahannes Baptista Carpansano della città di Taberna e la madre Lucrezia Gargano. Il Peta nei giorni passati ha comprato dal Carpansano e dalla Gargano un territorio chiamato la Caputa, Angli e Camere nel territorio di Belcastro confine il feudo detto Moglicane di Carlo Mannarino di Catanzaro, il territorio detto li fleri della religione di Malta, la gabella detta l’acqua della fico di Ottavio di Diano ed altri confini per ducati 1000. Firmano il Diacono Joanne Stanizzi, il chierico Ioanne Domenico Catizzone, il chierico Ioanne Nicoletta e Petro Dara (ff. 21-22).

1.2.1648. Nella città di Belcastro. Nel contratto di matrimonio tra Angilus Greco e Isabella Steriti, figlia di Marco, tra le doti vi è “una continentia di terre arborate di castagne, e cerze in loco ditto Cuda confine le castagne dell’heredi del q.m Minico Borrello, confine le castagne di Masi Cimino, et altri confini” (f. 90).

27.4.1648. Nella città di Belcastro. Il chierico Francesco Buba e la madre Nescia Stanizzi, vedova di Antonio Buba, del casale di Marcidusa da una parte e dall’altra Joannes Pinnola del casale di Andali. Il Buba e la madre possiedono una casa dentro il casale di Andali “iuxta domum Aloysii Carullo via med.te, iuxta domum viduae q.m Pauli Masci via med.te et alios fines”. La casa è pervenuta per eredità dal fu Antonio Buba. La casa è franca “salvo tamen ab onere carelorum trium anno quolibet solvendorum Ducali Curiae huius Civitatis iusta solitum”. Trovandosi in grande necessità, la vendono per ducati 25 (ff. 98v-99).

27.8.1648. In casale Andali. Da una parte Thomas Colistra del casale, figlio di Giorgi Colistra, e dall’altra la vedova Sigismunda Schipano del casale, il figlio Dominicus Peta e la figlia Margarita Peta. Sposalizio tra Tommaso Colistra e Margarita Peta. Sottoscrivono l’atto tra gli altri il presbitero Ioanne Stanizzi di Andali ed il diacono Paulo Peta di Andali, il presbitero Joanne Bartolo Forino ed il clerico Josepho le Chiane (ff. 101-102).

31.8.1648. Nella città di Belcastro. Joannes Cacossa alias Conte del casale del Andali da una parte e dall’altra il presbitero Luca Antonio La Rocca della città di Belcastro. Il Cacossa possiede una casa dentro il casale confine la casa di Antonio Colistra e la casa di Paolo Cacossa via mediante. Inoltre possiede una “vinea” nel territorio di questa città loco La Cuda, iuxta vineam Petri Dara, iuxta vineam Antonii Vadulato ed altri confini ed un’altra vinea nel luogo detto “sopre Andali” iuxta vineam Petri Colistra. Trovandosi in necessità le sottomette ad annuo censo di carlini 20 per ducati 20 di capitale concesso dal presbitero (ff. 105-106).

6.9.1648. Nella città di Belcastro. Ioanne Pennola del casale di Andali pertinenza della città di Belcastro da una parte e dall’altra il frate Petro de Catanzaro, guardiano del monastero di S. Francesco d’Assisi, e frate Matteo de Castro Villaro. Il Pennola possiede una continenza di case dentro il casale confine la casa della vedova di Petro Dara via mediante e la casa della vedova di Antonio Petruzzo ed una vinea posta nel distretto di detto casale confine la vinea di Paolo Tantillo. Li sottomette ad annuo censo di carlini 20 per ducati 20 ai frati (ff. 55-56).

19.9.1648. Nella città di Belcastro. Giorgio Peta del casale di Andali, pertinenza della città di Belcastro, da una parte e dall’altra Antonio Peta dello stesso casale ed inoltre il reverendo padre frate Michele di Belcastro Prov., frate Ioanne Baptista de Suriano, frati assegnati nel convento di S. Domenico di Belcastro. I Peta dichiarano che negli anni passati hanno comprato con patto di retrovendendo dai Campagna della città di Catanzaro una gabella di terre aratorie nobili poste in territorio di Belcastro in località la Caputa confine le terre del convento di San Domenico, confine il territorio della Caputa di Giorgio Peta, confine la gabella di Ottavio di Diano detta l’acqua della fico per ducati 200 (ff. 71v-72).

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Note

[i] Pellicano Castagna M, La storia dei feudi nobiliari della Calabria, p.181.

[ii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1699.

[iii] ASN, Tesorieri e Percettori vol. 4087 (ex 485), Conto di Turino Ravaschiero (a. 1564-1565) I-II.

[iv] Pedio T., Un foculario del Regno di Napoli del 1521 e la tassazione focatica dal 1447 al 1595, in Studi Storici Meridionali, 3/1991, p. 265.

[v] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 506/4109, ff. 22, 68v, 95.

[vi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1592.

[vii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1597.

[viii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1603.

[ix] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 558/4162, f. 86v.

[x] ASN, Tesorieri e Percettori Fs. 561/4165, I, f. 41.

[xi] Barbagallo de Divitiis M. R., Una fonte per lo studio della popolazione, Roma 1977, p. 60.

[xii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1612.

[xiii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1620.

[xiv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1627.

[xv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1692.

[xvi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1707.

[xvii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1703.

[xviii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1650, f. 237v.

[xix] Russo F., Regesto, 31454.

[xx] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1634.

[xxi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1645.

[xxii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1641.

[xxiii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1645.

[xxiv] ASV, Nunz. Nap. 182, f. 28, in Russo F., Regesto 57514.

[xxv] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1665.

[xxvi] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1673.

[xxvii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1677.

[xxviii] Nel 1648 il rev.do Joanne Bartolo Nicoletta è arciprete di Belcastro. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1648, f. 236.

[xxix] Russo F., Regesto, 36609.

[xxx] Russo F., Regesto, 40952.

[xxxi] Russo F., Regesto, 51294.

[xxxii] Russo F., Regesto, 65388.

[xxxiii] Russo F., Regesto, 67532.

[xxxiv] Russo F., Regesto, 68632.

[xxxv] Russo F., Regesto, 76785.

[xxxvi] ASCz, Not. F. Mazzaccaro b. 161.

[xxxvii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro b. 161, a. 1650, ff. 236v, 237v.

[xxxviii] Cola Peta risulta proprietario delle terre di Mutrò in territorio di Crotone che poi passarono a Tommaso Sculco, AVC, Acta, 1699, f. 67v.

[xxxix] Marafioti G., Croniche, p. 214.

[xl] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1699, 1707.

[xli] “Colle di Andali, vignale ignobile, volgarm.te d.o Vignale della Chiesa sito, e posto dentro il Territorio di Belcastro della Capacità, ed estensione tumulate undeci dentro il quale vi esistono molti segni di fabriche antiche, dei quali tt.a undeci, sole tumulate cinque circa, non continuate, ma respettivamente spezzoni spezzoni, dentro esso comprensorio, sono seminabili, confina colle Terre di D. Pietro Paolo Fragale dalla parte di Tramontana, ed il termine divisorio tra di loro è un vallone secco, dall’altre parti confina colle Terre di S. Giovanni ò sia del Fra Cappellanato di Malta, esso vignale tira sino al luogo, volgarm.te d.o La fontana delli jungi, esce alla crista, e crista a basso piglia il vacante sino alle Castagne che sono da quella parte immediatam.te del vallone corr.te il quale divide questo vignale da d.e terre di S. Giovanni, tira la Confinazione p. esso vallone Corr.te abasso, esce alle Castagne dell’eredi di Marcantonio Lia in cui vi è un termine divisorio ò sia un sentiero di terreno, che ne indica La Confinazione, finita questa Confinazione tira della parte di sotto altro termine ò sia sentiero di terreno tra esso vignale , e l’accennate terre di S. Giovanni, e và a finire a d.o vallone secco, tra il med.o e le terre del pred.o Sig.re Fragale. V’arbustato con tre piedi di Castagne, due delle quali sono vecchie…”, in Inventario degli averi e delle rendite della Ven. Cappella del SS.mo Sacramento eretta dentro la chiesa Parrocchiale della terra di Andali, devoluti ed incorporati alla Cassa Sacra, ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro.

[xlii] San Cataldo. Terreno ignobile, sito e posto in esso territorio e propriam.te nella Colla di Andali, della capacità ed estenzione tt.e tre circa, in parte seminabile, confina colla parte destra col vignale d.o S. Cataldo di Vitaliano Donato di Andali, dalla sinistra, col vignale d.o S. Cataldo della V.bile Cappella SS.mo di Andali med.o, dalla parte di sotto col vignale di Francesco Filippello dell’istesso Andali, e dalla parte di sopra, lo circonda anche il d.o vignale del SS.mo, ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, f. 10v.

[xliii] 15.1.1643. Nella città di Belcastro. Anna Lazzaro, vedova di Iacobo Invida, possiede “quendam continentiam domorum sitam et positam intus p.ttam civitatem in loco ubi dicitur sancta maria iuxta ecc.am dirutam sancti Joannis domus Cl. Lucae Antonii Pitera Civitatis Catanzarii …”, ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, 1643, f. 205.

[xliv] Rende P., Gli Ospitalieri, i Templari ed i casali di S. Martino e di S. Giovanni in territorio di Genitocastro, poi Belcastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[xlv] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 71-72.

[xlvi] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 186-187.

[xlvii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 98v-99.

[xlviii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 55-56.

[xlix] ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro.

[l] “Croce di Andali. Terre ignobili della capacità tt.e otto circa, sito e posto nel terr.o di essa Città, e propriamente dalla parte di sotto della T.ra di Andali, confinano da un lato col fondo Trombetta del Mag.co D Giovanni Jozzolino, dall’altro con un vignale del Decanato di essa Città, dalla parte di sopra colla via publica e col vignale di Margarita Peta di Andali, e da quella di sotto colli Pistonelli di d.a Terra. Il termine che le circuisce è anche di un rialto o sia sentiero di terreno, che ne indica la confinazione. Per essere terreno sterile si è liquida la rendita in sola semina perché ignobile – grano tt.a 4.” ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, 1784, f. 7.

[li] “Vajina. La terza parte di un comprensorio di un terreno nobile, posto nella montagna di essa Città, perché l’altre due parti in oggi si posseggono da D. Paolo Fragale di Andali e dell’esten.ne e capacità tt.e sessanta, sedici de quali sono seminabili e quaranta quattro scascese alpestri ed inseminabili. Confina dal destro lato con un cavone o sia vallone che lo divide dalla difesa della Cerva, dal lato sinistro colle terre volgarmente dette Comuni dell’Università di Belcastro, Andali e Cuturella, dalla parte di sopra colle Colle di S. Cataldo, e dalla parte di sotto col Fiume Crocchia, con termini visibili divisori ed inalterabili per ogni lato. Va arbustato con piedi di carigli vecchi di niun frutto”. ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, ff. 11v-12r.

[lii] 1.8.1642. Minica Masci del casale di Andali, vedova di Petro Peta, monaca domestica dell’ordine di S. Domenico, ed il figlio Georgio Peta dello stesso casale, possiedono un certo orto “sicomorum” similmente sotto detto casale iusta terrenum Ioannis Peta Thomae Priamo ed una continenza di case dentro il casale cum orto contiguo”. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1642, ff. 186-187.

[liii] ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, ff. 67 e sgg.

[liv] Platea de le robbe stabili, e censi , che detto Ill.mo e R.mo Sig.r Baglio Cagnolo, e sua Balial Corte tiene in Belcastro e sua Grancia (1614). National Library of Malta, Vol. AOM 6196, f. 54.

[lv] Primi censuari del castagneto sono: Indici Tamante Coco, Tangano Dalito, Iacono Grandello, Pietro de Diano, Antonio Fagullo, Paolo Nutiato, Gio. Matteo Massaro, Petruzzo de Mastro Angelo, Cler. Antonio Iurdano, Donno Gio. Battista Gabriele. Delle vigne di San Giovanni: D. Battista de Terlo, D. Francesco Floruto, Polidora Marincola, Francesco dela Castellana. Nota deli censi in danari spettantino alla preditta grancia di Belcastro in N.L.M., Vol. AOM 6196, ff. 55-56.

[lvi] “Questo vignale viene diviso nel / mezzo da una publica strada p(er) / cui si và alla montagna”. 27.11.1638. Nella città di Belcastro. Il chierico Joannes Jacobus Morelli possiede “quendam petium terreni arboratum quercis et castaneis situm et positum in loco ubi dicitur sop.a Andali iuxta castaneas, et terras Sancti Joannis Baptistae Religionis Maltae, iuxta castaneas heredum q.m Joannis Peta. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1638, f. 83.

[lvii] “Sgarrillo. Continenza di terre corse nel luogo volgarm.te detto Sgarrillo, sita e posta in questo territorio, e propriamente nel timpone di questa terra di Andali poco distante da questo abbitato, e nella parte che riguarda il settentrione. Dalla parte di occidente confina colle terre di S. Giovanni, osia del Fra’ cappellanato di Malta, per mezzo di un grosso sentiero di terreno che ne indica la confinazione inalterabile, il quale va a terminare verso la parte di maestro in un vallone, che dalla parte di sopra la divide dalle terre degli eredi di Fran.co Peta, dalla parte di tramontana confina col vallone d’acqua corrente detto il fiume Lavandaro, e dalla parte di sotto colle terre dell’eredi di Ferrante Cacossa, tra le quali vi è una vallottella che dimostra pure la confinazione. Va arbustata di sessanta piedi di castagne … Questa continenza è dell’estensione e capacità di tumulate undeci circa, cioè sei seminabili e sono propriamente quelle terre che confinano con quelle di S. Giovanni, o sia del Fra’ cappellanato di Malta, e l’altre cinque inseminabili per essere scoscese lavate dalle piogge, e sterilissime. ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, f. 1.

[lviii] ASV, Rel. Lim. Bellicastren. 1735.

[lix] Vignale di Sammarco o sia Oliveto confina “dalla parte di sotto colla via publica, che conduce alle molina di essa città ed in Andali”, 1784, f. 4. “Molino. In oltre possiede un molino da questa parte il Fiume Nasari, o sia dalla parte di d.a Città di Belcastro, ed è il primo che si ritrova, quando si viene dal Casale di Andali, sotto la publica via e propriamente sotto il piede del feudo della Regia Corte volgarm.te d.o Spina in pede, sta situato nel pred.o territorio macinante con saetta di legname e coll’acque di d.o Fiume Nasari”. ASCz, Cassa Sacra, Atti Vari, Belcastro, Convento domenicano, f. 16v.

[lx] “hortalem sicomorum in loco ubi dicitur nasari, iuxta sicomorum heredum q.m Joannis Laurenti, et Horatii Carpansano viam publicam per quam itur ad casalem Andali”. ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, a. 1638, f. 75.

[lxi] “quendam costam seu vinialem vulg.r dittam de trumbetta iuxta flumen dittum de nasari vallonem dittum de cipulla, terras nominatas li cruci thomae Priamo, et vallonem vallonem sursum qui dividit costam p.ttam cum costam de girormilla,” ASCz, Not. F. Mazzaccaro, b. 161, f. 141v.

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La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo e la confraternita di Santa Caterina di Policastro

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San Pietro Policastro

Tela raffigurante San Pietro, posta nel coro della chiesa Matrice di Petilia Policastro (KR).

L’esistenza di San Pietro, chiesa parrocchiale posta nella parte medievale dell’abitato di Policastro, il cui titolo ha riferimenti con la latinizzazione del territorio,[i] comincia ad essere documentata durante la prima metà del Cinquecento, quando fu provvista al clerico Iacobello Ferrato (Ferrari ?), per la morte di Andrea Pinelli.[ii]

Attorno alla metà del secolo, la chiesa compare nell’elenco dei benefici della diocesi di Santa Severina, che dovevano pagare le decime alla Santa Sede[iii] e tra quelle di Policastro che dovevano corrispondere all’arcivescovo la quarta beneficiale, come risulta documentato nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”, durante il quadriennio 1545-1548 e nel 1566.[iv]

Risale a questo periodo anche la prima documentazione relativa all’esistenza della confraternita di Santa Caterina che aveva sede nella chiesa di San Pietro, anche se una nuova chiesa dedicata alla Vergine e Martire, era al tempo in costruzione non lontano dalla parrocchiale.

“S.ta Chaterina” compare nell’elenco dei benefici della diocesi di Santa Severina che dovevano pagare la decima alla Santa Sede alla metà del Cinquecento,[v] periodo in cui comincia ad essere documentato l’obbligo da parte del rettore e del cappellano di “s(an)te Catherine de policast.o”, di comparire personalmente in occasione del sinodo diocesano, pagando quattro libre di cera a titolo di cattedratico.[vi] Obbligo che risulta documentato durante i sinodi di tutta la seconda metà del secolo.[vii]

Petilia Policastro (KR). In evidenza i luoghi in cui esistevano la chiesa di San Pietro (1) e quella di Santa Caterina (2).

La chiesa di San Pietro alla metà del Cinquecento

Nel pomeriggio del 9 giugno 1559, il cantore della chiesa di Mileto Giovanni Tommaso Cerasia, vicario dell’arcivescovo di Santa Severina Giovanni Battista Ursini, dopo aver visitato la chiesa di Santa Maria delle Grazie, proseguì la sua visita alle chiese di Policastro, presso la vicina chiesa parrocchiale sotto l’invocazione dei “s.ti Pet.i et pauli” di cui era cappellano D. Jo: Dominico “pet.alia”.

Qui trovò un altare di fabbrica con altare portatile, con tre tovaglie ed un coperimento d’altare, sopra il quale vi era una “Conam magnam” con diverse pitture di santi, che si diceva appartenesse alla confraternita di Santa Caterina. Furono rinvenuti anche una croce d’argento dorata, un messale, un cuscino e due candelabri di legno vecchi. Sopra l’altare era posto un “lintheamen”. L’altare possedeva anche tre calici di peltro con le loro patene, quattro vestimenti sacerdotali di tela completi, tra cui una casula di seta rossa, otto “lintheamina sive Coperim.ta altaris”, vecchi e laceri, un ante altare di tela dipinto, quattro cortine di tela, un ante altare di mayuto, un altro simile di mayuto, venticinque tovaglie tra vecchie e nuove, sette casule di tela ed un cuscino di tela.

Nella chiesa erano sistemati “Circum Circa”, alcuni “Scanna” di tavole per poter sedere mentre, “In medio”, vi era la “imago Crucifixi in relevo” con un “panno” nero davanti. La chiesa si presentava “in navi” tutta “intenplata” di tavole.

Fu quindi visitato un altro altare di tavole sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli”, lasciato alla chiesa da D. Antonio Clasidonti ed all’attualità servito da D. Battista de Donato, D. Francesco Canzonerio e D. Hieronimo de Nicotera, dove si trovava la “Cona” con l’immagine della gloriosa Vergine Maria e quella degli apostoli Pietro e Paolo.

Dall’altro lato dell’altare maggiore, fu visitato un altro altare sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli” appartenente alla famiglia de Albo, con un altare di fabbrica ed una “Cona” di tela con l’immagine della gloriosa Vergine Maria e quella degli apostoli Pietro e Paolo.

Successivamente il vicario passò a visitare la “Cap.lam” fatta di pietra sotto l’invocazione dei “s.ti pet.i et pauli” della famiglia Farago, dove si trovava un altare di fabbrica con sopra una “Cona magna” in tela con l’immagine della gloriosa Vergine e dei beati apostoli Pietro e Paolo. I beni di questo altare, già menzionati nell’inventario dell’altare maggiore, erano costituiti da tre tovaglie, un ante altare “depictum Cum mayuto”, un calice con patena di peltro ed un messale. Il vicario ingiunse di provvedere agli ornamenti necessari.

Fu quindi rinvenuto un altro altare della chiesa sotto l’invocazione di “s.ti pet.i” pulito e senza ornamenti. Nel campanile vi erano due campane e presso l’altare maggiore si trovava un campanello.

 

La chiesa di Santa Caterina alla metà del Cinquecento

Proseguendo la sua visita, il vicario si portò nella vicina “ecc.am s.tae Catherinae quae est Confratria”, i cui beni appartenenti alla confraternita, erano già stati precedentemente portati al cospetto del vicario arcivescovile da parte del magister Hieronimo Farago,[viii] ed in considerazione del fatto che “dicta ecc.a est nova”, la trovò parte coperta e parte discoperta perché era ancora in fase di costruzione.

Qui egli rinvenne l’altare maggiore di fabbrica con un ante altare vecchio e con sopra la “imago” raffigurante Santa Caterina “de relevo”, un “quatrum Salvatoris n(ost)ri in Columna positum” ed un altro vecchissimo con una tovaglia intorno, una croce piccola “de relevo” di stagno ed un crocefisso “de relevo super tabulas repositum”. Vicino all’altare vi erano alcune travi per poter sedere. Nel campanile vi erano due campane ed un campanello.

Di questa “ecc.a et Confratria” erano cappellani D. Hieronimo de Nicotera, D. Francesco Canzonerio e D. Antonio Zagharia.

Entrando dalla “portam maiorem” della chiesa, alla sinistra, si trovava una “Cap.lam” lavorata con cantoni lapidei che aveva principiato a costruire Battista Serra ed il cui altare era servito da D. Ambrosio Rocca. Detta cappella però mancava ancora di tutto il necessario.[ix]

 

Parroci e rettori

Alla fine del Cinquecento, a seguito della riduzione delle parrocchie di Policastro ed in virtù della sua antichità, la chiesa di San Pietro rimaneva una delle quattro parrocchiali esistenti nella “terra Regia” di Policastro, come ricaviamo dalla relazione del 1589, prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani per la Santa Sede.[x]

Nel 1591 ne era parroco il presbitero Hijeronimo Campana, carica che, successivamente, fu ricoperta dal presbitero Joannes Dom.co Catanzaro, che ne risultava già in possesso nel febbraio 1604.[xi]

Conseguentemente alla riduzione del numero delle parrocchiali, al posto dell’antica organizzazione cittadina, che ripartiva per famiglia la cura delle anime tra le diverse parrocchie, fu introdotta una nuova ripartizione, stabilita secondo confini territoriali determinati, che dividevano l’abitato tra quelle rimaste.

Gli atti dei notari policastresi della prima metà del Seicento, testimoniano infatti che, a partire dagli inizi del secolo, accanto ad un criterio d’identificazione delle abitazioni secondo il loro vicinato (“convicino”) ad una chiesa, o ad un altro elemento caratteristico del luogo, ne comincia a comparire anche uno per confini parrocchiali.[xii] Troviamo, infatti, accanto all’indicazione “in convicino santi petri”, ovvero “in convicinio parrochialis Ecc.e santi Petri”,[xiii] quella che identifica il luogo in “parocchia di santo piedro”.[xiv]

Dopo essere appartenuta a Joannes Thoma Faraco, che risultava essere stato “parocus, et rettor” della chiesa di “Santi Petri” già nel settembre 1616,[xv] troviamo successivamente, che il beneficio relativo alla “parochiali ecclesia S. Petri, terrae Policastri”, fu detenuto da Hieronimo Longo ed, a seguito della morte di quest’ultimo, nel novembre 1624 fu provvisto al clerico Petro Giraldo.[xvi]

L’otto settembre 1632, essendo vacante la “Parocchiali Ecclesia tituli sancti Petri Policastrensis nostrae Diocesis”, e volendo intervenire per preservare le anime dei parrocchiani, l’arcivescovo Fausto Caffarelli, come previsto dal Concilio Tridentino, istituiva il presbitero Scipione Callea “Vicarius seu vice Parochum praefatae Parocchialis Ecclesiae”, assegnandogli “pro congrua porzione et substentatione”, “quatuor ducatos in mensem” sulle rendite certe della stessa parrocchiale, oltre a tutti gli “emolumenta incerta”.[xvii] Tra le prime, sappiamo che, al tempo, la chiesa poteva contare sul possesso di un vignale in loco “la salinara seu agrillo”.[xviii]

Il 6 dicembre 1635, alla presenza del R. D. Joannes Fran.co Rocca, vicario foraneo di Policastro, il R. presbitero Scipione Callea era immesso nel possesso della chiesa parrocchiale vacante sotto il titolo di “S.ti petri”, in qualità di parroco e/o curato e rettore,[xix] come lo troviamo in seguito,[xx] quando fu fatto anche protonotaro apostolico.[xxi]

 

Un luogo di sepoltura

Rispetto alla parrocchiale di San Pietro, per la quale non abbiamo notizia di deposizioni, le sepolture all’interno della chiesa di Santa Caterina, dove si trovava quella dei confrati,[xxii] sono documentate già nei primi anni del Seicento.[xxiii]

A quel tempo le due chiese avevano anche una differente consistenza patrimoniale. Attorno alla metà del secolo, San Pietro possedeva solo alcune piccole rendite, derivanti da censi infissi su terreni e case,[xxiv] mentre, rispetto alla difficile situazione economica della parrocchiale, più florida appariva quella della chiesa di Santa Caterina, in ragione dell’esistenza della confraternita. Questa possedeva un vignale in località “gorrufi”,[xxv] un vignale in località “lo molinello”,[xxvi] alcuni beni in loco “le parmenta”[xxvii] ed in loco “lo cinale”,[xxviii] una vigna in loco “le carita”,[xxix] un castagneto in loco “ubi dicitur Castanetum santella”,[xxx] e alcune terre in località detta “la fiomara”, presso il fiume Soleo.[xxxi] La chiesa possedeva anche una grotta a “S.to Dimitri”,[xxxii] oltre ad alcune case[xxxiii] e ad alcuni casaleni[xxxiv] entro le mura di Policastro.

Ad una parte di questi beni, che costituivano la dote patrimoniale della chiesa, si andavano a sommare quelli ricevuti dai fedeli che, in occasione della stipula dei loro testamenti, allo scopo di guadagnarsi l’aldilà, disponevano nei confronti della chiesa lasciti di case,[xxxv] denaro,[xxxvi] e anche animali.[xxxvii]

Allo scopo di fornirne un esempio, riferiamo il contenuto del testamento del frate Marco Mingaccio della terra di Caccuri, stipulato il giorno di Natale del 1604, nella sacrestia della chiesa di Santa Caterina dove questi si trovava infermo. In questo atto, il frate disponeva di essere seppellito nella chiesa di Santa Caterina, lasciando erede di tutti i suoi beni la stessa chiesa, con il patto però che, entro sei mesi dalla sua morte, il procuratore di Santa Caterina avrebbe dovuto far realizzare una cappella “nel muro della parte delorto in questo modo videlicet sopra la cappella delli heredi del q.m Ant.no Campana che sta vicino le campane che vengha al dritto di mezo lo arco et per fattura et accomodam.to di detta Cappella ci lascia docati dece”. Altri quattro ducati li lasciava affinchè fosse detta una ebdommada la settimana in perpetuo in detta cappella costruenda per la sua anima. Disponeva che non facendosi la cappella entro il tempo stabilito, succedesse nel legato la chiesa dell’Annunziata Nova di Policastro, i cui procuratori avrebbero dovuto avere pensiero di costruire la cappella nella detta chiesa “dove alloro piacerà”.[xxxviii]

In genere, i beni oggetto di questi lasciti erano rapidamente posti all’incanto e venduti,[xxxix] o anche permutati.[xl] Nel caso di queste vendite, su tali beni rimaneva infisso il censo stabilito al momento dell’incanto.[xli] Il denaro ottenuto in questo modo era investito sul mercato creditizio locale da parte di procuratori[xlii] cui erano affidata la gestione degli affari della confraternita che, similmente ad altri enti ecclesistici di Policastro, erano eletti annualmente con il beneplacito dell’arcivescovo. Durante la prima metà del Seicento, ricoprirono questa carica: Joannes Baptista Rocca (1605),[xliii] Joannes Palatio (1606),[xliv] Gregorio Bruna (1607, 1608),[xlv] Joannes Pettinato (1620),[xlvi] Julio Berricello (1644)[xlvii] e Salvatore Desiderio (1647, 1648).[xlviii]

 

L’altare di Santa Maria del Carmine

Risale ai primi anni del Seicento, l’erezione di un altare dedicato alla Madonna nel Carmine nella chiesa di Santa Caterina.

Nel proprio testamento del primo aprile 1606, Michele Arcomanno stabiliva che, dopo la sua morte, dovesse essere seppellito “nella venerabile chiesa di santa Caterina”, alla quale lasciava la possessione loco ditto “la fiomara” con il peso di doversi celebrare una messa per ogni hebdommada, “sullo altare costruendo per detta chiesa sullo loco vicino la sepultura fatta per esso testatore”. Per la costruzione di questo altare lasciava alla chiesa la metà dei 12 ducati che gli doveva Agostino Cavarretta “nella ricolta p.a”. Lasciava ancora alla detta chiesa, un “quatro” per la costruenda cappella con l’immagine di Santa Maria del Carmine che deteneva in casa. Nominava propri eredi universali e particolari di tutte le sue robbe mobili e stabili, i figli Gio: Francesco e Giulia Arcomanno disponendo che, morendo costoro senza eredi, gli dovesse succedere la chiesa di Santa Caterina.[xlix]

L’otto dicembre 1608, il “frater” Gregorio “de ordine osservantie de terre policastri”, donava a sua sorella, “soro” Elisabetta Musitano della terra di Cutro, tutti i beni che gli spettano, sia da parte materna che paterna. Tale donazione avveniva con il patto che 6 ducati fossero dati alla chiesa di Santa Caterina di Policastro, da applicarsi nella “congregatione, et benefitio di detta chiesa”, somma che avrebbero dovuto esigere il chierico Marco Ant.o Guarano e Gio: Paulo Larosa, da impiegarsi “per far venire le bulle della madonna del Carmine con declaratione che la ditta soro Elisabetta sia patrona di detta donatione”.[l]

Il 22 luglio 1616, Camilla Fimia, considerato che da molti anni, il quondam Mattio de Falco suo marito, era creditore nei confronti di Troijano de Mauro e della moglie Dianora Campana, per la somma di ducati 5, ne faceva donazione alla cappella della “madonna del Carmino”, posta dentro la chiesa di Santa Caterina, affinchè fossero spesi per la riparazione della cappella, in beneficio della sua anima e di quella del marito.[li]

 

I necessari ripari

A dispetto della sua recente costruzione, la chiesa di Santa Caterina risultava bisognosa di ripari già nella prima metà del Seicento.

Il 30 settembre 1630, Gio: Fran.co Mendolara, procuratore di Santa Caterina, asseriva che, “stando la chiesa p(raedi)tta per cascare per causa che se ritrova infracidita la ligname della Coverta”, con l’intervento dei confrati, aveva dato memoriale all’arcivescovo di Santa Severina, per poter utilizzare i ducati 55 lasciati dal quondam Angilo Cropanise, spendendoli così in riparo di detta chiesa, ma mantenendo comunque l’obbligo di servire in perpetuo l’ebdommada per l’anima di detto donatore.

Allo scopo, già precedentemente, i “fratelli” si erano congregati il 10 settembre di quell’anno, “ad sonum Campane”, nella detta chiesa di Santa Caterina, dove, alla presenza del R. vicario D. Joannes Fran.co Rocca e del “R.do arcipreite Cappellano”, furono presenti: D. Parise Ganguzza, D. Gio: And.a Romano, D. Gio: Thomaso Caccurio, D. Peleo Scigliano, C. Fortunato Larosa, dottor Marco Ant.o Guarano, Gio: Laurenzo Corigliano, Gio: Vittorio Fanele, not.r Gio: Battista Guidacciro, Cl.o Gio: Battista Serra, Fran.co Nigro, Giulio Verricello, Gio: Dom.co Campana, C. Gerolimo Mendolara, Fran.co Tronga, Stefano Capozza, Gio: Mattio Cavarretta, Ferrante de Vito, Jacinto Misiano, Santo Mascaro, And.a Giordano ed il Cl.o Scipione Tronga.

In quella occasione, i detti confrati avevano deciso di dare ad annuo censo il detto capitale al Cl.o coniugato Livio Zurlo, “Confrate, et priore” della detta chiesa e confraternita, obbligandolo sopra i frutti delli “Celsi della vasilea e delle Castagneta della montagna” e di tutti gli altri beni della detta chiesa e della confraternita. Successivamente, però, il detto Cl.o Livio Zurlo era morto. Il 30 settembre 1630, “gia che hora si sta fatigando, a far servitio ad essa chiesa”, “ed è nicessario soccorrere li mastri fabricatori, et altri che attendano alla detta opera”, i confrati erano stati nuovamente congregati davanti alla chiesa matrice, decidendo di eleggere D. Parise Ganguzza al posto del detto Livio Zurlo.

In questa nuova occasione, furono presenti: il sig.r vicario foraneo D. Gio: Fran.co Rocca, il sig.r Marcello Leusi, il signor Marco Ant.o Guarano, D. Santo de Pace, not.r Jacinto Richetta, Gio: Battista Pinello, Gregorio Bruna, Antonino Gatto, Jacovo Larosa, D. Gio: And.a Romano, D. Peleo Scigliano, Petro di Ercole, Scipione Romano, Gerolimo Romano, Gio: Dom.co Falcune, Gio: Vittorio Accetta, Gio: Paulo Caruso, Gio: Dom.co Campana, Mutio Scoro, Gio: Thomaso Tronga e Gio: Battista Ijerardo. I beni obbligati furono: “li celsi” detti “la vasilea”, confine i beni di notar Jacinto Richetta, i beni di Gio: Laurenzo Corigliano ed altri fini, e “uno Castagneto” posto nella “montagna di detta Citta”, confine “lo Castagnito” di S.ta Maria “la spina”, “ditto lo Castagnito di Napoli”, con il patto che il detto procuratore avrebbe dovuto utilizzare gli annui ducati 5 per il servimento di detta ebdommada in perpetuo, nell’altare della “nostra donna dela Carmino” posto dentro la chiesa di Santa Caterina.[lii]

L’esistenza di un altare dedicato alla Madonna del Carmine nella chiesa di Santa Caterina, risulta documentato ancora qualche anno dopo quando, in un atto del 15 gennaio 1639 si menzionano i beni di “Sante Marie Carminis”.[liii]

 

Il luogo detto “la basilea” in convicino di Santa Caterina

L’esistenza di una parte dell’abitato di Policastro posto all’interno delle mura, identificato in qualità di “Convicino s.tae Caterinae”, ovvero di “convicino Ecclesie sante Caterine”, in relazione alla vicinanza della chiesa di Santa Caterina, comincia ad essere documentato già nei primissimi anni del Seicento.[liv] In questo periodo risulta che la chiesa di Santa Caterina si trovava nel luogo detto “la vasilea” o “la basilea”.

Un atto del 9 agosto 1613, testimonia infatti, che le case di Francisco Commeriati, poste dentro la terra di Policastro, confinavano con la chiesa di Santa Caterina, l’orto di Fran.co Paudari ed i “sicomos” di Petro Paulo Serra “ubi dicitur la vasilea”,[lv] toponimo correlato all’esistenza in questo luogo del vallone “dittus la vasilea”.[lvi] La vicinanza della chiesa alle “mura della Citta ditte similm.te la vasilea”, come ricorda anche il Mannarino agli inizi del Settecento,[lvii] è testimoniata anche da altri documenti degli inizi del Seicento,[lviii] che evidenziano qui anche l’esistenza dell’orto della chiesa, costituito dai “Celsi della vasilea”, ovvero “li celsi” detti “la vasilea”,[lix] posti nelle vicinanze delle rupi, dei valloni e dei fossi che proteggevano questo settore della cinta muraria.[lx]

Sempre durante questo periodo, precedente agli eventi sismici che interessarono la Calabria centro-settentrionale a cominciare dal 27 marzo del 1638,[lxi] proseguendo fino alle scosse verificatesi nella notte tra i giorni 8 e 9 del mese di giugno dello stesso anno, i documenti evidenziano invece, che la chiesa di San Pietro era vicina alle case del magister Filippo Schipano. Tra queste, sappiamo che quella definita “magna”, confinava con l’orto della venerabile chiesa di “Santi Petri”, dalla parte inferiore, con la domus di Leonardo Accetta, la via pubblica ed altri fini.[lxii]

Petilia Policastro (KR), panoramica del versante meridionale.

 

La chiesa “nova” di Santa Caterina

Dopo gl’ingenti danni causati dal terremoto del 1638, quando l’abitato di Policastro fu distrutto “dalle fondamenta”,[lxiii] risultando il centro più colpito tra quelli vicini, con 353 edifici rimasti abbattuti,[lxiv] le funzioni parrocchiali di San Pietro furono temporaneamente ricoperte dalla vicina chiesa di Santa Maria delle Grazie,[lxv] mentre quella di Santa Caterina fu adattata in una “barracca”, realizzata vicino ai ruderi rimasti della vecchia chiesa.[lxvi]

Successivamente, “in convicinio Sancti Petri deruti”, ovvero sul luogo in cui era precedentemente esistita la chiesa di San Pietro, anche grazie ai lasciti dei fedeli devoti,[lxvii] fu edificata una nuova chiesa dedicata a Santa Caterina,[lxviii] vicino alla domus di Philippo Schipani,[lxix] all’interno della quale fu eretto un nuovo altare per assolvere alle funzioni parrocchiali della chiesa di San Pietro.

In relazione a ciò il luogo risulta individuato in qualità di “convicinio” della nuova chiesa di Santa Caterina già in un atto del 1645,[lxx] mentre, cominciando dal sinodo del 1646, rispetto all’originario censo che la chiesa di “S. Catherinae t(er)rae Polic.i” corrispondeva all’arcivescovo di Santa Severina a titolo di cattedratico, in occasione del sinodo di Santa Anastasia,[lxxi] comincia ad essere documentato il pagamento di un nuovo censo commisurato in tre libre di cera.[lxxii]

Anche relativamente alla parrocchiale, possiamo riscontrare un differente pagamento dovuto dal “Capellano di S.to Pietro” all’arcivescovo a titolo di quarta beneficiale. Troviamo così che, rispetto alla somma di ducati 4.4.0 che questi pagava anticamente e precedentemente al sisma del 1638, come risulta ancora dall’“Introito di danari essatti dal Rev.do D. Marco Clarà delle rendite della Mensa Arciv.le” (1630), successivamente passò a pagare ducati 6, come compare relativamente alle annualità dei pagamenti degli anni 1654 e 1655.[lxxiii]

Petilia Policastro (KR), le rupi di Santa Caterina.

 

Sotto Santa Caterina

Nel luogo sottostante le rupi su cui era esistita la vecchia chiesa di Santa Caterina, detto “sotto la rupa di S. Catarina”,[lxxiv] o più diffusamente “sotto santa Caterina”,[lxxv] esistevano vigne, vignali e possessioni, limitate con muragli di pietra[lxxvi] ed arborate con olivi, oleastri, viti, gelsi, fichi, mandorli, agrumi e melograni, ma anche “Cerse”, “et aliarum arborum fruttiferorum”. Luogo che continuò ad essere appellato in questo modo anche dopo il terremoto del 1638,[lxxvii] quando la chiesa di Santa Caterina fu riedificata nel luogo dove era esistita quella di San Pietro.

Da questo luogo in cui era esistita la vecchia chiesa di Santa Caterina, la via che discendeva dalla porta di Policastro detta la “Porta di Santa Caterina”, ingresso della terra rivolto verso oriente e posto “lungo le mura di quel vecchio Tempio, ad’essa Santa Vergine, e Martire consegrato”,[lxxviii] giungeva nel luogo detto “sotto santa Caterina alias lo piro”,[lxxix] dove si trovava “la cona” e dove, da questa via che conduceva a “salumune”, località esistente presso il corso del fiume Soleo,[lxxx] si diramava quella che giungeva ai mulini detti “de iuso”, ovvero “de abascio”,[lxxxi] posti sempre in loco detto “sotto santa Catherina”.[lxxxii]

Sottostante le rupi di Santa Caterina, si trovava anche la località chiamata “cimicicchio”,[lxxxiii] che si estendeva sotto “la rupe di s.ta Caterina, et porta della Judeca”,[lxxxiv] confinando con le timpe “de Napoli, de Sancta Catharina” e la via pubblica che conduceva all’acquaro dei detti mulini.[lxxxv]

Orti in località “cimicicchio” e “porta della Judeca” di Petilia Policastro (KR).

 

La visita del Falabella

Il 5 ottobre 1660, dopo aver visitato la chiesa sotto l’invocazione di “S. Jacobi” posta “à parte superiori dicti oppidi”, l’arcivescovo proseguì la sua visita presso la chiesa di “S.tae Catherinae Virginis et Martiris sub regimine Confratruum edificatam à latere dextro in parte inferiori dicti oppidi”.

Entrato nella chiesa, l’arcivescovo visitò l’altare maggiore, sito dalla parte settentrionale dell’edificio e lo rinvenne coperto con un pallio di seta bianca e corredato con sei candelabri di legno e con gli altri ornamenti necessari. Sopra il detto altare si trovava la “statua ex stucco” dorata di Santa Caterina.

L’arcivescovo ordinò ai confrati che da parte dei procuratori che avevano tenuto l’amministrazione, fossero esibi i conti relativi all’ultimo decennio.

La chiesa aveva l’onere di celebrare otto messe per ogni hebdommada: due in favore delle anime detenute in purgatorio per legato del Rev.s D. Joanne Baptista Favaro, una per l’anima di Michaele Arcomanno, un’altra per le anime di Decio Blasco e Petro Paulo Durso, un’altra per l’anima del quondam Angelo Cropanese, un’altra per l’anima di Joannes Battista Serra, un’altra per l’anima di Vespesiano Blasco, trenta messe all’anno per l’anima di Fran.co Antonio Blasco ed un’altra hebdommada per l’anima del quondam Fran.co Antonio Salerno.

L’arcivescovo visitò la sacrestia “seu Chorum” dove furono rinvenuti: quattro “Albas”, sei casule “seu Planeta” di seta di diversi colori, di cui due di colore bianco e due nere che, rinvenute lacere, furono mandate a rammendare e l’arcivescovo ordinò di non usarle. Considerata la mancanza di “amictis”, l’arcivescovo comandò di provvedere, reperendone due nuovi da benedire entro il termine di un mese. Egli trovò anche due messali e tre calici con il piede di ottone e vertice d’argento dorato, di cui due mancanti di patena, ed ordinò di provvedere la chiesa di due nuove patene entro il termine di due mesi.

Il pavimento del coro si presentava “effossum”, per cui l’arcivescovo comandò di livellare il pavimento di detto coro e di fare delle aperture entro due mesi.

Quindi l’arcivescovo visitò la “Capellam” “sub regimine Confratruum eiusdem Ecc.ae S. Catharinae”, sotto l’invocazione di “S. M. de Montis Carmeli”, posta alla destra dell’altare maggiore. Qui egli trovò l’altare coperto da un pallio di tela dipinta con l’immagine della stessa B.M.V., tre tovaglie, “Carta Secretorum”, crocifisso, due candelabri “auro celatis” e “Lapide Sacrato”, che il presule comandò di livellare e modificare nel predetto altare affinchè non sporgesse in alto. L’arcivescovo visitò la sepoltura che trovò sporgere dal pavimento e comandò di eguagliarla al piano del pavimento entro il termine di due mesi ed altrimenti, passato questo tempo, di non procedere più a seppellire.

Il “Pavimentum” fu trovato ben disposto ed il tetto coperto da “tegulis”, ma entrambe le porte piccole furono rinvenute rotte e l’arcivescovo ordinò di rifarle nuovamente con “tabulis castaneis”.

A questo punto della visita comparve il Rev.s D. Scipio Callea, parroco della chiesa di “S. Petri”, asserendo che la predetta chiesa di Santa Caterina era stata edificata “in Solo Ecc.ae dirutae Parochialis S. Petri cum eiusdem lapidibus et alijs materialibus”, in forza del decreto emanato da parte dell’arcivescovo Fausto Caffarelli durante la sua visita in data 26 ottobre 1641, senza pregiudizi per i diritti della Mensa Arcivescovile di Santa Severina e della chiesa parrocchiale.

In relazione a ciò, all’interno della chiesa di Santa Caterina era stato edificato un altare in onore di S.to Petro con l’immagine dello stesso santo che, al presente, si osservava alla destra dell’altare maggiore, dove si esercitavano tutte le funzioni parrocchiali della chiesa di S.to Petro. Presso tale altare che era provvisto di tutto il necessario, erano ascoltate le confessioni, era impartita la dottrina cristiana durante i giorni festivi, erano pubblicati i matrimoni ed, in genere, si faceva tutto ciò che, nel passato, era stato fatto nella chiesa di S. Petro, “prius quam dicta Ecc.a S. Petri fuisset diruta à terraemotu”.

L’arcivescovo comandò che l’altare venisse edificato entro due mesi, alla sinistra dell’altare maggiore, “in medio fornicis” ed a cospetto di quello di Santa Maria di Monte Carmelo, provvedendolo di tutto il necessario, in maniera da potervi celebrare in occasione della prossima festa di Natale. Considerato poi che vi erano due “Campanualae” appartenute alla parrocchiale di S.to Pietro, l’arcivescovo ordinò che assieme ad altro metallo sufficiente, queste fossero fuse per realizzare una nuova “Campanam maioris magnitudinis”, da utilizzare tanto per le funzioni parrocchiali che per quelle della confraternita.

Considerato poi che nella chiesa non vi era una sedia confessionale, fu comandato al parroco di provvedere entro due mesi, facendone fare una nuova da collocare “in loco patenti sub fornice à parte sinistra”, dove apporre anche “Casos reservatos et Bullae Coenae”, ammonendo di non ascoltare confessioni lontano dalla detta sedia, eccetto nel caso di infermi, sacerdoti e chierici, sistemando anche opportune “Crates seu Cancelli arcti” in maniera che nessuno potesse metterci le mani.

La chiesa aveva l’onere di celebrare la domenica e negli altri giorni festivi di precetto nei quali il popolo era tenuto ad ascoltare il “Sacrum”.[lxxxvi]

 

La riduzione dell’onere delle messe

Rispetto a tale stato, negli anni successivi la situazione della parrocchiale non migliorò. Come apprendiamo dalla relazione del 1675 prodotta dall’arcivescovo di Santa Severina, il crotonese Muzio Suriano (1674-1679), essendo vacante per la tenuità del suo reddito, e risultando affidata ad un economo che ne esercitava la cura ad interim, il presule meditava di unirla alla matrice, anch’essa vacante da tre anni a causa della scarsità del suo reddito.[lxxxvii]

Nel novembre dell’anno successivo, la chiesa parrocchiale di “S. Petri” di Policastro, vacante fin dal 1673 per la morte di Scipione Callea, fu comunque provvista al presbitero di Policastro Antonio Curto,[lxxxviii] e dopo la morte di quest’ultimo, giunse al presbitero diocesano Fabritio de Martino nel giugno del 1690.[lxxxix]

In questi anni però, la difficile situazione economica, aveva condotto tutte le principali chiese di Policastro, nella condizione di non poter più onorare i loro impegni, e per porre rimedio a questo stato di sofferenza, nel 1681 si ricorse alla riduzione degli oneri delle messe che le gravavano. Succedeva, infatti, che le rendite dei beni che i benefattori avevano legato al tempo dei loro lasciti testamentari, tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, fossero ormai divenute inadeguate a soddisfare la retribuzione dei cappellani che celebravano tali messe di suffraggio, mentre, sempre a causa della crisi, erano anche aumentati i casi degli insolventi.

Dalla documentazione prodotta in questa occasione, per poter ottenere dall’arcivescovo tale riduzione, sappiamo così che, al tempo, l’onere principale delle messe che si celebravano a tale scopo nella “V(enera)b(i)le Chiesa di S.a Catarina V.e e martire”, era collegato ai lasciti di alcuni antichi benefattori: Detio e Fran.co Ant.o Blasco (1623) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva un annuo censo di carlini 30 ed un vignale detto “la Valle delli Cancelli”, Antonio Campana e Antonino Ammannito (1696, sic) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva un annuo censo di carlini 30 ed un vignale detto “li Carisi”, Blasio Priolo (1698, sic) e Paolo Curto (1600) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva due vignali in loco “Salamone, et il Canale”, Stefano Leto (1552) e Michele Arcomanno (1557) con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva un pezzo di terra loco detto “il Mortelletto” ed un altro detto “S.o Vito”, Marco Mingaccio (1640) e Gerolamo Romano con un onere di 50 messe, relativamente al quale la chiesa possedeva l’annuo censo di carlini 12 legati dal detto Gerolamo, Lucretia de Riso (1540) con un onere di 50 messe, relativamente al quale, quest’ultima aveva lasciato alla chiesa una casa che, distrutta dai terremoti, non dava alcuna rendita e si era persa anche la memoria del luogo in cui era esistita, Mesiano Rizza (1550) con un onere di 50 messe, relativamente al quale, quest’ultima aveva lasciato alla chiesa una casa che si trovava nelle condizioni della precedente, Dianora moglie del quondam Sebastiano Grandinetto (1546) con un onere di 25 messe, relativamente al quale, quest’ultima aveva lasciato alla chiesa una casa che si trovava nelle condizioni dette, il R. D. Pietro Paolo Russo (1544) con un onere di 50 messe, relativamente al quale aveva lasciato alla chiesa un pezzo di terra loco detto “la Fiumara” ed una “Casamatta”, e Ferdinando Iacometta (1548) con un onere di 50 messe, relativamente al quale non si possedeva cognizione dei beni donati ipotecati al pagamento.

Oltre a queti oneri che non riuscivano più ad essere soddisfatti, nella “V(enera)b(i)le Chiesa di S.a Catarina” vi erano poi le messe che da molti anni non venivano più celebrate, a causa del fatto che, i debitori “obbligati alle Elemosina”, non avevano “corrisposto” quanto invece sarebbe stato loro dovuto.

Si trattava di 40 messe per l’anima di fra Marco Mingaccio (1640) “sacrestano”, cui erano obbligate le robbe del notaro Horatio Scandale per il pagamento di ducati annui 4, 50 messe per l’anima di Spetiano Blasco (1623), relativamente cui erano obbligati al pagamento i possessori dei beni del detto Vespesiano, e 200 messe per l’anima di Vittoria Caputo (1623), relativamente cui erano obbligati al pagamento i possessori dei beni di Laura Blasco.[xc]

 

Lo stato della parrocchiale agli inizi del Settecento

Il 16 luglio 1713, accogliendo la supplica dell’arciprete di Policastro Jo: Paulo Grano, la Sacra Congregazione del Concilio gli richiedeva una relazione dettagliata, riguardante sia la situazione economica, che quella delle anime, delle quattro parrocchie di Policastro. Relazione che l’arciprete inviò il 20 settembre di quell’anno.

In questo “statu Parochialium Ecclesiarum loci Policastri”, leggiamo che “Policastrum”, luogo posto in diocesi di Santa Severina, assommava 2534 anime, con quattro chiese parrocchiali divise da confini definiti, all’interno dei quali ogni parroco amministrava la cura delle anime dei propri parrocchiani.

Oltre che sulle decime e sui “parochialibus emolumentis”, le quattro parrocchie potevano contare su poche entrate, in quanto alcune possedevano qualche fondo, altre nessuno. La matrice era l’unica chiesa a custodire il SS.mo Sacramento, di cui si servivano anche le altre parrocchie per somministrare il Viatico agli infermi.

Considerata questa situazione, l’arciprete chiedeva, quindi, che si giungesse “ad novam terminorum definitionem” delle parrocchie, proponendo una soluzione che prevedeva, in particolare, l’unione con la parrochia contermine di “S. Petri Apostoli”, la cui chiesa era andata “diruta” a causa del terremoto, “nec ob paupertatem refecta”, mentre la cura delle sue 355 anime era esercitata da un rettore nella chiesa dei “Sodalium S. Catharinae Virg. et mart.”.

In questa occasione, in particolare, la situazione della parrocchia di “S. Pietro di Policastro”, risulta esposta nella “Nota” scritta a quel tempo dal parroco D. Gio: Fran.co Bernardi.

“Nota dell’Entrade della Parocchia di S. Pietro di Policastro.

Il Paroco suole esigere ogn’anno di Agosto un tt.o di grano ò / di germano, o di orgio che seminerà ciascheduno Massaro con un / paro di bovi, e seminando con più para, per ogni paro paga un / tt.o in questa Parocchia attualm.te vi sono nove para di bovi che / in q.to anno s’esigono tt.a nove. tt.a 9.

Da ciascheduno bracciale che seminerà sopra / le tre tt.a n’esige mezzo tt.o di quella simigna / seminerà in questo presente anno ritrovo che / vi siano venti quattro bracciali, che uniti impor / tano tt.a dodici di grano, giermano, e fave. tt.a 12

Tiene ancora la sud.ta Parocchia alcuni Vigna / li dalli quali specificam.te suole esigere dà fertile / ad infertile l’infrascritt’entrade videlicet

Dalla Manca dell’insarco d.to la Manca di S. Pie / tro carlini quattro d. 0.2.0

Da uno Castagnitello loco d.to Cardopiano carlini diece d. 1.0.0

Dal terreno di d.to luogo dove sta fondata l’Abbatia quan / do si semina s’esigono un tumolo, e mezzo di germano, o / due tumula attualm.te non si ne ha niente

Dal Vignale luogo d.to S. Elia in erbagio carlini otto d. 0.4.0

Dal Vignale luogo d.to il Salito carlini diece d. 1.0.0

Dal Vignale luogo d.to Samberisti carlini diece d. 1.0.0

Dalli Vignali luogo d.to il Feudo carlini venti d. 2.0.0

Da due Vignali nella Salinara carlini venti d. 2.0.0

Da un Vignale loco d.to il Mortilletto da mezza tt.a incirca / non si ne percipe cosa alcuna

Da un Vignale loco d.to l’Attalione non si ne percipe niente / per esser d’entro un cumulo di pietre, à tempo di D. Scipio / ne Callea all’ora Parocho lo ritrovo haverlo venduto car / lini cinque

Tiene un Vignale nelli Cursi di Mesoraca dal quale quando sor / tisse darsi à semina si ne suole esigere tre mezzi tt.a di / grano che tanto vi hà il jus arandi, perche in erba si / vende dal Sig. Duca di Mesoraca.

La d.ta Parocchia anticam.te soleva esigere m.ti jussi, e Rendite / i quali sono perduti, ed a pena si esigono l’infra(scri)tti videlicet

Dall’eredi di Lutio Venturi carlini dodici e mezzo d. 1.1.5

Dal Sig. Ciccio Ferrari sopra la Gabbella dell’Acqua del Giar / dino d. 0.1.10

Dalla Mag.ca Maria Giordano sopra le case carlini diece l’ / anno, che per la sua gran povertà, ne paga carlini cinque d. 0.2.10

Da Gelindo la Pera sopra la casa grana cinque d. 0.0.5

Dall’eredi di Vitaliano Pollaci sopra la casa g.na d. 0.0…

Dalle Decime personali in tutto in d.to anno hò esatto doc.ti / quattro, e tari tre, l’anno passato si sol esigere di meno d. 4.3.0

Suole percipere il Paroco dall’incerti, cioè dal Jus Stolae, e fedi di / Matrimonii quelli carlini trenta l’anno ò poco più ò poco meno / per esser piccola d.ta Parocchia, che si ponno computare per le / candele, ed utensili che paga alla Chiesa di S.ta Caterina che / la somministra di tutto il necessario.

L’Entrada di d.ta Parocchia in grano importa tt.a ventiuno l’ / anno o più ò meno secondo li bracciali che seminano tt.a 21

L’entrada in danari tanto dalle decime personali q.to dalli sopra / detti Vignali, e renditi tutti fanno la somma di d.ti 14.4.15

Ed il soprad.to grano computato à carlini sette il tt.o in danaro / fa la somma di d.ti quattordici e carl.i sette d. 14.3.10

Che tutta l’entrada di d.ta Parocchia fa la somma di duc.ti 29.3.5

Dalla quale somma d.ta Parochia ne paga l’infra(scri)tti / pesi videlicet

Per Quarta à Monsig.e doc.ti sei d. 6

Al Seminaro Carlini cinque d. 0.2.10

Alla Mensa Arcivescovale per il Catredatico paga l’Abbatia d. 0.1.0

Al sacristano per metà che il di più corrispon / de la Cappella di S. Caterina d. 3

Si che levatine d.to nove tari tre e grana diece / di peso restano netti per il Paroco doc.ti Dicenove tari 4 e g.na 15 d. 19.4.15

D. Gio: Fran.co Bernardi Paroco faccio fede come sup.a

Et havendo numerato il conto dell’anima fatto da / me sud.o Paroco, ritrovo che la Parocchia di S. Pie / tro fa trecento cinquantacinque anime. 355.”.[xci]

In questo periodo, il Mannarino provvede a fornirci una descrizione della chiesa di Santa Caterina, dov’era ospitata la parrocchiale.

“La seconda Parocchia alla parte più infima, ed orientale, è l’abbadia di Santo Pietro, à cui van congionte l’altre due contigue della Sinagoga, e di Santa Maria delle Grazie, situate nella Chiesa di Santa Caterina non più la vecchia diruta, ma la nuova redificata da’ fondamenti assai più curiosa, se ben più ristretta da quella prima vastissima, in forma ottangolare, che viene ad essere doppiamente quadrata fatta così, perché la figura quadrata, ed ottangolare sono le Capitane delle figure Parellogramme, onde nella sua incidenza porta una bella rettitudine, e simitria perpendicolare; fù essa chiesa fundata da Marc’Antonio Poerio, Padre di Gio. Berardino mio Avo Materno, una col di lui fratello Abloisio. Il suo Campanile però è a triangolo, che non comparisce meschinello, anzi magnifico, mentre il circolo del suo triangolo attraendolo, più gli restringe il quadrato, e l’uno coll’altro fanno uno vicendevole accordo, con gli fianchi obliquati, che fan mentere à chi disse che il quadrato col triangolo non si confà, ed è pur detto Campanile altissimo colla Cima piramidale chiusa a cabo or in questa Chiesa della Santa Vergine, e Martire l’altare Maggiore con una Capella à finissimo stucco eretta dall’abbate e D.re D. Domenico … che dopo la perdita della sua sposa si fece sacerdote, e si sposò di nuovo con questa chiesa e con idee ammirabili proprie d’un sposo, che ama con genio, e cuore la sua diletta, e per adornarla impiega tutto il suo avere, ancor egli diedesi tutto ad amare la sua novella diletta ad abbelirla con nuovi sfoggi eresse da fondamenti la nuova Capella di Maria gran Regina del Carmelo al lato destro, e nel sinistro ristorò quello del medesimo Apostolo con le sue ragioni Parocchiali, fece un nuovo organo assai stornito per la dolcezza del suono come altresi la nuova intempiata per la Chiesa, Coro e Sacrestia ed ambedue questi furno rinovati all’uso più moderno, con lavori ordine dorico vagamente intagliato, e disposto il materiale detto legni di Castagne, e Noce e finalmente pria di chiudere gli occhi per finimento della Chiesa, che altro non mancava, fece tre superbe scale con zoccolo à torno, che circuisce dalla prima Porta à man destra con faccia a mezzo giorno, sino alla terza, ed ultima, che mira a Tramontana, tanto che se questa Chiesa fù rinovata dalla famiglia Poerio, della Coca consanguinea fù perfezzionata oltre poi a dette Capelle, nuovo organo, Pulpito, soffitti, sacrestia e Coro, vi è l’ornamento dell’archi alti, e grandi di Pietra lavorata, con un gran Piano innanti all’atrio spaziosissimo, per commodità de’ fratelli delle due Confraternite sotto il titolo del Carmelo l’uno e l’altra della ord.ia Vergine e Martire titulare di detta Chiesa, a dietro a cui vi è finalmente l’ospidale per gli poveri Pellegrini, e così ben disposta, ne pur compare come il primiero suo Tempio che miseramente restò sepolto sotto le proprie rovine del tremuto dell’anno che dissi 38.”.[xcii]

Lo stesso autore si sofferma anche sul luogo in cui rimanevano i ruderi della vecchia chiesa distrutta dal terremoto del 1638, nelle vicinanze della “quinta Porta” di Policastro detta “di Santa Caterina”,[xciii] mentre, tra le “Memorie dell’Antichi Monasteri di Policastro”, ricorda quello di “Santa Maria di Cardopiano de’ Padri Basiliani”, le cui rendite erano state precedentemente unite a quelle della parrocchiale.[xciv]

 

Unita alla Matrice

Dopo essere stata osteggiata dall’arcivescovo Carlo Berlingieri (1679-1719),[xcv] al tempo del suo successore Nicolò Pisanelli (1719-1731), trovò finalmente compimento l’unione della parrochiale di San Pietro alla matrice di San Nicola. La relazione di quest’ultimo datata 8 maggio 1725, segnala infatti, la presenza di tre parrocchie[xcvi] rispetto alle quattro che si evidenziavano in precedenza.

Secondo il Sisca, a seguito di questa unione, alcuni quadri ed altri arredi sacri che erano appartenuti alla chiesa di San Pietro. furono trasferiti nella chiesa matrice mentre, ancora ai suoi tempi, il titolo di abbate relativo alla chiesa di Santa Maria di Cardopiano, che era stato trasmesso al parroco di S. Pietro, risultava conferito all’arciprete “pro tempore”.[xcvii]

La chiesa di Santa Caterina continuò invece a restare sede dell’omonima confraternita. Secondo quanto riporta il catasto universale di Policastro del 1742, a quel tempo, la “Chiesa di S. Catarina” possedeva alcuni appezzamenti di terreno: un vignale detto “li Cancelli”, due vignali nel luogo detto “Salamone”, un vignale detto “il Molinello”, un vignale detto “le volte di Leuci”, un vignale nel luogo detto “S. Cesario”, un vignale detto “li Gattarelli”, un vignale detto “le Carite”, e i “Celsi in S.ta Catarina Vecchia”.[xcviii]

Il 2 agosto 1790, tra i “Luoghi e Terreni d’affittarsi” che appartenevano alla “Chiesa Mad.e di d.a Città”, risultava quello denominato “S. Catarina vecchia” mentre, tra quelli appartenenti “al Sospeso Conv.to de’ P. P. Osservanti della Città di Policastro”, risultava “S. Catarina vecchia, o sia Salomone”.[xcix]

Con una rendita di ducati 5.66, “S. Caterina vecchia” risultava tra i fondi della “S. Spina” elencati nella Lista di Carico dei Luoghi Pii di Policastro, mentre, sempre nella stessa lista, “S. caterina vecchia”, risultava tra i fondi della “Chiesa Madre” che ne aveva percepito l’affitto (d. 179). Tra i censi enfiteutici appartenenti al convento degli Osservanti della Santa Spina, che compaiono nell’inventario dei beni appartenenti ai Luoghi Pii del “Diparto di Policastro e Mesoraca” compilato il 29 agosto 1796, troviamo quello che pagava “D. Giuseppe Cavarretta per canone sop.a il Vignale d.o S. Caterina vechia, ò sia Salamone censuitoli dalla C.S. deve in Aprile p(rossi)mo venturo d. 05.44”.[c]

Al tempo del “Decennio francese”, “S. Caterina Vecchia” risultava tra i fondi della “Chiesa Madre” già venduti prima del 1810,[ci] mentre, il vignale “di S. Caterina” posto “nel luogo nomato S. Francesco”, che si stimava del valore di ducati 60, anche se molto deteriorato, fruttava ancora un annuo canone enfiteutico di ducati 2 al “Conservatorio, o sia chiesa di S.a Caterina”.[cii]

 

San Gaetano

Risalgono alla metà del secolo, le prime notizie circa l’erezione di un monastero di monache nella chiesa di Santa Caterina, riguardo cui l’università di Policastro chiese all’arcivescovo di Santa Severina, che si reintegrasse il nuovo ente con le rendite ed i beni già appartenuti al monastero diruto di Santa Domenica. Sappiamo così che, a quel tempo, esisteva in Policastro “un nuovo Monastero di Monache sotto il titolo di S. Gaetano” che, quantunque fosse solo un “Conservatorio di Donne”, era comunque un luogo dove si viveva con molta osservanza e disciplina regolare “che può dirsi che vivano a guisa di vero, e perfetto Monastero”, dove le donne stavano “in perpetua Clausura”.[ciii] Riguardo ad esso, anche se la reintegra richiesta dall’università si era rivelata essere un maldestro tentativo di appropriazione dei beni anticamente appartenuti al monastero di Santa Domenica,[civ] così si esprimeva l’arcivescovo: “Che le donne, le quali convivono nel Conservatorio, che present.e esiste in Policastro, osservino con ammiraz.e, ed edificaz.e di tutto il Paese, e luoghi circonvicini, tutto il rigore della Clausura e disciplina Regolare, e verissimo, ed io med.o ne vivo tanto contento, perche in verità sono lo specchio di esemplarità à tutti l’altri monasteri di queste vicinanze”.[cv]

La relazione vescovile del 1765 evidenzia che, alla chiesa di “Sanctae Catharinae Virg.s et martyris olim Parochialis”, si trovava annesso un conservatorio per pie donne, retto da un procuratore eletto dalle stesse e confermato dall’arcivescovo. La chiesa aveva altri due altari oltre quello maggiore, in cui si conservavano l’eucarestia per l’uso dei religiosi e l’olio sacro per gl’infermi.[cvi]

La stessa relazione sottolineava che in questo “Conservatorium Mulierum”, vivevano religiosamente 10 monache che osservavano spontaneamente la regola della clausura, anche se si trattava di una “clausura minime”.[cvii]

Ritroviamo il “Conservatorio di donne di Policastro” nel 1780,[cviii] ed al tempo del terremoto del 1783 ospitava 17 monache.[cix] Tale evento, comunque, non ne pregiudicò la sopravvivenza. Sul finire del secolo troviamo ancora il “Conservatorio di S. Gaetano per donne” al quale erano destinati ducati 200.[cx] In questo periodo i suoi edifici furono ristrutturati, attraverso l’edificazione di un “piano superiore” e l’ampliamento del “piano terreno”, in maniera da pervenire così ad una “Nuova pianta” dei locali, che si conserva insieme al nuovo “Prospetto esteriore”, presso l’Archivio di Stato di Napoli.[cxi]

Petilia Policastro (KR), portale dell’edificio che ospitò il conservatorio di S. Gaetano.

Il “Conservatorio, o sia chiesa di S.a Caterina” si segnala ancora agli inizi dell’Ottocento.[cxii] Così il Sisca ne riassume le vicende fino alla sua soppressione: “Accostato alla chiesa di S. Caterina era eretto un Ospizio per pellegrini poveri; in seguito fu ampliato e trasformato nel Conservatorio di S. Gaetano con un prosperoso educandato femminile, diretto da suore e fondato dalla Priora Suor Caterina Scandale. Dopo un secolo di vita regolare e arricchito di molti legati, fu soppresso. Nel 1860 oltre ad un gruppo di giovinette delle famiglie più agiate, il Convitto, pur avendo una rendita di 300 lire, ospitava 8 monache e 5 converse. L’ultima monaca fu Suor M. Giuliana Bilotti da Zagarise morta il 18 gennaio 1888.”.[cxiii]

In questi anni gli edifici pervennero al comune, che li ristrutturò allo scopo di ospitare il Municipio, le Scuole ed altri uffici (Pretura, Carabinieri, Carceri). Altre importanti ristrutturazioni seguirono dopo il secondo conflitto mondiale, quando il fabbricato fu ulteriormente sopraelevato: “… – il 3 agosto 1879 – il Consiglio tratta la cessione gratuita del Monastero di S. Caterina detto delle Monache. Il locale era destinato per le scuole (quattro classi maschili e tre femminili) e per la sede del Municipio. (…) Il convento fu rifatto quasi per intero e più che per le scuole servì agli uffici municipali, per la Pretura, la Caserma dei Carabinieri e le carceri mandamentali (che, purtroppo sono ancora buie e umide). Nel 1948, e sempre sotto l’amministrazione Carvelli, sull’area della chiesa di S. Caterina furono sopraelevati altri due piani. Completamente estromesse le scuole elementari, occupa il primo piano la Scuola Media, il secondo è interamente utilizzato per gli uffici del Comune, che ha acquistato una sede più comoda e, anche, un accesso indipendente.”.[cxiv]

Petilia Policastro (KR), l’edificio che ospitò il conservatorio di S. Gaetano.

“Ai giorni nostri di questa chiesa non rimane che il ricordo in quanto abbattuti i ruderi, l’area è servita per ampliare il Palazzo Municipale con vari uffici. I grandi quadri di S. Pietro e della Vergine del Carmelo, con altri arredi sacri, erano stati portati alla Chiesa Matrice; l’artistico pulpito di noce intarsiato (e forse anche l’organo) alla chiesa di S. Francesco. Il titolo (solamente onorifico) di Abate, trasmesso dalla badia cistercense di S. Maria di Cardopiano al parroco di S. Pietro, è ora conferito all’arciprete «pro tempore»”.[cxv]

La “Chiesa” ottagonale di Santa Caterina, ricostruita sulle rovine dell’antica chiesa medievale di San Pietro, con il suo “Campanile” triangolare, compaiono ancora in una pianta che, assieme ai prospetti ed alle sezioni degli edifici, posti sul “Corso Roma”, “Vico Pace”, “Vico Alessio” e “largo S.ta Caterina”, che ospitavano il “Municipio”, il “Registro”, le “Scuole” elementari, il “Telegrafo”, il “Monte Frumentario”, la “Pretura”, ed i “Carabinieri Reali”, si trovano presso il Comune di Petilia Policastro (le fotografie mi sono state gentilmente fornite dal dott. Simone Scordamaglia che le ha utilizzate per la discussione della sua tesi di laurea).

 

Attualmente, i toponimi “Vico Santa Caterina” e “Largo Santa Caterina”, ricordano le antiche preesistenze in questo luogo.

Petilia Policastro (KR), il “Largo Santa Caterina” in una vecchia foto (Fotoraccolta di Mimmo Rizzuti).

Petilia Policastro (KR), il “Largo Santa Caterina” all’attualità.

 

 

Note

[i] In riferimento all’antica origine abbaziale di questa chiesa, riscontriamo che ancora agli inizi del Settecento, il parroco conservava lo jus arandi sopra un vignale “nelli Cursi di Mesoraca”. AASS, 24B, fasc. 1.

[ii] 17 giugno 1531. “Castellimaris et Casertan. episcopis ac Vicario Archiep.i S. Severinae in spiritualibus generali, mandat ut Iacobello Ferrato, clerico S. Severinae, provideant de parochiali ecclesia S. Petri terrae Policastri S. Severinae dioc., vac. per ob. Andreae Pinelli, ex R.C. def..”. Russo F., Regesto III, 16996.

[iii] “R.to da … per s.to pietro de pulicastro per x.ma d. 0.3.0” AASS, 2 A.

[iv] “Denari de le carte” (1545): “De donno minicello petralia per s.to pietro d. 4.4.0”. “Conto de dinari de le quarte exacti in lo predicto anno 1546”: “Da donno minicello petralia per s.to petro d. 4.4.0”. “Conto de quarte exacte per lo R.do quondam Don Jacobo rippa como appare per suo manuale q.ale sta in potire de notari mactia cirigiorgi et sonno de lo anno 1547”: “Da donno Joandominico Petralia de policastro per s.to Petro d. 4.4.0”. “Dinari q.ali se haverano de exigere de le quarte de lo anno vj jnd(iction)is 1548”: “Da donno minicello Petralia per la quarta de s.to Petro de policastro d. 4.4.0”. “Denari delle quarte de tutti li benefitii della diocesa de s(an)cta s(everi)na” (1566): “La ec.a de’ S(an)cto pe.o pagha lo anno per quarta d. 4.4.0”. AASS, 3A.

[v] “R.to da … per S.ta Chaterina, et una casa beneficiale furno da d: Antonio Bernardato et succ(essivament)e da D: Gio felice per x.a d. 0.0….”. AASS, 2 A.

[vi] “Rector et Cappellanus s(an)te Catherine de policast.o debet Comparere Cum censu cere librarum q.or C.L. iiij”. AASS, 18B.

[vii] Nel “Libro de tutte l’intrate de lo arcivescovado de’ s(a)nta Anastasia”: “Da s.ta catherina libre quactro de cera” (17.05.1545), “Denari receputi ad lo sinido nello iorno de s.ta anastasia de lo ij.o anno de lo afficto 1546”: “Da s.ta chatherina libre quattro de cera”, “Dinari reciputi de lo sinido nello iorno de s.ta anastasia nello anno retro scripto 1547”: “Da s.ta chatherina libre quactro de cera”, AASS, 3A. 1564: “Rector sante catherine de policastro cum censu cere librarum quatuor”, non comparve personalmente e fu condannato a pagare entro 8 giorni. 1579: “Rector et Capp.s s.te Catherinae de polic.o Cum Censu Cere lib. quat.r”, comparve D. Ant.o de Natale “pro capp.no”, pagando le 4 libre di cera. 1581: “Rector et Capp.nus S. Cath arinae de Polic.o cum censu Cere librarum quatuor”, comparve per esso D. Antonuccio Papasodero senza mandato e non fu ammesso. 1582: “Rector et Capp.s s.te Caterinae de polic.o Cum Censu librarum qu(atu)or Cere”, non comparve. 1584: “Rector et capp.s S. Caterine de polic.o cum Censu librarum quatuor Cerae”. 1587: “Rector et Capp.s Sanctae Caterinae de polic.o cum censu librarum quatuor”, non comparve quindi fu condannato alla pena debita. 1588: “Rector et Capp.s S. Caterinae” comparve e pagò il solito censo. 1590: “R.s Cappl.os S. Caterine cum censu librarum cere quatuor trium”, non comparvero quindi furono condannati. 1591: “Rector et Capp.s S.tae Caterinae de polic.o cum censu librarum quatuor”, comparvero e pagarono. 1593: “Il Cappellano di s.ta caterina di detta T(er)ra con quattro libre di cera. 1594: “Il Capp.no di S. Caterina di d.ta t(er)ra con quattro libre di Cera”. 1595: “Il capp.no di S. Caterina di d. t(er)ra con quattro lib(re) di Cera”, non comparve il cappellano. 1596: “Il capp.no di s. Caterina di detta t(er)ra con quattro lib(re) di Cera”, fu condannato. 1597: “Capp.nus seu Confratres sanctae Catherinae t(er)rae Policastri cum Cathedratico cerae librarum quatuor”, comparve e pagò. 1598: “Cappellanus seu Confratres S. Catherinae t(er)rae Polic.i cum cathedratico cerae librarum quatuor”. AASS, 6A.

[viii] In questa occasione, i beni della confraternita di “s.tae Caterinae” posti in un’arca, risultavano: un ante altare di seta di diversi colori, un altro ante altare di tela, una pianeta di raso bianca, un “amictum”, un ante altare di damasco bianco figurato, due “Tonicellas” di seta verde, una casula di velluto rosso, una tovaglia, un calice di argento con patena, due “Coperim.ta” di tela, sedici tovaglie ed altri beni laceri. Il vicario ingiunse al Farago di conservare i detti beni e di provvedere entro l’indomani al pagamento del censo e dei diritti inerenti la visita arcivescovile. AASS, 16B.

[ix] AASS, 16B.

[x] “Policastro è terra Regia, qual’essendo stata venduta dal Conte di S. Severina fù fatta di demanio con l’opra, e patrocinio del Cardinale di S. Severina, è habitata da tre milia anime incirca vi sono quattro chiese parocchiali, e nella matrice è l’Arciprete, e Cantore con venti altri preti, quali per il più vivono delloro patrimonio, et elemosine che ricevono dal servitio delle chiese, e confraternità, …”. ASV, Rel. Lim. 1589. “Policastro è terra Regia habitata da tre milia anime incirca. Vi sono quattro chiese Parocchiali, e nella Maggiore è l’Arciprete il Cantore e vinti altri Preti, quali p(er) il più vivono di loro patrimonio, et elemosine che ricevono dal serv.o delle chiese, e Confratie …”. AASS, 19B.

[xi] 23 settembre 1605: davanti a notaro, il presbiter Dom.co Catanzario, “Curator ecclesie s.ti petri”, attestava che, “in faciem ecclesie”, il quondam presbiter Hijeronimo Campana “affidasse” i coniugi Joannes Petro Bonanno e Julia Niele nella “ditta parrochiali Ecclesia santi petri sub anno 1591” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 135v-136). 18 luglio 1606: il presbiter Joannes Dom.co Catanzaro, che aiutava D. Luca Musitani, cappellano della venerabile chiesa di San Nicola dei Greci, dichiara che, il 04.02.1604, “in facie ecclesie”, aveva affidato i coniugi Hijeronimo Poerio de Alfonso e Julia Ritia nella chiesa di San Pietro (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, f. 170).

[xii] In alcuni casi, gli atti riportano anche la dizione “in convicinio, et Parocchia”. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 091-093.

[xiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 040-041, 11.09.1615.

[xiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 102-103v, 28.08.1623.

[xv] 18 settembre1617: il reverendo presbitero Joannes Thoma Faraco, “parocus, et rettor” della chiesa di “Santi Petri”, “tacto pectore more presbiterorum”, testimoniava che, il 17.09.1616, aveva celebrato il matrimonio tra Fabio Rotundo e Dianora Coco nella chiesa di San Pietro. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, f. 046.

[xvi] Novembre 1624: “De parochiali ecclesia S. Petri, terrae Policastri, S. Severinae dioc., cuius fructus XII duc. vac. per ob. Hieronimi Longo ab an. MDCIII (sic) def., providetur Petro Giraldo, clerico diocesano.” Russo F., Regesto VI, 29157.

[xvii] AASS, 4D fasc. 3.

[xviii] 16.09.1613. Il chierico Joannes Fran.co Arcomanno e Joannes Vincenso Callea, in qualità di eredi del quondam Michele Arcomanno, possedevano in comune ed indiviso diversi beni, tra cui la “Continentiam terrarum” posta nel loco detto “la salinara”, confine il “vinealem santi petri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 098-099v).

28.07.1624. Vespesiano Popaijanni, assieme a suo figlio Fran.co, vendevano al presbitero D. Joannes Paulo Mannarino, la “Continentiam terrarum aratorie” posta nel territorio di Policastro loco detto “la salinara”, confine il “vinealem Santi Petri” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 055v-056v).

26.04.1629. Alla dote di Julia Caccurio che andava sposa a Bartolo Capozza, appartenevano le terre poste nel territorio di Policastro in loco detto “la salinara seu agrillo, et frachette”, confine il vignale di San Pietro, le terre di Lucretia Vaccaro ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 018-019).

21.05.1633. Lucretia Vaccaro, vedova del quondam Fran.co Lavigna, vendeva al presbitero D. Joannes Paulo Mannarino, la “Continentiam terrarrum” posta nel territorio di Policastro loco “la salinara”, confine le “terras Santi Petri” ed altri fini. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 030-030v).

[xix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 121-122v.

[xx] 15 settembre 1638: il R. D. Scipio Callea, “Curator, et rettor venerabilis Ecclesie santi Petri” di Policastro, asseriva che, il 15.03.1637, aveva congiunto in matrimonio “per verba de p(rese)nti”, Marcello Venturi e Rosa Coco, come appariva dal relativo libro. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, f. 074v.

[xxi] 2 gennaio 1637: “Scipio Callea, rector parochialis ecclesiae S. Petri, terrae Policastri, S. Severinae dioc., fit Prothonotarius Aplcus, cum omnibus iuribus et privilegiis.”. Russo F., Regesto VI, 32287.

[xxii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 174-175.

[xxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 7-8, 26-27, 223-224v, 232-232v, 232v-233v. ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81, ff. 4-5, 17-18, 33-34. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159-159v; Busta 78 prot. 288, f. 061; Busta 79 prot. 297, ff. 129v-130.

[xxiv] 28.09.1647. Mario Tronga, che possedeva in comune ed indiviso con il Cl.co Scipione Tronga suo fratello, la gabella della capacità di circa salmate 12 posta nel “destricto” di Policastro loco detto “Zaccarella”, confine le terre dell’U.J.D. Mutio Jordano, le terre di Hyeronimo Coco, le terre degli eredi dell’olim Ottavio Vitetta ed altri fini, gravata nei confronti del presbitero Prospero Meo dal peso di ducati 6 per un capitale di ducati 60, e nei confronti della venerabile chiesa di “S.ti Petri” per annui carlini 2, vende la sua metà di gabella a detto suo fratello (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 076v-079). 06.10.1648. Il R. D. Santo de Pace vende a Giovanni Carvello, la possessione arborata di “Cerse, viti” ed altri alberi fruttiferi, “posta dentro q.a Città nel loco detto Carolino”, confine i beni di Santo Mesiano, i beni di Gio: Dom.co Caccurio, “lo fiume di Soleo” ed altri fini che “solam.te rende alla Parocchia di S. Pietro” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 086v-087v). 30.11.1648. I fratelli D.r Lutio e Gio: Fran.co Venturi, fino all’attualità, avevano posseduto in comune ed indiviso tutte le loro robbe, tanto quelle ereditarie, che quelle che avevano comprato. All’attualità dividevano tutto in due parti, una per ciascuno. Gio: Fran.co, come fratello minore, eleggeva la prima parte, mentre a detto D.r Lutio rimaneva la seconda. Alla detta prima parte si accollavano alcuni pesi, tra cui: carlini 12 alla chiesa parrocchiale di “S.to Pietro” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 109v-114). 05.02.1653. Il Cl.co Lupo Schipano vendeva a Joseph Jordano, la domus palaziata “cum horto contiquo”, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale di “S.ti Petri”, confine la domus di Isabella Schipano, i “Casalenos” di Jo.s Berardino Poeri, la via pubblica ed altri fini, gravata dall’annuo censo di grana 5 alla chiesa di “S.ti Petri” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 016-017). 18.01.1654. Carulo de Cola vendeva al presbitero Joannes Antonio Leuci, la “continentia de Case consistentino in cinque Camere coverte, et una scoverta cum gisterna di dentro et poctega, ch’esce nella strada publica cum l’airi d’adalto, et abasso”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di S.to Nicola “della Piazza”, confine le case di Fran.co de Cola, la via pubblica ed altri fini, gravata dal peso di annui carlini 10 sopra la detta “Pottega” alla chiesa di “S.to Pietro” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 003-005).

[xxv] 12.06.1612. Juliano Zagaria donava al figlio Joannes Zagaria alcuni beni, tra cui le terre che erano appartenute al quondam Joannes Bernardino Scandale, poste nel territorio di Policastro nel loco detto “gorrufi” confine i beni del chierico Joannes Laurenzo Corigliani, le terre di Leonardo Spinelli, il vignale di Santa Caterina ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 030v-031v.

[xxvi] 29.01.1630. Flandia Furesta, vedova del quondam Fran.co Durante, essendo debitrice nei confronti dei coniugi Andria de Albo e Maria Durante, assegnava loro, tra l’altro, una vigna con terreno vacuo e contiguo in parte con detta vigna, appartenuti al quondam Gianni Furesta suo padre. Beni posti nel territorio di Policastro loco “lo molinello”, confine le terre dei predetti eredi de Blasco, il vignale della chiesa di Santa Caterina e la via pubblica dalla parte di sopra. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 078v e 081-081v.

[xxvii] 15.02.1632. Davanti al notaro comparivano Elisabetta Tassitano, vedova del quondam Cornelio Catanzaro, assieme a Fabritio Jerardo, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Fabritio e Lucretia Catanzaro figlia della detta Elisabetta. Apparteneva alla dote la possessione arborata di “Celsi, fico” ed altri alberi fruttiferi che al momento si trovava seminata, posta nel territorio di Policastro loco “le parmenta”, confine i beni di Santa Caterina, i beni di Gio: Dom.co Caccurio ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 022-023v.

[xxviii] 27.03.1634. Davanti al notaro comparivano Joannes Dom.co Schipano e Lucretia Schipano, fratello e sorella, assieme a Fran.co Rocciolillo. Essendo avvenuto il matrimonio tra detti Lucretia e Fran.co, si consegnavano i beni pattuiti nei capitoli matrimoniali, tra cui la possessione loco “lo cinale” territorio di Policastro, confine i beni di Gio: Fran.co de Mauro, i beni di Santa Caterina ed altri fini. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 043v-044.

[xxix] 14.05.1645. I coniugi Marco Maltise e Franciscella Trocano, vendevano ad Alphonso Galluzzo del casale di Albi, pertinenze di Taverna ma, al presente, “incola” in Policastro, la “Vineam Dotalem” alberata con diversi alberi, posta nel “districtu” di Policastro loco detto “le carita”, confine la vigna che era appartenuta al dominio del quondam Minico Romano e che, al presente, possedeva la chiesa di Santa Caterina Vergine e Martire di Policastro, confine la vigna di Joannes Nicolao Guidacciro, la possessione del chierico Joannes Baptista Cerasari ed altri fini. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 072v-075.

[xxx] 18.02.1634. Ferdinando Coco vende per ducati 360 al presbitero Parise Ganguzza, alcuni beni stabili che gli provenivano dall’eredità di Marco Antonio Coco loro comune padre, tra cui il “Castanetum” posto nel tenimento di Policastro “ubi dicitur Castanetum santella”, confine il “Castanetum” della chiesa di Santa Caterina ed il “Castanetum” del quondam Joannes Jacobo. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 009-010.

[xxxi] 03.08.1630. I fratelli Marco Ant.o e Horatio Fanele, vendevano a Fabritio Faraco, la possessione di 2 tomolate di capacità, arborata con “sicomorum, ficorum, et quercuum”, posta nel territorio di Policastro loco detto “la fiomara”, confine il “flumen Solei”, il vignale di Santa Caterina, le terre dette “de Zaccarella Jo(ann)is Dom.ci Caccuri”, via pubblica mediante, le terre di detto Fabritio via pubblica mediante ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 126-127). 19.04.1636. Davanti al notaro comparivano D. Joannes Fran.co Rocca, “Vic.s foraneus” di Policastro nonchè procuratore del Pio Monte posto nella chiesa Matrice lasciato da Gregorio Bruna, e Vittoria Liotta erede del quondam D. Joannes Leotta suo fratello, con l’assenso ed il consenso di Fabritio Faraco suo marito. Tra le altre robbe del detto quondam Gorio, messe all’asta nella publica piazza, vi era il “terreno seu vignale” o continenza di terre arborata “sicomorum” che, appartenuta al quondam Gio Ant.o Palmeri, era stato comprato dal detto quondam Gorio, posto nel territorio di Policastro loco “la fiumara”, confine le terre di Marcello Leusi, il vignale di Santa Caterina, il “fiunme di soleo” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 037v-042). 04.01.1639. Fabritio Faraco ricomprava il vignale del quondam Gio: Antonio Palmeri con “una Casetta dentro”, posto nel territorio di Policastro loco detto “la fiomara”, confine “lo fiumme di soleo”, le terre di Marcello Leusi, il vignale di Santa Caterina, “et altri fini di celsi” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 008-009). 15.02.1649. Davanti al notaro comparivano Salvatore “infuso” e Lucretia Grosso “Virgine in Capillo”, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Appartenevano alla dote, la parte spettante alla futura sposa dei vignali posti “nella fiumara”, confine le terre di Santa Catarina ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 876, ff. 016v-018). 31.08.1655. Fausto Vecchio di Policastro, vendeva al presbitero Sancto de Pace ed a Michaele Aquila, procuratori della chiesa sotto il titolo di “S.ti Jacobi” e del pio monte dei maritaggi appartenente agli eredi del quondam presbitero Jacobo de Aquila, l’annuo censo di carlini 15 per un capitale di ducati 15 sopra alcuni beni, tra cui il vignale posto nel territorio di Policastro loco detto “la fiumara” che era appartenuto alla chiesa di Santa Caterina, confine i beni di Alfonso Campitello, il “flumen Solei”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 126-128).

[xxxii] 08.03.1652. Ippolita Zurlo, moglie di Carlo de Cola, l’anno passato, al tempo in cui era ancora vedova, aveva venduto a Gio: Pietro Pipino una “grocta” posta dentro il territorio di Policastro loco detto “S.to Dimitri”, confine la grotta della chiesa di Santa Caterina, le grotte appartenute alla quondam Laura Blasco ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 877, ff. 022-023.

[xxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 136-137v e 223v-224; Busta 78 prot. 287, ff. 102-103; Busta 79 prot. 293, ff. 037v-038v.

[xxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 061-064; Busta 80 prot. 304, ff. 025v-026v.

[xxxv] 19.09.1606. Volendo dare seguito alle volontà della moglie Feliciana Trocani, espresse nel suo ultimo testamento, Silvio Naturile cede per tre anni alla chiesa di S.ta Caterina e per essa, a Joannes Palatio, procuratore della venerabile chiesa di S.ta Caterina, la “domum” posta nella terra di Policastro, “in convicinio Ecclesie s.ti Nicolai de grecis” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 205-205v). 26.08.1607. Controversia tra Joannes Maria Prante e Gorio Bruna, procuratore della chiesa di S.ta Caterina, relativamente alla “domus cum ortis contiguis ex parte inferiori, et superiori, et cum omnibus Casalenis et sicomis, et aliis arboribus”, che erano stati donati alla detta chiesa. Beni che erano confinanti con la via pubblica da due lati, la domus di Joannes Baptista Carcelli e l’orto di Vergilio Catanzario (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 033v-034).

[xxxvi] 06.04.1626. Andria Scandale lascia la somma di 20 carlini alla chiesa di S.ta Caterina, che potrà avere dopo la morte di Agostina sua madre. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. sciolti s. n. 20.04.1630. Dal testamento di Sanzone Salerno apprendiamo che, in relazione al legato di ducati 20 fatto alla chiesa di Santa Caterina da Elisabetta Rocca, prima moglie del detto Sanzone, quest’ultimo aveva fatto fare un avanti altare di velluto verde “con l’arme de casa rocca” che era stato posto sull’altare maggiore. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 101-102v.

[xxxvii] 14.05.1604. Minico Pollizzi lasciava per testamento, un porcastro alla chiesa di S.ta Caterina (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 7-8). 13.10.1605. Salvatore Blasco lasciava per testamento, un somaro alla chiesa di S.ta Caterina, in maniera “che le confratie di detta chiesa vadano gratis” al suo funerale (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 240v-241v).

[xxxviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 223-224v.

[xxxix] 03.09.1620. Joannes Pettinato, procuratore della chiesa di S.ta Caterina, considerato che, nei giorni passati, era morto il quondam Hijeronimo Romani ed aveva lasciato alla detta chiesa, la sua domus palaziata con il patto che fosse venduta, avendo provveduto all’incanto, la cedeva ad annuo censo perpetuo a Paulo Luchetta. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 058v-059v.

21.09.1648. Salvatore Desiderio, procuratore della chiesa di S.ta Caterina, vendeva a Laurenso Vaccaro, il “Cavone arborato de fico” posto nel territorio di Policastro nel loco detto “lo Vallone di traulo”, confine i beni del detto Laurenso, i beni degli eredi di Marco Rizza, i beni di Prospero Cepale, “la via publica che si và à S.to Dimitri” ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 082-083.

[xl] 07.07.1648. Salvatore Desiderio, “Procurat.re Confraternitatis Ecc.ae S.tae Catharinae” di Policastro, permutava il “rusticum predium” appartenente alla detta confraternita, posto nel “destrictu” di Policastro loco detto “Scardiati seu Valle delli Cancelli”, confine il “predium” del presbitero Joannes Jacobo Aquila ed altri fini, con i seguenti beni di Martino Vecchio: la “Vineolam” chiamata “Paternise”, “conticuam vineis Sartorii de Vona et Victorii Jerardi”, le terre di Joannes Dom.co Caccuri ed altri fini; il “Vineale appellatum Galluzzi”, “annexum” alle terre di Alfonso Campitelli, le terre del detto Martino ed altri fini. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 032v-035v.

[xli] 10.10.1647. Davanti al notaro comparivano il R. D. Parise Ganguzza ed il chierico Hyeronimo Coco, in merito ad una loro controversia riguardante il possesso ed i frutti di alcuni orti. Tra le altre cose, il detto Hyeronimo pretendeva di essere assolto dal pagamento del censo di annui carlini 10, dovuto alla chiesa di Santa Caterina sopra l’orto che era appartenuto al presbitero D. Blasio Capotia. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 106v-108.

[xlii] 21.07.1605. Il notaro Horatio Scandale, per riscattare un proprio “ortale arboratum sicomis” pignorato, posto nel territorio di Policastro loco detto “lo ringho”, detenuto al presente da Cesare Curto, prendeva in prestito la somma di ducati quaranta da Joannes Baptista Rocca, procuratore della venerabile chiesa di S.ta Caterina, impegnandosi a pagare l’annuo censo di ducati quattro ogni anno alla metà di agosto ad iniziare dal prossimo anno 1606 ed obbligando i suoi beni. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 116-117v.

25.11.1608. Il notaro Horatio Scandale, essendo debitore nei confronti della venerabile chiesa di S.ta Caterina di Policastro per la somma di ducati quaranta, più ducati dieci di interessi maturati, relativi al prestito del denaro usato nell’acquisto della “possessionem” di Joannes Petro de Aquila loco detto “gorrufi”, e volendo onorare il suo debito ma non avendo il denaro necessario, cede alla detta chiesa rappresentata dal suo procuratore Gregorio Bruna, l’entrata di ducati cinquanta relativa all’affitto di anni quattro della sua possessione loco detto “Cropa”, affittata per la ragione di ducati dodici e mezzo l’anno a Joannes Dom.co Polla e Fabio Folinazzo “alias sigilia”. La cessione risulta effettuata alla presenza del detto procuratore e dei seguenti confrati: Camillo Campana, Joannes Baptista Rocca, Jacobo Apa, D. Aniballe Callea, D. Joanne Paulo Blasco. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 111-112.

[xliii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 116-117v.

[xliv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 205-205v.

[xlv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 033v-034 e ff. 111-112.

[xlvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 058v-059v.

[xlvii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 045v-046.

[xlviii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 054v-055v. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 032v-035v e ff. 082-083.

[xlix] ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 17-18.

[l] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 114-114v.

[li] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 117v.

[lii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 170-172v.

[liii] 15.01.1639. Laurentio de Pace aveva acquistato dal presbitero D. Parisio Ganguzza, un ortale arborato di sicomori appartenuto al quondam Fran.co Paudari, posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine i beni di “Sante Marie Carminis”, i beni degli eredi del quondam Vergilio Catanzario, la via pubblica ed altri fini, per il prezzo di ducati 25. All’attulialità il detto Laurentio pagava al detto D. Parisio quanto dovuto (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 014v-015).

[liv] 04.08.1604. Testamento di Minica o Minicella Scavino, abitante nella casa di Laura Scavino “intus p(raedi)ttam terram in Convicino s.tae Catarinae iusta domum fran.ci paudari viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 26-27). 12.08.1604. Testamento di Vittoria Palatio, abitante “intus p(raedi)ttam terram in Convicino s.tae Caterinae iusta domum D. Dom.cii Palatii justa domum Lupii pecori et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 40-41). 12.11.1604. Testamento di Andriana de Conte, abitante “in convicino Ecclesie sante Caterine”, confine la domus di Vergilio Catanzaro, via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 220-220v). 27.11.1604. Testamento di Diana Caccurio della terra di Mesoraca, moglie di And.a Caruso, abitante in Policastro “in Convicino sante Caterine”, confine la domus della venerabile chiesa di S.ta Caterina, il casaleno del presbitero Joannes Dom.co Catanzaro, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 223v-224). 21.02.1605. Joannes Palatio dona al Cl.o Joannes Francesco Palatio suo figlio, alcuni beni, tra cui una casa palaziata posta nella terra di Policastro “in Convicino ecclesie s.te Caterine iusta domum Pr. Donni Dom.ci palatii cioè la casa de fora” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 91-92). 21.03.1605. Testamento di Gregorio Ammerato, abitante dentro la terra di Policastro “in Convicino Ecclesie sante Caterini”, confine la domus di Marco Inbriaco, il casaleno di D. Joannes Dom.co Catanzaro, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286 ff. 232-232v). 25.09.1605. Davanti al notaro si costituiscono Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto” e Marco Imbriaco, per il matrimonio tra il detto Marco e Lucretia de Maijda, figlia del detto Hijeronimo. Gioanna de Maijda “alias la mantuta”, zia della sposa, le donava una “casa terrana” posta nella terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina confine la casa di Gioallupo Pecoro e Masi Luchetta, la via pubblica ed altri confini. Nel medesimo loco della casa promessa, si trovava anche la casa di detta Giovanna, cioè la casa di S.ta Caterina (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 136-137v). 30.10.1605. Joannes Fran.co Corigliano vende a Cesare Truscia, un “casalenum” posto dentro la terra di Policastro “in convicino ecclesie venerabilis s.te Caterine justa ortum Franci Paudari, et Jo(ann)is petri bonacci, et viam publicam et alios fines” (ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro Policastro, Busta 78, prot. 286 ff. 143-143v; parte seconda foto 144-145). 23.04.1606. Caterina Ardano vedova del quondam Matteo Fortini, vende a Vergilio Catanzaro un “Casalenum” posto nella terra di Policastro “in Convicino Ecclesie s.te Caterine iusta ortum ipsius Vergilii, et ortum Jo(ann)is Marie prantedi, et domum ditte Caterine venditricis, viam publicam et alios fines (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro Policastro, Busta 78, prot. 286, ff. 164v-165v). 25.08.1606. Salvatore Levati vende al presbitero D. Dominico Palatio, il casaleno posto nella terra di Policastro “in convicinio Ecclesie s.te Caterine”, confine la domus di detto Salvatore, la domus del detto presbitero D. Domenico, il casaleno di Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 191v). 10.09.1606. Hijeronimo de Maijda “alias lo mantuto”, Gioanna de Maijda sua sorella e Marco Inbriaco suo genero, in solidum, vendono a D. Dom.co Palatio un “casalenum” posto dentro la terra di Policastro “in Convicinio ecclesie s.te Caterine”, confine il casaleno e la casa del detto D. Domenico, la domus di Masi Luchetta, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78, prot. 286, ff. 199v-200v). 17.07.1607. Hijeronimo Lamanno vende a Vergilio Catanzaro, la “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro, “in Convicinio Ecc.e sante Caterine”, confine un’altra domus del detto Vergilio, il casalenum di Joannes Palatio, l’orto di Fran.co Paudari ed altri fini, insieme al “casalenum” posto nel loco predetto “ante ianua domus p(raedi)tta” e la via pubblica (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 028-029). 10.09.1608. Relativamente alla vendita effettuata da Hijeronimo Lamanno nei confronti di Vergilio Catanzario di una “domum palatiatam” posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detto Vergilio, l’orto di Fran.co Paudari, ed altri confini, il detto Vergilio completa il pagamento del prezzo di vendita (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 101-102). 10.09.1608. Joannes Fran.co Russo vende a Hijeronimo Lamanno, la “domum terraneam” posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detta chiesa, la domus di Agostino Romani “vinella mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 102-103). 04.01.1609. Testamento di Cornelia Pecoro, abitante nella “domum terraneam” posta nella terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus del presbitero Dom.co Palatio, la domus di Joanna Mantuta, la via pubblica ed altri fini. Lascia a Gio: Lamantuta, carlini venticinque sopra l’orto contiguo alla sua casa (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159-159v). 11.01.1609. Testamento di Laura Taranto, abitante nella domus posta nella terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di Caterine Dardano, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 159v-160). 03.01.1618. Prospero Carrozza vende a Hijeronimo Lamanno, la domus palaziata con un “catoijo” dove si teneva paglia, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine l’orto di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, le domos della quondam Lucretia Turana, la via pubblica ed altri fini. La detta domus era stata acquistata dal detto Prospero dal quondam Joannes Battista Favari (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 076v-077v). 04.02.1618. Davanti al notaro si costituiscono i coniugi Salvatore Levato e Laura Cancello, assieme a Fran.co de Miglio, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra il detto Fran.co e Caterina Levato figlia dei detti coniugi. Appartenevano alla dote i beni lasciati dalla quondam Minichella Scavino, zia della futura sposa, tra cui una casa terranea posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la casa di Fran.co Paudari e la via pubblica da due parti (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 078v-081v). 04.05.1618. Il presbiter D. Dominico Palatio vende al serviente Paulo Luchetta, la “domum terraneam” posta nella terra di Policastro nel convicino della chiesa di S.ta Caterina, confine la domus di detto Paolo “a parte inferiore”, il casalenum appartenuto al quondam Andrea Grispini, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 093v-094v). 15.09.1625. Il presbitero D. Joannes Baptista Favari, circa 12 anni prima, aveva venduto a Prospero Carrozza, una casa palaziata posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina. Il detto Prospero però non aveva pagato né era in condizione di farlo. Al presente, il detto presbitero vendeva detta casa a Fiore Palmeri, insieme con la metà dell’orto contiguo incluso “lo celso” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 142v-144). 18.09.1630. Il notaro si porta nella domus palaziata di Fiore Palmeri, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus del presbitero Joannes Baptista Favari “dittam la turana”, l’orto di Petro Paulo Serra, la via convicinale ed altri fini, per stipulare il suo testamento (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 162v-163). 21.01.1631. Leonardo Caccurio vende a Paulo Venturo, la domus palaziata con orto contiguo dove era un “pede magno sicomi”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus che era appartenuta alla quondam Lucretia Turana, confine l’orto di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 004-005). 13.07.1637. Claritia Paudari figlia del quondam Fran.co Paudari, vende a Joannes Laurentio de Pace, il casaleno posto dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di Santa Catherina, confine la “domum seu ortum” del presbitero D. Parise Ganguzza, il casaleno di detto Joannes Laurentio, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 050-050v). 03.11.1637. Nei mesi passati, i coniugi Nicolao Grosso ed Elisabetta Palazzo, avevano venduto a Laurentio de Pace, il casaleno posto dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine la domus di detto Laurentio, la via pubblica ed altri fini. Al presente i detti coniugi ricevevano il denaro pattuito (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 101-101v). 21.02.1638. Hyeronimo Salerno vende ad Andrea Cavarretta, la “Continentiam domorum” costituita da 3 camere, con “Cortilem inferioribus, et superioribus”, cui andava incluso un “orticellum Contiguum”, posta dento la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Sante Caterine”, confine la domus di Laurentio de Pace, i “sicomos” di Petro Paulo Serra “vallone mediante”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 023-024). 21.02.1638. Davanti al notaro si costituiscono Isabella Marrazzo, vedova del quondam Valentio Jordano, e Hyeronimo Salerno. Negli anni passati, detto Gerolimo aveva venduto a detto Valente, due case poste dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “santa Caterina”, confine “li Celsi” di Petro Paulo Serra, “vallone mediante”, e le case di Laurenzo de Pace che erano appartenute al quondam Virgilio Catanzaro, “della parte di sotto il Cortiglio”, per il prezzo di ducati 18, relativamente al quale si era impegnato a pagare l’annuo censo di carlini 12. All’attualità la detta Isabella, non avendo il denaro per continuare a pagare il censo, retrocedeva le case a detto Gerolimo per il medesimo prezzo (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 024-025). 28.02.1638. Davanti al notaro compaiono D. Aloisia de Angelis, vedova ed erede del quondam Justuliano Cirisani, e Hyeronimo Poerio. La detta Aloisia asseriva che suo marito aveva comprato dal Cl.co Lutio Venturi, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, un “ortale” arborato di “Celsi” posto dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santa Caterina”, confine l’orto di detta chiesa, l’orto e casalino di Gio: Thomaso Scandale, la via pubblica ed altri fini, impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 15. All’attualità la detta Aloisia retocedeva il bene al detto Gerolimo che s’impegnava a pagare lo stesso censo al monastero (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305 ff. 025-025v).

[lv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 091v-092v.

[lvi] 02.11.1634. Petro de Mauro vende a Hijeronimo Salerno, la “Continentiam domorum cum Cortiles, et orto” consistente in 6 membri palaziati posta dentro la terra di Policastro nel convicino di S.ta Caterina, confine l’orto di D. Parise Ganguzza, il casaleno di Nicolao Grosso, i “sicomos” di Petro Paulo Serra “vallone mediante dittus la vasilea”, le vie pubbliche ed altri confini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 152-153v).

[lvii] “Nell’anno 1520 si ritrovò sotto la muraglia a canto il tempio antico di S.ta Caterina un Idoletto Piccolo d’Ercole alto un buon Palmo, qual’era di Bronzo con in mano la Clava …”. Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lviii] 20.08.1607. Nella dote di Julia Niele che andava sposa a Thomaso Autimari del casale di Cellare, pertinenza di Cosenza, figura “la vasilea harborata di celsi confine le mura della terra, et l’orto di Fran.co paudari” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 032v-033v). 28.05.1617. Joannes Laurenzo Corigliano dichiarava che suo padre Joannes Fran.co, aveva venduto a Cesare Truscia il “casalenum” posto dentro la terra di Policastro loco detto “la vasilea”, confine l’orto di Fran.ci Paudari “et murii ditte Civitatis”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 025v-026). 25.11.1623. Alla dote di Beatrice Bonanno che andava sposa a Joannes Baptista Lanzo, apparteneva “la vasilea” che era stata del quondam Fran.co Bonanno suo padre, confine l’orto di Fran.co Paudari, l’orto di Filippo Carise, “li celsi” di Petro Paulo Serra ed altri fini. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 115v-119). 27.08.1631. Alla dote di Catherina Bonaccio che andava sposa a Petro de Mauro, apparteneva una continenza di case poste dentro la terra di Policastro, nel convicino di Santa Caterina dove si dice “la vasilea”, confine l’orto che era appartenuto al quondam Fran.co Paudari e “le mura della Citta ditte similm.te la vasilea”, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 061-062v).

[lix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 170-172v.

[lx] 24.10.1620. Il chierico Scipione Popaianni vendeva ad Andrea de Pace, la “Continentiam domorum palatiatorum”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa di “Santi petri”, confine la “logettam domorum” del quondam Marco Antonio Coco, l’orto e il “palazzettum” di quest’ultimo ed altri fini; nonché l’orto “arboratum sicomorum” posto nello stesso loco, confine la detta continenza di case palaziate, l’orto della venerabile chiesa di Santa Caterina, l’orto del detto quondam Marco Antonio ed altri fini; nonché un altro “orticellum”, confine il detto orto, “et ripas dittas le catarrata et vallone ditto le Catarrata”, confine i “sicomium et Casalenos” del quondam Julio Jannino ed altri fini, con il patto che rimanesse al detto Scipione, la “Camera” confinante con la via pubblica ed i detti orti, dove al presente abitava Isabella Spolvera (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 068-069). 16 agosto 1621. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, Andrea de Pace donava al clerico Joannes Thoma suo figlio, i seguenti beni: la “continentia domorum” con orto contiguo arborato “sicomis”, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “Santi Petri”, confine la domus degli eredi del quondam Marco Antonio Coco, il “vallonem dittum le catarrata”, l’orto di Santa Caterina ed altri fini, che detto Andrea aveva comprato dal Cl.o Scipione Popaianni (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 049-049v). L’ultimo di febbraio 1638, Donna Aluise o Aloisia de Angelis, vedova ed erede del quondam Justuliano Cirisano, asseriva che suo marito aveva comprato dal Cl.co Lutio Venturi, procuratore del monastero di S.ta Maria della Spina, un “ortale” arborato di “Celsi” posto dentro la terra di Policastro “nel Convicinio di santa Caterina”, confine “l’orto di detta chiesa”, l’orto e casalino di Gio: Thomaso Scandale, la via pubblica ed altri fini, impegnadosi a pagare l’annuo censo di carlini 15. All’attualità la detta Aloisia retocedeva il bene a Hyeronimo Poerio che s’impegnava a pagare lo stesso censo al monastero (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 025-025v). 22.02.1643. I coniugi Lupo de Florio e Laura Faraco vendevano a Joseph Giordano un “Ortale sicomorum” dotale posto dentro la terra di Policastro loco detto “la basilea”, confine la domus e l’orto del quondam Hijeronimo Poeri, un altro ortale ed il casaleno del quondam Tiberio Grigoraci, le “Rupas dictae Civitatis” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 802, ff. 040v-042). 15.08.1655. Alla dote di Vittoria Ritia che andava sposa a Petro de Franco, apparteneva “un pede di Celso” posto dentro la terra di Policastro nel loco detto “la Vasilea”, confine l’orto del quondam Petro Paulo Serra, “vallone” mediante (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 111v-113).

[lxi] “… nell’anno trent’otto del caduto centinaio che successe la sua rovina per quel terribil Terrimoto di tutta la Calabria, accaduto à 27 Marzo nella Domenica delle palme à 21 ora.” Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxii] 17 dicembre 1630. Il notaro si portava nella domus palaziata di Portia Nicotera, moglie del magister Filippo Schipano, posta dentro la terra di Policastro nel convicino di “santi Petri”, via pubblica mediante, confine la domus di Leonardo Accetta, ed altri fini, per stipulare il suo testamento. La detta Portia istituiva eredi il Cl.o Lupantonio e Isabella Schipano suoi figli. Morendo entrambi senza figli, sarebbe succeduta loro la cappella del SS.mo Sacramento che avrebbe dovuto far servire una ebdommada la settimana in perpetuo. Lasciava a detta cappella la metà del suo orto con “gisterna”, posto dentro la terra di Policastro, nel convicino di “s.to petro” che possedeva in comune ed indiviso con Paulo Nicotera suo fratello. Dichiarava che la “casa nova”, non doveva essere considerata nell’eredità perché avendola fatta detto m.o Filippo con la sua fatica, andava a lui (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 188v-189v). 31 gennaio 1633. Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, il “magister” Philippo Schipano donava al Cl.o Lupo Antonio Donisio, suo figlio, alcuni beni, tra cui la domus palaziata “novam”, posta nel convicino di San Pietro, confine un’altra domus “magna” di detto Philippo, confine l’orto della venerabile chiesa di “Santi Petri” dalla parte inferiore, la domus di Leonardo Accetta, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 008-008v).

[lxiii] “… la notte seguente, verso le cinque in sei ore, da più orribile terremoto furono abbatute alcune Città, Terre e Castelli (…) Policastro città fu abbattuta dalle fondamenta”. Boca G., Luoghi sismici di Calabria, 1981, p. 220.

[lxiv] “… che Policastro per essere d’alto sito, ed arenoso, fosse il più danneggiato nella Comarca in trecento cinquanta tre tra Templi, Palaggi, e Case atterrati, secondo il Conto di Luzio Orsi.” Mannarino F. A., cit.

[lxv] 09 agosto 1644. Catharina, Julia e Feliciana Caruso, vendevano a Simione Lomoio il “Casalenum” che gli era pervenuto dall’eredità di Hijeronimo Ammannito loro padre, posto nella terra di Policastro “in Convicinio Sanctae Mariae Gratiarum Ecclesiae ad p(raese)ns Parochialis in loco Sancti Petri deruti in loco ubi dicitur la timpa delli Napoli”, confine la domus di Marco Maltise “muro coniuncto”, la domus di detto Simionis via mediante ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 079v-080v).

[lxvi] 03.06.1639. Su richiesta del Cl.co Joannes Dom.co Campana, figlio del quondam Camillo, il notaro si portava nella “barraccam ubi habitabat” detto quondam Camillo, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della “Cappella sive barracca santa Catherina”, confine la “barraccam” del quondam Fran.co Grosso, gli eredi del quondam Berardino Lamanno e la via pubblica da quattro lati, per redigere l’inventario “seu ripertorio” dei beni del morto. Tra questi vi era una “Continentia di Case dirute, et fragasciate del terrimoto consistenti in quattro menbri scoverte, et sciollate”, poste nel convicino di Santa Caterina, confine il casalino degli eredi del quondam Berardino Lamanno e la via pubblica da due parti, con quattro “orta circum, circa dette Case derute uno delli quali vie fundata la barracca di detta chiesa di santa Caterina l’orto grande confine dette Case derute”. ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 057-058v.

[lxvii] 17 aprile 1644. Per la sua devozione verso la chiesa di Santa Caterina ed i suoi confrati, Francisco Greco donava “ad beneficium, et reparationem praefatae Ecclesiae”, e per essa, al suo procuratore Julio Berricello, la metà delle “frondes suorum sicomorum”, pervenutegli dall’eredità dell’olim Finitia Calendino (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 045v-046). 06.03.1646. Nel suo testamento, Blasio Ritia lasciava tre ducati alla “fabrica della Chiesia de S.ta Catarina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 084v-087).

[lxviii] 27.04.1644. Nell’atto si stabilisce che la parte inadempiente, avrebbe dovuto pagare la somma di ducati 100, alla venerabile chiesa di Santa Caterina “per reparatione della nova fabrica di detta Chiesia” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 049v-050v). 01.09.1645. Nell’atto si pattuiva che, la parte eventualmente inadempiente, avrebbe dovuto pagare ducati 10 alla chiesa di Santa Caterina “per riparo di essa” (ASCZ, Notaio G.M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 109-111; foto 114-116). 22.10.1645. Nell’atto si pattuiva che la parte inadempiente all’accordo, avrebbe dovuto “pagare alla Nova Chiesia di Santa Catharina, che inatto si stà fabricando”, ducati 10 “per riparat.ne di essa” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 154-155v).

[lxix] 30 aprile 1644. Martino Vecchio vendeva a Petro Joannes Vivacqua, due “Casalena cum orto conticuo arborato cum uno Pede sicomoris”, posti dentro la terra di Policastro “in convicinio Sancti Petri deruti Ecclesiae Parocchialis, ubi ad p(raese)ns fabricatur nova Ecclesia sub titulo Sanctae Catharinae Virginis, et Martiris”, confine la domus di Antonino Pollaci, la domus di Philippo Schipani, “muro coniuncto”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 053-054v). 03 maggio1644. Su richiesta di Feliciana Cavarretta, moglie di Philippo Schipani, il notaro si portava nella domus del detto Philippo, posta dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa di “S.ti Petri dirutae”, confine la domus di Antonino Pollaci, “muro coniunto”, la via pubblica ed altri fini per stipulare il testamento di detta Feliciana. La testatrice lasciava alla “Chiesia, che si stà fabricando di S.ta Cat.na”, “le porghe, seu Celsi” loco detto “la Vasilea”, territorio di Policastro, confine “li Celsi” di detta chiesa, “li Celsi” del Cl.co Carlo Richetta “vallone” mediante ed altri fini, con la clausola che dette porghe non si potessero né vendere né alienare (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 307, ff. 048v-050). 12.01.1646. Il R. presbitero Joannes Paulo Blasco, assieme a Delia Callea, vedova dell’olim Marco Antonio Guarani, vendevano al chierico Hyeronimo Coco, il casaleno che possedevano in comune ed indiviso, posto dentro la terra di Policastro, nel convicino della chiesa parrocchiale “sub vocabulo Sancti Petri, ubi ad p(raese)ns edificata est nova Ecc.a Sanctae Catherinae Virginis et Martiris”, confine la domus terranea di Antonino Pollaci, “à parte inferiori et Orto conticuo praefati Antonini”, la domus di Ippolita Misiano “à parte superiori muro coniuncto” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 006-007v). 06.02.1646. Nei giorni passati, il serviente della corte Domenico Valente, dietro lettera esecutoriale spedita il 27.01.1646 dalla “Corte del Mag.co Baglivo” di Policastro, su istanza del C. Gerolimo Coco, aveva provveduto a fare esecuzione contro Julia Lomoio di Policastro, vedova dell’olim Francisco Nigri, relativamente ad una casa terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della parrocchiale di “S. Pietro”, “dove al p(rese)nte si stà edificando la nova Chesa di Santa Catharina”, confine il casalino di Antonino Pollaci, “della parte di sop.a”, la casa terranea degli eredi dell’olim Burtio Carbone ed altri fini. Joannes Gregorio Catanzaro, ordinario serviente della corte di Policastro, incantava detta casa a Joannes Dominico Guzzo per la somma di ducati 10 (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 015-017). 09.02.1646. Joannes Dominico Guzzo vendeva al C. Hyeronimo Coco, la domus terranea precedentemente acquistata all’asta, posta dentro la terra di Policastro nel convicino della chiesa parrocchiale di “S. Pietro”, “ubi ad p(raese)ns edificata est nova Ecclesia sub vocabulo Sanctae Catherinae Virginis et Martiris”, confine il casalino di Antonino Pollaci “à parte superiori”, la casa terranea degli eredi dell’olim Burtio Carbonis “à parte inferiori”, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 805, ff. 017-018v).

[lxx] 29.09.1645. Il Cl.co Jeronhimo Coco, prendeva in prestito un capitale di ducati 50 alla ragione del 10 % in monete d’argento e “Zicchinis” d’oro, impegnandosi a pagare l’annuo censo di ducati 5 al R. D. Joannes Andrea Romano. Tra i beni posti a garanzia nell’occasione, troviamo il “Palatium magnum cum Orto conticuo, et Gisterna”, consistente in “pluribus membris”, posto dentro la terra di policastro, “in convicinio novae Ecclesiae sub titulo Sanctae Catharinae Virginis, et Martiris via publica mediante”, confine la domus di Marco Lomoio, vinella mediante, ed altri fini. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 138-141. 18.07.1647. Hijeronimo Coco vende a Leonardo Crocco, la domus terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della venerabile chiesa di S.ta Caterina “nova”, confine la domus della vedova di Burzi Carbone, la domus di Philippo Schipano, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 061-062v). 18.07.1647. Laura Blasco vende a Leonardo Greco, la domus terranea posta dentro la terra di Policastro nel convicino della venerabile chiesa “nova” di S.ta Caterina, confine la domus di Francisco Guzzo, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 062v-063v).

[lxxi] 1600: “Capp.nus seu Confratres S. Catherinae t(er)rae Polic.i cum cathedratico cerae librarum quatuor”, non comparve. 1601: “Cappellanus seu Confr(atr)es S.tae Catherinae t(er)rae Policastri cum Cathedratico cerae librarum quatuor”, comparve con la solita cera. 1602: “Cappellanus seu confratres S(anc)tae Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae librarum quatuor”, non comparve. 1603: “Cappellanus seu confratres s(anc)tae Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cere librarum quatuor”, comparve. 1604: “Cappellanus seu confraternitas S. Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae lib(rarum) quatuor”. 1605: “Cappellanus seu confratres S(anc)tae Catherinae terrae Policastri cum cathedratico cere librarum quatuor” comparve e pagò. 1605: “Cappellanus seu confratres s(anc)tae Catherinae terrae Policastri cum cathedratico cere librarum quatuor”, comparve. 1606: “Cappellanus seu Confratres S. Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae librarum quatuor”, comparve e pagò. 1606: “Cappellanus seu Confratres S.tae Catherinae t(er)rae Policastri cum cathedratico cerae librarum quatuor” pagò. 1607: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Catherinae terrae Policastri Cum cathedratico cere librarum quatuor”, comparve e pagò. 1608: “Cappellanus seu Confratres S.tae Caterinae T(er)rae Policastri cum Cathedratico cerae librarum quatuor”, non comparve. 1609: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Cathedratico librarum cerae quatuor”, comparve e pagò. 1610: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Cathedratico librarum Cere quattuor”, non comparve. 1611: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri Cum Cathedratico librarum Cerae quattuor”, comparve e pagò. 1612: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri cum cathedratico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1613: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri cum cathedratico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1614: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri cum Cathedratico Cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1615: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Cathedratico Cerae librarum quattuor”, non comparve. 1616: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Terrae Policastri Cum Catredatico Cerae librarum quattuor”, non comparve. 1617: “Cappellanus seu Confratres S(anc)tae Chaterinae Terrae Policastri cum catredatico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò. 1618: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae Policastri cum catredatico cerae librarum quattuor Comp.t Cum Cera”. 1619: “Cappellanus seu Confratres Sanctae Chaterinae terrae Policastri Cum Catredatico cerae librarum quattuor”, comparve e pagò in cera. AASS, 6A.

1634: “Rector S. Catharinae cum quatuor libris cerae – Idem de Blasco Rector solvit carolenos octo.” Scalise G. B. (a cura di), Siberene, p. 24 e sgg. 1635: “Rector S. Catharinae cum quattuor libris cerae Idem obtulit”. 1636: “Rector S. Catharinae cum quatuor libris cerae”, comparve per sé stesso ugualmente l’“Archypresbyter et Rector” ed offrì le quattro libre di cera. 1637: “Procurator S. Catharinae cum quatuor libris cerae”, lo stesso archypresbyter offrì le quattro libre di cera. 1638: “Procurator S. Catharinae cum quattuor libris cerae”, il procuratore Joannes Battista Pollacio offrì. 1639: “Rector Ecc.ae Sanctae Catherinae cum quattuor libris cerae”, lo stesso Archipresbitero offrì le quattro libre sopradette. 1640: “Rector Ecclesiae Sanctae Catherinae cum quattuor libris cerae”, non comparve. 1642: “Rector Ecclesiae Sanctae Catherinae cum quatuor libris Cerae”, lo stesso archpresbytero offrì “uti Rector”. 1643: “Rector Ecclesiae Sanctae Catherinae cum quatuor libris Cerae”, per esso compave m.ro Salvator Desiderii ed offrì. 1644: “Rector Proc.r Ecc.ae Sanctae Catharinae cum quattuor libris cerae”, offrì lo stesso per esso. 1645: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum quattuor libris cerae Non comp.t max accessit et obtulit”. AASS, 26A.

[lxxii] 1646: “Procurator Ecclesiae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae”, comparve ed offrì per esso lo stesso Archipresbitero. 1647: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae” per esso lo stesso archipresbitero offrì. 1648: “Proc.r Ecc.ae S.tae Catharinae cum tribus libris Cerae”, offrì per esso l’archipresbitero Blasco. 1649: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris Cerae”, offrì lo stesso archipresbitero per esso. 1651: “Procurator Ecc.ae S.tae Catharinae cum tribus libris Cerae”, lo stesso archipresbitero offrì per esso. Al margine: d. 0.3.0. 1653: “Procurator Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae”, lo stesso Rev.o Salvatore comparve per esso ed offrì. 1655: “Proc.r Ecc.ae Sanctae Catharinae cum tribus libris cerae”, comparve ed offrì. 1656: “Proc.r Ecc.ae S.tae Catharinae cum tribus libris cerae”, non comparve. 1658: “Procuratorem S. Catharinae cum tribus libris cerae”, comparve ed offrì. 1661: “Proc.r S. Catharinae cum tribus libris Cerae”, non comparve “solvit per R.s Vic.ri foraneum d. 0.3.0. 1662: “Procurator S. Catharinae cum tribus libris Cerae”, comparve ed offrì sei carlini d. 0.3.0. 1663: “Proc.r S. Catharinae cum tribus libris Cerae”, comparve e pagò d. 0.3.0. 1664: “Proc.r S. Catharinae cum tribus libris cerae”, non comparve. AASS, 26A.

[lxxiii] AASS, 35A.

[lxxiv] 30.11.1648. I fratelli D.r Lutio e Gio: Fran.co Venturi che, fino al momento, avevano posseduto in comune ed indiviso tutte le loro robbe, tanto quelle ereditarie che quelle comprate, all’attualità se le dividono equamente, facendone due parti. Alla parte del detto D.r Lutio, andavano annui carlini 11 per un capitale di ducati 11, che pagava Dieco Romeo sopra “l’hortali delli Celsi”, uno posto “sotto la rupa di S. Catarina”, l’altro contiguo alle case che erano appartenute di D. Minico Palazzo (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 109v-114).

[lxxv] 23.05.1604. Alla presenza del notaro, si costituiscono da una parte Dianora Scalise, vedova del quondam Hieronimo Jannini, insieme a Joannes Dom.co Accetta, genero della detta Dianora, madre di Andriana Jannini e, dall’altra, il giudice Jo: Thoma Richetta, in merito ad una questione sorta relativamente ad una “possesionis olivis arborata”, sita nel tenimento di Policastro, in loco detto “sotto s.ta Caterina iusta possessionem Nicolai Guidacciro, iusta heredum q.m diaconi Jo(ann)es Petri Corigliani viam publicam et alios fines”. La possessione promessa in dote ai coniugi Joannes Dom.co ed Andriana dalla detta Dianora, mediante capitoli matrimoniali stipulati davanti al notaro da Joannes Fran.co Accetta, era stata poi venduta al Richetta (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 12v-13v). 09.09.1605. Pompeo Tabernense, “ordinario serviente Regie Curie policastri publico banditore”, nonchè commissario specialmente deputato da parte della curia di Policastro, dietro istanza di Joannes Paulo Milea contro Joannes Ant.o Palmerio “Jaconum salvaticum”, in relazione ai capitoli matrimoniali stipulati tra il detto Joannes Paulo ed Elisabetta Palmerio, provvedeva a fare esecuzione dei beni del detto Joannes Ant.o, tra cui vi era l’ortale posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina” che, posto all’incanto, rimaneva aggiudicato a Joannes Fran.co Corogliano (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 124v-125). 28.01.1608. Joannes Fran.co Campitello vende a Joannes Agostino de Cola U.J.D., il “petium terre arboribus sicomorum olivarum et aliorum arborum domesticorum”, posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni degli eredi del quondam Ferdinando Nigro, i beni di Vincenzo Callea, Joannes Fran.co Coroliani, la via pubblica da due lati ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 057-058). 04.09.1608. Al fine di poter accedere all’ordine sacerdotale, Joannes Thoma Richetta “iudex terre policastri”, dona al figlio chierico Jacinto Richetta, alcuni beni tra cui: un “petium terre” arborato con “olivarum et mendole”, posto nel territorio di Policastro nel loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni di Nicolao Guidacciari, i beni della detta chiesa, la via pubblica ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 099-100). 08.11.1609. La “soror” Costantia Nigra vende a Joannes Furesta alcuni beni, tra cui: un ortale “arboribus arboratum olivarum et Citrangolorum” nel loco detto “sotto s.ta Caterina”, confine i beni di Vespesiano Blasci, i beni di Ottavio Accetta, la via convicinale, il “Jardenum” che fu di Alisandro Circhioni, gli eredi del quondam Hijeronimo Grandinetti ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 152-155). 28.06.1610. Dopo aver stipulato un “Compromisso” alla presenza degli arbitri Fabio Caccurio e Gio: Paulo Accetta, i fratelli Fabritio e Ottavio Accetta, fanno stipulare l’atto con il quale si impegnano vicendevolmente a non molestarsi, e si dividono tra loro alcuni beni, tra cui una parte del vignale di “sotto s.ta Caterina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287 ff. 191-191v). 31.05.1617. Caterina Furesta, figlia di Joannes Furesta e moglie di Scipione Misiani, testimoniava che, in merito alla sua dote, aveva ricevuto alcuni beni stabili, tra cui il “petium terre arboratum Citrangulorum olivarum et sicomorum et aliarum arborum fruttiferorum cum vinea intus p(raedi)ttum petium terre”, posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni di Vespesiano Blasci, il “viridarium” del SS.mo Sacramento ed altri fini. Al presente donava tali beni al chierico Leonardo Jacinto Misiano suo figlio, così che potesse attendere “in scolis humanitatis literarum” ed ascendere agli ordini sacerdotali (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 026-027). 03.03.1624. Laurentio Ceraldo, ordinario serviente della regia curia di Policastro, dietro istanza di Joannes Dom.co Caccuri, contro Joannes Paulo Accetta e Joannes Thoma Cepale, dopo i “solita banna in platea publica” ed avere acceso la candela “in platea publica”, incanta a Joannes Berardino Dardano di Mesoraca, alcuni beni di Joannes Paulo Accetta, tra cui: la possessione arborata “olivarum, viniae et arangorum” posta nel loco detto “sotto santa caterina”, confine i beni della “Cappelle Corpus Cristi”, i beni di Scipione Misiani, i beni di Gregorio Bruna, i beni del q.m Ferdinandi Cerantonio ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 013v-014v). 15.12.1629. Per consentirgli di ascendere agli ordini sacri, Elisabetta Corigliano vedova del quondam Joannes Thoma Richetta, dona al Cl.o Carlo Leonardo Richetta suo nipote, alcuni beni, tra cui un pezzo di terra arborato “olivarum” posto “sotto Santa Caterina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, f. 072). 25.02.1631. Auleria Cavarretta vedova del quondam Joannes Vincenzo Coco, permuta la sua vigna posta nel loco detto “Cropa”, con un ortale arborato “sicomorum, cum uno pede ficis” e “Celsi” di Hijeronimo Coco, che era appartenuto al quondam Joannes Berardino Coco, avuncolo di detto Hijeronimo, posto nel territorio di Policastro loco “sotto Santa Caterina”, confine i beni di Bursio Carvune, l’“olivetum” di Jacobo de Vona, “et a parte superiore ripam”, la vigna di Julio Verricelli, la via pubblica ed altri fini, gravato dal peso di annui carlini due nei confronti di Laura Blasco, figlia del quondam Vespesiano Blasco (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 023-024v). 04.11.1631. Le sorelle Dianora, Diana e Camilla Accetta di Policastro, “virgines in capillo”, stante l’inabilità di Gio: Paulo Accetta ,loro padre poverissimo vecchio e cieco, donano al Cl.o Innocentio Accetta, loro fratello, un “vignale seu clausura” arborato con diversi alberi fruttiferi, “Cerse olive Celsi et uno pede di aranco”, che asserivano di possedere da più anni, in virtù di decreto della Regia Corte di Policastro, in relazione alla dote della quondam Innocentia Fera loro madre, posto nel territorio di Policastro loco “sotto santa Caterina”, confine i beni “seu giardino” del SS.mo Sacramento, i beni di Camillo Cerasaro e Gio: Gerolimo Blasco (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 077-077v). 27.08.1633. Il Cl.o Joannes Berardino Accetta vende al presbitero D. Joannes Paulo Mannarino, il “vinealem arboribus olivarum, et ficum” posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto santa Caterina”, confine i beni di Gio: Gerolimo Blasco dalla parte superiore e la vigna del quondam Gregorio Bruno (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 051-052). 09.04.1634. Davanti al notaro compaiono Burtio Carvune e Dieco Cavarretta, figlio di Filippo Cavarretta, per la stipula dei capitoli relativi al matrimonio tra detto Didaco e Vittoria Carvune, figlia di detto Burtio. Apparteneva alla dote un vignale arborato di “Celsi, et fico” loco detto “sotto santa Caterina”, gravato dal censo annuale di 1 tari alla sig.a Laura Blasca. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 072-073v). 19.04.1636. Davanti al notaro compaiono D. Joannes Fran.co Rocca, vicario foraneo di Policastro e procuratore del pio monte di maritaggi lasciato da Gregorio Bruna, ed il R.do D. Parise Ganguzza. Tra le robbe del detto quondam Gorio messe all’asta nella publica piazza, vi era la possessione arborata di “Celsi, et vigne” di “sotto santa Caterina”, che rimase aggiudicata al R.do D. Parise Ganguzza (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 042v-048). 24.11.1638. Davanti al notaro compaiono Auleria Cavarretta, vedova del quondam Vicenzo Coco, assieme a Jacobo de Vona, per la stipula dei capitoli relativi al loro matrimonio. Tra i beni appartenenti alla dote, troviamo un ortale di “Celsi” posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto Santa Caterina”, confine i beni di Burtio Carvune, Giulio Verricello ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 105v-106v).

[lxxvi] 27.08.1633. Il Cl.o Innocensio, Antonio, Dianora, Diana e Camilla Accetta, fratelli e sorelle maggiorenni, vendono al Cl.o Joannes Berardino Accetta, il “Vinealem arboribus olivarum, ficis” ed altri alberi posto nel territorio di Policastro loco detto “Sotto Santa Caterina”, confine i beni di Joannes Hijeronimo Blasco ed i beni di Gregorio Bruna dalla parte superiore. Tale vignale, inframezzato da un “moraglio”, andava “de piano per derittura di quello di scipione Misiano et detto Giangerolimo, et della parte sotto detto moraglio” restava a detti venditori (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 300, ff. 050-051).

[lxxvii] 25.09.1641. Il C. Innocentio Accetta vende a Catherina Furesta, vedova del quondam Scipione Misiano, il “petium terre” della capacità di ½ “quartocciate” circa, posto nel territorio di Policastro loco detto “sotto Santa Caterina”, confine i beni di detta Catherina, i beni di Joannes Hijeronimo Blasco ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 036v-037v). 07.10.1641. Il R.do D. Parisio Ganguzza retrocede a Catherina Rocca, vedova del quondam Joannes Victorio Fanele, nonchè al C. Carolo Fanele suo figlio, la “possessione” “arborata di Celsi, con vigna, et altri arbori fruttiferi”, posta in loco detto “sotto Santa Caterina” che aveva precedentemente acquistato dal quondam D. Gio: Fran.co Rocca, “Procuratore del Pio monte”, quale lascito del quondam Gregorio Bruno sopra la sua eredità, confine i beni del quondam Scipione Misiano, “della parte di sotto”, la vigna di Giulio Berricello, “vinella et istrata mediante”, “li Celsi” di Gio: Gerolimo Blasco ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801, ff. 041-042). 10.03.1644. Il C. Carulo Richetta vende ad Andrea Rocciolillo, la “Vineam parvam” posta nel “districto” di Policastro loco detto “sotto santa Catherina” alberata con diversi alberi, confine i “sicomores” di detto C. Carulo via mediante, ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 023-024). 11.05.1644. Come appariva da una scrittura privata del 05.08.1636, Joanne Gregorio Cerasaro possedeva il “Vignale di sotto Santa Catherina” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 058-061). 07.08.1644. Claritia Foresta, vedova dell’olim Joannes Baptista Pinelli, assieme a Catharina Foresta, vedova dell’olim Scipione Misiani, vendono al reverendo presbitero Prospero Meo del castro di S.to Mauro ma, al presente, “incola” in Policastro, l’annuo censo di ducati 3 per un capitale di ducati 30, infisso sopra alcuni loro beni, tra cui la possessione della detta Catharina posta nel “districtu” di Policastro, loco detto “Sotto Santa Catherina” “arboratam sicomorum ficuum, olivarum, et aliorum arborum”, confine i beni del chierico Carolo Fanele, “primo loco” posseduta dall’olim Gregorio Bruno “à parte superiore”, la possessione del “Sanctissimi Corporis Chrixti” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 077-079). 19.03.1645. Andrea Rocciolillo vende a Lorentio de Pace, la “Vigna piccola” “che adesso se ritrova assai disminuita, et deteriorata”, posta nel territorio di Policastro dove si dice “sotto santa Catharina”, confine i beni del C. Carlo Fanele appartenuti al dominio dell’olim Gregorio Bruna, la via pubblica da due lati ed altri fini che, negli anni passati, aveva comprato dal chierico Carlo Richetta (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 046v-048). 12.04.1647. Nel passato, Gio: Berardino Accetta aveva acquistato da Gio: Vittorio Accetta e figli, una parte di possessione loco detto “Sotto S.ta Caterina”, vendutagli dai figli ed eredi del quondam Gio: Paulo Accetta (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 874, ff. 030v-033). 07.11.1647. Negli anni passati, Petro Poerio aveva comprato da Jo : Fran.co Venturi, la metà di due “Ortali di Celsi”, di cui uno posto dentro il “distretto” di Policastro loco detto “Sotto Santa Catherina”, confine l’altra metà e parte del C. Salvatore Grosso, via pubblica mediante ed altri fini. All’attualità il detto Petro retrocedeva i detti ortali al detto Jo: Fran.co per il medesimo prezzo che, a sua volta, li vendeva a Dieco Romeo per lo stesso prezzo (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 123-124v). 14.09.1654. Davanti al notaro compaiono da una parte, i coniugi Carlo Piccolo ed Innocentia Misiano mentre, dall’altra, compaiono Jacinto e Carlo Misiano assieme a Catarina Foresta, madre e figli. Negli anni passati, in relazione al matrimonio dei detti coniugi, era stata promessa la dote di ducati 150 tra cui figuravano gli annui ducati 30 sopra una casa ed una possessione loco detto “sotto S.ta Catarina”. Tale possessione era gravata dal peso di annui carlini 15 per un capitale di ducati 15 dovuto al R. D. Prospero Meo che si accollava il detto Carlo (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 113-114).

[lxxviii] Mannarino F. A., Cronica della Celebre ed Antica Petilia detta oggi Policastro, 1721-1723.

[lxxix] 10.01.1605. Vespesiano Blasco vende a Vincentio Callea, un “vinealem” dove si trovavano “certi pedis oleastri”, posto nel territorio di Policastro nel loco detto “sotto santa Caterina alias lo piro cioè sotto lo moraglio ipsius Jo(ann)is vincenti quod emit ipsius Vespasiani” ed il q.m Fran.co Ant.o Blasco suo fratello ad annuo censo, confine “della parte di sotto la timpa timpa” con l’altro vignale dello stesso Vespasiano “justa sicomos Isabelle riccie et alios fines” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 87-88). 11.06.1605. Vespesiano Blasco vende a Gioanni Ant.o Palmerio, un pezzo di terra posto nel territorio di Policastro “ubi dicitur lo piro in Certe timpe à vineale quod tenet jo(ann)e Vincentius Callea iusta viam publicam et iusta bona Constantia campane et vulgariter dicendo, lo frunte frunte cioe della sciolla et lo frunte che della parte di sopra ciè una aliva e terreno diesso vespesiano e detto terreno sintende deli frunte insu della sciolla destara parte l’acquaro che al p(rese)nte va alle molina de iuso, et lo terreno della parte di sotto la sciolla seu timpa sin sino all’acquaro resta per esso vespesiano” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 107-107v).

[lxxx] 19.11.1604. Gelsi, terreni ed olive che si trovano dall’una e dall’altra parte “del fiumme loco ditto soleo, et salamune”, lasciati dalla quondam Narcisa Jiraci, madre del quondam Francesco Antonio e di Vespesiano Blasco. (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 71-76). 31.05.1615. Vespesiano Blasco cede a Burtio Carvune, il “petium terre” posto nel territorio di Policastro loco detto “salamune a parte inferiore acquari quod vaditur in molendinis dittis de abascio seu de iusu iusta ripas fluminis solei, et viam publicam quod vadit ad flumen p(raedi)tto solei iusta ortalem sicomi ipsius Vespesiani viam publicam medalte” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 027v-028).

[lxxxi] 22.09.1605. Joannes Fran.co Campitello e sua moglie Isabella Rizza, vendono a Joannes Fran.co Corigliano, un “petium terre” posto nel territorio di Policastro “ubi dicitur lo piro sotto santa Caterina”, nel quale vi erano un piede d’olivo ed un piede di mendola, “lo moraglio moraglio delle granata Cioe lo moraglio della parte di sop.a la cona la via publica di dui parti Cioe luna va in salamone, et l’altra nelle molina de abascio Justa sicomos ipsorum Fran.ci et Isabelle” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 134v-135v). 19.03.1618. Hijeronimo di Maijda de Tomasello, vende a Joannes Hijeronimo Blasco, il “vignale” o “pezzotto di terreno arborato di celsi et olive loco ditto sotto santa Caterina”, confine “l’istrata publica che si va alle molina di abascio”, i gelsi ed il terreno di D. Dom.co Palazzo, il vignale degli eredi della quondam Laura Coco ed il terreno di Gio: Paulo Accetta (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 089-090). 16.01.1620. Il presbitero Joannes Fran.co Palatio, utile erede del quondam presbitero Dominico Palatio che, nel recente passato, aveva pignorato a Sanzone Salerno l’“ortale sicomorum arboratum cum uno pede olive”, posto nel “tenimento” di Policastro in loco detto “socto santa Caterina”, confine la “viam publicam qua discenditur loco ditto salamune”, la “viam publicam quam discenditur in molendinis de iuso”, il “petium terre” di Joannes Laurentio Corigliani “a parte superiore”, l’ortale di Scipione Misiani ed altri fini, considerata la volontà del detto Sanzone di redimere tale suo possedimento, riceve il denaro dovuto (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 003-004).

[lxxxii] 09.02.1647. Joannes Gregorio Cerasaro vende a Catharina Foresta, vedova dell’olim Scipione Misiani ed a Carolo Misiano, madre e figlio, uno “Ortale seu Vineale” “arboratum olivarum” di circa 2 tomolate di capacità, posto “in tenim.to” di Policastro “et pp.e ubi dicitur sotto santa Catherina”, confine la vigna di Jo: Hyeronimi Blasco “à parte superiore”, i “Molendina vulgo dicto di Suso” “à parte inferiori”, i beni di detti di Foresta e Misiano ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 806, ff. 019-021).

[lxxxiii] 22.08.1653. La vedova Delia Callea vende per ducati 500 a Joannes Jacobo Natale, figlio di Jo: Dom.co, il “Viridarium seu Possess.nem” arborata con “sicomoris, ficiis” ed altri alberi fruttiferi, posta nel “districtu” di Policastro nel loco detto “Cimicicchio”, confine i beni di Marcello Leuci, via mediante “ex parte inferiori”, i beni di Didaco Romeo, le “ripas d.ttae Civ.tis nuncupatas de S.ta Cat.na”, le “vias publicas” ed altri fini (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 053-056).

[lxxxiv] 25.02.1620. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 011-013v.

[lxxxv] 15.11.1644. Delia Callea, vedova del quondam U.D. Marco Antonio Guarano, vende al Rev.s D. Prospero Meo “hic Policastri Beneficiato”, l’annuo censo di ducati 10 infisso sopra alcuni stabili, tra cui il “Praedium seu Possessionem” detta di “Cimicicchio”, “arboratam seu consitam sicomis, fiquibus” ed altri alberi fruttiferi, “iuxta timpas de Napoli, de Sancta Catharina, et viam quae ducit ad Molendina Aquarii” ed altri fini (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 80, ff. 117-118v).

[lxxxvi] AASS, 37 A.

[lxxxvii] “In Civitate Policastri est Ecc.a Archipresbyteralis sub titulo Sancti Nicolai Pontificis, quae tribus ab hinc Annis vacat propter tenuitatem reddituum, Curam Animarum exercet Vice Parochus, sed, Deo adiuvante, curabo, ut eidem Ecc.ae Archipresbyteralia uniatur alia Ecc.a Parochialis sub titulo Sancti Petri Apostoli dictae Civitatis; quae propter tenuitatem reddituun etiam vacat. (…) “Alia est Ecc.a Parochialis sub titulo S. Petri Apostoli, quae, ut dictum fuit propter tenuitatem fructuum vacat, sed eius curam interim exercet Oeconomus idoneus, et approbatus.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1675.

[lxxxviii] 17 luglio 1669. “Pro Antonio Curti, de terra Policastro, subdiacono S. Severinae dioc., licentia recipiendi ordines extra tempora ab Ordinario.” (Russo F. VIII, 41792). Novembre 1676. “De parochiali ecclesia S. Petri, loci Policastro, S. Severinae dioc., cuius fructus 12 duc., vac. per ob. Scipionis Callea ab anno 1673 def., providetur Antonio de Curtis, pbro diocesano.” (Russo F., Regesto VIII, 43721).

[lxxxix] Giugno 1690. “De parochiali ecclesia S. Petri, loci de Policastro, S. Severinae dioc., cuius fructus 24 duc., vac. per ob. Amilcaris de Curtis, a quatuor mensibus def., providetur Fabritio de Martino, pbro diocesano.” (Russo F., Regesto IX, 46220).

[xc] AASS, 29A.

[xci] AASS, 24B, fasc. 1.

[xcii] Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723.

[xciii] “Altretanto poi come in due Piedi termina il resto dell’Aquilone nella nuova Porta de’ Francesi, ov’era il Quartiero di quella Nazione, dall’Austro nella quinta Porta di Santa Caterina, che più ferisce all’oriente, lungo le mura di quel vecchio Tempio, ad’essa Santa Vergine, e Martire consagrato; in cui dal misero avanzo dell’archi, latitudine, longitudine, sepolcri, sito, è di tutta la circonferenza, s’argomenta la di lui grandezza. Se ben tanto antica magnificenza la sappiam per relazione de’ nostri Padri, ed’avi, questi anziani, e quelli di primo Pelo nell’anno trent’otto del caduto centinaio che successe la sua rovina per quel terribil Terrimoto di tutta la Calabria, accaduto à 27 Marzo nella Domenica delle palme à 21 ora.”. (Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723).

[xciv] “Nella Montagna alla parte occidentale in sù da questa parte del fiume Soleo, ben quattro miglia lontano dalla Città, vi era il Monastero di Santa Maria di Cardopiano de’ Padri Basiliani, dà tempi come si crede del Beato Nilo Calabrese Abbate di quel luogo dell’ordine stesso sin presso all’anno mille, e quatrocento circa di quel secolo legasi una sottoscrizione d’un altro Nilo Abbate di quel luogo. E ben della sua chiesa né appariscono ancor le reliquie, e se né conserva il titolo Abbaziale nell’ordinario Paroco di Santo Pietro alla di cui Parochia fù incorporato tutto il Comprensorio di terreno, che circuiva il Convento.” (Mannarino F. A., Cronica cit., 1721-1723).

[xcv] Pesavento A., Clero e società a Petilia Policastro dal Cinquecento al Settecento, www.archiviostoricocrotone.it

[xcvi] “Policastrum 2820 Animarum Parochi tres gubernant…”, ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1725.

[xcvii] “Ai giorni nostri di questa chiesa (parrocchia di S.to Pietro nella chiesa di S.ta Caterina ndr.) non rimane che il ricordo in quanto abbattuti i ruderi, l’area è servita per ampliare il Palazzo Municipale con vari uffici. I grandi quadri di S. Pietro e della Vergine del Carmelo, con altri arredi sacri, erano stati portati alla Chiesa Matrice; l’artistico pulpito di noce intarsiato (e forse anche l’organo) alla chiesa di S. Francesco. Il titolo (solamente onorifico) di Abate, trasmesso dalla badia cistercense di S. Maria di Cardopiano al parroco di S. Pietro, è ora conferito all’arciprete «pro tempore»”. Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 201.

[xcviii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, busta n. 6991, f. 69.

[xcix] ASCZ, Cassa Sacra, Atti Vari 308/3.

[c] AASS, 24B fasc. 3.

[ci] Sisca D., Petilia Policastro, 1964 rist. 1996, p. 288.

[cii] AASS, 24B fasc. 2.

[ciii] AASS, 24B fasc. 3.

[civ] Rende P., L’abbazia di Santa Domenica in territorio di Policastro, in www.archiviostoricocrotone.it

[cv] AASS, 24B fasc. 3.

[cvi] “Ecclesia Sanctae Catharinae Virg.s et martyris olim Parochialis, nunc eidem est adnexum Conservatorium piarum foeminarum, de quo infra, et regitur per Procuratorem ab ipsis eligendum, et à me confirmandum. Duo habet Altaria praeter majus, in quo pro uso Religiosarum asservantur Sacrae Specias Eucharisticae, et Sacrum Oleum prò usu earumdem infirmarum.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765.

[cvii] “Conservatorium Mulierum instar Monialium religiose viventium, et regulas Clausurae sponte servantium, cum Clausura minime sit, et sunt numero decem.” ASV, Rel. Lim. Santa Severina, 1765.

[cviii] ASN, fondo Cappellano Maggiore.

[cix] Vivenzio, G., Istoria e Teoria de Tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli 1783.

[cx] AASS, 86A.

[cxi] ASN, Suprema Giunta di Corrispondenza con quella della Cassa Sacra di Catanzaro.

[cxii] AASS, 24B fasc. 2.

[cxiii] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 223.

[cxiv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 302.

[cxv] Sisca D., Petilia Policastro, 1964, p. 201.

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